Taranto: Una Finestra Su.

Taranto: Una Finestra Su. Taranto: una finestra su.. La nuova page che nasce come canale divulgativo della cultura tarantina

🀄 "Il carro", la VII carta degli arcani maggiori e non di qualsivoglia mazzo di carte divinatorie. Il calendario di oggi...
07/07/2023

🀄 "Il carro", la VII carta degli arcani maggiori e non di qualsivoglia mazzo di carte divinatorie. Il calendario di oggi arreca come data il 7/7/2023, dunque la medesima carta venuta oggigiorno in sogno ne rappresenta una rivelazione o un recondito presagio? Tradizionalmente è rappresentato come un uomo nobile, con in mano uno scettro, su un carro di forma quadrata, trainato da due cavalli.
La particolarità, nei mazzi tradizionali, sta nel fatto che i due cavalli hanno le zampe che puntano in due direzioni diverse, ma i visi puntano alla stessa a simboleggiare che, a prescindere dall’azione, l’umano arriverà comunque alle esperienze che deve affrontare. Al dritto rappresenta un trionfo o un successo, il superamento di qualche ostacolo evolutivo, il superamento di blocchi e di situazioni stagnanti, una promozione, un successo su tutti gli ambiti di vita, un viaggio che si rivelerà costruttivo. Si capisce quindi che è una lama molto positiva, volta a far comprendere al consultante che ha il potenziale di superare qualsiasi sfida ed evolvere...

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📌 TARANTO: UNA FINESTRA SU ...👉   ... usi,costumi e folklore nel tarentino:  “CULTO DI SAN VITO MARTIRE".Un intreccio tr...
15/06/2023

📌 TARANTO: UNA FINESTRA SU ...
👉 ... usi,costumi e folklore nel tarentino: “CULTO DI SAN VITO MARTIRE".

Un intreccio tra paganesimo, cultura locale e folklore salentino. Da qui a breve, per tutto il mese di giugno, sarà redatta una rassegna, dedicata interamente alle credenze popolari e folkloristiche in Terra d'Otranto.
Cap. I: “ SAN VITO MARTIRE ”

Da un’ attenta analisi, il patrimonio degli usi e costumi, tramandati attraverso le generazioni, si presenta pressoché uniforme in tutta l’area geografica della provincia, dove però esso va progressivamente impoverendosi, poiché fatalmente lascia lungo la inesorabile via del tempo. E proprio per questo, nei centri più evoluti, molti dei suoi tratti più distintivi e caratteristici, si vanno sempre più ad affievolirsi.

📜Da alcuni anni si regi­stra un rinnovato inte­resse per la cultura agiogra­fica. Le tradizioni religio­se e folcloriche locali, le di­verse manifestazioni della cul­tura religiosa a livello popolare è mate­ria di indagine e di riflessione a diversi livelli, come pure le vite più o meno leggendarie di santi del martirologio. L’agiografia si impone anche come disciplina accademica nel mondo universitario.
I superstiziosi traggono auspici anche dalla caduta delle forbici. Bisogna farle raccogliere da altri o, se non fosse possibile, camminarci sopra prima di sollevarle.
Secondo tali figure ancestrali tipiche del Salento e in tutta la Puglia, Giugno, ad esempio era il mese per eccellenza dei “ Santi Miracolosi” e delle “pratiche divinatorie” nelle più svariate forme: dalle più casalinghe, alle più complesse: basti pensare alla pratica dell’uovo s**o e alle tre fave. Secondo alcuni credenze popolari locali, il “pane di Sant’Antonio” per alcuni e il “pane dell’ultima cena” per altri, scongiuravano i temporali e/o sciagure meteorologiche provocate dal “pianto di San Pietro”. Tale credenza è maturata dal semplice fatto che, proprio in giugno vengono celebrati i Santi che, secondo le varie tradizioni popolari e non, avrebbero in singolari circostanze protetto o addirittura aiutato alcuni individui meritevoli di prodigi innaturali. A Giugno, dunque, si festeggiano: Sant’Antonio di Padova (venerato il 13 giugno, detto il “Malleus Haereticorum”), San Vito di Lucania (venerato il 15 giugno, ricordato per la protezione dai cani malevoli), San Giovanni Battista (venerato dal 23 al 25 giugno, detto “il Dormiente”) e i Santi Apostoli Pietro e Paolo (venerati il 29 giungo, ricordati per la pratica divinatoria della “barca di San Pietro e Paolo”.

