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𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐺𝐼𝑂𝑅𝑁𝐼 𝐹𝐸𝐿𝐼𝐶𝐼 𝑑𝑖 𝑆𝑖𝑚𝑜𝑛𝑒 𝑃𝑒𝑡𝑟𝑎𝑙𝑖𝑎𝐆𝐈...
19/12/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐺𝐼𝑂𝑅𝑁𝐼 𝐹𝐸𝐿𝐼𝐶𝐼 𝑑𝑖 𝑆𝑖𝑚𝑜𝑛𝑒 𝑃𝑒𝑡𝑟𝑎𝑙𝑖𝑎

𝐆𝐈𝐎𝐑𝐍𝐈 𝐅𝐄𝐋𝐈𝐂𝐈 (𝟐𝟎𝟐𝟑). 𝐈𝐥 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐞 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐒𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞 𝐏𝐞𝐭𝐫𝐚𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐠𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐜𝐨𝐧 𝐀𝐧𝐧𝐚 𝐆𝐚𝐥𝐢𝐞𝐧𝐚 𝐞 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐍𝐞𝐫𝐨: 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧’𝐞𝐱 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐯𝐢𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐚𝐦𝐦𝐚𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐒𝐋𝐀 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐩𝐫𝐞𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐟𝐢𝐥𝐦, 𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐞𝐱 𝐦𝐚𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐞𝐠𝐚 𝐭𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐮𝐨𝐬𝐨 𝐦𝐚 𝐬𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐭𝐭𝐨, 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐝𝐞𝐜𝐞𝐧𝐧𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐬𝐭𝐚𝐫𝐥𝐞 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨. 𝐄 𝐚𝐥𝐥𝐨𝐫𝐚 𝐥𝐞𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞 𝐝𝐢 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐫𝐥𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞, 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐢𝐥 “𝐬𝐢𝐥𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞”, 𝐥𝐨𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐫𝐮𝐦𝐨𝐫𝐞. 𝐔𝐧 𝐫𝐢𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨, 𝐩𝐞𝐫 𝐮𝐧 𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐯𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞.

Franco Nero, già idolo dei western ma anche protagonista di grande cinema d’impegno civile, da tempo sceglie film carichi di messaggi sociali ed esistenziali importanti.
In quest’opera s’intrecciano varie tematiche. Attorno al focus che è una malattia invalidante e ingravescente con l’attesa della morte e il suo mistero, ruotano il destino di una storia d’amore ripresa in età anziana, le competizioni maschile/femminile, le competizioni professionali, il senso delle ambizioni, degli ideali e delle scelte, le insoddisfazioni del figlio musicista, condizionato dalla professione dei genitori a trovarsi in una professione affine dove è apprezzato solo per il loro nome.
Con molti passaggi teatrali, molto si svolge in una casa vecchia e affascinante, in colloqui incisivi e in una scenografia molto accurata per ricostruire il mondo ormai isolato di un’artista. Poi ci sono i flash back, ci sono loro due da giovani, i loro ricordi incancellabili dell’amore totalmente romantico, quello di brevi giorni felici.
Per lei sono passate altre storie, il successo, la malattia; lui, che non recita da vent’anni , è rimasto ancorato a quel tipo di amore, totalizzante, incrollabile, che gli consente di accompagnarla con dedizione alla fine, con azioni quotidiane e con il cuore senza tempo, innamorato non solo di un ricordo, con la certezza di connessioni invisibili e inspiegabili tra due anime, così forti da spingerli l’uno verso l’altro come da vite passate, fino a questi nuovi giorni dolorosi, ma in qualche modo, di nuovo, felici, anche perché possono ricordare quei brevi “giorni felici”.

‼La rubrica CINEMA E PSIKE sospende le sue pubblicazioni per le festività natalizie e vi dà appuntamento a 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐞𝐝𝐢̀ 𝟏𝟔 𝐠𝐞𝐧𝐧𝐚𝐢𝐨 𝟐𝟎𝟐𝟓.

🎄Un sentito e caloroso augurio di BUONE FESTE a voi e alle vostre famiglie dalla D&C COMMUNICATION🥰

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐹𝑅𝐸𝑈𝐷 - 𝐿'𝑈𝐿𝑇𝐼𝑀𝐴 𝐴𝑁𝐴𝐿𝐼𝑆𝐼 𝑑𝑖 𝑀𝑎𝑡𝑡ℎ𝑒...
05/12/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐹𝑅𝐸𝑈𝐷 - 𝐿'𝑈𝐿𝑇𝐼𝑀𝐴 𝐴𝑁𝐴𝐿𝐼𝑆𝐼 𝑑𝑖 𝑀𝑎𝑡𝑡ℎ𝑒𝑤 𝐵𝑟𝑜𝑤𝑛

