08/08/2024
LE 1001 STORIE DEGLI ITALIANI NEL MONDO
Una sola presentazione ufficiale in Campidoglio nell’aprile 2008 - e poi diverse altre organizzate all’estero dagli 85 autori delle diverse testimonianze biografiche contenute nella raccolta - nessuna petulante promozione di un interessantissimo libro biografico sugli Italiani sparsi nel mondo. Una raccolta che, impossibilitata a muovermi per un gravissimo problema familiare, ho realizzato grazie alla tecnologia delle telecomunicazioni direttamente stando seduta davanti a un computer, quello di casa, raggiungendo i cinque continenti per comunicare con gli Italiani che vi vivevano. E, oggi, che si commemora il particolarissimo sacrificio estremo di quegli emigranti italiani in Belgio, coinvolti nel disastro di Marcinelle, mi piace riportare una delle tante suggestive, commoventi e uniche testimonianze che sono riportate nella raccolta.
Dall'8 agosto 1956, ogni anno, si ricorda il gravissimo incidente della miniera di Marcinelle in Belgio che comportò la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 erano italiane.
Quale ideatrice e curatrice della raccolta, mi unisco a questa triste ricorrenza proponendo la lettura della testimonianza di Gianni Canova, pubblicata nella raccolta "Le 1001 storie degli Italiani nel Mondo" (Edizioni Pragmata), figlio di una vittima della tragedia nella miniera di carbone a Marcinelle, in Belgio, accaduta esattamente un otto agosto di sessantotto anni fa.
https://www.edizionipragmata.it/Le%201001%20storie%20Italiani.htm
_________________________
Testimonianza biografica a cura di Gianni Canova, figlio di vittima della disgrazia - Belgio
Centotrentasei italiani, otto polacchi, sei greci, cinque tedeschi, cinque francesi, tre ungheresi, un russo, un inglese, un ucraino, un olandese e novantacinque belgi...
Questa è la macabra classificazione, per paese d’origine, del bilancio della catastrofe mineraria del pozzo Saint Charles al Bois du Cazier di Marcinelle, avvenuta l’otto agosto del 1956.
La tragedia è accaduta, dunque, dieci anni dopo, quasi mese per mese, dalla firma dell’accordo (23 giugno 1946 a Roma) economico sullo scambio «mano d’opera – carbone» tra Belgio e Italia.
Il trattato indispensabile, provocato dalla mancanza di operai del fondo dopo la seconda guerra mondiale in Belgio, fu concluso con entusiasmo dal Governo italiano, che non solo era alle prese con l’urgente bisogno di combustibile per il rilancio dell’economia nazionale, ma anche perché dava all’Italia un’immagine di collaborazione positiva con gli ex nemici del secondo conflitto mondiale.
Vantaggio supplementare per l’accordo–esodo, anche (ma questo apparirà solo negli anni seguenti) l’occasione di «sbarazzarsi» di quei molti partigiani scesi, a pace fatta, dalle montagne, alla ricerca di un lavoro appoggiandosi anche sull’ embrione di organizzazione politica nata nella resistenza e non veramente sulla linea auspicata dai politici maggioritari dell’epoca!
Constatiamo dunque, senza sorpresa, che alla vigilia della tragedia di cui vi parleremo, 47.000 minatori italiani lavorano nelle miniere belghe, ovvero più del 30% del totale!
Nel solo «bacino» di Charleroi, dove è situato il Bois du Cazier, i minatori nostri compatrioti sono all’epoca più del 52%.
Attribuire come lo si fa generalmente alla catastrofe dell’8 agosto del 56, lo «stop» del governo all’emigrazione dei nostri disoccupati verso il Belgio e le sue miniere, è un grossolano errore! In verità l’emigrazione verso la Vallonia (parte francofona del Belgio) era rimessa regolarmente in questione già dal 1951, venendo persino ad essere interrotta a più riprese dai successivi Governi italiani, spinti dalle opposizioni interne che rispondevano alle esigenze della pubblica opinione lungo la pen*sola, già contraria all’esodo organizzato ben prima del famigerato mercoledì 8 agosto di sessant’anni fa.
