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𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐿𝐴 𝐶𝐻𝐼𝑀𝐸𝑅𝐴 𝑑𝑖 𝐴𝑙𝑖𝑐𝑒 𝑅𝑜ℎ𝑟𝑤𝑎𝑐ℎ𝑒𝑟𝐄̀ 𝐚...
25/07/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐿𝐴 𝐶𝐻𝐼𝑀𝐸𝑅𝐴 𝑑𝑖 𝐴𝑙𝑖𝑐𝑒 𝑅𝑜ℎ𝑟𝑤𝑎𝑐ℎ𝑒𝑟

𝐄̀ 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐓𝐮𝐬𝐜𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝟖𝟎, 𝐧𝐞𝐥 𝐜𝐫𝐮𝐝𝐨 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐥𝐚𝐧𝐝𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐨𝐦𝐛𝐚𝐫𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐞𝐬𝐨𝐫𝐢 𝐞𝐭𝐫𝐮𝐬𝐜𝐡𝐢, 𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐢 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐛𝐢𝐧𝐢𝐞𝐫𝐢 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐦𝐛𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐩𝐫𝐚𝐯𝐯𝐢𝐯𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐢𝐫𝐫𝐢𝐝𝐮𝐜𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐜𝐨𝐧 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐬𝐢 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐳𝐢𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢𝐜𝐨, 𝐟𝐢𝐫𝐦𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚 𝐀𝐥𝐢𝐜𝐞 𝐑𝐨𝐡𝐫𝐰𝐚𝐜𝐡𝐞𝐫. 𝐈𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦, 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐂𝐚𝐧𝐧𝐞𝐬, 𝐯𝐢𝐧𝐜𝐞 𝐢𝐥 𝐏𝐫𝐞𝐦𝐢𝐨 𝐀𝐅𝐂𝐀𝐄 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞 𝐬𝐚𝐥𝐞 𝐝’𝐞𝐬𝐬𝐚𝐢 𝐞 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐦𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢. 𝐍𝐚𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐝’𝐚𝐫𝐠𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐚 𝐈𝐬𝐚𝐛𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐑𝐨𝐬𝐬𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐢, 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨, 𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐟𝐚𝐭𝐮𝐚 𝐞 𝐫𝐢𝐬𝐨𝐥𝐮𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐮𝐧 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐢𝐜𝐜𝐨𝐥𝐨 𝐫𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐦𝐚𝐭𝐫𝐢𝐚𝐫𝐜𝐚𝐥𝐞.

Arthur, un inglese tombarolo e rabdomante, percepisce i punti delle tombe da saccheggiare. È uscito di prigione, è risentito contro chi non l’ha protetto, irritabile, ancorato al ricordo di una ragazza amata morta nonostante la relazione con una ragazza brasiliana che nasconde i suoi figli e canta canta mentre lavora. È l’unica a trovar bella la sua baracca. Sotto la terra ci sono reperti e il lato oscuro ma anche un filo che ricongiunge al sopra dove esplode la luce vera e anche ultraterrena, dall’invisibile all’abbagliante.
Tutto un ossimoro, tutta una lettura stratificata per un perenne alone arcaico e una struggente sottesa reminiscenza di Orfeo e Euridice con tanto celestiale celeste dove volano e rivolano uccelli come per gli antichi aruspici etruschi. Film dominato dalla bellezza della fotografia e dal sapiente mélange di lentezze e accelerazioni, di realismo e sogno, chimera di ricchezze materiali e di amore immortale. Nell’azione, inserzioni narrative interessanti, come i menestrelli che raccontano le gesta di questa banda e la loro filosofia, come le citazioni pasoliniane e felliniane. Film altamente simbolico, dove lo scavo è metafora di ricerca interiore e dell’Inconscio e dell’“oltre” (“troppe cose sono ancora lì sotto”), dove la statua della dea decapitata è fatta di suggestioni polisemiche, dove il rapporto con il nascosto trascende le miserie terrene e trova nell’amore e nella ricongiunzione con l’universo dei vivi e dei morti un senso grandioso.