𝐅𝐑𝐄𝐔𝐃 – 𝐋’𝐔𝐋𝐓𝐈𝐌𝐀 𝐀𝐍𝐀𝐋𝐈𝐒𝐈 (𝟐𝟎𝟐𝟑). 𝐃𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐢𝐞̀𝐜𝐞 𝐝𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐤 𝐒𝐭. 𝐆𝐞𝐫𝐦𝐚𝐢𝐧 (𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐧𝐞𝐠𝐠𝐢𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦), 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐫𝐢𝐝𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐝𝐚 𝐌𝐚𝐭𝐭 𝐁𝐫𝐨𝐰𝐧 𝐬𝐮 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐚𝐥𝐨𝐠𝐨 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐭𝐫𝐚 𝐒𝐢𝐠𝐦𝐮𝐧𝐝 𝐅𝐫𝐞𝐮𝐝 (𝐀𝐧𝐭𝐡𝐨𝐧𝐲 𝐇𝐨𝐩𝐤𝐢𝐧𝐬) 𝐧𝐞𝐥𝐥’𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 (𝟏𝟗𝟑𝟗) 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐚𝐳𝐚𝐥𝐞𝐞, 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐜𝐚𝐧𝐜𝐫𝐨, 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐟𝐢𝐧𝐚 𝐞 “𝐢𝐥 𝐟𝐞𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞”, 𝐞𝐬𝐮𝐥𝐞 𝐚 𝐋𝐨𝐧𝐝𝐫𝐚 𝐝𝐚 𝐕𝐢𝐞𝐧𝐧𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐞𝐜𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢𝐚𝐥𝐢, 𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐟𝐢𝐥𝐨𝐬𝐨𝐟𝐨 𝐞 𝐭𝐞𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨 𝐂.𝐒. 𝐋𝐞𝐰𝐢𝐬 (𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐞 “𝐋𝐞 𝐜𝐫𝐨𝐧𝐚𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢 𝐍𝐚𝐫𝐧𝐢𝐚”). 𝐄 𝐜𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐀𝐧𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐃𝐨𝐫𝐨𝐭𝐡𝐲 𝐁𝐮𝐫𝐥𝐢𝐧𝐠𝐡𝐚𝐦 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐍𝐞𝐮𝐫𝐨𝐩𝐬𝐢𝐜𝐡𝐢𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚 𝐢𝐧𝐟𝐚𝐧𝐭𝐢𝐥𝐞, 𝐞 𝐄𝐫𝐧𝐬𝐭 𝐉𝐨𝐧𝐞𝐬 𝐢𝐥 𝐜𝐞𝐥𝐞𝐛𝐫𝐞 𝐛𝐢𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐨 𝐝𝐢 𝐅𝐫𝐞𝐮𝐝, 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢𝐧 𝐩𝐞𝐫𝐞𝐧𝐧𝐞 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢, 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐬𝐞𝐝𝐮𝐭𝐢 𝐚 𝐭𝐮𝐫𝐧𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐜𝐞𝐥𝐞𝐛𝐫𝐞 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐢𝐧𝐨 “𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨”, 𝐅𝐫𝐞𝐮𝐝 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐫𝐞𝐬𝐨, 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢𝐧 𝐫𝐞𝐜𝐢𝐩𝐫𝐨𝐜𝐚 𝐚𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐢 𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐞𝐫𝐢𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐫𝐢𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀. 𝐁𝐞𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦.

Da una lettera nasce un pomeriggio di conversari tra Freud e Lewis. Due menti geniali, almeno apparentemente agli antipodi ma uniti dalla capacità di dialogo, di dubbio. Lewis, cattolico per sollecitazione di Tolkien ma convivente con la madre dell’amico morto in guerra, e Freud ebreo ateo circondato nella sua “tana” da statue di idoli pagani tra i quali signoreggia però una santa irlandese cristiana. Il nodo tematico splende nella sorpresa finale della dedica a un libro.
Nella realtà pare che il padre della Psicoanalisi avesse incontrato da vecchio un ricercatore di Oxford ma non è sicuro che sia stato Lewis.
Dunque: Freud e la sua ossessione religiosa, Freud e l’edipo, Freud e la sessualità (“dottor sesso” fa sarcastica la farmacista), Freud e la sua idea sulla omosessualità, Freud e l’umorismo, Freud e i lapsus, Freud e l’eutanasia, Freud e la guerra con una citazione di Einstein con cui nella realtà ingaggiò il famoso carteggio “Perché la guerra?”. Nel film la radio trasmette ripetutamente, alternate a musica classica, notizie sull’invasione della Polonia dalla Germania, e l’imminente scoppio della seconda guerra mondiale.
A volte ovvio, a volte cruento, spesso sottile, con (ineludibili) passi onirici e i ricordi (che “rifiutano di lasciarci”), con corretti rimandi alla teoria e al contesto, e un commento musicale accattivante (Coby Brown), il film è davvero ben fatto. Teatrale, quasi tutto ambientato nello studio di Freud, quasi tutto in dialogo serrato e profondo tra i due grandi uomini, richiede una conoscenza dell’argomento per essere gustato nelle pieghe, ma è comunque penetrante perché interessano a ognuno gli interrogativi sul mistero della natura umana e sulla ricerca infinita di risposte. In questo senso il viaggio che non finisce mai è splendidamente indicato nella metafora della vibrata sequenza finale.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐸𝑇𝐸𝑅𝑁𝑂 𝑉𝐼𝑆𝐼𝑂𝑁𝐴𝑅𝐼𝑂 𝑑𝑖 𝑀𝑖𝑐ℎ𝑒𝑙𝑒 𝑃𝑙𝑎𝑐𝑖...
21/11/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐸𝑇𝐸𝑅𝑁𝑂 𝑉𝐼𝑆𝐼𝑂𝑁𝐴𝑅𝐼𝑂 𝑑𝑖 𝑀𝑖𝑐ℎ𝑒𝑙𝑒 𝑃𝑙𝑎𝑐𝑖𝑑𝑜

