04/06/2023
📌 Taranto: Una Finestra Su ...
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📿 LA CONFRATERNITA DELLA SS. TRINITÀ DEI PELLEGRINI E CONVALESCENTI
Nell’albo d’oro delle confraternite e congreghe tarantine, si fa menzione della Confraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti. La costituenda nasce a Taranto con regio assenso della Reale Camera di S. Chiara nel 1556 col titulus di Congrega di “ Santa Maria dei Martiri”, fondata dall’ordine monastico dei “Celestini” che avevano sede nel convento della “Santissima Annunziata” e che da lì a poco sarebbe diventata “Chiesa della Trinità”, ma conosciuta anche col titolo di “Santa Maria dei Martiri”. Da “Le confraternite laicali a Taranto dal XVI al XIX secolo” di Antonio Rubino del 1995 si evince che, dei primi anni di vita del sodalizio si sa poco a causa della scomparsa di gran parte fonti documentarie, ma è sicuro che la confraternita dei Martiri fu eretta grazie alla benevolenza dei principi della Taranto dell’epoca. Il 19 aprile 1607 la confraternita si aggregò all'Arciconfraternita della “Santissima Trinità dei pellegrini e convalescenti” di Roma, fondata da san Filippo Neri, dopo questa aggregazione la confraternita prese lo stesso titolo dell'Arciconfraternita romana. La confraternita aveva il compito di: fornire ospitalità per un massimo di tre giorni ai pellegrini che passavano dalla città di Taranto per peregrinare a Roma o in Terra Santa e di provvedere ai loro bisogni in vita, qualora si ammalassero e se morivano in questo periodo di ospitalità, di fornire loro un degna sepoltura per la morte all’interno, da qui il nome della confraternita e lo scopo della chiesa. Inoltre si occupava di educazione cristiana dello spirito, tenendo un pregevole registro dei pellegrini che la frequentavano e delle raccolte di limosine. A tale scopo la confraternita edificò di fianco alla chiesetta della Ss. Trinità, un oratorio e un ospizio per ospitare i pellegrini, edifici che verranno poi demoliti nel 1927. La confraternita ebbe diversi contrasti per la proprietà dei locali confraternali con i monaci celestini e tali notizie sono documentate nel 1504 e nel 17455. Il 19 dicembre del 1776 la confraternita ottenne il regio assenso da parte di re Ferdinando IV di Borbone. La storia della confraternita si incrocia più volte con quella della confraternita del Carmine infatti nel 1812 dopo che i carmelitani furono soppressi durante l'occupazione napoleonica il sodalizio della Trinità ospitò quello del Carmine nel proprio oratorio per due anni, mentre negli anni 1882 e 1883 vi furono violenti contrasti fra le due confraternite a causa delle precedenza per l'adorazione degli altari della reposizione che finirono con una condanna alla corte delle puglie di Trani a sfavore della confraternita della Trinità. La confraternita celebrava due grandi feste la festa della SS. Trinità nel mese di giugno durante la quale i confratelli in abito di rito si comunicavano e confessavano in abito di rito per poi assistere alle solenni funzioni e quella della SS. Annunziata oltre poi alla visita agli altari della Reposizione il Giovedì santo. Agli inizi del ‘900 ebbe gli albori la tradizionale processione d’ “U Bammine curcate”, con la donazione del piccolo simulacro, portato a spalla dai confratelli. Dopo la demolizione del tempio, la confraternita cambiò più volte sede, per trovare sede stabile negli anni ‘90 nella chiesa di Sant'Agostino, dove ancora oggi opera e svolge la sua attività liturgica nella Cattedrale di San Cataldo. Stando ai rapporti, redatti dallo storiografo confraternale Nicola Caputo in “L’anima incappucciata” del 1978 e dallo storico delle tradizioni Antonio Fornaro in “Viaggio attraverso la fede e la pietà popolare a Taranto” del 2009, si possiede un’accurata descrizione dell’abito rituale dei confratelli della medesima confraternita. L’abito di rito è così composto: mozzetta color rosso sulla quale son cuciti sulla sinistra una valva di c***a di San Giacomo, simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela e un piccolo crocifisso, camice bianco con cappuccio bianco raccolto sulla testa, che viene calato sul volto durante la Settimana Santa, cingolo rosso cremisi con due nappe rosse e corona del rosario legata alla cingolo, scarpe nere e calze bianche (nel passato le scarpe erano rosse), cappello rosso orlato di un nastro rosso scuro, calato sulle spalle. I confratelli, inoltre, portano in mano un "bordone" rosso, ovvero, una mazza munita di un gancetto che veniva usata dai pellegrini "Jacopei" per appendere il copricapo.
