25/06/2021
Un brano da:
La Calabria all’indomani dell’8 settembre 1943
di Pantaleone Sergi
"Ristagno economico e rabbia sociale"
Tutto ciò aveva determinato un ristagno economico che si evidenziava con redditi bassissimi, disoccupazione enorme, miseria abissale. Quella miseria che spinse all’azione masse di diseredati, esasperò le tensioni sociali e portò, con un effetto rivoluzionario, alla crisi definitiva del tardo-feudalesimo costituito da ceti reazionari aggrappati alla rendita parassitaria i quali tenevano imprigionato il territorio, bloccandone lo sviluppo.
Agli esordi della democrazia, insomma, la Calabria era avvitata nella sua disperazione. «La guerra – scrisse Ugo La Malfa, all’epoca leader del Partito d’Azione – è passata con violenza estrema su tutto il territorio liberato. Si trattava di un territorio povero, in alcune zone poverissimo. La guerra lo ha disarticolato completamente». In tale contesto precario e magmatico dominante all’indomani dello sbarco anglo-americano nel continente, non era un compito semplice riavviare la macchina dello Stato, riparare le case, dare cibo alle popolazioni stremate. Il governo militare alleato si adoperò per far ripartire la vita politica e amministrativa senza tuttavia modificare più di tanto l’impalcatura dello stato fascista, anzi tollerando, come denunciava già nel marzo 1944 l’organo del Partito Comunista Italiano «L’Unità», presenze e rigurgiti neofascisti nelle istituzioni, assistendo passivamente all’attività di «agenti hitleriani» che in molti centri della Calabria si muovevano indisturbati, si accanivano sulle organizzazioni antifasciste, commettevano attentati contro tipografie nelle quali si stampavano i giornali antifascisti, usavano la dinamite per distruggere sedi del PCI, ingaggiavano sparatorie con i soldati, «incoraggiati dalla criminale complicità delle autorità governative».
La Calabria, per il resto, era una regione sospesa tra un passato che ancora si prolungava in maniera tentacolare con effetti nefasti e un futuro tutto da scoprire e da costruire. Tuttavia, anche con gli strumenti messi a disposizione dagli anglo-americani si formò allora una nuova coscienza politica che intravide nei bisogni delle masse da soddisfare il primo motivo del proprio impegno.
Non fu un processo semplice. La spinta alla democrazia proveniente da quel popolo fino ad allora escluso dai processi politici decisionali, in una realtà che della democrazia aveva soltanto «sentito dire» qualcosa, tanto era lontana ed elitaria ogni pratica democratica anche prima del fascismo, dovette fare in conti con le resistenze delle vecchie classi dominanti, con il camaleontismo politico messo in atto da tanti fascisti subito traslocati nei partiti risorti, e in ciò favoriti dai larghi varchi dell’antifascismo che accolse tanti notabili compromessi con il passato ventennio, con l’organizzazione del regime a lungo ancora in piedi e con la blanda e mancata epurazione, tutte situazioni che ostacolarono un reale mutamento. Di fatto, il Mezzogiorno d’Italia, ha rilevato Massimo L. Salvadori, rimase «la sede della continuità del vecchio Stato, sotto il governo regio». L’obiettivo di costruire partendo dal Sud quella nuova Italia sognata da tanti democratici negli anni bui del fascismo, perciò, non fu mai completamente raggiunto. Tutto il processo di democratizzazione è stato difficile. Eppure sembrava che gli avvenimenti – lotte e rivolte – portassero speditamente in quella direzione. Troppi furono, però, gli elementi di persistenza e continuità che ne hanno stemperato la forza d’urto spontaneamente rivoluzionaria determinata dal tracollo istituzionale.