𝐄𝐓𝐄𝐑𝐍𝐎 𝐕𝐈𝐒𝐈𝐎𝐍𝐀𝐑𝐈𝐎 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐀𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐮𝐧 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐬𝐮 𝐏𝐢𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐓𝐚𝐯𝐢𝐚𝐧𝐢 𝐞 𝐀𝐧𝐝𝐨̀. 𝐐𝐮𝐢 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐨 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 (𝐅𝐚𝐛𝐫𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐁𝐞𝐧𝐭𝐢𝐯𝐨𝐠𝐥𝐢𝐨), 𝐠𝐢𝐚̀ 𝐮𝐧 𝐩𝐨’ 𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢, 𝐬𝐜𝐨𝐩𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐭𝐚𝐥𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐝𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐚 𝐀𝐛𝐛𝐚 (𝐅𝐞𝐝𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚 𝐋𝐮𝐧𝐚 𝐕𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢), 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐥𝐮𝐢. 𝐒𝐮𝐚 𝐦𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞 (𝐕𝐚𝐥𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐁𝐫𝐮𝐧𝐢 𝐓𝐞𝐝𝐞𝐬𝐜𝐡𝐢) 𝐢𝐧𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐦𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐚𝐭𝐭𝐢𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧𝐠𝐫𝐚𝐯𝐞𝐬𝐜𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐜𝐨𝐦𝐢𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞. 𝐏𝐢𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨, 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐯𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐟𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐫𝐮𝐠𝐡𝐞 𝐞 𝐯𝐞𝐫𝐠𝐨𝐠𝐧𝐚, 𝐫𝐢𝐧𝐮𝐧𝐜𝐢𝐚 𝐚𝐥𝐥’𝐀𝐦𝐨𝐫𝐞. 𝐒𝐮𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐟𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐌𝐮𝐬𝐬𝐨𝐥𝐢𝐧𝐢. 𝐌𝐢𝐜𝐡𝐞𝐥𝐞 𝐏𝐥𝐚𝐜𝐢𝐝𝐨, 𝐢𝐥 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐬𝐭𝐚, 𝐚𝐟𝐟𝐫𝐨𝐧𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐝𝐢𝐠𝐧𝐢𝐭𝐨𝐬𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐚 𝐬𝐞𝐛𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐫𝐢𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐦𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨𝐫𝐢 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐢𝐠𝐥𝐢𝐞𝐳𝐳𝐞 𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐨𝐧𝐝𝐢𝐭𝐚̀. 𝐍𝐞𝐥𝐥’𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐮𝐧 𝐛𝐮𝐨𝐧 𝐟𝐢𝐥𝐦, 𝐠𝐨𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐩𝐢𝐮𝐭𝐭𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐮𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢 𝐬𝐮𝐨𝐢 𝐥𝐢𝐧𝐠𝐮𝐚𝐠𝐠𝐢.

Luigi Pirandello (1867-1936) sta per avere il Nobel per la Letteratura (1934). Il che significa che ha i suoi anni. Appartengono al passato le prove e il fiasco di “Sei personaggi in cerca d’Autore”, la stroncatura di Croce del “Il fu Mattia Pascal”. Pirandello in questa ultima anfibia parte della vita, dove il successo si accompagna al declino, non vive certo un “così è (se vi pare)”. La verità è unica e abbagliante: il tempo dell’incanto è finito. La giovane sfolgorante vitale Marta, attrice sua Musa, “sfuggente mistero femminile”, che egli considera ragione non secondaria del suo trionfo, nonostante la passione non può essere ingabbiata nel suo intimo spegnimento quando invece la sua anima anela all’Amore assoluto. Gravato anche dalla tragedia familiare, Pirandello resta nella sua solitudine gloriosa.
I tre figli vivono un rapporto complicato con il padre d’irraggiungibile statura, eppure cercano e trovano strade autonome e perciò soddisfacenti. A parte Stefano, sua ombra, suo aiuto, sua disponibilità perpetua con qualche rimostranza ma infine con inscalfibile amorosa dedizione.
Il disegno della costellazione familiare anche con le scalmanate crisi di Antonietta Portulano, la moglie che la Bruni interpreta con maestria, è sicuramente la parte più riuscita dell’opera.
È nel viaggio verso Stoccolma, il più importante tra i tanti viaggi in Europa e in America dalla sua Sicilia arcaica, che lo scrittore, accompagnato dal suo agente (Michele Placido) ripercorre come in sogno scene e sentimenti della sua vita in cui la realtà dalla disperazione si trasfigura di continuo nella immaginazione e nella creazione del genio, appunto, “visionario”: veri ricordi e demoni fantasmatici sono la sua unità.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐼𝐷𝐷𝑈 - 𝐿'𝑈𝐿𝑇𝐼𝑀𝑂 𝑃𝐴𝐷𝑅𝐼𝑁𝑂 𝑑𝑖 𝐹𝑎𝑏𝑖𝑜 𝐺...
07/11/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐼𝐷𝐷𝑈 - 𝐿'𝑈𝐿𝑇𝐼𝑀𝑂 𝑃𝐴𝐷𝑅𝐼𝑁𝑂 𝑑𝑖 𝐹𝑎𝑏𝑖𝑜 𝐺𝑟𝑎𝑠𝑠𝑎𝑑𝑜𝑛𝑖𝑎 𝑒 𝐴𝑛𝑡𝑜𝑛𝑖𝑜 𝑃𝑖𝑎𝑧𝑧𝑎

