Pizza DIXIT

Pizza DIXIT Blog sulla cultura della pizza nel mondo. Pizza blogger: Giuseppe A. D'Angelo A blog about the Neapolitan pizza in the world and the culture of Italian pizza
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All'inizio del 2022 sul mio blog pronosticai che la pizza in padellino sarebbe stata sempre più presente nei menù delle ...
12/09/2024

All'inizio del 2022 sul mio blog pronosticai che la pizza in padellino sarebbe stata sempre più presente nei menù delle pizzerie di Campania e dintorni.
A distanza di due anni posso dire di averci preso in pieno: sempre più pizzerie ampliano la loro offerta con la focaccia tonda, il cui vantaggio principale è quello di essere un'ottima portata da degustazione, perché facile da spicchiare e condire anche con topping differenti. Un perfetto antipasto da dividere, insomma!
Ma questa modalità più contemporanea - e quando dico contemporanea, lo dico con un ben preciso significato, ci arriviamo - è in realtà ancora più recente. Prima ancora che si arrivasse a questo, il padellino era solo un'altra tipologia di servita assieme alle altre, da ordinare come portata principale. Non solo: ma anche l'utilizzo del termine "padellino" è di recente introduzione, e sta sostituendo i più classici ruoto, rutiello, ruotino e altre varianti campane.
Ed è proprio questa la novità. La pizza nel ruoto era una sorta di varietà ancora più popolana della classica pizza napoletana, magari relegata a panifici i cui forni non raggiungevano le temperature estreme necessarie per una napoletana tradizionale. Poi è stata inserita piano piano nei menù delle pizzerie, mantenendo comunque la sua identità più verace, pur subendo allo stesso tempo quel processo di evoluzione dell'impasto grazie agli studi di pizzaioli capaci.
Il ruoto ha adottato facilmente le tendenze della pianificazione applicate già anche sulla focaccia e la pizza in pala: la ricerca di un soddisfacente crunch in superficie, accompagnata da un morbido affondo. Chi più, chi meno ha seguito questa scelta. Altri hanno invece preferito concentrarsi su una morbidezza più caratteristica di una focaccia vecchio stampo, con un morso più consistente ma mantenendo leggerezza e un'ottima maturazione.
Però il ruoto restava il ruoto, certe volte anche verace: cotto nella omonima teglia circolare direttamente in forno a legna (o a gas, ma sempre un forno a cupola napoletano) e spesso insaporito alla base e sui bordi dallo strato di croccantezza regalato dalla frittura dell'olio con cui si unge la padella.
Invece, di recente, il trend si è ulteriormente evoluto. E, oltre a prendere piede come termine il più italiano "padellino" (che ci ricorda molto il tegamino torinese), ora il ruoto si presta bene alla degustazione, simile a quella delle pizze elaborate dai maestri veneti come Padoan e Bosco. All'inizio ho usato il termine "contemporanea". Ecco, non mi riferivo certamente allo stile napoletano dei cornicioni pompati, ma al filone del nord Italia che ha rivoluzionato il mondo della pizza ormai oltre un decennio fa.
Ed è un fatto che anche le pizzerie napoletane classiche si stanno adattando. È il caso de Il Marchese di San Giorgio a Cremano. Presente da sette anni come ristorante, pizzeria, bar e lounge, solo di recente ha introdotto il padellino.
E lo ha fatto con grande stile: un impasto meraviglioso che unisce il meglio dei due mondi (croccante e soffice) sormontato sia da topping semplici (ragù o genovese) che più elaborati (come questa crema di ricotta, pomodorino giallo e olio alla nduja).
Nelle storie presenti in questo momento su questa pagina e sul profilo Instagram vi mostro anche un aspetto interessante del locale, ricavato all'interno di un palazzo nobiliare del XIX secolo che ancora conserva le volte affrescate.
Ma torniamo alla pizza: voi l'avete mai mangiata nel ruoto? Quali sono i vostri posti preferiti dove fanno questo tipo di pizza? E preferite il ruoto tradizionale o uno più moderno?

Il giorno dopo la classifica che qualcuno ha definito "l'evento più importante del pianeta" (sic) è interessante riprend...
11/09/2024

Il giorno dopo la classifica che qualcuno ha definito "l'evento più importante del pianeta" (sic) è interessante riprendere una puntata di due anni fa di Che Pizza - Il podcast sul tema guide e classifiche gastronomiche.
A chi servono davvero le guide gastronomiche? Come possono essere ritenute affidabili le classifiche food? Quali sono i criteri di scelta?
Una bella oretta di conversazione tra me e il buon Simon che potete recuperare nella puntata del podcast direttamente dal player Spotify nell'articolo qui sotto. Oppure, se non potete ascoltare ma preferite leggere, trovate l'intera trascrizione della puntata sempre nell'articolo.
Buon ascolto o buona lettura, a seconda dei due casi. E fatemi sapere cosa ne pensate lasciandomi un commento (evitando possibilmente le solite frasi tipo "è tutto un magna magna", "povero mondo pizza", "venduti", ecc. Non chiedo tanto).

