08/10/2024
Sono sempre stato una pippa a giocare a pallone. Prima che me lo ricordino gli altri, quelli con cui giocavo a pallone perché pietosamente mi concedevano di andare in squadra con loro, lo dichiaro io. Sempre stato una pippa.
Relegato al ruolo di ultimo difensore, quello che quando arrivavano gli attaccanti e la palla, ormai la faccenda era data per persa. Quando mancava il portiere - e quando non toccava a me stare in porta per sopraggiunta indisponibilità del portiere titolare, quasi sempre la pippa appena un po' meno pippa di me - venivo schierato come terzo palo della porta.
"Stai qui e se vedi qualcuno che arriva, vagli incontro e abbattilo. Se arriva la palla, spazzala via dove capita, il più lontano possibile."
Queste le raccomandazioni che mi davano quelli "forti" a giocare, terrorizzati che io potessi mettermi in testa di provare a giocare il pallone, magari azzardandomi a dribblare un avversario o a passarla a un compagno di squadra.
Abbattere e spazzare, questo era il mio compito. Era il mio "metti la cera togli la cera". Abbatti e spazza, abbatti e spazza era il mio mantra.
Qualche volta, per puro caso, semplicemente perché mi trovavo sulla traiettoria del tiro, mi successe perfino di respingere il pallone con qualsiasi parte del corpo. Una volta fui abbattuto, letteralmente, da una pallonata in piena faccia che mi tirarono da neanche due metri di distanza. Gli amici - si fa per dire, "amici" - raccontano che dopo aver preso il pallone feci un mezzo giro su me stesso e poi caddi a terra lungo sdraiato, ancora con le mani dietro la schiena, dove le tenevo per non fare fallo di mano.
Con il tempo, crescendo e diventando più forte e cattivo, fui messo a marcare a zona. Fu in quell'occasione, durante una partita giocata nel campo delle "Tre Fontane", dove dovevamo allenarci a Hockey su prato, e invece giocavamo a pallone, che un signore di una certa età che occasionalmente veniva a giocare con noi, vedendomi bloccare come un mastino qualsiasi cosa passasse nella mia zona, uomo, ragazzo, pallone, gambe, testa dell'avversario, sempre fedele al mantra "abbatti e spazza", all'ennesima volta che si trovò sdraiato dopo un mio intervento se ne uscì con "questo sì 'o vede Lidolm* 'o chiama a gioca' co' 'a Roma, ammazza che cagnaccio!"
Posso dire che quello fu il complimento più grosso che ricevetti mai nell'ambiente calcistico.
Ma tutta questa lunga premessa serve solo per raccontare invece di un'altra volta, in cui la partita si giocava sul piazzale breccioloso di Largo Placido Riccardi. Avete mai giocato a pallone su un campo coperto di brecciolini? No? Ecco, non fatelo, le vostre ginocchia e il resto della pelle ve ne sarà grato per il resto della vita.
Quella volta la partita era molto ma molto molto più disorganizzata, uscita fuori per caso, per ammazzare la giornata e passare il tempo.
La partita era in una di quelle strane formule che usavamo per giustificare il fatto che non eravamo neanche sufficienti a mettere insieme due squadre e allora si giocava "a una porta sola" o anche "a portieri volanti". Quella volta era "a portieri volanti", con le porte più strette del normale e il portiere che non rimaneva fisso in porta, ma andava avanti a giocare come tutti, quando c'era da parare, uno scelto prima doveva fare il portiere.
E se poteva andare avanti il portiere, quella era una di quelle volte che potevo andare avanti anche io, che tanto cosa vuoi difendere, se rimani da solo contro tutti?
Quel giorno segnai tre gol. Io. La pippa regina delle pippe. La pippa cosmica. La pippa abissale. La pippa al cubo. La pippa atomica.
Tutte definizioni non inventate, ma che davvero mi erano state date dagli "amici".
Quel giorno, il re delle pippe segnò tre gol. Ma visto che quando un miracolo deve succedere, dev'essere grosso, altrimenti che miracolo è?** allora quei tre gol li segnai come il più grande dei fuoriclasse, come il campione dei campioni, come nessuno neanche in serie A li aveva mai segnati. Una rovesciata, una semirovesciata, una torsione del collo del piede in mischia, che mandò il portiere da una parte, il pallone dall'altra.
E dato che una volta è un caso, la seconda una coincidenza, la terza una prova di bravura, quella sera i miei compagni di squadra mi accompagnarono a casa in corteo, poco ci mancava che mi portassero a spalla.
La partita dopo mi misero in attacco, pentiti di aver avuta così scarsa fiducia nei miei mezzi, evidentemente si erano sempre sbagliati, ero un campione, non una pippa.
Al terzo liscio, al secondo gol sbagliato, all'ennesima palla persa, si senti il capitano della squadra che mi urlava "pippo', va dietro e non fare danni!"
E lì finì la mia carriera di giocatore di pallone non pippa, durata il breve spazio di una partita "a portieri volanti" giocata su un campo di brecciolino.
Ma tornando ai miracoli, quello fu come quella volta che la più bella della scuola mi disse "oggi pomeriggio c'è una festa, mi accompagni?". Salvo poi non filarmi di striscio per tutta la festa, passata a fare lingua in bocca con il peggior bullo della scuola (lei, non io).
O come quella volta che....
Insomma, quei tre gol furono un miracolo e un miracolo succede una volta sola nella vita. Ma quando succede non te lo scordi più e te lo sogni, per il resto dei tuoi giorni, fino all'ultimo giorno.
* Nils Liedholm, allora allenatore della Roma (primo periodo 1973-1977)
** per la definizione "miracolo grosso" andate a vedere la scena di "Ricomincio da tre" in cui Troisi e Lello Arena discutono su cosa sia "un miracolo".