𝐈𝐃𝐃𝐔 – 𝐥’𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐢𝐧𝐨 – (𝟐𝟎𝟐𝟒) 𝐈𝐧 𝐒𝐢𝐜𝐢𝐥𝐢𝐚, 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 “𝐓𝐞𝐫𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢 𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐨𝐥𝐢𝐨”, 𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐟𝐢𝐚: 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐢𝐧𝐟𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚 𝐥𝐚𝐭𝐢𝐭𝐚𝐧𝐳𝐚, 𝐩𝐢𝐳𝐳𝐢𝐧𝐢, 𝐚𝐫𝐫𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐌𝐚𝐭𝐭𝐞𝐨 𝐌𝐞𝐬𝐬𝐢𝐧𝐚 𝐃𝐞𝐧𝐚𝐫𝐨 (𝐄𝐥𝐢𝐨 𝐆𝐞𝐫𝐦𝐚𝐧𝐨). 𝐂’𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 (𝐓𝐨𝐧𝐢 𝐒𝐞𝐫𝐯𝐢𝐥𝐥𝐨) 𝐢𝐥 “𝐩𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞”, 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐝𝐚𝐥 𝐜𝐚𝐫𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐧𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐦𝐞𝐬𝐜𝐡𝐢𝐧𝐨 𝐭𝐫𝐚𝐝𝐢𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐩𝐢𝐞𝐠𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐢 𝐒𝐞𝐫𝐯𝐢𝐳𝐢 𝐒𝐞𝐠𝐫𝐞𝐭𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢, 𝐝𝐢𝐬𝐩𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨 𝐞 𝐝𝐞𝐧𝐢𝐠𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞 𝐬𝐞𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐞 𝐬𝐚𝐫𝐝𝐨𝐧𝐢𝐜𝐚. 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐅𝐚𝐛𝐢𝐨 𝐆𝐫𝐚𝐬𝐬𝐚𝐝𝐨𝐧𝐢𝐚 𝐞 𝐀𝐧𝐭𝐨𝐧𝐢𝐨 𝐏𝐢𝐚𝐳𝐳𝐚. 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚 𝐝𝐢 𝐂𝐨𝐥𝐚𝐩𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐢𝐬𝐩𝐢𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐚𝐢 𝐯𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐝’𝐢𝐦𝐩𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐜𝐢𝐯𝐢𝐥𝐞 (𝐆𝐞𝐫𝐦𝐢, 𝐏𝐞𝐭𝐫𝐢), 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐧𝐳𝐨𝐧𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧𝐞𝐝𝐢𝐭𝐚 “𝐋𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐯𝐚𝐠𝐢𝐭𝐚̀” 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐢𝐧𝐞𝐥𝐮𝐭𝐭𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐥𝐞.

Matteo ha avuto un’infanzia allenato dal padre, boss, al commercio con la violenza. Per esempio, bisogna sgozzare un agnello. Il fratello maggiore ha timore, Matteo e la sa sorella impavida no. Sangue che schizza sui visi. Simbolo di un destino. Allora l’infanzia torna in flashback nel nascondiglio dell’insegnane (Barbora Bobulova) che gli deve il favore. Qui è la condanna alla invisibilità (“che però rinsalda la mia presenza”) di tutta una buia segregazione (“come un sorcio”) tra tristezze e segreti e un puzzle gioco da tavolo eternamente incompiuto, e incubi, e memorie di angeli di pietra che incombono più come punitori che custodi.
Il taglio letterario dà alla pellicola una sublimazione, letterario è il linguaggio del dotto “preside” e anche quello di Messina, acculturato, quando parlano con gli altri e quando si scrivono tra loro, surrogato di rapporto, e teatrale è la confezione dell’opera intera, anche con i personaggi minori -i vari caratteri degli agenti segreti-.
Come è spesso in questo genere cinematografico, il protagonista apparirebbe l’eroe specie con quella sua aura esistenziale filosofica e pessimista che s’interroga sul senso della umana vita anche secondo la cruda verità dell’Ecclesiaste (“degenerare è il nostro destino”), se la sicilianità pirandelliana non desse quella ambiguità necessaria ad elevare il registro. Ma alla fine è la interpretazione dei due grandi attori per la prima volta insieme, che partecipa in maniera energica a questo registro.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐼𝐿 𝑇𝐸𝑀𝑃𝑂 𝐶𝐻𝐸 𝐶𝐼 𝑉𝑈𝑂𝐿𝐸 𝑑𝑖 𝐹𝑟𝑎𝑛𝑐𝑒𝑠𝑐𝑎...
24/10/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐼𝐿 𝑇𝐸𝑀𝑃𝑂 𝐶𝐻𝐸 𝐶𝐼 𝑉𝑈𝑂𝐿𝐸 𝑑𝑖 𝐹𝑟𝑎𝑛𝑐𝑒𝑠𝑐𝑎 𝐶𝑜𝑚𝑒𝑛𝑐𝑖𝑛𝑖