🐕SAN VITO MARTIRE E Il CULTO -
San Vito, venerato anche come san Vito di Lucania o san Vito martire, fu un giovane cristiano che subì il martirio nel 303 durante la grande p***ecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano. È venerato come santo da tutte le chiese che ammettono il culto dei santi, annoverato tra i santi ausiliatori e il suo culto si estende in tutta l'Europa sin dai primi secoli dopo il suo martirio. La sua memoria liturgica ricorre il 15 giugno. Viene invocato oltre per essere il protettore dei danzatori che, puntualmente, viene ricordato in periodo estivo, anche di: attori, epilettici, lattonieri.
Invocato contro letargia, morso di bestie velenose e durante il famoso "ballo di san Vito". San Vito così fin dall’antichità fu come molti altri santi il santo protettore delle messi dal pericolo della siccità e dell’arsura, il difensore dei campi, sul cui limitare sorgono ancora oggi le cappelle, dai raggi infuocati del sole sotto il segno di Sirio, la stella del Cane. Il santo che “controlla il Cane”. So­lo quando col tempo si p***e la cognizione del valore simbolico e rituale del “cane celeste”, san Vito divenne riduttivamente il protettore del morso del cane idrofobo. Infatti tale ricorrenza era molto sentita e onorata fra i contadini del Salento, proprio perché in questo giorno si effettuava una ricognizione per tutti gli uliveti, per presagire l'imminente raccolta delle olive che sarebbe sopraggiunta intorno a Novembre, ma anche osservare con occhio aguzzo la maturazione delle mandorle e dei fichi.

⚱️CULTO DI SAN VITO A TARANTO -
Nella Città dei due Mari che è Taranto, da sempre viene annoverata la presenza di un reliquiario di manifattura meridionale, contenente l'ampolla del Sangue di San Vito Martire, conservato in uno stato semiliquido e vischioso. Anticamente, già dal 1117 anno di edificazione della Badia extramoenia di San Vito, completamente rasa al suolo successivamente, si racconta che fosse conservata all'interno della sua chiesa, fondata dai Monaci Basiliani. Dopo l'abbandono deli stessi, causato dalle innumerevoli incursioni piratesche ed anche dei Turchi, la sacra reliquia effettuò numerose pregrinationes, fino a giungere definitivamente nel "Tesoro di San Cataldo" esattamente nel 1809. Lo storiografo Padre Ambrogio Merodio, nella sua "Istoria Tarantina "opera, compilata dal frate agostiniano nella seconda metà del '600, racconta di celesti prodigi legati, appunto, alla liquefazione del sangue del martire, protettore dai morsi velenosi, proprio nel giorno della sua commemorazione e morte, il 15 giugno.

🔮 Le credenze popolari fanno indubbiamente parte della tradizione. Pochi vi prestano veramente fede, ma molti ne conoscono l’esistenza. Rappresentano comunque una vera e propria impronta culturale assai solida e tenace, che sfida i secoli. Sono infatti tramandate di generazione in generazione e si radicano nella tradizione. Quasi sempre nate da un intreccio di religiosità con magia e superstizione, i cui confini sono definibili con difficoltà. Le stesse leggende sono talvolta espressioni della credulità popolare. Esse derivano quasi sempre dall’elaborazione fantastica di eventi realmente accaduti, ma quasi sempre contengono anche implicitamente una credenza o un giudizio morale. Gli stessi proverbi sono spesso espressi in forma di massime o di sentenze che esprimono opinioni e credenze popolari.

Fine Capitolo I.
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📌 Taranto: Una Finestra Su ... 👉   ...  📿 LA CONFRATERNITA DELLA SS. TRINITÀ DEI PELLEGRINI E CONVALESCENTINell’albo d’o...
04/06/2023

📌 Taranto: Una Finestra Su ...
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📿 LA CONFRATERNITA DELLA SS. TRINITÀ DEI PELLEGRINI E CONVALESCENTI

