07/07/2023
Oggi 7 luglio, per Spoleto è un giorno speciale. Se Gian Carlo Menotti non fosse nato oggi (e non a Spoleto), Spoleto come è oggi, proprio grazie a ciò che è stata per e con lui, non esisterebbe. Voglio ricordarlo e farlo ricordare per quello che in effetti è stato ben prima che organizzatore e ideatore del primo grande Festival di arti e di artisti in Italia e cioè un grande compositore. E questo che segue è quanto scriveva egli stesso nel 1950 (quando Spoleto non esisteva ancora nei Suoi pensieri), a proposito della Sua musica e delle Sue scelte:
UNA NOTA SUL TEATRO LIRICO*
di Gian Carlo Menotti
(traduzione dall’inglese di Andreia Hedman)
* Queste note, apparse per prime sul “New York Herald Tribune”, sono state scritte su richiesta del dipartimento musica dello stesso giornale. (N.Y. 1950).
Mi ha sempre sconcertato sapere che stupisce molto la mia predilezione nel comporre l’opera lirica. Non ho mai pensato fosse una decisione singolare.
Per tutti sembra quanto mai implicito un mio sforzo straordinario per lavorare il più scomodamente possibile dal punto di vista musicale e teatrale, come fosse una tortura autoimposta.
Lasciatemi dissipare questa idea una volta per tutte. Ho preferito scrivere per il teatro lirico perché è una forma teatrale per me fonte di grande soddisfazione e di sfida. Credo seriamente si tratti dell’ultima fortezza d’arte libera per colui che desidera vedere eseguito il proprio lavoro proprio così come lo ha creato.
E’ un peccato che si continui a pensare il teatro lirico come una medium imbarazzante, continuando a credere che la lirica sia solo il frutto creativo di un gruppo di fiorentini che ha raggiunto il suo picco di perfezione nel diciannovesimo secolo.
Dobbiamo tornare indietro fino al teatro greco per sottolineare ciò che sappiamo comunemente tutti: e cioè che lì c’è la fonte di tutta la cultura unita; vedi la parola, la musica, la danza. In altre parole gli elementi basilari del teatro lirico; quindi l’opera lirica è semplicemente la legittima discendente di questa importante tradizione.
Se oggi l’opera fallisce il bersaglio dell’attrazione di massa, è perché i lavori realizzati nell’ultimo secolo, e cioè il repertorio standard, non si possono ritenere completamente confacenti all’uomo contemporaneo.
Il palcoscenico è stato immolato a fontane di parole a pinnacoli di passioni e gesta gloriosamente raccontate. L’aria, è stata la forma in assoluto più ricercata dai compositori ed osannata a chiave di volta nella struttura delle loro parole.
Ma i sapori di un’era particolare non possono dettare le regole della composizione che si vuole far durare per sempre. Il nostro teatro punta quasi essenzialmente sul dialogo attivo e quindi va da se che il lirico contemporaneo debba apparire al pubblico in termini equivalenti. Un compositore, oggi, non può costruire un’opera mettendo insieme una serie di arie brillanti. Semplicemente gli verrà a mancare la provocazione dell’eccitazione negli ascoltatori.
Per un compositore contemporaneo la sfida più eccitante è il recitativo. E’ uno strumento logico di azione ma bisogna trovare un modo per farlo funzionare bene dal punto di vista musicale e grammaticale. Infatti, in questo caso, il compositore è notevolmente avvantaggiato rispetto allo scrittore di prosa. La musica consente di poter arrivare al punto delle cose molto più velocemente che non pagine di parole. Con una singola frase musicale ben scritta, ci si può addentrare meglio nelle pieghe di un carattere fino a meglio contornare le emozioni più astratte.
Ma anche con il vantaggio della musica, lo sviluppo e il controllo della recita grammaticale rimane un compito difficile. Di questa difficoltà posso garantire.
La maggior parte del testo de “Il Console” è formato da percorsi su rapidi dialoghi e adesso so che le sezioni che mi sono maggiormente riuscite e piaciute, sono proprio queste.
Il primo problema per il compositore è, naturalmente, lavorare su un buon libretto, che sia sufficientemente in forma poetica e tale da poter arricchire il proprio complemento con la musica.
La mia convinzione è sempre stata che è meglio usare le proprie parole, anche se possono sembrare inadeguate.