𝐈𝐋 𝐓𝐄𝐌𝐏𝐎 𝐂𝐇𝐄 𝐂𝐈 𝐕𝐔𝐎𝐋𝐄 (𝟐𝟎𝟐𝟒) 𝐂𝐨𝐦𝐦𝐨𝐬𝐬𝐨 𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐦𝐨𝐯𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐜𝐨𝐫𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐛𝐢𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐞/𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚. 𝐑𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐯𝐢𝐝𝐢. 𝐒𝐞𝐧𝐭𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢. 𝐒𝐨𝐥𝐨 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐝𝐮𝐞 𝐝𝐚𝐥𝐥’𝐢𝐧𝐟𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐢𝐧𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐧𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐨𝐦𝐛𝐨, 𝐝𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐜𝐪𝐮𝐢𝐞𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐥𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐫𝐢𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐚𝐥 𝐥𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐫𝐢𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞 𝐞 𝐚𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐮𝐨𝐬𝐨 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨𝐬𝐢 𝐞 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐟𝐞𝐬𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨𝐬𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐩𝐢𝐞𝐠𝐡𝐞 𝐝𝐢 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐯𝐚𝐥𝐞𝐧𝐳𝐚. 𝐔𝐧 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐞 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐚 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐚 𝐂𝐨𝐦𝐞𝐧𝐜𝐢𝐧𝐢, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐧𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐚. 𝐏𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐨, 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨, 𝐬𝐨𝐟𝐟𝐞𝐫𝐭𝐨, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐨. 𝐏𝐞𝐫 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐢 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐬𝐦𝐢𝐞𝐥𝐚𝐭𝐢 𝐩𝐮𝐫 𝐧𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐧𝐝𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐨𝐥𝐨𝐫𝐞; 𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢, 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐬𝐨, 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐨. 𝐈𝐧𝐜𝐚𝐧𝐭𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐥𝐚𝐬𝐬𝐢𝐜𝐚 𝐞, 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐚𝐧𝐳𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐞𝐩𝐨𝐜𝐚. 𝐒𝐮𝐩𝐞𝐫𝐛𝐚 𝐥’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐩𝐫𝐞𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞: 𝐑𝐨𝐦𝐚𝐧𝐚 𝐌𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨𝐫𝐚 𝐕𝐞𝐫𝐠𝐚𝐧𝐨, 𝐅𝐚𝐛𝐫𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐆𝐢𝐟𝐮𝐧𝐢.

Un padre, e anche un uomo sempre “troppo buono e gentile”, poco adatto ad imporsi sul set tra strilli e disordini. Eppure è anche il padre della commedia all’italiana Luigi Comencini (“Pane amore e fantasia”, “Pane amore e gelosia”). La piccola Francesca lo segue incantata durante le riprese di “Pinocchio” dove Lucignolo “non nasce cattivo”, nessuno nasce cattivo dice il regista, Lucignolo vuole solo essere libero. Poi sarà il padre a seguirla, adolescente, anzi a portarla via, a strapparla da Roma, dalla droga e dal lutto per il suo amore, Carlo Rivolta, il grande giornalista d’inchiesta ma a sua volta tossicodipendente. Portarla a Parigi.
“Quanto staremo via?” lei chiede. “Non lo so. Il tempo che ci vuole” risponde lui. “E che faremo il tempo che ci vuole a Parigi?” fa lei. “Andremo al cinema” risponde il padre.
Tra ragionevolezza, dolcezza, severità: ma un genitore sbaglia sempre. Eppure qualche cosa di profondamente giusto questo padre deve aver fatto per questa figlia che lo ha interiorizzato come guida, che può volare da sola quando lui vola nel cielo, che può cadere e rialzarsi sempre, per una maturità esistenziale e professionale dove quella balena/simbolo mummificata, da circo, a piazza del Popolo quando era piccina, le cui fauci incombono dalle prime sequenze, non ha potuto divorarla.
Francesca Comencini ha tre sorelle nella realtà, tutte nel mondo del cinema, Cristina è la più famosa. Ha anche una madre, la principessa di Partanna. Ma loro nel film non ci sono. Un film in cui quotidiano e atemporalità sono dati solo da questa diade. Certo si sente che è un bisogno prepotente di esistere per questo padre, può darsi che lo abbia reso troppo empatico e meraviglioso nella Sceneggiatura proiettando bisogni e desideri, vai a capire.
Si era raccontata in altri lungometraggi e in documentari. Ma in questo film c’è un pathos che voleva, doveva, dirsi, a se stessa e all’altro, un testamento riparatorio di ogni vicendevole mancanza ma insieme un inno a un amore di fondo autentico e immarcescibile.
Finisce come in un sogno, ma non è solo un film per sognatori. L’opera intera è ben padroneggiata da un rigoroso impegno introspettivo. Un grandangolo non sempre ovvio anche per i grandi frequentatori delle cose psichiche.
Anche nei bianchi e neri e nei tanti colori della grande fotografia di Luca Bigazzi, sincerità e costruzione artistica sono sempre annodate.

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22/10/2024

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10/10/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐿𝐴 𝑀𝐼𝑆𝑈𝑅𝐴 𝐷𝐸𝐿 𝐷𝑈𝐵𝐵𝐼𝑂 𝑑𝑖 𝐷𝑎𝑛𝑖𝑒𝑙 𝐴𝑢𝑡𝑒𝑢𝑖𝑙

𝐋𝐀 𝐌𝐈𝐒𝐔𝐑𝐀 𝐃𝐄𝐋 𝐃𝐔𝐁𝐁𝐈𝐎 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥 𝐀𝐮𝐭𝐞𝐮𝐢𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐠𝐞 𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞 (𝐜𝐨𝐧 𝐒𝐭𝐞𝐯𝐞𝐧 𝐌𝐢𝐭𝐳) 𝐮𝐧 𝐛𝐞𝐥 𝐠𝐢𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐳𝐢𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐮𝐢 𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐚𝐠𝐨𝐧𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐚𝐯𝐯𝐨𝐜𝐚𝐭𝐨. 𝐌𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚 𝐞𝐝 𝐞𝐜𝐡𝐢 𝐟𝐢𝐥𝐨𝐬𝐨𝐟𝐢𝐜𝐢, 𝐞 𝐮𝐧 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧𝐚𝐭𝐭𝐞𝐬𝐨 𝐝'𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐞 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐥𝐢𝐚𝐫𝐞-𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞.

Jean è un avvocato ormai da tempo ritiratosi, votato alla difesa dei colpevoli.