‼La rubrica CINEMA E PSIKE sospende le sue pubblicazioni per la pausa estiva e vi dà appuntamento a 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐞𝐝𝐢̀ 𝟏𝟐 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞. BUONE VACANZE!😎⛱

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐿'𝐴𝑅𝑇𝐸 𝐷𝐸𝐿𝐿𝐴 𝐺𝐼𝑂𝐼𝐴 𝑑𝑖 𝑉𝑎𝑙𝑒𝑟𝑖𝑎 𝐺𝑜𝑙𝑖...
11/07/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐿'𝐴𝑅𝑇𝐸 𝐷𝐸𝐿𝐿𝐴 𝐺𝐼𝑂𝐼𝐴 𝑑𝑖 𝑉𝑎𝑙𝑒𝑟𝑖𝑎 𝐺𝑜𝑙𝑖𝑛𝑜

𝐋’𝐀𝐑𝐓𝐄 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐆𝐈𝐎𝐈𝐀 - 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 - (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐕𝐚𝐥𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐆𝐨𝐥𝐢𝐧𝐨 𝐞 𝐍𝐢𝐜𝐨𝐥𝐚𝐧𝐠𝐞𝐥𝐨 𝐆𝐞𝐥𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢. 𝐈𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐢𝐧𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚 𝐆𝐨𝐥𝐢𝐚𝐫𝐝𝐚 𝐒𝐚𝐩𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐛𝐫𝐨𝐬𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐨𝐦𝐨𝐧𝐢𝐦𝐨, 𝐌𝐨𝐝𝐞𝐬𝐭𝐚, 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐨𝐫𝐟𝐚𝐧𝐚 𝐜𝐫𝐞𝐬𝐜𝐢𝐮𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨, 𝐨𝐫𝐚, 𝐭𝐫𝐚 𝐢 𝐬𝐞𝐠𝐫𝐞𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐧𝐜𝐢𝐩𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐁𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢𝐟𝐨𝐫𝐭𝐢 --𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚, 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐚𝐯𝐢𝐝𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐥𝐚𝐜𝐚𝐛𝐢𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐚𝐬𝐜𝐞𝐬𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐟𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐫𝐨𝐧𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐬𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐬𝐩𝐢𝐞𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐜𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐟𝐞𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐥𝐞 𝐞 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐫𝐢𝐛𝐞𝐥𝐥𝐚𝐧𝐝𝐨𝐬𝐢 𝐚 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐞 𝐚𝐬𝐬𝐚𝐩𝐨𝐫𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐬𝐢 𝐨𝐟𝐟𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐯𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐧𝐜𝐢𝐩𝐞𝐬𝐬𝐢𝐧𝐚 𝐁𝐞𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐢𝐜𝐮𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐚𝐛𝐞𝐥𝐥𝐨𝐭𝐭𝐨, 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐧𝐚𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚, 𝐦𝐚𝐞𝐬𝐭𝐨𝐬𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐜𝐚𝐯𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐧𝐞𝐫𝐨: 𝐮𝐧 𝐆𝐮𝐢𝐝𝐨 𝐂𝐚𝐩𝐫𝐢𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐨𝐫𝐝𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐢𝐧𝐜𝐢𝐬𝐢𝐯𝐨.

Addomesticare il figlio deforme - la “cosa” - della principessa protettiva e velenosa, tenuto nascosto per vergogna, e farne il suo sposo alla luce del sole, è la via perché sia ora Modesta, Modì, a farsi chiamare “principessa”. “Si può amare una donna un uomo un albero un mostro”. Eccola, al centro d’intrighi e malefatte, mentre imperversano la prima guerra mondiale e la sp****la che miete vittime nobili e contadine. Modesta conosce dall’odio propulsore la gioia del potere e dell’eros mentre i flashback la riportano di continuo ai fantasmi miseri dell’infanzia tra violenze unanimi e la capretta amica. Intanto la sua ombra sul muro continua a inquietarla sebbene la cifra della libertà, del desiderio, della volontà risultino sempre il motore dominante e felice rispetto a qualunque altro tema.
Lo sguardo luciferino sulle verità dell’Inconscio e la brutalità della determinazione rendono questa seconda parte più pregnante della prima, che era più scontata nell’attenzione al formarsi della personalità secondo esperienze e abusi infantili.
Valeria Golino era stata allieva di recitazione di Goliarda Sapienza all’Accademia d’Arte Drammatica. La scrittrice aveva preso a guidarla chiamandola “la mia Modesta”, ma solo tanti anni dopo l’attrice avrebbe capito il senso grande di quel nomignolo affettuoso e complesso.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐿'𝐴𝑅𝑇𝐸 𝐷𝐸𝐿𝐿𝐴 𝐺𝐼𝑂𝐼𝐴 𝑑𝑖 𝑉𝑎𝑙𝑒𝑟𝑖𝑎 𝐺𝑜𝑙𝑖...
27/06/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐿'𝐴𝑅𝑇𝐸 𝐷𝐸𝐿𝐿𝐴 𝐺𝐼𝑂𝐼𝐴 𝑑𝑖 𝑉𝑎𝑙𝑒𝑟𝑖𝑎 𝐺𝑜𝑙𝑖𝑛𝑜