A chi servono davvero le guide food? Sono affidabili le classifiche di pizza? E quali sono i criteri? Ne parliamo su Che Pizza - Il Podcast.

Ma a conti fatti, che cosa vuol dire "qualità"?È un termine che ormai è stato svuotato di ogni significato dalla retoric...
08/09/2024

Ma a conti fatti, che cosa vuol dire "qualità"?
È un termine che ormai è stato svuotato di ogni significato dalla retorica del marketing delle pizzerie: pizza di qualità, ingredienti di qualità, attenzione alla qualità... Senza specificare cosa si intenda per qualità.
Nell'ultimo numero della newsletter C'è Pizza faccio proprio una riflessione sul fatto che spesso non esiste un vero e proprio marketing delle pizzerie, che si sparino parole senza senso (chi se la ricorda la mitica coppia "tradizione e innovazione"?) e che si rischia anche di sovrapporre il personal branding del pizzaiolo alla comunicazione dell'attività di ristorazione.
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e altri termini vacui del marketing food

La domanda è semplice:𝗽𝗶𝘇𝘇𝗮 𝗰𝗮𝗻𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗼 𝗮 𝗿𝘂𝗼𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝗰𝗮𝗿𝗿𝗼?Commentate sotto quale preferite. 👇Ho lanciato un sondaggio nelle...
06/09/2024

La domanda è semplice:
𝗽𝗶𝘇𝘇𝗮 𝗰𝗮𝗻𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗼 𝗮 𝗿𝘂𝗼𝘁𝗮 𝗱𝗶 𝗰𝗮𝗿𝗿𝗼?
Commentate sotto quale preferite. 👇

Ho lanciato un sondaggio nelle storie del profilo Instagram e il risultato è stato abbastanza equilibrato, con una percentuale leggermente a favore della rota 'e carretta.

Ma quello di Instagram è un campione minuscolo, e forse qui posso ottenere qualche dato in più. Commentate! 😃

Da notare come il revival della ruota di carro sia diventato una sorta di contro-trend, un ritorno alle origini rispetto alla diffusione imperante del canotto degli ultimi anni. Ma non è proprio così. Se è vero che sono nati locali per dare linfa nuova allo stile popolare (penso a Ros - La pizza di Rosario Ferraro a Marigliano, o a BroPizzeria dei Tutino), spesso la tendenza è quella di proporre entrambi gli stili nelle stesse pizzerie nate sulle fondamenta dello stile contemporaneo.
Molti accreditano a influencer della come Salvatore Lioniello il merito di aver rilanciato lo stile proprio nello stesso contesto in cui il canotto si è preso prepotentemente il suo spazio. Come sempre, però, la fama di un personaggio oscura i meriti di altri pionieri. A Napoli tra i primi - se non i primi - a offrire la doppia proposta furono quelli di Pizza Social Lab a Fuorigrotta, dove già nel 2020 lavorava alacremente ai due forni Gennaro Melillo.

La verità, però, è che la ruota di carro non è mai passata di moda, a dispetto dei fatalisti che dicevano che il canotto stava ammazzando la tradizione. È sempre stata viva e vegeta in un numero indefinito di pizzerie popolari di Napoli e provincia. Solo che era lontana dai riflettori, proprio perché non godeva dell'attenzione mediatica portata dalle pizza star, e l'unico portatore del vessillo con una certa fama era Da Michele con le sue pizzerie sparse nel mondo.

Ora che invece lo stile povero per definizione è entrato negli ambienti scicchettosi ed eleganti delle pizzerie moderne si sta riconquistando i suoi spazi. E vederlo fianco a fianco della sua sorella più giovane è segno dell'evoluzione dei tempi. E, voglio esagerare, lancia anche un enorme messaggio di pace e armonia. Le faide "canottisti" contro "tradizionalisti" non sono mai interessate a nessuno, ed erano solo sulla bocca di chi non ha mai compreso un assunto fondamentale: che la pizza è di tutti, democratica e livellatrice, e che il suo scopo è proprio quello di unire a tavola persone anche con gusti totalmente differenti tra loro. Oggi, ancora più di ieri, si può.