Nell’albo d’oro delle confraternite e congreghe tarantine, si fa menzione della Confraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini e Convalescenti. La costituenda nasce a Taranto con regio assenso della Reale Camera di S. Chiara nel 1556 col titulus di Congrega di “ Santa Maria dei Martiri”, fondata dall’ordine monastico dei “Celestini” che avevano sede nel convento della “Santissima Annunziata” e che da lì a poco sarebbe diventata “Chiesa della Trinità”, ma conosciuta anche col titolo di “Santa Maria dei Martiri”. Da “Le confraternite laicali a Taranto dal XVI al XIX secolo” di Antonio Rubino del 1995 si evince che, dei primi anni di vita del sodalizio si sa poco a causa della scomparsa di gran parte fonti documentarie, ma è sicuro che la confraternita dei Martiri fu eretta grazie alla benevolenza dei principi della Taranto dell’epoca. Il 19 aprile 1607 la confraternita si aggregò all'Arciconfraternita della “Santissima Trinità dei pellegrini e convalescenti” di Roma, fondata da san Filippo Neri, dopo questa aggregazione la confraternita prese lo stesso titolo dell'Arciconfraternita romana. La confraternita aveva il compito di: fornire ospitalità per un massimo di tre giorni ai pellegrini che passavano dalla città di Taranto per peregrinare a Roma o in Terra Santa e di provvedere ai loro bisogni in vita, qualora si ammalassero e se morivano in questo periodo di ospitalità, di fornire loro un degna sepoltura per la morte all’interno, da qui il nome della confraternita e lo scopo della chiesa. Inoltre si occupava di educazione cristiana dello spirito, tenendo un pregevole registro dei pellegrini che la frequentavano e delle raccolte di limosine. A tale scopo la confraternita edificò di fianco alla chiesetta della Ss. Trinità, un oratorio e un ospizio per ospitare i pellegrini, edifici che verranno poi demoliti nel 1927. La confraternita ebbe diversi contrasti per la proprietà dei locali confraternali con i monaci celestini e tali notizie sono documentate nel 1504 e nel 17455. Il 19 dicembre del 1776 la confraternita ottenne il regio assenso da parte di re Ferdinando IV di Borbone. La storia della confraternita si incrocia più volte con quella della confraternita del Carmine infatti nel 1812 dopo che i carmelitani furono soppressi durante l'occupazione napoleonica il sodalizio della Trinità ospitò quello del Carmine nel proprio oratorio per due anni, mentre negli anni 1882 e 1883 vi furono violenti contrasti fra le due confraternite a causa delle precedenza per l'adorazione degli altari della reposizione che finirono con una condanna alla corte delle puglie di Trani a sfavore della confraternita della Trinità. La confraternita celebrava due grandi feste la festa della SS. Trinità nel mese di giugno durante la quale i confratelli in abito di rito si comunicavano e confessavano in abito di rito per poi assistere alle solenni funzioni e quella della SS. Annunziata oltre poi alla visita agli altari della Reposizione il Giovedì santo. Agli inizi del ‘900 ebbe gli albori la tradizionale processione d’ “U Bammine curcate”, con la donazione del piccolo simulacro, portato a spalla dai confratelli. Dopo la demolizione del tempio, la confraternita cambiò più volte sede, per trovare sede stabile negli anni ‘90 nella chiesa di Sant'Agostino, dove ancora oggi opera e svolge la sua attività liturgica nella Cattedrale di San Cataldo. Stando ai rapporti, redatti dallo storiografo confraternale Nicola Caputo in “L’anima incappucciata” del 1978 e dallo storico delle tradizioni Antonio Fornaro in “Viaggio attraverso la fede e la pietà popolare a Taranto” del 2009, si possiede un’accurata descrizione dell’abito rituale dei confratelli della medesima confraternita. L’abito di rito è così composto: mozzetta color rosso sulla quale son cuciti sulla sinistra una valva di c***a di San Giacomo, simbolo dei pellegrini che si recavano a Santiago de Compostela e un piccolo crocifisso, camice bianco con cappuccio bianco raccolto sulla testa, che viene calato sul volto durante la Settimana Santa, cingolo rosso cremisi con due nappe rosse e corona del rosario legata alla cingolo, scarpe nere e calze bianche (nel passato le scarpe erano rosse), cappello rosso orlato di un nastro rosso scuro, calato sulle spalle. I confratelli, inoltre, portano in mano un "bordone" rosso, ovvero, una mazza munita di un gancetto che veniva usata dai pellegrini "Jacopei" per appendere il copricapo.

