"Concepito in Sicilia, nato in Friuli…"
L’autodefinizione che mi diedi in tenera età – siamo nei primi anni ’70, e essere terroni a quel tempo era tutto fuorché un privilegio – è valida anche oggi perché compendia egregiamente il mio essere. Quello di un uomo che si è trovato a vivere sospeso tra Mitteleuropa e Mediterraneo, Occidente ed Oriente, sociologia e giornalismo, destra e sinistra, dirit
ti e doveri, Eros e Thanatos e via discorrendo. Uno, nessuno e centomila, come scrisse quel mio conterraneo: eterno inquieto, e avido di risposte agli interrogativi che mi assalgono da sempre. O almeno dal momento in cui, attraverso i racconti paterni, scoprii i miti dell’Odissea e la tempesta che agita la vita e la mente del suo eroe eponimo. Fu anche per questi antichi richiami che la formazione universitaria (Alma Mater di Urbino) e post-laurea (Cnr polo di Salerno e Università di Udine) in sociologia mi fece approdare naturalmente allo studio delle migrazioni. Un campo che ho arato con ricerche i cui risultati sono stati pubblicate in opere come “I rom in Friuli”, primo mio scritto a trasnsitare nella galassia Gutenberg nel 1995; la mia prima monografia, “Sedia a 44 gambe” , redatta a cavallo dei due secoli ma pubblicata nel 2002; i capitoli su comunità islamiche, cattoliche e orientali del volume “Immigrati e religioni”; il successivo saggio “Noi crediamo: la fede degli immigrati”; un percorso che culmina con due libri – “La seconda generazione di migranti” ed “E dei figli, che ne facciamo?” – dedicati alla questione sempre più attuale dei figli degli stranieri, della loro travagliata identità e delle loro peculiari condizioni sociali. Dal mondo dei vecchi e nuovi media alla globalizzazione, dalle dipendenze al giornalismo, dal terrorismo jihadista al turismo, la mia voglia di esplorare è insaziabile. Ho persino condotto un’indagine sull’umorismo sgorgato nel mondo reale e virtuale dopo gli attentati alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001. Ma, per non farmi mancare niente, mi sono cimentato anche in un monologo teatrale, “Io ero Charlie”, in cui ho fatto tornare in vita Stéphane Charbonnier alias Charb, il direttore della rivista satirica Charlie Hebdo perito nell’attentato jihadista del 7 gennaio 2015, perché spiegasse attraverso la mia voce il motivo per cui è stato ucciso nel cuore di Parigi insieme a mezza redazione. Di questo stesso episodio avevo parlato, con toni differenti ma mantenendo il punto, nel saggio “L’odio e la matita”. L’ ultimo libro che ho pubblicato ha un titolo in prestito: “La terza guerra mondiale a pezzi”. Ma sono anche e ormai soprattutto un giornalista attivo 24/7 per Il Piccolo, Messaggero Veneto e Il Suasidiario.net. Una passione incontenibile cominciata in una radio di partito a 15 anni e proseguita sulle reti commerciali, fino al più recente passaggio alla stampa, dove vanto trascorsi a Formiche, Policy Maker, Start Magazine, Energia Oltre, Il Friuli ed incursioni varie nel caleidoscopio dell'italian press (Sole 24Ore, Italia Oggi, Lettera 43, Articolo 21, Vita Cattolica, Il Sussidiario.net ecc.) Chi mi segue su internet e nei social sa come la mia routine mi veda quotidianamente alle prese con tragedie come la guerra in Siria e con personaggi come Donald Trump, Kim Jong-un, Vladimir Putin o Xi Jinping. Ma i lettori dei giornali tradizionali, quelli di carta, sanno che non trascuro affatto la politica nazionale, dove – nel mio piccolo – ho fatto sentire la mia voce contro certe bravate di Matteo Salvini, dell’altro Matteo, della sua ex n. 2 Debora Serracchiani e di altri esponenti del nostro non eccelso ceto politico. E non rifuggo affatto dal punzecchiare il notabilato locale (citofonare Massimiliano Fedriga, Pietro Fontanini, Anna Maria Cisint). "Racconto gli scontri che si verificano nel mondo. Compenso favorendo gli incontri…"
Giacché avete capito che sono tutto tranne che qualcuno rinchiuso nella sua torre d’avorio, sappiate che mi calza a pennello l’etichetta datami da un amico: un jihadista dell’integrazione. Risiedo e sguazzo, infatti, nel presunto ghetto degli immigrati della mia città, il famigerato Borgo Stazione. Un quartiere che amo a tal punto da averci dedicato nell’anno 2007 un blog purtroppo oggi non più on line, “www.casbahudine.org“, e un canale YouTube che invece esiste ancora con tutti i suoi video. Il successivo libro “La casbah di Udine” contiene il succo di quell’esperienza, nel quale ci fu spazio persino per uno scandalo internazionale generato dalle immagini girate da uno Orioles YouTuber ante litteram.
È la storia delle strette di mano “proibite” (femminili) dell’ex presidente iraniano Mohammad Khatami a Udine. Se non avete pazienza di leggere il mio libro resoconto “Khatami in Italia. Dialogo con stretta di mano”, sappiate che del video incriminante ne hanno parlato tutti, dal Tg1 al New York Times al Guardian. E che, come capita sempre quando si ha a che fare con la Repubblica Islamica, chi lo girò fu accusato dal principale quotidiano di Teheran, Kayhan, di essere un agente della CIA. Nel mio sito web trovate l’unica rassegna stampa del caso Khatami del mondo: approfittatene. E siccome i veri amori non muoiono mai, ecco che Borgo Stazione è diventato il cuore del mio primo documentario, Borgo Stazione: il mondo in quattro strade, che è stato diffuso a puntate sul sito del Messaggero Veneto nel dicembre 2019. Ma il quartiere è stato anche il palcoscenico dell’iniziativa che ho lanciato insieme all’artista Rocco Burtone: si chiama "Aperitivo dadaista in Borgo Stazione" e per cinque edizioni consecutive, tra settembre ’19 e febbraio ’20, ha attirato centinaia di udinesi proprio nel ghetto della mia città. anch'io sono stato travolto dall'emergenza Covid. Che se non ha ìnterrotto le mie attività di giornalista, ha imposto un parziale stop alle attività da videomaker. Tra le eccezioni rilevanti segnalo il documentario "Lockdown. Voci e immagini di una città chiusa per virus", andato in onda su Telefriuli il 7 aprile 2020.