Detto questo, votate: non è una competizione tra i due stili, è solo un gioco. Alla fine la pizza napoletana è meravigliosa sempre e comunque. ♥️

Mi chiedo se una tale sovrabbondanza di fiordilatte sia un bene o meno per una Margherita.La mia non è una domanda retor...
03/09/2024

Mi chiedo se una tale sovrabbondanza di fiordilatte sia un bene o meno per una Margherita.
La mia non è una domanda retorica: lo sto chiedendo proprio a me stesso! Perché io stesso non so cosa rispondermi.
Personalmente la mia prima reazione di fronte a Margherite come questa è un napoletanissimo "uà" perché io stesso rimango affascinato da tutto quel bianco abbacinante che mi investe gli occhi. Non solo, ma mi dà idea di abbondanza, di un pizzaiolo che non ha la manina corta sugli ingredienti, di una pizzeria che guarda più alla felicità dei suoi clienti che al food cost.
Ma non è detto che tutto questo sia un bene. Perché la Margherita è anche un gioco di equilibri, una ricetta che esprime in toto la potenza della semplicità della pizza: tre singoli ingredienti (cinque, se consideriamo aggiunte di olio e pecorino grattugiato che non tutti usano) che però devono lavorare in armonia tra di loro. Nessuno deve sovrastare sull'altro, tutti devono avere il proprio giusto spazio di riconoscimento, in uno sforzo collaborativo che può raggiungere apici di gusto come fallire miseramente.
L'eccesso di fiordilatte può anche incorrere nel rischio di quell'effetto plastichina che ottieni se mangi troppe listarelle compatte fuse assieme, invece di affondare i denti anche nel cuscino della salsa.
Ora, che dire di questa che ho mangiato ieri sera alla pizzeria Napul'è di Castel di Sangro (seconda sede di un locale presente anche a Isernia, ma dove non sono mai andato). Be', innanzitutto che mi aspettavo di peggio. Le foto online lasciavano molto a desiderare e mi rendo conto che anche questa non la faccia apparire granché.
Però l'ho terminata senza problemi. Cottura equilibrara, al di là delle evidenti bruciature sulle bolle. Ottima masticabilità, non ho avanzato neanche un pezzo di cornicione. Giusta sapidità, non mi ha lasciato un accenno di sete dopo il canonico bicchiere d'acqua per ripulire la bocca. E a questo mi collego anche con quella che di sicuro è stata una buona maturazione, perché non l'ho avvertita minimamente sul mio stomaco a fine pasto, né a distanza di ore.
Sul fronte sapori, non so che dire. Era ok. Sicuramente l'abbondanza di ingredienti mi ha lasciato soddisfatto, ma come dicevo prima non ho visto quel gioco di squadra che ha portato a casa il risultato.
Questa è quella che definirei una pizza pragmatica, funzionale allo stomaco, per riempirti con contentezza in una serata tra amici o anche se stai apparando una cena da solo. Al prezzo di 6.50€, ormai in linea col mercato, direi che ci può stare. Certo, avrei preferito di più, ma a quel costo ho mangiato anche di molto peggio.
E voi cosa ne pensate? Quanto deve essere pesante la mano del pizzaiolo col fiordilatte? Meglio l'abbondanza o preferite la giusta misura?

Ritorno sempre con piacere in posticini che sono stati un'inaspettata scoperta. Soprattutto se a distanza di tempo conti...
27/08/2024