𝐋’𝐀𝐑𝐓𝐄 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐆𝐈𝐎𝐈𝐀 – 𝐏𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 - (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐕𝐚𝐥𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐆𝐨𝐥𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥’𝐨𝐦𝐨𝐧𝐢𝐦𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐩𝐨𝐬𝐭𝐮𝐦𝐨 𝐝𝐢 𝐆𝐨𝐥𝐢𝐚𝐫𝐝𝐚 𝐒𝐚𝐩𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐝𝐢 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. 𝐒𝐢𝐜𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐞̀ 𝐩𝐞𝐜𝐮𝐥𝐢𝐚𝐫𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐢𝐥𝐞 𝐜𝐚𝐩𝐫𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨𝐬𝐨, 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐢𝐜𝐢𝐥𝐞 𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐥𝐨 𝐢𝐧 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐢. 𝐋𝐚 𝐬𝐜𝐞𝐧𝐞𝐠𝐠𝐢𝐚𝐭𝐮𝐫𝐚, 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐆𝐨𝐥𝐢𝐧𝐨 𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢, 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐛𝐮𝐨𝐧𝐚, 𝐥’𝐢𝐫𝐨𝐧𝐢𝐚 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐝𝐚𝐥 𝐟𝐞𝐮𝐢𝐥𝐥𝐞𝐭𝐨𝐧, 𝐥𝐞 𝐩𝐚𝐮𝐬𝐞 𝐚𝐯𝐯𝐨𝐥𝐭𝐞 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐫𝐞𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐦𝐮𝐬𝐢𝐜𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐓𝐨𝐭𝐢 𝐆𝐮𝐨𝐧𝐚𝐬𝐨𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐬𝐢 𝐨𝐬𝐬𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚, 𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐛𝐫𝐚𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐂𝐡𝐨𝐩𝐢𝐧 𝐒𝐜𝐚𝐫𝐥𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐃𝐯𝐨𝐫𝐚𝐤 𝐑𝐚𝐯𝐞𝐥, 𝐚𝐢𝐮𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐫𝐞𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐥𝐢𝐦𝐚𝐱 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐨 𝐍𝐨𝐯𝐞𝐜𝐞𝐧𝐭𝐨, 𝐝𝐮𝐫𝐚 𝐞 𝐭𝐨𝐫𝐛𝐢𝐝𝐚, 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐚 𝐩𝐨𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐞 𝐚𝐛𝐮𝐬𝐚𝐭𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐜𝐚𝐬𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐭𝐢𝐥𝐢𝐳𝐢𝐞 𝐫𝐮𝐛𝐞𝐫𝐚̀ 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨, 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐦𝐨𝐳𝐳𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐢𝐚, 𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐨, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐬𝐬𝐚𝐬𝐬𝐢𝐧𝐢𝐨. “𝐄̀ 𝐯𝐞𝐫𝐨, 𝐡𝐨 𝐫𝐮𝐛𝐚𝐭𝐨. 𝐇𝐨 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐫𝐮𝐛𝐚𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐢𝐚”.