Sarà il ripetersi degli incidenti mortali accoppiati alla scoperta delle miserabili condizioni di lavoro (accuratamente dissimulate dal celebre «manifesto rosa», incollato ai muri delle Camere del lavoro nelle città italiane, piene zeppe di disoccupati, dalla Federchar* ) che porteranno alla fine dell’applicazione dell’accordo, che avvantaggiava solamente gli industriali belgi e la classe politica al potere che aveva scoperto nell’emigrazione, una «valvola di sicurezza» in materia di pace sociale.
Incontro con Franceso Randazzo, intervenuto come soccorritore a Marcinelle nei primissimi minuti della sciagura, che si ricorda:
«Quella mattina dell’otto agosto del ‘56 dovevano essere le otto e dieci... ero nella compagine “di giorno” alla Centrale di Salvataggio installata a meno di 4 chilometri dal pozzo del Bois du Cazier di Marcinelle».
“Venite immediatamente” mi dice al telefono una voce sconosciuta e nervosa... “c’è stato uno scoppio di grisou a Saint Charles!” Non ho nemmeno avuto il tempo di chiedere delle precisazioni, che la voce sconosciuta mi ha riattaccato il telefono sul naso... Immediatamente metto in moto la procedura in vigore, chiamo il Capo Posto e lancio la sirena di allarme, che provoca l’arrivo nel giro di due minuti appena degli altri soccorritori in servizio. Saltiamo sulla camionetta di intervento e arriviamo rapidamente e per primi sul posto.
Dopo una sola occhiata ho un presentimento immediato... la cosa mi sembra grave!
C’è già gente ammassata davanti alla griglia d’ingresso e dobbiamo insistere perché ci venga ceduto il passaggio. Ho immediatamente una prima br**ta sorpresa, accorgendomi che, contrariamente alle abitudini maturate negli altri interventi, nessuno sa qui, cosa dobbiamo fare! Passati quelli che mi sembrano lunghissimi minuti, le esitazioni cessano e l’ordine arriva secco e preciso: “Bisogna scendere”.
Siamo in tre nella gabbia, Angelo (Galvan), Silvio (Di Luzio) ed un “porion” (capomastro) che, mentre scendiamo, ci spiega che “Un italien, encageur à fait une fausse manœuvre” (un ingabbiatore italiano ha fatto una falsa manovra) ... in questo istante preciso vedo, passando a quota meno 910, i primi bagliori delle fiamme! Il calore si fa soffocante e insopportabile... dopo qualche metro ancora di discesa siamo costretti a suonare “per risalire”
Flash back
Alle sei di quella mattina sui “corons” (quartiere di casette proprietà della miniera) si alza un giorno come gli altri. Le gabbie del Bois du Cazier al pozzo Saint Charles scendono verso i livelli dove si lavora e che sono situati da meno 70 a meno 1100 metri (da qualche settimana è in costruzione un nuovo passaggio destinato all’aria “entrante” e che i minatori hanno battezzato “Foracky” dal nome della ditta che lo costruisce).
I minatori sono prevalentemente divisi in due gruppi, uno che scava la vena di carbone al livello meno 765 e l’altro fa la stessa cosa a meno 975 metri, mentre una decina di loro sono invece in servizio di manutenzione a meno 1035.
Il carbone estratto viene caricato nelle “berline” (vagonetti), dirette verso tre luoghi diversi di “envoyage” (luogo dove si carica la gabbia dell’ascensore). Due sono rispettivamente a meno 765 e 975, il terzo si trova invece situato nell’altro pozzo quello dell’aria uscente) al livello di meno 1035 metri.
In quella giornata del mercoledì 8 agosto, nella squadra del mattino, 276 minatori sono al lavoro nelle gallerie del pozzo… cinque di loro sono ancora dei bambini di 14, 15 e 16 anni appena.