Poi c'è un uomo che deve difendere, accusato dell'omicidio della moglie descritta come un'alcoolista violenta e trascurante verso i loro bambini; è astemio, beve solo latte, e si proclama innocente; è isolato, taciturno, remissivo, con un solo amico intimo, il barista, e un'accorata preoccupazione per i figli che a loro volta gli mostrano un accorato attaccamento.

Il film è incentrato sul processo, con andamento classico, teatrale, lento eppure appassionante. Fondamentale la Sceneggiatura che indica competenza psicologica e capacità di travalicare la certosina ricostruzione dei fatti per interrogarsi sul senso della memoria ("ognuno ha il suo ricordo") e soprattutto per raggiungere la composita questione del dubbio, e “il filo", ("Le fil" è il titolo originale), tortuoso, verso la Verità reale e metafisica. Infatti, ripetute inquadrature di un filo azzurro tra le tracce delle indagini, e tanto buio e improvvise luci terse nella Fotografia.

Non casuale la sottile rapida e ripetuta inserzione di un'altra famiglia, e di un toro, che si spiega nel fotogramma finale simbolico e spiazzante: c'è la richiesta di difesa da parte di un padre per il proprio figlio aspirante torero che lui vorrebbe diverso, e che è disobbediente e criminale. Due costellazioni familiari a confronto, docilità versus ribellione. E infine la sua, quella dell'avvocato: nessun figlio, a condividere con la moglie, sua collega, tutti i conflitti, relazionali, professionali, esistenziali.

Da una storia vera accaduta in Francia.

Da non perdere.

▶Per scegliere la narrazione corretta serve analizzare il contesto, a chi ti rivolgi, che messaggio vuoi trasmettere. 🥸N...
30/09/2024

▶Per scegliere la narrazione corretta serve analizzare il contesto, a chi ti rivolgi, che messaggio vuoi trasmettere.

🥸Nulla è come sembra...

‼️Scegli attentamente qual è la narrazione che vuoi dare...

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐵𝐸𝐸𝑇𝐿𝐸𝐽𝑈𝐼𝐶𝐸 𝐵𝐸𝐸𝑇𝐿𝐸𝐽𝑈𝐼𝐶𝐸 𝑑𝑖 𝑇𝑖𝑚 𝐵𝑢𝑟...
26/09/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐵𝐸𝐸𝑇𝐿𝐸𝐽𝑈𝐼𝐶𝐸 𝐵𝐸𝐸𝑇𝐿𝐸𝐽𝑈𝐼𝐶𝐸 𝑑𝑖 𝑇𝑖𝑚 𝐵𝑢𝑟𝑡𝑜𝑛

𝐁𝐄𝐄𝐓𝐋𝐄𝐉𝐈𝐂𝐄 𝐁𝐄𝐄𝐓𝐋𝐄𝐉𝐈𝐂𝐄 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐒𝐞𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐮𝐥𝐭 𝐠𝐫𝐨𝐭𝐭𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐡𝐨𝐫𝐫𝐨𝐫 “𝐁𝐞𝐞𝐭𝐥𝐞𝐣𝐮𝐢𝐜𝐞 – 𝐬𝐩𝐢𝐫𝐢𝐭𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐩𝐨𝐫𝐜𝐞𝐥𝐥𝐨” 𝐝𝐞𝐥 𝟏𝟗𝟖𝟖. 𝐒𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐯𝐢 𝐞 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐧𝐭𝐚𝐬𝐦𝐢 𝐝𝐞𝐭𝐮𝐫𝐩𝐚𝐭𝐢 𝐦𝐮𝐭𝐢𝐥𝐚𝐭𝐢 𝐢𝐧𝐬𝐚𝐧𝐠𝐮𝐢𝐧𝐚𝐭𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐮𝐜𝐢𝐭𝐢 𝐨𝐠𝐧𝐮𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐢 𝐬𝐢𝐦𝐛𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐭𝐢𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞. 𝐒𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐫𝐦𝐚𝐥𝐢 𝐞 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐬𝐭𝐫𝐢, 𝐝𝐢 𝐠𝐢𝐠𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐞 𝐝𝐢 𝐦𝐢𝐜𝐫𝐨𝐜𝐞𝐟𝐚𝐥𝐢, 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨 “𝐜𝐨𝐧𝐧𝐞𝐬𝐬𝐢” 𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐚𝐥 𝐝𝐞𝐟𝐮𝐧𝐭𝐨 “𝐛𝐢𝐨𝐞𝐬𝐨𝐫𝐜𝐢𝐬𝐭𝐚” 𝐁𝐞𝐞𝐭𝐥𝐞𝐣𝐮𝐢𝐜𝐞 (𝐌𝐢𝐜𝐡𝐚𝐞𝐥 𝐊𝐞𝐚𝐭𝐨𝐧) 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐯𝐨𝐫𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐩𝐨𝐬𝐚𝐫𝐞 𝐋𝐲𝐝𝐢𝐚 𝐟𝐨𝐬𝐜𝐚 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐚 𝐠𝐨𝐭𝐡 (𝐖𝐢𝐧𝐨𝐧𝐚 𝐑𝐲𝐝𝐞𝐫, 𝐧𝐞𝐥 𝟏𝟗𝟖𝟖 𝐬𝐞𝐝𝐢𝐜𝐞𝐧𝐧𝐞 𝐚𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐨 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞) 𝐬𝐟𝐮𝐠𝐠𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐞𝐱 𝐦𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞 𝐬𝐚𝐧𝐠𝐮𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐚 “𝐦𝐚𝐧𝐠𝐢𝐚 𝐚𝐧𝐢𝐦𝐞” (𝐧𝐞𝐰 𝐞𝐧𝐭𝐫𝐲 𝐌𝐨𝐧𝐢𝐜𝐚 𝐁𝐞𝐥𝐥𝐮𝐜𝐜𝐢, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐖𝐢𝐥𝐥𝐢𝐚𝐦 𝐃𝐚𝐟𝐨𝐞 𝐧𝐞𝐥 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐝𝐞𝐭𝐞𝐜𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐥𝐝𝐢𝐥𝐚̀). 𝐇𝐚 𝐚𝐩𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐥’𝟖𝟏° 𝐌𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐕𝐞𝐧𝐞𝐳𝐢𝐚.