Ritorno sempre con piacere in posticini che sono stati un'inaspettata scoperta. Soprattutto se a distanza di tempo continuano a restare nell'anonimato. Che nell'accezione moderna significa sconosciuti ai media e al pubblico mainstream, ma di certo non ignorati dalla popolazione locale.
È il caso di Better Pub, un locale situato a Cerro al Volturno, delizioso borgo in provincia di Isernia di cui avrete sicuramente notato il castello che si erge in cima al colle se mai avete preso la strada che dalla Campania porta verso Roccaraso.
Ma avete notato che l'ho chiamato con un nome diverso rispetto al geotag che appare in questo post? Ci arrivo.
Si tratta di un vero e proprio pub in stile inglese (o irlandese, a seconda dei punti di vista), dove potete mangiare esattamente quello che vi aspettereste in un posto di questo tipo: panini, carne e stuzzichini vari.
Eppure, dopo aver attraversato l'intera sala ed essere andati oltre il bancone delle bevande alla spina, appare una sorpresa: un banco da pizzaiolo antistante a un forno a legna in muratura.
Quel forno non è sempre stato lì: venne costruito dal proprietario del locale per permettere a un pizzaiolo molto in gamba che si arrangiava con un forno elettrico di esprimere al meglio la sua arte. Quel pizzaiolo si chiamava Mirco Abate, e chi lo conosce sa che oggi può mangiare le sue ottime pizze nell'omonima pizzeria di Castel di Sangro.
Ma torniamo a Cerro. Prima di lasciare il Better Pub Mirco ha istruito un ragazzo, Giuseppe, per continuare il suo lavoro. Fu lui che incontrai quattro anni fa, quando decisi di rifugiarmi durante il periodo pandemico nel basso Abruzzo.
Allora la prima cosa che feci fu scandagliare tutta la ristorazione di zona per trovare luoghi dove potessi mangiare una perlomeno decente. In realtà riuscii a trovare molti nomi interessanti, soprattutto nel molisano. Ma il Better Pub fu la sorpresa più inaspettata di tutte, proprio perché non si presentava come pizzeria, ma era un pub che faceva ANCHE pizza.
E questa è la prima cosa che ho trovato cambiata ora che ci sono tornato a distanza di quattro anni. Se infatti il nome fuori al locale è rimasto immutato, sui social il pub ora si presenta come 𝗕𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿 𝗣𝗶𝘇𝘇𝗮 𝗮𝗻𝗱 𝗠𝗼𝗿𝗲. Hanno capito che la pizza poteva essere proprio la chiave per dare una svolta alla loro comunicazione. Una comunicazione che in realtà prima praticamente non esisteva. Ho parlato di social, ma è solo da poco che il loro piccolo profilo Instagram è gestito da una ragazza di Castel di Sangro che gli ha dato un'impostazione moderna e di qualità. Per ora hanno un manipolo di follower, ma l'approccio è professionale e potrebbe portare una clientela tutta nuova oltre agli aficionados di zona.
La seconda cosa che è cambiata è stata proprio il pizzaiolo. Giuseppe se n'è andato qualche mese fa, per prendersi un periodo di pausa. E lì ho fortemente temuto per la qualità del prodotto, proprio adesso che il locale aveva cominciato a spingere su quello.
E arriviamo quindi alle pizze che abbiamo mangiato ieri sera. A primo impatto, di fronte a delle stesure e cotture un po' incerte, sono rimasto un po' perplesso. Ma mi sono piacevolmente ricreduto al morso: impasto tenace il giusto nel cornicione, ma sottile e pieghevole al centro, con un accento di sapidità che ha dato la giusta spinta di sapore a tutto il complesso. Sul fronte topping ci siamo tutti trovati d'accordo sull'equilibrio di ricette gustose, soprattutto perché semplici: un'amatriciana, una speck e gorgonzola, e una salsiccia e patate (quest'ultima la mia preferita). Tratte da un menù che si sforza di andare oltre i grandi classici, e lo fa con il giusto impegno senza strafare.
Intendiamoci, sia adesso che allora non stiamo parlando di pizze dalle grosse pretese. Ma il punto è sempre il contesto. Ci troviamo in un locale che fino a non molto tempo fa si classificava principalmente come pub - e ancora oggi lo è - in un borghetto del Molise. Eppure non solo si cerca di offrire al cliente un'offerta che superi la classica lista di pizze ferma agli anni '80, ma lo si fa con cura e rispetto puntando ai sapori. Le tre pizze ci hanno saziato lo spirito, con un guizzo in più nella salsiccia che era davvero buona (e mi fa pensare che alla prossima visita dovrò puntare al menù pub per godere della loro carne).
Non solo, ma si rimescolano le carte con la pizza del mese: una proposta sempre diversa fuori menù. Di nuovo, qua non si sta reinventando la ruota del marketing, eppure oggi come oggi queste pratiche collaudate sono dimenticate anche dalle pizzerie più blasonate delle grandi metropoli, comode sui loro allori. Qui invece avverto uno spirito di miglioramento lento ma costante, che potrebbe magari un giorno portare questo pub a diventare una deviazione consapevole sulle rotte dei naviganti.
Magari questo post contribuirà a dar loro una spinta ulteriore, chi lo sa. Sicuramente se il successo dovesse arrivare, un giorno, potrò dire "io c'ero"!