🕍 LA CHIESA DELLA SS. TRINITA’ DEI PELLEGRINI E DEI CONVALESCENTI
Nel “Pittaggio Baglio”, annoverata come una delle chiese “intra moenia” (chiese all’interno delle mura), vi era anche la Chiesa della Trinità, fondata dalla Confraternita della Santissima Trinità dei pellegrini e convalescenti, una delle diverse confraternite religiose tarantine, nata nella seconda metà del XV sec. col titolo di "Santa Maria dei Martiri" per opera dei Celestini. La particolarità di tale chiesa è che conservava, ancora in situ, delle sepolture all’interno del convento, oggi andate perdute. La confraternita, anticamente, aveva il compito di fornire ospitalità di massimo tre giorni ai pellegrini, che passavano da Taranto per peregrinare verso Roma o in Terra Santa e di provvedere ai loro bisogni in vita, si apprestava ad offrire ospitalità ai viventi e di fornire loro una degna sepoltura all’interno delle mura del convento, qualora fossero morti durante la sosta a Taranto. A tale scopo la confraternita, edifica a fianco alla chiesetta della SS. Trinità un oratorio e un ospizio, dove venivano accolti i pellegrini. Entrambi gli edifici vennero demoliti nel 1927 a seguito di alcuni ritrovamenti archeologici di resti magno-greci, il regime fascista ne decreta la demolizione, costringendo la congrega a trasferirsi nei locali della attigua Chiesetta della Trinità, che verrà anch'essa abbattuta nel 1973, per consentire il rinvenimento e soprattutto la messa in luce delle due grandi colonne del Tempio Dorico, che erano state inglobate nelle strutture circostanti, infatti i resti del tempio erano inglobati nella chiesa della SS. Trinità, nel cortile dell'oratorio dei Trinitari, nella casa Mastronuzzi e nel convento dei Celestini. Nel 1700 erano ancora visibili dieci spezzoni di colonne, ma furono rimossi e andarono dispersi durante il rifacimento del convento nel 1729. Altri reperti del tempio andarono dispersi con la successiva demolizione del convento nel 1926 e della vicina chiesa nel 1973 e che oggi si possono vedere, all’imbocco della Città Vecchia. In seguito ai lavori di abbattimento dell’ intera area, della chiesa della SS. Trinità, oggi rimane in piedi solo un muro perimetrale, con la porta d’accesso della chiesa, sul cui architrave vi è incisa, ancora, l’epigrafe “Sancta Trinitas unus Deus”, ossia l'ultima invocazione, tratta dalle “Litanie dei Santi” (Sancta Trinitas unus Deus) è come il riepilogo della parte introduttiva delle Litanie Lauretane. invocazione rivolta alla Ss. Trinità. Nel Pittaggio Baglio nel ‘700 si contavano 14 edifici sacri tra chiese, conventi e cappelle; di queste, oggi, ne rimangono in piedi solamente in 5. La tradizione delle sepolture nelle chiese tarantine “intra moenia” risale al medioevo, così come in tutto il mondo cristiano; inizialmente il Cristianesimo non ammette la sepoltura nelle chiese, poi furono le chiese stesse ad ospitare i defunti: nella chiesa, nel chiostro, talvolta nell’ossario e nelle zone limitrofe consacrate.
Le sepolture dovevano, quindi, avvenire “ad sanctos et apud ecclesiam” (vicino/verso i santi e presso la chiesa). Più la sepoltura è vicina alle reliquie del santo, più è valutata e onorata. I santi avevano le loro cappelle o venivano posti sotto gli altari e chi poteva permetterselo, chiedeva di essere sepolto nelle chiese vicino a un santo, a determinate immagini sacre o in un punto preciso del cimitero esterno. I nobili riescirono, perciò, ad essere seppelliti sotto il pavimento della chiesa, mentre i poveri giacevano in fosse comuni nel recinto esterno e attorno alle mura della città, ma a Taranto si presenta una situazione assai complessa. Le chiese coincidono, talmente, con il cimitero, che a volte si allontanavano gli altari per lasciare spazio alle tombe. Si decise di seppellire quindi dentro le chiese e all’esterno, nello spazio circostante: di qui i primi termini “camposanto” per indicare i cimiteri.