🕍 LA CHIESA DELLA SS. TRINITA’ DEI PELLEGRINI E DEI CONVALESCENTI
Nel “Pittaggio Baglio”, annoverata come una delle chiese “intra moenia” (chiese all’interno delle mura), vi era anche la Chiesa della Trinità, fondata dalla Confraternita della Santissima Trinità dei pellegrini e convalescenti, una delle diverse confraternite religiose tarantine, nata nella seconda metà del XV sec. col titolo di "Santa Maria dei Martiri" per opera dei Celestini. La particolarità di tale chiesa è che conservava, ancora in situ, delle sepolture all’interno del convento, oggi andate perdute. La confraternita, anticamente, aveva il compito di fornire ospitalità di massimo tre giorni ai pellegrini, che passavano da Taranto per peregrinare verso Roma o in Terra Santa e di provvedere ai loro bisogni in vita, si apprestava ad offrire ospitalità ai viventi e di fornire loro una degna sepoltura all’interno delle mura del convento, qualora fossero morti durante la sosta a Taranto. A tale scopo la confraternita, edifica a fianco alla chiesetta della SS. Trinità un oratorio e un ospizio, dove venivano accolti i pellegrini. Entrambi gli edifici vennero demoliti nel 1927 a seguito di alcuni ritrovamenti archeologici di resti magno-greci, il regime fascista ne decreta la demolizione, costringendo la congrega a trasferirsi nei locali della attigua Chiesetta della Trinità, che verrà anch'essa abbattuta nel 1973, per consentire il rinvenimento e soprattutto la messa in luce delle due grandi colonne del Tempio Dorico, che erano state inglobate nelle strutture circostanti, infatti i resti del tempio erano inglobati nella chiesa della SS. Trinità, nel cortile dell'oratorio dei Trinitari, nella casa Mastronuzzi e nel convento dei Celestini. Nel 1700 erano ancora visibili dieci spezzoni di colonne, ma furono rimossi e andarono dispersi durante il rifacimento del convento nel 1729. Altri reperti del tempio andarono dispersi con la successiva demolizione del convento nel 1926 e della vicina chiesa nel 1973 e che oggi si possono vedere, all’imbocco della Città Vecchia. In seguito ai lavori di abbattimento dell’ intera area, della chiesa della SS. Trinità, oggi rimane in piedi solo un muro perimetrale, con la porta d’accesso della chiesa, sul cui architrave vi è incisa, ancora, l’epigrafe “Sancta Trinitas unus Deus”, ossia l'ultima invocazione, tratta dalle “Litanie dei Santi” (Sancta Trinitas unus Deus) è come il riepilogo della parte introduttiva delle Litanie Lauretane. invocazione rivolta alla Ss. Trinità. Nel Pittaggio Baglio nel ‘700 si contavano 14 edifici sacri tra chiese, conventi e cappelle; di queste, oggi, ne rimangono in piedi solamente in 5. La tradizione delle sepolture nelle chiese tarantine “intra moenia” risale al medioevo, così come in tutto il mondo cristiano; inizialmente il Cristianesimo non ammette la sepoltura nelle chiese, poi furono le chiese stesse ad ospitare i defunti: nella chiesa, nel chiostro, talvolta nell’ossario e nelle zone limitrofe consacrate.