Lydia è diventata una conduttrice di successo in un programma televisivo sul paranormale. È perennemente ansiosa e s’imbottisce di tranquillanti. Ha un grande conflitto con la figlia razionale e scientifica (ad Halloween si traveste da Madame Curie) che non crede a queste cose, non accetta comunque che la madre non riesca a mettersi in contatto nell’al di là con il mitico padre viaggiatore morto mentre andava a salvare le foreste, e s’innamora di un ragazzo che legge “Delitto e castigo”, che la inganna perché è morto, uccise i genitori e ora vuole usarla mandando lei nell’al di là per tornare lui tra i vivi, come del resto desiderano tutte queste anime morte. Nella loro casa dentro un plastico è sopito Beetlejuice, spirito di un uomo morto durante la peste secoli prima, dal nome impronunciabile se non si vuol farlo risvegliare a provocar danni vari con i suoi scherzi raccapriccianti. Ma il nome viene pronunciato eccome! Ed ecco avventure a non finire, transitando perpetuamente nel portale tra il regno dei vivi e quello dei trapassati.
La sceneggiatura è scarna, e traccia è l’umorismo. Blande note d’interesse psicologico come i conflitti familiari e transgenerazionali, l’avidità di successo materiale, l’ipocrisia dei sentimenti, il tradimento, “il bambino interiore”, il coraggio verso l’ignoto, l’aspirazione all’armonia relazionale, e l’eterno desiderio umano d’immortalità garantito da varie credenze. Ma dominano naturalmente effetti visivi ipercolorati fantasmagorici, e tra i trucchi impressionanti anche quello che già negli anni ’80 affermò l’immagine dark delle ragazze dell’epoca.
Danny Elfman si riconferma autore delle musiche alternate da thriller e da commedia, spesso efficacemente di contrasto, partecipando a quella bizzarria inquieta e adorabile per grandi e piccini che sgorga senza posa dalla creatività di Tim Burton, un po’ farsa dei nostri tempi, un po’ poetico pleonasmo visivo d’indiscutibile fascino. Un film “miracoloso e strano” dice la Rider nel cui personaggio, Lydia, Tim Burton ha affermato d’identificarsi. Dichiarando che questo secondo film vuole essere un omaggio (nostalgico, NdR) ai suoi fans del primo. Anche con l’(ennesimo) omaggio al nostro Mario Bava, “il mago dei colori”.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐶𝐴𝑀𝑃𝑂 𝐷𝐼 𝐵𝐴𝑇𝑇𝐴𝐺𝐿𝐼𝐴 𝑑𝑖 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖 𝐴𝑚𝑒𝑙𝑖...
12/09/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐶𝐴𝑀𝑃𝑂 𝐷𝐼 𝐵𝐴𝑇𝑇𝐴𝐺𝐿𝐼𝐴 𝑑𝑖 𝐺𝑖𝑎𝑛𝑛𝑖 𝐴𝑚𝑒𝑙𝑖𝑜

𝐂𝐀𝐌𝐏𝐎 𝐃𝐈 𝐁𝐀𝐓𝐓𝐀𝐆𝐋𝐈𝐀 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐀𝐦𝐞𝐥𝐢𝐨. 𝐅𝐢𝐥𝐦 𝐝’𝐢𝐦𝐩𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐆𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐠𝐮𝐞𝐫𝐫𝐚 𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐨𝐩𝐩𝐨𝐬𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐝𝐮𝐞 𝐚𝐦𝐢𝐜𝐢 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐜𝐢 𝐦𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢 𝐢𝐝𝐞𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢. 𝐌𝐚𝐫𝐠𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐥’𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐫𝐨𝐜𝐞𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐚𝐥 𝐟𝐫𝐨𝐧𝐭𝐞, 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐫𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐢 𝐝𝐢 𝐌𝐞𝐝𝐢𝐜𝐢𝐧𝐚: 𝐛𝐫𝐞𝐯𝐢 𝐫𝐢𝐦𝐚𝐧𝐝𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐚 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨. 𝐏𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐌𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐢𝐧𝐞𝐦𝐚 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐕𝐞𝐧𝐞𝐳𝐢𝐚. 𝐄̀ 𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 “𝐋𝐚 𝐬𝐟𝐢𝐝𝐚” 𝐝𝐢 𝐂𝐚𝐫𝐥𝐨 𝐏𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚𝐫𝐜𝐚.