🏛 CONVENTO DEI CELESTINI
Nel 1547, la nobildonna tarantina Flora Messana donò ai Padri Celestini di Lecce la chiesa detta di “S. Maria dei Martiri” per edificarvi il monastero, ma i padri non giunsero in tale terra. Nel secolo seguente, il Capitano Federico Ventura donò alla confraternita dei Pellegrini sotto il titolo della SS. Trinità, istituita nel 1556, la Chiesa dell'Annunziata, ma i fratelli vi edificarono accanto il loro oratorio, con ospedale/ospizio annesso per pellegrini, secondo la loro istituzione, abbandonarono la Chiesa. Lo stesso Capitano Ventura allora la donò ai Padri Celestini, i quali conosciuta la comodità del sito vi fabbricarono il loro Convento. Fino al 1700 le colonne residue del Tempio Dorico erano una decina, lo si apprende perché Artenisio Carducci, nel commento alle “Deliciae Tarentine” di Tommaso D’Aquino, parla di “dieci spezzoni di colonne d’ordine dorico” che furono successivamente infrante per consentire la costruzione del Convento dei Celestini, ubicato nell’allora Piazza Sant’Angelo, l’attuale Piazza Castello. Di queste, solo una restò a testimonianza dell’antica esistenza del tempio. La colonna solitaria era letteralmente incastrata nella struttura muraria di un piccolo cortile, quello dell’ex ospedale dei Pellegrini, attiguo al Convento dei Celestini e il suo capitello faceva da terrazzino a un balcone. I confratelli mossero lite ai Padri Celestini sul patronato della Chiesa, e si composero le vertenze col dichiararsi di comune patronato. Presso il convento vi erano istituiti quattro priori dell'ospizio. Vi erano ammessi soli pellegrini maschi e non altri e se qualcuno era ferito veniva condotto all'Ospedale dei Fatebenefratelli, visitandolo di continuo. Nel 1808 soppresso l’ordine, il convento fu convertito in padiglione militare del comando di piazza, e la chiesa con decreto di Re Gioacchino Murat del 6 aprile 1813, concessa al Municipio per convertirla in teatro, ma essa era stata già abbandonata e rimase col tempo senza tetto. Nel 1834 si era già in gran parte ridotta a teatro, ma il Real Governo dei Borbone diede il suo veto come a luogo sacro. Era il 1881 e i lavori di demolizione del Convento dei Celestini, divenuto nel frattempo un distretto militare cominciarono, ma solo per costruire il Palazzo delle Poste. Taranto aveva bisogno di un edificio da adibire a questo scopo e, con tanto spazio a disposizione, non si trovò area migliore che quella dell’ex Convento. Il convento venne abbattuto e demolito nel 1926. Nel 1973 la chiesa, ormai in rovina, della SS. Trinità, il vicino monastero dei Celestini e Palazzo Mastronuzzi sono stati abbattuti.

✍️ Tale dossier ha valenza documentaria etno-antropologica ed è da considerarsi frutto di ricerche e di proprietà solo ed esclusivamente dell’autore e dell'editoriale su cui è pubblicato. Tutti i diritti riservati e non è riproducibile, senza la sua espressa autorizzazione.

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📌 TARANTO: UNA FINESTRA SU ...👉   ... Il  , 05 Maggio 2023:  Santa Irene da Tessalonica. Il culto della santa megalomart...
05/05/2023

📌 TARANTO: UNA FINESTRA SU ...
👉 ... Il , 05 Maggio 2023: Santa Irene da Tessalonica.

Il culto della santa megalomartire (martirio legato a eventi naturali catastrofici o torture fisiche inaudite), al tempo Penelope, si è affermato presso la Città di Lecce e le sue province verso la fine del XV sec., quando, dopo la peste nera del 1466, Irene, il nome che le venne conferito al momento della conversione al cristianesimo, fu proclamata Santa Patrona della Città. In precedenza, tracce di tale culto, sono rintracciabili in alcuni reperti archeologici e non, come ad esempio l'emblema araldico di Lecce, in cui compare la Torre Campanaria nella quale la piccola Penelope, venne rinchiusa a Tessalonica. La piccola, da fonti storiche non riconfermate, nacque nel 39 d.C. ad Aquileia, di sicuro è che subì una serie di martirii, da parte del padre, in nome della fede. Figlia del Re Licinio, diventata cristiana per merito di Apelliano che le impose il nome di Irene, che significa Pace.
Di questa santa l’unica notizia certa che si ha, è che su di lei non esistono notizie certe. Le prime citazioni si trovano sul " Menologio di Basilio II ", scritto pochi anni prima del 1000, che tra i santi bizantini dei quali descrive la storia cita anche Irene, ma senza indicare i luoghi e l’epoca, ragion per cui molto spesso la Santa venerata a Lecce il 5 maggio, viene confusa con altre sante venerare in altre parti e in date diverse. Qualche notizia in più la troviamo nel " Breviarium Liciense ".

🕊️Culto di Santa Irene a... Taranto
La diffusione del culto di Sant’Irene nella città di Taranto e provincia, sembra essere dovuta alla presenza di monaci basiliani, arrivati nell’area tarantina dopo le p***ecuzioni iconoclaste di Leone III. Nella zona Salentina, dal XV secolo, la santa era protettrice della città di Lecce, divenuta tale dopo aver protetto la cittadinanza da una pestilenza ed in seguito sostituita da Sant’Oronzo nel 1656, e della Terra d’Otranto. La presenza del culto a Taranto è testimoniata anche in epoche successive, ad esempio è presente su alcuni edifici della Città Vecchia.

