08/12/2024
Per un inaspettato artificio tecnologico di questo secolo, si è finiti per fare dell’irrealtà del mondo virtuale il terreno privilegiato dell’avventura galante, del corteggiamento amoroso. Il tasto che scatena il sospirato complimento vola dallo schermo di chi desidera a quello dell’amata, del desiderato – due sconosciuti che forse percorrono la stessa strada illuminata di notte e tornano a casa. Eppure nonostante sia proprio lei che ora è ferma sulla panchina, per un istante infinito dove tutto si concentra e aspetta, nonostante è lui in fila con gli occhi irrequieti, una sentenza cade plumbea: «La prossima volta lo farò», e questa ripetuta menzogna recitata come una preghiera si affida già alla luce brillante ed eterea del computer nella stanza buia. Ci scriveremo questa notte?
C’è poi un giorno, quando la stanchezza è un saggio abbandono, che improvvisamente ci si trova nel posto anelato, ad un passo dall’altro, e nella voce affiorano parole non ponderate e si affermi il proprio nome, cognome, desiderio. I nonni raccontavano: “Lui è venuto da me e mi ha detto che voleva sposarmi, e nemmeno lo conoscevo. E io l’ho sposato”.
I greci avevano un termine per questo momento: “Kairos”: il momento opportuno, il momento supremo, diverso dal “Kronos”, il tempo che va e che fugge, il tempo dei tentennamenti e dei social network. Kairos come una chiamata, in contro-tempo contro se stessi, il tempo del Dio e non dell’analisi - oggi non sto bene, ho una br**ta cera – ma l’istante che è già futuro e casualità che è destino. È andare incontro all’ignoto - non ho visto le tue foto, non so cosa ti piace, e se mi rifiuterai?
Ma nessuno sa che l’audacia ripaga comunque, anche dalla delusione e dal rifiuto.
É l’arma e la cura, e l’audace è caro agli dei.