Le sepolture dovevano, quindi, avvenire “ad sanctos et apud ecclesiam” (vicino/verso i santi e presso la chiesa). Più la sepoltura è vicina alle reliquie del santo, più è valutata e onorata. I santi avevano le loro cappelle o venivano posti sotto gli altari e chi poteva permetterselo, chiedeva di essere sepolto nelle chiese vicino a un santo, a determinate immagini sacre o in un punto preciso del cimitero esterno. I nobili riescirono, perciò, ad essere seppelliti sotto il pavimento della chiesa, mentre i poveri giacevano in fosse comuni nel recinto esterno e attorno alle mura della città, ma a Taranto si presenta una situazione assai complessa. Le chiese coincidono, talmente, con il cimitero, che a volte si allontanavano gli altari per lasciare spazio alle tombe. Si decise di seppellire quindi dentro le chiese e all’esterno, nello spazio circostante: di qui i primi termini “camposanto” per indicare i cimiteri.
🏛 CONVENTO DEI CELESTINI
Nel 1547, la nobildonna tarantina Flora Messana donò ai Padri Celestini di Lecce la chiesa detta di “S. Maria dei Martiri” per edificarvi il monastero, ma i padri non giunsero in tale terra. Nel secolo seguente, il Capitano Federico Ventura donò alla confraternita dei Pellegrini sotto il titolo della SS. Trinità, istituita nel 1556, la Chiesa dell'Annunziata, ma i fratelli vi edificarono accanto il loro oratorio, con ospedale/ospizio annesso per pellegrini, secondo la loro istituzione, abbandonarono la Chiesa. Lo stesso Capitano Ventura allora la donò ai Padri Celestini, i quali conosciuta la comodità del sito vi fabbricarono il loro Convento. Fino al 1700 le colonne residue del Tempio Dorico erano una decina, lo si apprende perché Artenisio Carducci, nel commento alle “Deliciae Tarentine” di Tommaso D’Aquino, parla di “dieci spezzoni di colonne d’ordine dorico” che furono successivamente infrante per consentire la costruzione del Convento dei Celestini, ubicato nell’allora Piazza Sant’Angelo, l’attuale Piazza Castello. Di queste, solo una restò a testimonianza dell’antica esistenza del tempio. La colonna solitaria era letteralmente incastrata nella struttura muraria di un piccolo cortile, quello dell’ex ospedale dei Pellegrini, attiguo al Convento dei Celestini e il suo capitello faceva da terrazzino a un balcone. I confratelli mossero lite ai Padri Celestini sul patronato della Chiesa, e si composero le vertenze col dichiararsi di comune patronato. Presso il convento vi erano istituiti quattro priori dell'ospizio. Vi erano ammessi soli pellegrini maschi e non altri e se qualcuno era ferito veniva condotto all'Ospedale dei Fatebenefratelli, visitandolo di continuo. Nel 1808 soppresso l’ordine, il convento fu convertito in padiglione militare del comando di piazza, e la chiesa con decreto di Re Gioacchino Murat del 6 aprile 1813, concessa al Municipio per convertirla in teatro, ma essa era stata già abbandonata e rimase col tempo senza tetto. Nel 1834 si era già in gran parte ridotta a teatro, ma il Real Governo dei Borbone diede il suo veto come a luogo sacro. Era il 1881 e i lavori di demolizione del Convento dei Celestini, divenuto nel frattempo un distretto militare cominciarono, ma solo per costruire il Palazzo delle Poste. Taranto aveva bisogno di un edificio da adibire a questo scopo e, con tanto spazio a disposizione, non si trovò area migliore che quella dell’ex Convento. Il convento venne abbattuto e demolito nel 1926. Nel 1973 la chiesa, ormai in rovina, della SS. Trinità, il vicino monastero dei Celestini e Palazzo Mastronuzzi sono stati abbattuti.
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