La critica gastronomica che non fa nomi... ha senso?È questa la domanda che ci poniamo nell'ultimo numero della newslett...
25/08/2024

La critica gastronomica che non fa nomi... ha senso?
È questa la domanda che ci poniamo nell'ultimo numero della newsletter C'è Pizza, in seguito a un articolo pubblicato sul Luciano Pignataro Wine Blog in cui si fa una critica feroce a una pizzeria e al suo titolare... senza però nominare nessuno dei due.
Ovviamente siamo poi venuti a sapere di chi si trattava, ma di questo ne parliamo nella newsletter. Che è stata realizzata grazie anche ai contributi dei membri del gruppo Pizza Social e degli ascoltatori di Che Pizza - Il Podcast.
Grazie a tutti per la bella discussione, e continuiamola nei commenti qui sotto 👇

E torniamo a discutere su Facebook

È quasi ora di pranzo e mi faccio del male riguardando la   nel ruoto che ho mangiato un paio di sere fa che ero di pass...
05/08/2024

È quasi ora di pranzo e mi faccio del male riguardando la nel ruoto che ho mangiato un paio di sere fa che ero di passaggio a Vairano Patenora, quando l'occhio mi cade sul faccione di un certo Cosimo Chiodi che, con solita posa a braccia conserte e sorriso orgoglioso, si bea dall'insegna illuminata di questo localino chiamato N'Ata Pizza (le maiuscole sono nel nome, non ce le ho messe io).
Ma "n'ata", un'altra pizza perché? Perché quel certo Cosimo Chiodi in realtà lo conosciamo bene come il titolare di quel gioiellino di Pietramelara che è la Pizzeria del Corso. Che però ci devi andare apposta per provarla - e ne vale la pena - mentre invece qui ci troviamo di passaggio sulla direttrice verso l'Abruzzo e il Molise a due passi dall'uscita autostradale, quindi non puoi non vederlo (soprattutto se Cosimo ti sorride così dalla strada).
Si tratta di un piccolo locale da asporto per pizza in teglia, niente di nuovo sotto il sole, se non la particolarità di poter ordinare anche la teglia tonda (il cosiddetto "ruoto" per i non campani) da un menù che è comunque bello variegato. Io ho deciso di strafare e ordinare quella più costosa, la Campionato a 10€, non fosse altro che presentava due ingredienti che mi fanno particolarmente gola: una base di crema di Parmigiano e la carne salsicciara, specialità tipica pietramelarese.
(ah, se ve lo steste chiedendo, si chiama Campionato perché Cosimo ha vinto uno dei millemila campionati del mondo di pizza che si fanno in Italia, proprio nella categoria pizza in teglia; che ovviamente sull'insegna fa figo ed è un buon marketing, ma per me non è garanzia di niente, però almeno da lui ci ho mangiato e so cosa aspettarmi)
Per la cronaca, io me la sono fatta da asporto nel cartone perché sapevo già che metà me la sarei portata a casa; ma si può consumare anche sul posto grazie ad alcuni tavolini esterni e vi viene servita direttamente nella teglia.
Ne sono uscito soddisfatto, adesso non vi dico che è la pizza più buona del mondo, ma è stata sicuramente una pausa gradevole. E devo dire che ha retto bene alla prova del giorno dopo, riscaldata nel fornetto di casa. A conti fatti l'impasto ha avuto anche una resa migliore con il rigenero, che ha apportato un crunch davvero niente male.
Che poi sembra sia questo il format del locale: stando a quello che dice il loro sito, si tratta di un modello B2B di impasti per pizza precotti e riscaldati sul posto (quindi il mio era già il secondo rigenero). Se Cosimo è appena agli inizi con questa iniziativa, mi sembra che punti in alto, e allora io gli faccio il mio migliore in bocca al lupo, perché le iniziative imprenditoriali di pizzaioli che riescono a farsi un nome in piccole realtà locali sono quelle che mi ispirano di più.
Per inciso, questo locale già vince perché si colloca sul corso principale di un paesino che comunque ha movimento di suo, al di là del traffico dei viaggiatori da fuori. La pizza viene infatti servita anche in tranci assieme ad altra rosticceria, una manna per le frotte di ragazzini del sabato sera.
Io però ora mi sto maledicendo per la fame che mi sono fatto ve**re scrivendo ste righe.