L’ingabbiatore al pozzo di aria entrante, l’italiano Antonio Iannetta, è solo al suo posto al piano meno 975, quando una gabbia (un gigante di 12 metri di altezza per otto piani, pesante più di 50 tonnellate a vuoto) si ferma davanti a lui.
Bisogna sapere a questo momento che al Saint Charles del Bois du Cazier, le gabbie funzionano con il sistema del contrappeso.
Quando la gabbia della parte “levante” (pozzo di aria entrante) sale, quella della parte “ponente” (pozzo di aria uscente) scende e vice-versa.
Questo sistema di lavoro è da sempre immutato e costante e la gabbia non può essere adoperata, anche se si ferma al vostro livello. SE, come indicato dalla segnaletica in vigore, la definisce come funzionante e dunque al lavoro nell’altro pozzo! Si dice in questo caso, nel gergo adoperato nella miniera, che la gabbia contro peso è MORTA.
Per sapere se una gabbia vi si dirige e può dunque da voi essere adoperata, esiste al Cazier una segnaletica abbastanza semplice, fatta di un certo numero di scampanellate per ogni indicazione, che per più sicurezza è anche completata e dunque raddoppiata da una linea telefonica, dove le conversazioni (ed è fondamentale saperlo per capire la dinamica della catastrofe) si fanno esclusivamente in francese!
Antonio Iannetta occupa quella mattina il posto di ingabbiatore da meno di TRE settimane... e per migliorare e completare il suo francese, ancora balbettante, gli è stato aggregato un pensionato belga ancora “verde” che gli servirà da istruttore–interprete e che si chiama Gaston Vaussort.
Torniamo al momento chiave, della gabbia che si ferma al livello dove Iannetta è solo...
Quattro berline piene di carbone sono appena arrivate e Antonio vuole procedere al loro ingabbiamento...
Dopo la catastrofe l’italiano, che contrariamente al pensionato belga, sopravvivrà all’incendio, pretenderà, sempre che fosse Gaston Vaussort ad autorizzarlo alla manovra (Questa versione dei fatti non sarà però condivisa da altre testimonianze e dagli esperti designati dal Tribunale che giudicherà più tardi l’accaduto).
Quando una berlina viene spinta nella gabbia che la riporterà in superficie, la berlina PIENA spinge fuori dall’altro lato, la berlina VUOTA, che è mantenuta nella gabbia da un semplice scatto meccanico (un va e vieni rudimentale) del quale nessuno ricorda un bloccaggio o un non funzionamento in precedenza!
Quella mattina però, misteriosamente, il congegno non funziona a dovere... La berlina piena, bloccata dallo scatto difettoso, si ferma a metà strada, (è dunque in posizione mezza fuori e mezza dentro) come fa esattamente la berlina vuota che doveva essere spinta fuori dall’altro lato. Antonio Iannetta (ricordiamo che sarà il solo testimone dell’accaduto) dice che ha tempestivamente chiamato il collega belga perché lo aiuti tirando dalla parte opposta. In quel momento preciso, però, il “tacquer” (l’operatore della gabbia ascensore in alto alla torre in superficie) che considera la gabbia di aria entrante come ”morta” chiama “a scendere” nel pozzo di aria uscente!
Questo significa che la gabbia con le due berline sporgenti ai due lati si mette a risalire! inizia cosi l’incredibile serie di fatalità che provocheranno l’immane sciagura.
1) Le berline sporgenti dalle due parti, vanno a sb****re nella struttura superiore del piano di ingabbiamento del livello meno 975
2) Sulla struttura sono fissati i tubi dell’olio sotto pressione che si fissano sotto il colpo e si trasformano in una specie di polverizzatore improvvisato ...
3) Dall’altra parte della struttura sono fissati anche i cavi elettrici, che si strappano con l’urto, liberando un arco elettrico che infiamma immediatamente l’olio polverizzato, generando un improvvisato e mortale lanciafiamme!