✍🏻Ricordare cos'è stata la Liberazione e la Resistenza è fondamentale per passare il testimone della  storia, lasciando ...
26/04/2023

✍🏻Ricordare cos'è stata la Liberazione e la Resistenza è fondamentale per passare il testimone della storia, lasciando una traccia del nostro passato.

🌹Per questo motivo si è identificato un simbolo che ne ricordi la forza e le perdite subite: il papavero, ovvero, il fiore del partigiano. Questi fiori sono i simboli della Resistenza, capaci di fiorire sui campi di battaglia e di rievocare con le loro venature il rosso del sangue, ma anche gli ideali in cui credevano i tantissimi partigiani morti negli scontri.

🇮🇹 Buona Festa della Liberazione...

📌 TARANTO: UNA FINESTRA SU ...👉   ... Ritualistica di devozione popolare e tradizioni locali per la Pasqua Ortodossa Biz...
16/04/2023

📌 TARANTO: UNA FINESTRA SU ...
👉 ... Ritualistica di devozione popolare e tradizioni locali per la Pasqua Ortodossa Bizantina - Cap I

🌿La Pasqua Ortodossa di Rito Bizantino quest'anno cade domenica 16 aprile 2023. Come per la Pasqua Cristiana, la festività celebra la resurrezione di Gesù Cristo ma, non cade negli stessi giorni canonici. A differenza di quella cattolica, quella Ortodossa non segue il Calendario Gregoriano ma quello Giuliano, usato dai cristiani ortodossi, motivando il perché le date delle celebrazioni non coincidono quasi mai. La festività viene celebrata la domenica che segue la prima nuova luna dall’equinozio di primavera.

🛐PASQUA ORTODOSSA E LE UOVA ROSSO SANGUE
Pasqua Ortodossa inaugura la Settimana Santa con la domenica dei Salici, proprio come la Domenica delle Palme per la tradizione Cristiana ma con delle varianti molto interessanti, "le palme" sono sostituite da "ramoscelli di alloro", chiara matrice di derivazione della Civiltà classica Greca. La settimana di preparazione alla Pasqua prevede giorni di preghiera, digiuno, processioni tradizionali e atti di tradizioni e pietà popolare che, culminano nella domenica Pasqua.
La preparazione alla Pasqua Ortodossa di tipo Bizantino, inizia il Mercoledì Santo con le prime celebrazioni della Passione, mentre il Giovedì Santo è il giorno in cui si commemora l’Ultima cena, presieduta da Gesù. Ed è proprio in questo giorno santo che, in a casa vengono preparate e confezionate le cosiddette "uova rosse", utilizzate per...

Fine cap. I

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🏛️Valorizzare e promuovere i Beni CulturaliIl paesaggio architettonico del Salento richiama le città della Grecia per la...
13/04/2023

🏛️Valorizzare e promuovere i Beni Culturali

Il paesaggio architettonico del Salento richiama le città della Grecia per la predominanza assoluta delle case bianche “a calce”, senza tetto con solaio, soprattutto in campagna e sulla costa, ma i centri storici sono caratterizzati dal barocco leccese, un lascito spagnolo del Plateresco, che rispetto al Barocco del resto d’Italia si spoglia della sovrabbondanza pittorica degli interni e trasforma le facciate esterne di chiese e palazzi in veri arazzi scolpiti. In ciò, molta importanza ha avuto la locale “pietra leccese”, tenera e malleabile e dal caldo colore giallo rosaceo.
La Puglia tra risorse materiali ed immateriali dispone di un immenso patrimonio culturale che, tuttavia non riesce a tratti ad esprimere appieno il proprio potenziale economico, ossia la possibilità di concorrere direttamente o indirettamente alla creazione di ricchezza e, più in generale, al miglioramento delle condizioni di benessere della comunità
nazionale. “Valorizzare" e "promuovere" il patrimonio culturale del nostro Paese costituisce, dunque, una priorità nazionale; un obiettivo dal quale non si può e non si deve prescindere, ove si voglia rilanciare la nostra economia e riprendere la strada dello sviluppo, recuperando competitività e prestigio internazionale. Tipica l’entità architettonico-urbanistica della casa a corte di origine araba e diffusa anche in Sicilia. Molti vicoli, infatti, dispongono di quelli che apparentemente sono altri vicoli perpendicolari, ma si rivelano ciechi, terminando pochi metri più in là.