A   si può mangiare benissimo spendendo pochi euro, ma si può anche indulgere in esperienze più raffinate, e di consegue...
23/07/2024

A si può mangiare benissimo spendendo pochi euro, ma si può anche indulgere in esperienze più raffinate, e di conseguenza più costose (per la media del posto).
Capita così che a pochi passi dal mio alloggio trovo questo ristorante italiano dal nome inequivocabile: Limoni, che dopo avermi riportato alla mente uno dei meme più spassosi del web, mi ha poi rapito con le foto della struttura.
Il ristorante si sviluppa infatti sui classici livelli multipli del riad. Ma, se generalmente l'esperienza di mangiare sul tetto superiore per godere del panorama della città è sicuramente quella che va per la maggiore tra i turisti, io ho preferito restare nel cortile, che mantiene la promessa del nome: degli alberi di limoni fanno da contorno ai tavoli dei commensali, aggiungendo un tocco bucolico alla già elegante atmosfera.
C'è una mano competente nell'arredo del posto: il titolare, Adriano Pirani, è un architetto di Bologna che ha deciso di lanciarsi nella ristorazione a Marrakech nove anni fa. Anche la scelta di portare la cucina del suo paese non è stata fatta con banalità, perché il menù propone una fusion tra piatti italiani e marocchini.
Ma è naturalmente sulla presenza della che mi voglio concentrare. Contravvenendo al mio mantra che la prima volta mi impone di provare sempre una Margherita, vado per la pizza che simboleggia il locale: la Limoni, appunto, con salsa di pomodoro, mozzarella, stracciatella, pomodorini, parmigiano e zeste di limone. In realtà il menù prevedeva anche la rucola ma io, contravvenendo a un altro mio mantra per cui non cambio mai le ricette, ho chiesto di eliminare l'inutile insalatina (sì, è inutile, smettete di ostinarvi a metterla!).
Devo dire che se non fosse stato per i latticini (di cui il parmigiano non me lo sarei aspettato presentato come nella foto) non credo che la pizza sarebbe stata altrettanto gustosa. Ma è l'impasto che mi ha colpito: soffice, soddisfacente al morso e con una piacevole ruvidezza granulosa data dalla semolina.
Non potevo non indagare. E quindi sono andato a conoscere il capo pizzaiolo, Aziz: lui l'arte di fare la pizza l'ha imparata con due anni di formazione da una pizzaiolo francese, che a sua volta aveva studiato in Italia. Dice di conoscere b**a e poolish, ma per il locale usa il metodo diretto. Quando lo riprendo in video mentre lavora, per allargare il disco di pasta lo fa volteggiare in aria, probabilmente per offrirmi un po' di spettacolo. Niente schiaffo napoletano o altre tecniche tradizionali. Persino gli ingredienti sono tutti stranieri. Pomodori e mozzarella non ho la minima idea da dove provengano, ma la confezione espone il tipico nome italian-sounding che potrebbe ve**re da ovunque, quindi non indago oltre. La farina, marca MayMouna, è invece proprio marocchina.
In tutto questo, la cosa più vicina alle mie parti che ho visto è stata il forno a legna alimentato a 400°. Ma chi ha detto che stavo cercando una pizza napoletana? Nel suo misto di tecniche, ingredienti e sapori questa pizza ha rappresentato per me la vera essenza del locale: un luogo che incrocia due culture culinarie senza farsi troppe domande, ma cercando solo di offrire una piacevole esperienza al cliente. Con me ci sono riusciti.

"La normalità sarebbe non parlarne più, perché nel momento in cui ne parliamo vuol dire che esiste ancora differenza".Qu...
15/07/2024