Bene o male, ma con grande mia soddisfazione, sono riuscito nello scrivere direttamente i miei libretti. Questo perché credo che le nozze più difficili sono quelle tra la composizione musicale e il libretto. Per essere di successo devono fondersi in maniera perfetta creando quasi un elemento che sia un tutt’uno completamente nuovo e pertanto in possesso di un carattere innovativo e meglio definito. Ne la musica ne il libretto devono pertanto essere presi in considerazione singolarmente ma nel loro insieme. Ecco perché ho rifiutato ostinatamente di far pubblicare separatamente le due cose, a costo di essere considerato “difficile”.
Il testo di un’opera non è mai pensato per essere letto come fossero parole “fredde”.
Per quanto si possa odiare doverlo ammettere, un autore scopre velocemente che le frasi più riuscite letteralmente, faticano a fondersi nella musica, mentre alcune altre frasi, magari più comuni e ordinarie, divengono totalmente incandescenti in forma musicale.
Ebbene, io trovo irresistibile questa sfida di scrivere per il teatro contemporaneo nel linguaggio dell’azione. Per questo credo che il teatro lirico offre più confacenti e felici soluzioni alla creatività dell’artista.
Nella realizzazione di un altro dramma che definirei “molto diretto” quale per esempio “Copia di Madame Aupic”, ho vissuto l’esperienza deludente di scoprire che questa non sarebbe stata messa in scena fino a che non fosse stata revisionata…e re-interpretata, prima da un produttore e poi dal direttore d’orchestra… ecc. Era evidente che ognuno voleva fare il “sarto” al testo secondo la sua propria misura, cercando di creare uno spettacolo che fosse per il solo proprio talento senza preoccuparsi di quanto brutalmente fossero invece tralasciate le reali intenzioni dell’autore.
Nel teatro lirico è tutto molto diverso, questo tipo di problematiche sono quasi impossibili, probabilmente perché produttori e direttori e quanti altri, raramente sono anche compositori, di conseguenza non hanno altra scelta che lasciare quanto scritto così com’è.
Certo, le responsabilità di essere “liberi” sono enormi. Proprio per la sue peculiarità l’opera esige una messa in scena convenzionale, direi stilizzata e che viola frequentemente le regole “dell’azione realistica”, così come la poesia viola i modelli delle quotidiane normali conversazioni, quindi è sufficientemente facile per il compositore immaginare una scena in termini ideali, mentre scrive. Così questa diviene poi, sulla scena e per la scena, fisicamente reale ma, quando la si percepisce nella sua realizzazione, come qualcosa di totalmente estraneo, la prima affrettata tentazione è quella di tagliare, rammendare, incollare, rattoppare. Solo il compromesso sembra essere l’unica soluzione perseguibile.
Io conosco bene gli orrori di questi dilemmi e sono gli stessi che ho incontrato in vari momenti durante il ve**re alla vita de “Il Console”, sono i dubbi timorosi del veder fallire le diverse messe in scena malgrado le prove su prove, un lavoro duro e stremante e un cast eccezionale.
Può darsi che alcune parti de “Il Console” siano messe in discussione dai critici e dal pubblico perché potrebbero risultare mancanti di brillantezza, però preferirei vederlo fallire piuttosto che rimodellarlo solo nel tentativo impressionante di soddisfare “regole” teatrali assolutamente inesistenti.
“Il Console” non è stato scritto per Broadway; non certo per la Broadway che deplora le volgarità di Hollywood mentre poi commette atrocità ben peggiori, quella Broadway che distrugge capolavori contemporanei solo perchè le voci di qualche produttore o direttore dettino regole assolutamente inventate.
“Il Console” è stato scritto con sincerità per il pubblico, quello stesso pubblico spesso tradito e abusato. Io credo che c’è un pubblico che veste “pezzi” concepiti e fatti su misura da sarti che non fanno altro che riflettere lo stile lucido e il sapore degli anni venti e credo invece che ci sia una generazione di giovani affamata di teatro ed eccitata dalla sorpresa di nuove formule, così desiderosa di assistere a scene scioccanti, anche imperfette ma eccentriche.
Le mie esperienze con Broadway sono state esperienze felici, ma se sono critico nei confronti del teatro newyorchese, è perché sono stato testimone delle agonie patite da molti giovani artisti che hanno dovuto affrontare il dilemma di compromessi distruttivi mentre io so che faccio parte di quei pochi che hanno avuto il permesso di fare quello che volevano.