🏛 SALENTO, TERRA DI ANTICHE COSTRUZIONI LITICHE: LE PAJÀRE Il Salento insito di aree sconfinate di terra rossa, annovera...
26/03/2023

🏛 SALENTO, TERRA DI ANTICHE COSTRUZIONI LITICHE: LE PAJÀRE

Il Salento insito di aree sconfinate di terra rossa, annovera elementi che colpiscono nel profondo. Un leitmotif di quel paesaggio rurale che lo contraddistingue. Queste zone di terra rossa venivano in genere delimitate da bassi muretti a secco, ovvero le prime costruzioni apparse nel paesaggio rurale salentino, usate per delimitare i campi, le proprietà e i pascoli.Sbirciando tra gli ulivi e i muretti a secco, noterete un altro tipo di costruzione rurale molto antica: le "pajare". Delle abitazioni povere e semplici risalenti all’anno 1000 , costruite essenzialmente con pietra e altri materiali facilmente reperibili sul posto, incastrati tra di loro a mano. Hanno una forma a tronco di cono, non hanno finestre e prevedono essenzialmente un ingresso ed una scala esterna. Avevano lo scopo di ospitare i contadini per brevi periodi, quando si era impegnati con il lavoro nei campi. Molte di queste sono ancora in perfetto stato. Oggi rappresentano un’ode alla cultura bucolica dalla quale tutti proveniamo, inducendo a considerazioni mistiche con quel loro essere solitamente appartate e solitarie, allocate in mezzo alla natura più selvaggia. Sono vissute come elemento identitario dagli abitanti delle zone in cui si trovano, ottenendo considerazione anche dalle istituzioni che ne riconoscono il valore di memoria storica e testimonianza antropologica ...

- 🏠Ma cosa sono nello specifico? -

"Pajara" , al plurale "pajare" , è il nome delle costruzioni rurali realizzate con la tecnica del muro a secco, tipiche della campagna del Salento.Molto simili ai più noti trulli che si trovano in gran parte del territorio pugliese, tutelate e valorizzate dalle istituzioni locali, le pajare rappresentano a tutt'oggi uno degli elementi caratteristici del paesaggio salentino. Si può ammirarle isolate e sperdute nelle campagne, o unite in gruppi di 2 o 3 a formare edifici più complessi. Nell’alto Salento, in particolare, viene chiamata pajara solo la costruzione con muro a secco ma con tetto di fasci di sparto, la graminacea dalle fibre resistenti tipica dell’area mediterranea. Invece la liama, lamia o lammia del Salento meridionale si distingue per la pianta ortogonale e copertura di lastre di pietra o tegole in terracotta. Quasi tutte le pajare hanno una scaletta esterna che permette l’accesso al tetto per la manutenzione.

-⏳Ma quando sono nate? -

Non è si è riusciti ancora a stabilire una datazione precisa a cui far risalire i primi di questi edifici di un solo ambiente, a pianta circolare o quadrangolare e senza finestre. Il loro fascino è comunque indiscusso, sia che risalgano al 1.000 d.C., cioè all’epoca bizantina, o al più lontano 2.000 a.C., quindi all’età del bronzo. Come i caratteristici muretti a secco tipici del sud della pen*sola e della Sicilia, le pajare sono costruite con le pietre ricavate dai lavori di dissodamento dei terreni agricoli circostanti e senza l’aiuto di strutture portanti, malta o altro materiale aggregante. Il che le rende poco resistenti all'aggressione del tempo. Attualmente non resta quindi molto delle pajare più antiche, piuttosto piccole e la cui copertura era realizzata con tronchi e altri materiali vegetali, ma la semplice tecnica costruttiva a costo zero ha fatto sì che se ne tramandassero le forme e le caratteristiche attraverso la tradizione fino a oggi. E infatti ai giorni nostri se ne possono ancora trovare tantissime, sparse qua e là, nelle campagne salentine.

- 🏚️Pajare attraverso la storia: dalle più recenti a quelle restaurate -

La maggior parte delle pajare che si possono ammirare nella campagna salentina ai giorni nostri risalgono alla fine del ‘700 ed epoche successive. Fino all’inizio del secolo scorso si preferiva abbattere e ricostruire da zero la pajara danneggiata, ma con il tempo queste affascinanti costruzioni tipiche hanno assunto un valore storico, culturale e folkloristico e ora sono apprezzate e salvaguardate.I contadini se ne servivano come abitazione, o anche solo come riparo temporaneo o deposito.