4) Ricordo ancora che siamo nel pozzo dell’aria entrante, che logicamente trascina le fiamme verso il basso, dove sono al lavoro i minatori...
Ecco così spiegata una fatalità causata da un ordine mal ricevuto, o mal capito che ha trasformato una banale e ripetitiva operazione di carico, nella più mortale catastrofe della storia mineraria del Belgio.
Si deve anche sapere che il cavo elettrico strappato nell’impatto non alimenta solamente i compressori dei martelli pneumatici e i ventilatori... una sezione di 220 volt è riservata all’impianto di illuminazione delle gallerie... ecco dunque che le “taglie” ed i rispettivi accessi piombano nel buio più totale...
Sarà tenendosi la mano l’un l’altro come i cechi, –mi dirà il soccorritore Silvio Di Luzio- che i primi otto superstiti raggiungeranno il pozzo d’aria uscente, dove per puro caso un’ultima gabbia si fermerà permettendo ai minatori di salvarsi dal rogo.)
Sei altri minatori saranno per caso scoperti nel corridoio di soccorso che “doppiava” la galleria a meno 975, nel corso del pomeriggio del primo giorno. Al limite del coma questi minatori resteranno poi più di sei mesi ricoverati in ospedale. Per gli altri, PER TUTTI GLI ALTRI, il pozzo Saint Charles del Bois du Cazier di Marcinelle diventerà una tomba!
Tra di loro la più giovane vittima della storia delle catastrofi minerarie nel dopoguerra, Michel Gonet un “bambino” belga di 14 anni!
A questi 261 minatori scomparsi c’è da aggiungere un coraggioso conduttore di lavori, sceso nei primi minuti dopo la sciagura, per capire esattamente cosa stava succedendo, e che resterà prigioniero del rogo.
Intrappolati dal fuoco e dal fumo tossico che li ha sorpresi in un lampo, i minatori subiranno una morte atroce.
I primi corpi saranno rimontati solo molti giorni dopo, qualche ca****re resterà in fondo alla miniera fino la notte del 23 agosto seguente. Un testimone che abbiamo intervistato, realizzando il lungo metraggio sulla tragedia, ci ha dichiarato che quattro corpi sono stati ritrovati solo nel gennaio del 1957, dunque 15 mesi dopo!
Torniamo alla mattina del tragico 8 agosto.
I soccorritori scesi nel pozzo, armati dal loro solo spavaldo coraggio, sono immediatamente alle prese con l’enorme sviluppo del calore in ogni luogo della miniera, un calore che in meno di due ore sarà capace di far fondere i potenti cavi che trainano la gabbia nel pozzo di aria entrante, facendola precipitare al fondo. Il lettore avrà già capito che, senza il contrappeso, anche la gabbia del pozzo di aria uscente si trova irrimediabilmente bloccata!
Come di consueto, quando c’è il fuoco in miniera, si pone immediatamente un terribile dilemma: Si deve irrorare dall’alto per spegnere il fuoco, ignorando che il vapore che ne sussegue sale a più di 80 gradi e brucia o asfissia i superstiti eventuali?
Peggio, una volta spento l’incendio, l’acqua accumulatasi nelle gallerie (sarà il caso, aimè, al Cazier, dove dovettero essere impiegati dei gommoni dell’esercito belga!) rischia di annegare uomini e animali eventualmente superstiti!
Al Cazier gli ingegneri hanno scelto di irrorare, cosi nel corso delle 48 ore che furono necessarie per domare il fuoco sotterraneo, il pozzo di aria entrante sputerà larghi spruzzi di vapore bianco grigio.
Malgrado la difficoltà creatasi dalla situazione, in nessun momento gli spavaldi soccorritori smetteranno di scendere!
