13/02/2024
L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLO “SMONTO NOTTE”
Per l'ennesima volta ti giri, cambi lato, prendi in mano lo smartphone. Non sai più quante volte l'hai fatto, durante la notte. Ma ora sono le 6.30. Un barlume mattutino filtra dalle doghe della persiana, che la sera prima hai volutamente lasciato socchiusa. Un sospiro di sollievo prorompe, incontenibile: le 6.30. Ora non ti chiameranno più. Quel telefono odioso, quella suoneria insidiosa – pare sia la stessa in tutti gli ospedali – insopportabile come il sonaglio di un serpente velenoso, non squillerà più. Almeno credi... In realtà potrebbe ancora squillare, ma ora, pure se ti chiamano, di qualsiasi cosa si tratti, toccherà ai colleghi del turno successivo occuparsene... Al massimo dovrai predisporre il lavoro... Ma chi se ne frega!
E' fatta. Un' altra notte è andata. Una delle tante. Troppe. Quante notti ormai hai già passato qui... fra queste mura scalcinate... fra queste lenzuola polverose, recuperate con il solito colpo di fortuna, maldestramente sistemate e spesso lasciate intatte senza aver avuto il tempo di appoggiarvisi! Quante notti passate lontano dal tuo letto. Lontano da casa. Lontano dai bambini. E quante ancora ne dovrai passare! Meglio non pensarci... Questa qui è andata. E tutto sommato non è neppure andata male: poche chiamate, cosette non importanti. Nessun intervento chirurgico. Nessun ricovero. Ne hai conosciute... di notti peggiori! Ma sì... con buona pace delle inestirpabili usanze scaramantiche che governano il mondo incompreso della Sanità, ormai puoi dirlo forte: la notte è andata benone!
Tiri un altro sospiro di sollievo. Forte di questa ventata di ottimismo interiore, balzi come un grillo in posizione ortostatica. Durano poco... lo slancio e l'ottimismo. Un lieve capogiro, un piccolo crac nella schiena ti ricordano che hai superato da un po' la quarantina, e non ti si addice più un salto degno dello spot di “Olio Cuore”. Ti ridistendi... giusto un altro minutino. Nessuno ti cerca... puoi temporeggiare un altro po'. Che bello – pensi ad occhi chiusi – oggi hai tutto il giorno libero! Tutto per te! Tutto per riposare! Ma no: che riposare! Hai un sacco di cose da fare! Sarà piacevole dedicarsi ad altro. Alla famiglia, alla casa, agli amici e - perchè no - a un po' di svago personale.
Apri gli occhi. Ti risollevi, stavolta lentamente. Le membra sono pesanti, le articolazioni cigolanti... L'entusiasmo, tuttavia, non demorde. Ti stiracchi, ti sgranchisci, ti riassetti, ti sciacqui il viso. Fingi di non impaurirti dinanzi alle spaventose borse sotto gli occhi che ti mostra uno specchio scheggiato, impietoso e guastafeste. Disfi quell'accampamento che avevi approntato la sera prima nella “stanza del medico di guardia”, con i tuoi reiterati e fallimentari tentativi di renderlo meno squallido, ed esci, finalmente, dal rifugio del guerriero.
Gli infermieri – preziosi, notturni compagni di sventura - ti accolgono sorridenti, porgendoti un bel caffè bollente, appena fatto. Dio li benedica. Niente di meglio... dopo la notte di guardia. Lo sorseggi: dalla bocca impastata lo senti spandersi nelle vene. Poi però l'ultimo sorso un pochino quasi ti disgusta... Ti ricordi che dalle 20.00 della sera precedente ne hai bevuti troppi...
Eccoli: uno per volta, arrivano i colleghi del mattino... tirati a lucido, ben pettinati, con l'alito fresco e gli occhi riposati. Ognuno di loro fa un rapido giro di sguardi fra i presenti, poi si sofferma su di te e ti chiede: “Hai fatto la notte?” A quanto pare ce lo ha scritto sulla fronte...
