29/04/2024
Il post è lungo ma riguarda una storia che per me è molto importante.
Da ragazzo avevo due miti: Roberto Baggio e Francesco Nuti.
Di Baggio amavo la finezza. Da un poeta ci si aspetta la finezza ma non da un calciatore. La grazia con cui Baggio accarezzava il pallone era la stessa con cui dispensava gli sguardi e le parole.
Lo incontrai una volta fuori dai cancelli di Coverciano. Era uscito per salutare le persone che lo stavano acclamando.
Quando fu davanti a me gli porsi un pezzo di carta e una penna.
«Come ti chiami?»
«Emiliano.»
«Anche tu giochi a calcio?»
«Sì.»
«E che ruolo fai?»
«Lo stesso tuo.»
Poi mi rese il biglietto su cui era scritto: “A Emiliano, buona fortuna. Roberto Baggio”.
Anche Nuti lo conobbi in quegli anni. Nel manifesto del film “Son contento” c’erano addirittura due Nuti insieme: uno contento e uno triste. Io per strada m’incantavo sempre a osservare quello triste.
In sala le persone ridevano ai suoi film mentre io sostavo nella lunga tenerezza dei suoi silenzi.
Francesco dava voce ai miei sottili sottovoce, alle mie troppe indecisioni, ai miei amori tragicomici e repentini, verdi d’erba di ginocchia strusciate sopra prati di baci infiniti.
In fondo, amando Baggio Nuti Campana, io ho amato soltanto personaggi solitari.
Di Francesco ricordo ancora con stupore il nostro primo incontro a Roma.
Sarà stata la fine degli anni Novanta, frequentavo il liceo, il calcio già stava sbiadendo in testa mia lasciando il posto al cinema e alla poesia. Nuti già era per me molto più che un attore: era un maestro, un ispiratore. C’erano in lui tutti gli sguardi, i silenzi, le parole che avrei desiderato avere io. A quei tempi le e-mail non esistevano, comunicare era molto più semplice: componevi un numero e qualcuno, prima o poi, rispondeva. Io sapevo che Francesco aveva un ufficio in via Nicotera a Roma, così non feci altro che prendere l’elenco della SIP, cercare il nome della sua casa di produzione e telefonare.
Rispose lui.
«Vorrei intervistarti» gli dissi.
«Quando?».
Fissammo l’intervista di lì a una settimana.
Il giorno prima fui assalito da un dubbio: ma avrà capito Francesco che io non sono un giornalista ma un ragazzo di neanche diciott’anni?
Prima di partire recuperai un MiniDisc su cui registrare domande e risposte e un amico - Roberto, compagno di banco - che mi accompagnasse sostenendomi moralmente.
Ricordo il primo sguardo con Francesco e l’ufficio in cui ci sedemmo, noi da una parte e lui dall’altra della scrivania. Teneva acceso un computer che non aveva idea di come funzionasse.
Come fu contento Francesco di sentirsi chiedere del suo rapporto con i libri, con Kafka, con Pirandello… Non delle battute dei suoi film ma delle ombre dei suoi film.
Era ciò che faceva soffrire Francesco di più: non sentirsi compreso come autore ma soltanto come attore, come comico.
Fu un’esperienza elettrizzante.
Purtroppo quella registrazione è andata perduta. Se l’è ingoiata un hard disk tanti anni fa. Le chiamano memorie ma si scordano le cose più di noi.
L’ultimo nostro incontro fu a Narnali, il suo paese, dieci anni più tardi. Francesco aveva già avuto l’incidente e indossava gli occhiali da sole anche al buio, per proteggersi da tutto. Io avevo smesso di studiare, avevo preso a baloccarmi con il cinema e mi stavo interessando di fotografia. Volli incontrarlo per chiedergli se avesse avuto voglia di insegnarmi un po’ il mestiere.
«Francesco?» chiesi al circolo.
«È di là» mi rispose un signore da dietro il bancone indicandomi la sala dei biliardi.
Come in tanti suoi film, la stanza era buia e solo un biliardo era baciato da una goccia, bianca, di luce. Lui stava immobile lì sotto, a fissare il panno verde.
«Posso?» gli domandai.
«Vieni.»
La sua voce era gonfia e cavernosa.
Erika, che mi aveva accompagnato, per delicatezza attese in fondo alla sala.
Parlammo in un clima di tenue tristezza. Francesco era sfinito. Ciò nonostante m’invitò a seguirlo sul set del suo nuovo film.
«Ripassa a trovarmi tra un paio di settimane.»
«Davvero?»
Lui annuì sorridendo.
«E dove posso trovarti?»
«Sempre qua: adesso è questo il mio ufficio.»
Ma purtroppo quel film rimase un sogno: di lì a poco tempo giunse infatti la notizia che Francesco era ricoverato in gravi condizioni.
Nel podcast “Zitti e Nuti”, che uscirà oggi dopo l’incontro che si svolgerà a Trento, ad Harpolab, a partire dalle ore 17 (dove faremo ascoltare due puntate in anteprima) queste ed altre storie non ci sono. Le ho tenute in serbo apposta perché ne accompagnassero l’uscita.
Tutto quello che sarà, d’ora in avanti, sarà per lui.
Il link Spotify per ascoltare il podcast: https://open.spotify.com/show/5MNguWFZbEUz82sAxqvYr0?si=hlHqZgmgTjuiNeh0P3cmjQ