Il capitano Stefano (Gabriel Montesi) e il tenente Giulio (Alessandro Borghi), amici per la pelle dall’infanzia, si trovano nella prima guerra mondiale in Friuli come medici nelle tremende corsie dove la macchina da presa non risparmia le mutilazioni più raccapriccianti dei soldati feriti provenienti soprattutto dalla miseria del sud (molti sottotitoli per i dialetti), mentre la febbre sp****la incombe a mieter vittime militari e civili. Il secondo, più tagliato per la ricerca che per la clinica, trova degli escamotages per aggravare le condizioni dei soldati impedendo che vengano rimandati al fronte a morte certa. L’altro, inflessibile, è disgustato dai “miserabili” simulatori che sfuggono da vigliacchi al dovere verso la Patria, applicando pene severissime fino alla fucilazione per tradimento. Giunge in ospedale anche Anna (Federica Rosellini), ex collega di studi universitari che interruppe quando il clima non era favorevole alla donna istruita, oggi infermiera volontaria della CRI, al centro di un sentimento triangolare e in un personale conflitto psichico sulla giustezza dell’una o dell’altra posizione ideologica dei due dottori risolvendolo in un’amara pietas per la follia della guerra.
Il film si fa quindi incisivo portatore del tema del conflitto, affidato più alla riflessione che non all’azione, più alla tensione dell’immagine che alla sceneggiatura scarna. Metafora delle ambitendenze umane, il “campo di battaglia” non è solo quello bellico politico, ma anche quello interiore (Giulio gioca a scacchi da solo), relazionale, affettivo. Indico nel carteggio Freud-Einstein “Perché la guerra” la possibilità di una risposta alla sua assurdità e alla sua ineluttabilità.
Nel film alcune insistenze su dettagli cruenti ai limiti dell’horror appaiono inutili. La recitazione di Montesi appare la più credibile perché recitare al di fuori del proprio dialetto è tra le prove meno agevoli. Nell’insieme un film importante.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐿𝐴 𝐶𝐻𝐼𝑀𝐸𝑅𝐴 𝑑𝑖 𝐴𝑙𝑖𝑐𝑒 𝑅𝑜ℎ𝑟𝑤𝑎𝑐ℎ𝑒𝑟𝐄̀ 𝐚...
25/07/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐿𝐴 𝐶𝐻𝐼𝑀𝐸𝑅𝐴 𝑑𝑖 𝐴𝑙𝑖𝑐𝑒 𝑅𝑜ℎ𝑟𝑤𝑎𝑐ℎ𝑒𝑟

𝐄̀ 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐓𝐮𝐬𝐜𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝟖𝟎, 𝐧𝐞𝐥 𝐜𝐫𝐮𝐝𝐨 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐥𝐚𝐧𝐝𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐨𝐦𝐛𝐚𝐫𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐞𝐬𝐨𝐫𝐢 𝐞𝐭𝐫𝐮𝐬𝐜𝐡𝐢, 𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐢 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐛𝐢𝐧𝐢𝐞𝐫𝐢 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐦𝐛𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐩𝐫𝐚𝐯𝐯𝐢𝐯𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐢𝐫𝐫𝐢𝐝𝐮𝐜𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐜𝐨𝐧 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐬𝐢 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐳𝐢𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢𝐜𝐨, 𝐟𝐢𝐫𝐦𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚 𝐀𝐥𝐢𝐜𝐞 𝐑𝐨𝐡𝐫𝐰𝐚𝐜𝐡𝐞𝐫. 𝐈𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦, 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐂𝐚𝐧𝐧𝐞𝐬, 𝐯𝐢𝐧𝐜𝐞 𝐢𝐥 𝐏𝐫𝐞𝐦𝐢𝐨 𝐀𝐅𝐂𝐀𝐄 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞 𝐬𝐚𝐥𝐞 𝐝’𝐞𝐬𝐬𝐚𝐢 𝐞 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐦𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢. 𝐍𝐚𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐝’𝐚𝐫𝐠𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐚 𝐈𝐬𝐚𝐛𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐑𝐨𝐬𝐬𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐢, 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨, 𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐟𝐚𝐭𝐮𝐚 𝐞 𝐫𝐢𝐬𝐨𝐥𝐮𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐮𝐧 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐫𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐦𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚𝐫𝐜𝐚𝐥𝐞.

Arthur, un inglese tombarolo e rabdomante, percepisce i punti delle tombe da saccheggiare. È uscito di prigione, è risentito contro chi non l’ha protetto, irritabile, ancorato al ricordo di una ragazza amata morta nonostante la relazione con una ragazza brasiliana che nasconde i suoi figli e canta canta mentre lavora. È l’unica a trovar bella la sua baracca. Sotto la terra ci sono reperti e il lato oscuro ma anche un filo che ricongiunge al sopra dove esplode la luce vera e anche ultraterrena, dall’invisibile all’abbagliante.
Tutto un ossimoro, tutta una lettura stratificata per un perenne alone arcaico e una struggente sottesa reminiscenza di Orfeo e Euridice con tanto celestiale celeste dove volano e rivolano uccelli come per gli antichi aruspici etruschi. Film dominato dalla bellezza della fotografia e dal sapiente mélange di lentezze e accelerazioni, di realismo e sogno, chimera di ricchezze materiali e di amore immortale. Nell’azione, inserzioni narrative interessanti, come i menestrelli che raccontano le gesta di questa banda e la loro filosofia, come le citazioni pasoliniane e felliniane. Film altamente simbolico, dove lo scavo è metafora di ricerca interiore e dell’Inconscio e dell’“oltre” (“troppe cose sono ancora lì sotto”), dove la statua della dea decapitata è fatta di suggestioni polisemiche, dove il rapporto con il nascosto trascende le miserie terrene e trova nell’amore e nella ricongiunzione con l’universo dei vivi e dei morti un senso grandioso.

‼La rubrica CINEMA E PSIKE sospende le sue pubblicazioni per la pausa estiva e vi dà appuntamento a 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐞𝐝𝐢̀ 𝟏𝟐 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞. BUONE VACANZE!😎⛱

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