Un paio di settimane e sporadici scontri a fuoco furono sufficienti agli alleati per fare arretrare oltre il Pollino l’esercito nazista in fuga, allontanando subito, così, lampi di guerra dal territorio calabrese in cui furono sporadici – benché sanguinosi – gli scontri armati diretti. L’invasione continentale era avvenuta il 3 settembre 1943 con il trasferimento indolore delle truppe dalla Sicilia alla Calabria. Non ci fu il bagno di sangue temuto. Nell’operazione Baytown, come fu chiamato in codice lo sbarco sul contenente, Montgomery non trovò alcuna reale resistenza. Inconsistente si mostrò la difesa affidata alla 502° Battaglione costiero italiano, e le due divisioni tedesche presenti (la 26a Panzer priva di carri armati e la 29a Panzer Granadier) alle prime avvisaglie dello sbarco scelsero una precipitosa ritirata per non rischiare di rimanere intrappolate in territorio calabrese, nella tenaglia in effetti tentata con gli sbarchi delle truppe alleate a Salerno e a Taranto. La Wermacht in fuga, si batté col nemico in episodi sporadici sebbene sanguinosi ma soltanto per non essere travolta dalla progressiva e veloce avanzata delle truppe di Montgomery. Per il resto si preoccupò di distruggere strade e ponti, fare terra bruciata sul suo cammino. Solo i parà italiani di un battaglione del 185° Reggimento della Divisione Nembo, rimasti senza informazioni sullo sviluppo degli eventi bellici, tentarono di opporsi ma vennero sopraffatti in Aspromonte dai reggimenti canadesi Edmonton e Nuova Scozia.
Pochi giorni dall’arrivo degli eserciti occupanti nella regione, a ogni modo, furono sufficienti per assistere all’esplosione della rabbia sociale incubata da tempo e riaffiorata negli ultimi mesi per l’accentuata mancanza di pane e di derrate alimentari che colpiva implacabile campagne e città. La Calabria non era stata silente negli anni del fascismo e manifestazioni di protesta e di dissenso sociale si erano pure registrate nonostante il ferreo controllo poliziesco.
Ma era stata poca cosa, ovviamente, rispetto a quel che si verificò dopo la caduta del fascismo. Sentendosi «protetti» dalla democrazia armata portata dall’esercito anglo-americano, una democrazia particolare viste le condizioni che però si annunciava foriera di libertà e di garanzia dei diritti individuali e collettivi fino ad allora calpestati, gli abitanti di molti centri calabresi insorsero contro le autorità locali fasciste rimaste ancora al loro posto dopo l’armistizio. Lo fecero, in verità, con motivazioni di ordine sociale: «vogliamo pane», gridavano le f***e nere e disperate davanti ai municipi.
In prima fila molte donne battagliere che sembravano popolane uscite da antiche stampe sulle rivoluzioni del Sette-Ottocento, chiedevano uno «strappo burocratico» alla povera tessera del pane che, oltretutto, non sempre c’era. Le manifestazioni mostravano tuttavia spinte di carattere politico man mano più nitide e marcate in quanto sempre più spesso esse erano guidate da agitatori comunisti e socialisti. Si assistette in quei frangenti a vere e proprie battaglie popolari, anche sanguinose, in una regione che la guerra aveva soltanto sfiorato. Con un tempismo significativo di quanta esasperazione popolare covasse tra la gente, la prima sommossa, che ha lasciato anche tracce giudiziarie, fu quella che avvenne a Limbadi il 9 settembre 1943, il giorno successivo, cioè, all’entrata in vigore dell’armistizio breve di Cassibile. Reparti della 29ª Panzer Granadier per mesi attendati alla periferia sud del paese non lontano dalla linea del fronte che i tedeschi in un primo tempo avevano stabilito tra Marina di Nicotera e Laureana di Borrello, si erano appena allontanati in fretta e furia verso nord e un contingente di circa mille uomini della 5ª Divisione di fanteria britannica in Calabria nella notte del 3 settembre, era già arrivata in zona a tappe forzate: risalendo da Rosarno ed essendo la strada litoranea per Nicotera perché i tedeschi in ritirata ne avevano fatto saltare un tratto, piegò per Limbadi, occupata nel pomeriggio del 7 settembre.
Trecento persone – in base alla denuncia dei carabinieri – quel 9 settembre assediarono il municipio e poi tentarono l’assalto al deposito di grano imboscato da un possidente. I rivoltosi furono accolti a fucilate dagli sgherri del notabile fascista i quali spararono sulla folla. Successe il finimondo.
«Molti spari ci furono e da qualsiasi parte si sparava», annotarono in sentenza, con un’iterazione forse involontaria e però eloquente, i giudici del Tribunale di Vibo Valentia che si occuparono del caso, condannando i tre manifestanti rinviati a giudizio, sui sedici denunziati nel rapporto dei carabinieri
come promotori e protagonisti della rivolta. E ancora: «Furono fatti esplodere bombe a mano» e i tre imputati «aizzarono al tumulto e alla sparatoria di moschetti e fucili». Con un colpo di pietra rimase ferito al volto il podestà del paese, con un colpo di fucile un giovanissimo dimostrante.