✝️- Simbolismi apotropaici -

Comunque l’interno ombroso e fresco delle pajare racconta ancora al visitatore l’affascinante storia del popolo del Salento, grazie ai resti di rustici caminetti, cisterne e degli stipi nelle nicchie ricavate negli spessi muri. La forma della struttura "a falsa cupola" o " a tholos" quindi molto spesso a forma circolare, non molte di esse, infatti costruite dallo sbancamento dei fondi agricoli con lo scopo di guadagnare terreno coltivabile, sono state messe in opera, da mani sapienti, per realizzare dei circoli che, via via che si ergevano verso il cielo, divenivano più stretti ed aggettanti verso l'interno.
Ed è così, che man mano che la stuttura cresceva in altezza, si realizzava una delle più antiche coperture architettoniche della storia dell'uomo, giungendo quindi ad una piccola struttura in pietra grezza. Ma la vera particolarità di tale struttura, è un simbolismo apotropaico che sfugge agli occhi dei più, molto spesso vi è incastonata nel suo punto più alto, quasi a sfiorare il cielo, lastra piatta, a mo' di chiave di volta che non svela la sua vera valenza: il cosiddetto " occhio del cielo". Era una sorta di confine fra il loro regno, della fatica, degli stenti, dei sacrifici e della speranza e quello dei Cieli, cui bisognava rivolgere lo sguardo ogni volta che si entrava in una pajàra, quindi con occhi rivolti al cielo. Dunque, sul punto più alto della pajàra, ovviamente guardando l'interno, vi era una una croce incisa o scolpita, fra i diversi simboli ed oggetti apotropaici presenti in una "pajara", infatti, caratterizzava la faccia inferiore della lastra ed invita il contadino a rivolgere il suo sguardo proprio verso l'alto ossia in direzione del Cielo. Infatti:"Ogni petra ozza parite" (ogni pietra serve costruire un muro), così recita un antico adagio, frutto della maestranza ottenuta per mezzo dell'esperienza dei maestri "parìtari" , ancora attuale e sempre veritiera, dei nostri nonni. Oppure, un altro così recita:
"Non tutte le pétre, però, hanno la stessa valenza ed "ozzane li stessi pariti", nel senso che "non tutte le pietre innalzano gli stessi muri". Talvolta la data di costruzione è incisa sulla pietra dell’architrave della porta, anche insieme a una croce, mentre non è raro che in qualche punto dell’intercapedine del muro sia celata una figurina votiva a protezione dagli spiriti malefici (malòmbre) e per propiziare il raccolto.
Attualmente si possono trovare pajare di epoche relativamente recenti, normalmente del secolo scorso o quello precedente, da acquistare e ristrutturare. Si dice che la pajara guidi essa stessa, con il suo carattere e il suo fascino, alla giusta ristrutturazione, a prescindere dal fatto che queste costruzioni tipiche sono ormai, fortunatamente, salvaguardate da vincoli paesaggistici e artistici.

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Taranto: una finestra su ...

“ Taranto: una finestra su ... ”, la nuova social fan page, nonché, progetto editoriale tarantino, nasce come canale divulgativo, legato alla promozione culturale, storica, turistica, artistica e sociale della Terra d’Otranto e nello specifico della Città di Taranto, capoluogo dell'omonima provincia, in Puglia, situato sull'estremità nord occidentale della regione geografica del Salento, nonché sull'estremità orientale della zona costiera denominata Arco Ionico Tarantino. Nel presente, verrà divulgato tutto ciò che ritrae il contesto, in ogni sua sfaccettatura: eventi culturali, personaggi di interesse storico, festività religiose, beni architettonici, archeologici e paesaggistici, gettando maggiori focus su storia, cultura, tradizioni e folklore. Un grande contenitore culturale, contenente materiale multimediale, allegato ad informazioni didascaliche, descrizioni, rassegne stampa, comunicati, articoli e dossier. Il tutto nasce, dunque, per promuovere il territorio in ogni suo contesto.

“ Taranto: una finestra su ...” con la redazione di contenuti specifici ad hoc, conserverà e recupererà le tradizioni popolari antiche, moderne e contemporanee, tramite la messa appunto di dossier, reportage e studi mirati alla promozione territoriale. L’obiettivo cardine di tale progetto è proprio quello di p***eguire una grande attenzione nel trasmettere l’importanza delle tradizioni popolari, intese come “radici storiche” su cui fondare le proprie esistenze. Riscoprire le proprie “origini” assaporando le bellezze del trascorrere del tempo e scoprendo qualcosa di unico, univoco che ci unisce col passato: la cultura territoriale della nostra civiltà. Rivalutare anche il dialetto e il vernacolo locale, inteso come lingua e come tale si evolve sempre di più nella terminologia tipica e inflessioni sensoriali. Uno scrigno di perle da custodire gelosamente, tramandato da padre in figlio e se possibile da ri-studiare, rinnovare, custodire e promuovere “in toto”.

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