Non ti pesa neppure la conversazione routinaria fra colleghi che avviene al cambio turno e passa sotto il nome di “consegne”: di buon grado - perfino con un piglio un po' saccente - comunichi loro le poche novità della nottata.
E adesso via: si vola verso la libertà.
Ti cambi senza fretta: ormai il traguardo è raggiunto, superato. Il tempo ha ora un'accezione puramente relativa... Ti dirigi al marcatempo per timbrare il cartellino: è un percorso collaudato e ridondante di frasi fatte, scambiate col flusso bidirezionale di colleghi che montano e smontano: “Sì... ho fatto notte”, “Come è andata?”, “Non c'è male”, “Buon lavoro”, “Buon riposo”...
Varchi quella porta, esci all'aperto. E' una giornata strepitosa, fresca ed assolata: l'ideale per fare quello che ti pare! Monti in auto. Accendi la radio e lasci il finestrino semiaperto affinchè la musica e l'aria fresca possano pungolare quella sonnolenza, leggera ma insistente, che senti sulle spalle, sugli occhi, nella testa... e che temi possa compromettere la riuscita di tutti i tuoi progetti entusiasmanti...
Il tempo di arrivare a casa, trovarla vuota, buia, riscaldata e silenziosa – sono tutti a scuola o a lavoro – e la stanchezza ti prende... ti avvolge... ti attira nel vortice come una tromba d'aria, ti risucchia nelle tenebre come un buco nero. Vai alla finestra con l'intento di spalancarla e chiedere aiuto al sole... ma il torpore delle membra, il sopore dei sensi inesorabilmente hanno la meglio...
E' una resa senza condizioni. Il braccio teso richiude l'imposta. Gli occhi rifuggono dalla luce. Disincantato, obnubilato, rassegnato, a tentoni cerchi nella penombra l'unico amico che ti rimane: il margine del piumone, àncora di salvezza in quella giornata che sembrava così libera e promettente, ed invece, ancora una volta, è irrimediabilmente persa.
Il sonno non tarda ad arrivare... Prima di scivolare nell'abisso, hai il tempo di pensare a quell'amico, quel parente, quel conoscente, insomma l'idiota di turno che il giorno prima ti aveva detto: “Ah ok... hai la notte: quindi sei libero per due intere giornate!”. Come spiegargli che per passare alla meno peggio una notte insonne, sei condannato a perderle, le due intere giornate: una – quella prima - a non fare nulla per cercare di non stancarti; l'altra – quella dopo - a non fare nulla per cercare di riposarti?
Si può amare un lavoro alla follia. Ma non si potrà mai odiare il proprio letto, le lenzuola, l'abatjour, la buonanotte dei bambini... La notte è fatta per dormire, riposare, stare a casa. Lo sai bene tu, che ora piombi in un sonno diurno, innaturale e forzato, mentre tutti gli altri, a mente fresca, si recano a lavoro.
Sai pure, beninteso, che esiste qualcun'altro che la notte non dorme e non riposa: è il malato che corre da te in ospedale. Ed è giusto. Per ca**tà! E' giusto che ci sia tu ad accoglierlo per prendertene cura. Il malato, però - quello che hai medicato stanotte, quello che hai rassicurato e mandato a casa - non sa nulla di te. Nessuno gli racconta dei tuoi muscoli indolenziti per lo stato di tensione costante e prolungata vissuto nel tempo in cui quei muscoli dovevano essere rilassati. Nessuno gli racconta delle tue ossa che, dopo ogni notte di guardia, scricchiolano sempre di più. Nessuno gli racconta di quell'avvilente inutilità cosmica cui sei condannato per i prossimi due giorni.
Nessuno lo sa, tutto questo... a parte te, che ora cadi a picco nel sonno più profondo e ristoratore. Già... ristoratore. Giusto il tempo di recuperare un minimo di integrità psico-fisica, di entusiasmo, di ottimistica visione del mondo e della vita... e arriverà presto, molto presto, il tempo di prepararti. Preparare i muscoli, le ossa, la mente ed il cuore ad un'altra notte di guardia in ospedale...