Al di là di quale fosse stato il ruolo degli imputati, tra i denunciati nel rapporto dell’Arma c’erano diverse persone che nel maggio 1945 avrebbero costituito la sezione del Partito Comunista.
La rivolta di Limbadi, in cui comparvero armi di ogni tipo in mano a tanti, fu una vera propria insurrezione popolare per la mancanza di pane che assunse subito connotati politici. E non fu certamente né l’unica né la più drammatica nella regione. Man mano che i tedeschi arretravano e gli anglo-americani risalivano la pen*sola, la Calabria liberata, se proprio non si trasformò in una pirotecnica esplosione della collera popolare, tuttavia fu teatro di tante sommosse29. Si era ribellata la popolazione di Sant’Andrea dello Jonio quando ancora gli eserciti alleati si trovavano in Sicilia, e quella di Benestare subito dopo il loro sbarco sul continente. E a Bova Marina l’orfanotrofio salesiano, mitragliato e bombardamenti in ripetute incursioni aeree della Royal Air Force, era stato preso d’assalto, sfidando i moschetti dei tutori dell’ordine, da una popolazione bisognosa di tutto. Ma è in seguito all’armistizio che s’infittiscono manifestazioni e proteste.
Nel mese di settembre, per la mancanza di pane, si ribellarono le popolazioni di Careri, Joppolo, Sellia Superiore, Platì, San Pietro Apostolo e Bovalino. E così via. A Joppolo, segnalò in un rapporto l’Ufficiale provinciale agli affari civili dell’AMGOT, «i Carabinieri hanno fermato i disordini e i saccheggi, ma si pensa che uno di loro abbia colpito un uomo che per questo è morto.
Mentre si apriva la diga delle generose lotte contadine per la terra brutalmente represse con arresti e processi per l’intervento delle forze dell’ordine e di truppe alleate spesso al servizio dei signorotti locali, seguirono altri episodi di ribellione popolare: dall’insurrezione di Cosenza del 4 novembre contro la fame e la crisi degli alloggi, ma anche per fare destituire il prefetto fascista Enrico Hendrich, fino ad allora tollerato dagli anglo-americani ma costretto alle dimissioni dalla piazza33, alle fiammate di contestazione anche violenta in molti paesi per la mancata corresponsione dei sussidi militari, la deficienza di alimenti e di medicinali spesso finiti nel circuito del mercato nero. Borgia, Taurianova, Villapiana, Santo Stefano d’Aspromonte, Palmi e altri centri ancora sul finire del 1944 allargarono la geografia della protesta. A dicembre fu la volta di Crotone, Capistrano, Nocera Terinese, Gizzeria, S. Costantino Calabro e della stessa Catanzaro. Le cose non cambiarono con l’anno successivo, anno che iniziò con lo spirito pubblico «sempre depresso» come annotava il prefetto di Catanzaro Federico Solimena che, sebbene avversato dalle sinistre per il suo passato fascista, mostrò intuizioni socio-politiche progressiste.
La guerra, contro le aspettative generali, si prolungava. Il costo della vita cresceva senza freni e i prezzi arrivarono alle stelle, i mezzi di comunicazione erano scarsi e precari, il vestiario e le calzature mancavano e così i medicinali. L’idea di dover passare un altro duro inverno tra ristrettezze alimentari ingigantiva le inquietudini. Viveri e indumenti che l’America aveva destinato all’Italia non arrivavano mentre l’alluvione del 28 novembre 1944 e le piogge successive avevano di fatto distrutto le colture. In questa trama di eventi catastrofici, la furia popolare si scatenò a macchia d’olio. Saccheggi si verificarono a Brancaleone. Per la mancata corresponsione dei sussidi alle famiglie dei militari, a Zagarise, in gennaio, una popolazione inferocita scacciò cinque impiegati comunali e il segretario fu costretto a riparare in casa di amici dove lo salvarono i carabinieri. A Briatico (1 aprile) la folla se la prese soltanto col segretario comunale, accusato di eccessivo zelo nell’applicazioni delle norme annonarie e ne chiese la destituzione, a Crotone e Vibo Valentia le maestranze industriali protestarono per i bassi salari, a Zungri, il 13 maggio, cento persone si scagliarono contro il sindaco e inchiodarono la porta del municipio perché non era stata distribuita la farina per la pasta.
PANTALEONE SERGI
Immagine (da Wikimedia Commons):
una foto aerea di Reggio Calabria scattata dall'aviazione britannica durante i bombardamenti del gennaio 1943.