Per prendere il posto della gabbia che è precipitata nel fondo, vengono improvvisati a partire da due “container” per trasportare cemento nel nuovo pozzo Foracky in costruzione dei “cuffâts” (grandi secchi) di fortuna, nei quali possono salire solo tre uomini e gli ingombranti respiratori, che per i primi due giorni dovranno essere usati a “tempo pieno”. Da aggiungere all’apocalittica situazione la mancanza quasi totale di visibilità, che rende la permanenza nel sottosuolo infuocato ancora più pesante e pericolosa!
«C’est l’enfer! - è l’inferno!» dirà Angelo Galvan, il più eroico tra di loro, e che passerà alla storia come “l’ange de Marcinelle” l’angelo di Marcinelle.
Questi uomini (i cui tre quarti erano italiani), di cui la storia dimenticherà molto rapidamente persino i nomi, dieci, cento, mille volte riprenderanno stoicamente la strada delle gallerie bloccate, dove avanzeranno scavando metro dopo metro nelle taglie crollate con l’insensata speranza di salvare ancora qualcuno... almeno uno!
Mentre sotto, lontano da tutto e da tutti, si svolge questa eroica lotta, in superficie già circola l’elenco scarabocchiato in fretta dei minatori imprigionati nel pozzo... i nomi dei lavoratori che nella tragica sciagura hanno perso la battaglia per la sopravvivenza.
Tra di loro, l’abbiamo già scritto, 136 sono italiani e 42 di loro provenienti dalla stessa zona della Regione Abruzzo. Ventuno di essi addirittura sono dello stesso paese! Manoppello! ...un nome che per sempre resterà legato a quello di Marcinelle.
Bisognerà aspettare l’uscita della prima “Edizione Speciale” del quotidiano locale, perché la folla sempre più densa, ora urlante, ora apatica e silenziosa, che è rimasta attaccata alle griglie di ingresso della miniera maledetta giorno e notte per più di tre settimane, conosca veramente l’ampiezza della sciagura.
L’immagine disegnata da Walter Beltrami per la Domenica del Corriere, una donna con il figlio in braccio e gli occhi pieni di lacrime, attaccata alla griglia d’ingresso della miniera farà in poche ore il giro del mondo!
Saranno cento, poi cinquecento e infine più di mille le mogli, figli, fratelli e sorelle, parenti, amici e compagni di lavoro, che sotto gli ombrelli o accartocciati nelle coperte distribuite dalla Croce Rossa, instancabilmente in attesa, riposandosi a tratti, sotto la pioggia o le stelle tristi nella notte interminabile di Marcinelle, solamente interrotta dai singhiozzi o dai sogni incubo dei più piccoli...
I quotidiani prima, poi i settimanali con le loro agghiaccianti fotografie, passano di mano in mano... dieci giorni dopo la tragedia, arriva anche il settimanale degli italiani del Belgio “Sole d’Italia” con la prima pagina sbarrata su otto colonne dal crudele titolo: “TUTTI CADEVERI“.
Ultimo flash sulla mattina dell’otto agosto 56
Sono le otto e qualche minuto quando le sirene lanciano il loro lugubre grido su Marcinelle.
I residenti dei “corons” conoscono bene questo segnale di allarme: una sirena insistente che si snoda sui tetti e nelle strade come le nuvole minacciose e cariche di temporale di questo maledetto giorno del mese di agosto.
I primi accorsi verso la miniera trovano la griglia del piazzale antistante il pozzo già incatenata. Contemporaneamente giungono dai pozzi vicini al ”Cazier” i primi soccorritori e i pompieri volontari della vicinissima città di Charleroi.
Nelle famiglie, dei parenti e amici si compila già mentalmente l’elenco dei 276 minatori al lavoro nel fondo quella mattina. Verso le nove appaiono sopra l’infrastruttura metallica dell’ascensore della parte dell’aria entrante, le inquietanti nuvolette di fumo sputacchiate ancora al rallentatore. Man mano che passano i minuti è poi un vero pennacchio che si libera dal pozzo in permanenza: il fumo si fa vapore e la gente mormora: «Stanno annaffiando».