"La normalità sarebbe non parlarne più, perché nel momento in cui ne parliamo vuol dire che esiste ancora differenza".
Questo è quello che mi ha detto Simona Della Valle, una cara amica e pizzaiola che lavora da Apprendista Pizzaiolo, pizzeria a San Nicola La Strada in provincia di Caserta, in risposta al mio ultimo post sulla quasi totale assenza di donne nella classifica 50 Top Pizza Italia.
Con Simona ne abbiamo parlato più volte di questo argomento, anche in una puntata del podcast, e mi trova concorde su un caposaldo principale: sono ormai passati i tempi in cui dobbiamo sottolineare la presenza di una donna dietro al bancone, perché non solo non è più una presenza così rara, ma non dovrebbe neanche stupirci a priori perché, in fondo, cosa ci cambia di che genere sia la persona che ci fa la ?
Questo in un mondo ideale. Nel mondo reale, però, la figura femminile è ancora spesso utilizzata come elemento narrativo chiave da parte di alcuni giornalisti che spesso si focalizzano più sulla sua presenza che sulla qualità del suo lavoro. "Come se fossi un marziano" mi dice Simona che ha avuto a che fare con molte narrazioni di questo tipo quando hanno scritto di lei.
Il genere non determina il merito né in positivo né in negativo. Quando andai a trovare Simona un anno fa, molte delle cose che mi fece assaggiare mi piacquero da morire, di altre fui molto critico: al mio stomaco e al mio palato che gli frega se chi le ha fatte è una donna o un uomo? Eppure Simona mi dice che si trova spesso invischiata in un gioco mediatico in cui la sua figura viene sfruttata da chi ne vuole scrivere per catturare l'attenzione.
E allora qui si crea un altro tipo di discriminazione: quello per cui si pone troppo l'accento sull'elemento donna invece di ignorarlo. Laddove si pensa di stare sottolineando un'identificazione positiva si sta invece svilendo la figura della professionista.
Mi rendo conto che è un campo minato. Se faccio notare che una pizzaiola è donna non va bene, perché il genere non ci dovrebbe interessare. Se evidenzio che una classifica di rilevanza internazionale manchi di presenza femminile, pure potrei sbagliare per lo stesso motivo. Allo stesso tempo, però, se si ignora la cosa si potrebbe chiudere gli occhi su quello che è un problema effettivo.
Anche scrivere articoli sul ruolo specifico delle donne nel mondo pizza potrebbe essere datato o ghettizzante. Oppure no. Dipende sempre da che punto la si guardi. Sicuramente è importante che il punto di vista principale sia quello delle numerose professioniste che abbiamo nel nostro paese. Ed è per questo che ho voluto aprire questo post con la frase di Simona.
Ma sono d'accordo con lei: il giorno in cui avremo raggiunto la parità reale sarà il giorno in cui di questi argomenti non ci interesseremo più, perché non ce ne sarà bisogno.
E in ogni caso, devo proprio andare di nuovo a trovare Simona, perché il tempo passa in fretta, e in un anno tante cose possono cambiare nel lavoro di una professionista. Nel bene e nel male, ma io spero sempre nel bene. E conoscendo Simona da qualche anno, il suo talento, la sua passione e avendo assistito alla sua parabola da appassionata pizzaiola casalinga a instancabile lavoratrice dietro al bancone, sono sicuro che sarà un cambiamento positivo.
Dico bene, Simona? 😄

Anni fa mi sono ripromesso di non parlare più di 50 Top Pizza e classifiche varie, perlomeno di non commentare posizioni...
11/07/2024

Anni fa mi sono ripromesso di non parlare più di 50 Top Pizza e classifiche varie, perlomeno di non commentare posizioni, ex aequo, chi meritava cosa e altre discussioni che non apportano niente al dibattito.
Ma quest'anno rompo il voto di silenzio per un argomento che mi sta particolarmente a cuore.
Ieri è uscita 50 Top Pizza Italia. 100 posizioni. Solo una donna classificata, Roberta Esposito del Ristorante Pizzeria "La Contrada". E solo a metà classifica, 52º posto.
Ora, per me parità non significa quote rosa, per cui bisogna avere per forza un tot di donne in tot posizioni per fare bella figura. Per me parità è riconoscimento dei giusti meriti a prescindere dal genere.
Ma se fino a qualche anno fa era effettivamente difficile pescare un numero notevole di pizzaiole che facesse anche un lavoro degno di rilievo, oggi la situazione è totalmente cambiata. E mi viene difficile pensare che, su tante valide professioniste che ci sono in Italia (non mi metto a fare nomi, chi conosce l'ambiente lo sa), solo una abbia conquistato la classifica.
Non mi metto nemmeno a discutere sul posizionamento di Roberta ed entrare nel merito degli altri professionisti per valutare se valessero di più o di meno: chi sono io per giudicare? È anche per questo che detesto le classifiche basate su criteri non oggettivi.
Ma faccio davvero fatica ad accettare che gli ispettori anonimi italiani, che vengono presi dal pool di critici gastronomici più attenti ed esperti, non abbiano trovato nel nostro paese altre pizzerie gestite da donne che meritino il posizionamento.
Nelle altre classifiche di America, Asia, Europa va leggermente meglio. Certo, anche in quelle le donne non sono tantissime, ma molte più che in Italia. E questo secondo me è un grosso problema, soprattutto se consideriamo quanto la cultura del nostro paese venga spesso additata come patriarcale e maschilista. Termini che mi triggerano, stereotipi che faccio di tutto per combattere. Ma con una classifica di questo tipo, che immagine stiamo dando di noi all'estero? Quella del paese che ha inventato la dove però le pizzaiole non riescono a emergere? O, peggio, dove il loro lavoro non viene riconosciuto?
Questo non vuole essere un post accusatorio. Questo è un accorato appello ai curatori di 50 Top Pizza (di cui uno è anche una donna) di porre attenzione a questa situazione. Non si va a sindacare sul punteggio lasciato dagli ispettori? Ok, ma possiamo farci due domande per valutare il loro operato. Quante pizzerie visitano? Quante di queste gestite da donne? In passato hanno già dimostrato di non valorizzare il lavoro di altre cheffe? Che conoscenza hanno dei territori e del contesto in cui operano queste titolari?
Una classifica che si è conquistata un prestigio di tale portata internazionale non può non essere attenta ai temi di inclusività, a mio avviso. E, dal quel punto di vista, ci sarebbe anche tanto altro da dire. Ma per ora mi fermo sulla questione di genere. Una battaglia alla volta.



PS: non ho mai usato il tag ma dato che è un argomento a cui tengo, mi farebbe piacere che arrivasse a più persone possibili per sapere cosa ne pensate.

Dopo tanti anni da quando ho lasciato il Regno Unito e, anche dalla distanza, ho continuato a seguire la crescita della ...
09/07/2024

Dopo tanti anni da quando ho lasciato il Regno Unito e, anche dalla distanza, ho continuato a seguire la crescita della napoletana in questo paese in cui ormai si trovano pizzerie di qualità anche nei villaggetti più oscuri, sono rimasto davvero stupito di tornare in una città iperturistica come Oxford e di non trovare neanche una scelta papabile.
Tra le cose che più gli si avvicinano: Pizza Pilgrims, catena che tutto sommato stimo, sembra aver chiuso i battenti; Franco Manca rimane immangiabile, con tutto il rispetto per i pizzaioli che ci lavorano, ma non è colpa loro; e mi è spuntato anche un certo Pizza Hero che ma*****ia la miseria risulta chiuso temporaneamente ma sembrava davvero il più accettabile.
Nel mercato coperto spunta un certo Sartorelli, ma le foto degli utenti su TripAdvisor, che almeno per la qualità estetica rimangono sempre un mio punto di riferimento, lasciano molto a desiderare. Epperò proprio nello stesso mercato, di fronte e in posizione strategica, spunta questa botteguccia chiamata Il C***o.
No, non fanno pizza, ma panuozzi. E a dirla tutta, i panuozzi che ho visto sfornare assomigliavano di più a dei saltimbocca. Ma c'è una certa napoletanità che permea l'atmosfera di questo posto che va oltre i tarallini, il babà e i friarielli di Casa Marrazzo. Le sculturine in ceramica e i quadretti d'autore che decorano un localino in cui bevi e consumi un pasto veloce ma tradizionale mi hanno ricordato un'atmosfera similare a quella del Museum Shop di piazzetta Nilo. Un modo più elegante per dichiarare il proprio fascino per la bella Partenope... anche se non mancavano anche maglie e sciarpe del Napoli per urlare il proprio amore f***e! 😄
Nella struttura c'è lo zampino di napoletani? Il sospetto è forte, ma non ho avuto modo di indagare. O forse sono solo inglesi innamorati della nostra cultura? Anche la signora inglese che ci ha servito parlando un perfetto italiano era un indicatore forte.
Quello che so sono due cose. La prima, e che è sempre bello trovare influenze così forte della mia cultura all'estero, anche in un posticino così deliziosamente tipico come l'Oxford Covered Market.
La seconda, è che comunque pizzerie napoletane in questa città ancora non se ne vedono e quindi c'è un bel vuoto di mercato da riempire. Se sei qualcuno che sta leggendo questo post e ti dovessi sentire ispirato da aprirne una, il giorno che lo farai e avrai successo non dimenticare di invitarmi per ringraziamento. 😁

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Pizza DIXIT (ITA -ENG)

Pizza DIXIT è il blog sulla pizza napoletana nel mondo. La pizza napoletana ha valicato i confini dello stivale e sta pian piano conquistando i cinque continenti con la sua secolare tradizione. Oggi possiamo trovare pizzerie napoletane a Londra, Madrid, Parigi, New York, Tokyo, Bangkok e in numerose altre città piccole e grandi del pianeta. E nel frattempo, l’arte di pizzaioli napoletani è divenuta Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Io sono GIUSEPPE A. D'ANGELO e il mio scopo è quello di portarvi in viaggio in tutte le migliori pizzerie napoletane sulla faccia della Terra.

Pizza DIXIT is a blog about Neapolitan pizza in the world. Neapolitan pizza has crossed the borders of the Italian peninsula and it’s slowly taking over the world with its hundred years old tradition. Nowadays we can find Neapolitan pizzerias in London, Madrid, Paris, New York, Tokyo, Bangkok and many other small and large cities on the planet. Meanwhile, the art of Neapolitan pizzaioli has been declared a UNESCO World Heritage. My name is GIUSEPPE A. D’ANGELO and I want to take you on a journey to all the best Neapolitan pizzerias on the Earth.

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