Tutti gli occhi hanno lo sguardo fisso sul “ carreau” della miniera nell’insensata speranza di riconoscere tra le sagome che si agitano in lontananza quella di un padre, di un figlio o di un amico. Quando qualcuno passa la griglia uscendo è rapidamente e verbalmente aggredito dai presenti che lo bombardano di domande... ma la risposta è sempre uguale e laconica: «Rien, on ne sait encore rien!» niente, non si sa ancora niente!
Nel sottosuolo però sono già in molti, se non a sapere, almeno ad avere capito... salvo improbabile miracolo che dopo i 14 superstiti fortunatamente già rimontati, gli altri torneranno (se torneranno) alla luce solo come cadaveri.
Verso le 19 della prima giornata arriverà anche l’ermetico primo comunicato dei responsabili della miniera: «261 minatori e un capomastro sceso alle dieci sono prigionieri nei piani inferiori della miniera. Tutti gli sforzi possibili per tentarne il ricupero sono in esecuzione.»
Oggi, dopo 60 anni, l’immane sciagura di Marcinelle impressiona ancora.
Bisogna pure scrivere che Marcinelle sarà anche la prima grande sciagura in Belgio ad essere televisivamente mediatizzata dall’ancora balbettante tv di stato, che per l’occasione eseguirà la sua prima trasmissione in diretta.
Nessuno lo sa ancora ma nel ‘56 siamo a soli tre anni dalle chiusure definitive nelle prime miniere.
Nel frattempo l’avventura mineraria, che passerà alla storia sotto il vocabolo di “Battaille du charbon”, Battaglia del carbone, avrà ucciso migliaia di minatori, tra i quali quasi due su tre sono “non belgi” e in stragrande maggioranza italiani.
Oggi ancora è l’inesorabile malattia dei polmoni, la silicosi, che continua imperturbabilmente a mietere vittime nel silenzio.
Si può ragionevolmente stimare a più di 40.000 le vittime di questa malattia che sarà riconosciuta come “professionale” solo nel mese di gennaio del 1964, ovvero più di due anni dopo che in Italia. Questa ammissione avvenne essenzialmente per l’instancabile lavoro in seno ai sindacati belgi dei minatori italiani.
Nel martirologio del XX secolo Marcinelle occuperà sempre un posto particolare.
In ricorrenza dell’ennesimo anniversario ricordo e compassione saranno di regola nei media scritti, parlati o televisivi di mezzo mondo.
Le 204 vedove e i 407 orfani della sciagura sono sopravvissuti nel ricordo di un marito e di un padre, conosciuto in molti casi solo per qualche mese ma a Manoppello l’invasione “ iconoclasta” dei celebratori di ogni genere, che -perché non scriverlo- cercheranno di recuperare l’accaduto per farne un uso personale o politico, è temuta!
«Sono morti per noi» dicono i minatori (qualcuno è ancora in vita) «Ils sont morts pour nous» hanno detto quelli della generazione seguente che con il sacrificio dei minatori di Marcinelle e di altri luoghi, hanno potuto sottrarsi ai pericoli del lavoro nel fondo.
La storia giudicherà le responsabilità in campo economico nei due paesi e giudiziarie in Belgio, e anche quelli che hanno ferocemente fatto pressione perché l’accordo «carbone Belgio – Italia» si facesse, sacrificando in 50 anni sugli altari del profitto 1500 italiani scomparsi accidentalmente nel sottosuolo delle miniere belghe e tutti gli altri morti a decine di migliaia nelle sofferenze della silicosi.
Allora quando scopro o sono sollecitato per partecipare ai preparativi destinati “a celebrare” nel 2011 il cinquantacinquesimo di Marcinelle, mi capita di stringere i pugni in segno di rabbia e di sdegno...
Allora, allora solamente, penso a mio padre e mi viene la voglia di piangere...