Modesta è una bambina che vive in campagna come un animaletto vitale, libera nella pioggia a dare il nome alle stelle all’ombra dell’Etna che erutta e fa paura, nella miseria più nera con la madre e una sorella disabile. Il padre torna da lontano e la violenta. Un incendio distrugge il tugurio. Modesta non fa niente per salvare i suoi, anzi.
Ormai senza nessuno al mondo, viene portata in convento dove le nobili educande la umiliano, dove viene istruita tra lusinghe e ipocrisie. E poi, alla morte dell’ambigua madre superiora (Jasmine Trinca) di cui si era innamorata, viene portata nella nobile casa di quest’ultima dove s’innamora di uomini e donne, “quando era necessario”. Dove piange “ogni volta che diventa necessario”.
Dove la principessa (Valeria Bruni Tedeschi) madre della suora, fugge ogni vile problema quotidiano rifugiandosi nella Bellezza, dell’Arte, delle maniere, unica cifra del suo Sé. Quel nome Modesta, poi, così meschino, bisognerà cambiarlo. Sarà Modì, per evocare i poeti maledetti, Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, che la ragazza comincia a leggere voracemente.
Conosce le “diavolerie” come l’automobile e il grammofono. Aleggia anche il fantasma di un altro figlio della nobildonna, Jacopo, di cui si parla come di un mito, il più bello della bella famiglia, il pilota, lo sfolgorante, l’eroe. Rumori strani intanto turbano le ore della Bellezza. Aleggiano segreti. Ci saranno sorprese. Citazione, tra le molte, di 𝐴𝑛𝑖𝑚𝑎 𝑃𝑒𝑟𝑠𝑎 di Dino Risi con effetti espressionisti e grotteschi.
Modesta è anche l’Io narrante. La vediamo da grande che racconta con flash back innescati da associazioni, circondata di lievi eleganze, vestita di punto Venezia, sorridente in modo ambiguo: è la rivincita –potere e piacere- che si chiama “gioia”. Conquistata con intelligenza spregiudicatezza manipolazioni e determinazione, e con mezzi decisivi che sapremo in un altro film: parte seconda.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑀𝐴𝑅𝐶𝐸𝐿𝐿𝑂 𝑀𝐼𝑂 𝑑𝑖 𝐶ℎ𝑟𝑖𝑠𝑡𝑜𝑝ℎ𝑒 𝐻𝑜𝑛𝑜𝑟𝑒́...
13/06/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑀𝐴𝑅𝐶𝐸𝐿𝐿𝑂 𝑀𝐼𝑂 𝑑𝑖 𝐶ℎ𝑟𝑖𝑠𝑡𝑜𝑝ℎ𝑒 𝐻𝑜𝑛𝑜𝑟𝑒́

𝐌𝐀𝐑𝐂𝐄𝐋𝐋𝐎 𝐌𝐈𝐎 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐈𝐥 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐂𝐡𝐫𝐢𝐬𝐭𝐨𝐩𝐡𝐞 𝐇𝐨𝐧𝐨𝐫𝐞́ (𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐭𝐞 𝙈𝒂 𝒎𝙚̀𝒓𝙚?), 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐮𝐧 𝐜𝐮𝐫𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐬𝐮 𝐦𝐢𝐬𝐮𝐫𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐂𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚 𝐌𝐚𝐬𝐭𝐫𝐨𝐢𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐞 𝐝𝐢 𝐂𝐚𝐭𝐡𝐞𝐫𝐢𝐧𝐞 𝐃𝐞𝐧𝐞𝐮𝐯𝐞. 𝐂𝐡𝐢𝐚𝐫𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐩𝐫𝐞𝐭𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐞 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐨𝐬𝐬𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐠𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐞, 𝐬𝐢 𝐯𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐥𝐮𝐢, 𝐬𝐢 𝐟𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐞𝐥𝐥𝐨, 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐦𝐦𝐚 𝐬’𝐢𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐮𝐢, 𝐞 𝐬𝐮𝐚 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐬𝐭𝐚 𝐚 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐫𝐞, 𝐨𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐚𝐜𝐜𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐨𝐜𝐜𝐮𝐩𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐨𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐚𝐜𝐜𝐨.

Allora eccola sfilare in esterni e interni, strade vere parigine mare italiano di Formia, e citazioni e flash di set immaginati, 𝐿𝑒 𝑛𝑜𝑡𝑡𝑖 𝑏𝑖𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒, 𝐺𝑖𝑛𝑔𝑒𝑟 𝑒 𝑅𝑜𝑔𝑒𝑟, 𝐷𝑖𝑣𝑜𝑟𝑧𝑖𝑜 𝑎𝑙𝑙’𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎𝑛𝑎, goduria per i cinefili, con una 𝐷𝑜𝑙𝑐𝑒 𝑉𝑖𝑡𝑎 dominante dove Chiara in lungo abito nero e fluente chioma d’oro nella fontana effettivamente esplode nella impressionante somiglianza con il padre piuttosto che con quella “meraviglia della natura” come diceva Fellini di Anita Ekberg. Le altre persone reali interpretano se stesse, vedi ad esempio Melvil Poupaud, Stefania Sandrelli, Francesca Fialdini e l’empatico Fabrice Luchini che cita Nietzsche “tutto ciò che c’è di bello nella vita è ereditato”. Sconcertante l’abilità della protagonista nella mimica gli atteggiamenti il movimento che di continuo la rendono davvero confondente rispetto all’augusto padre. Una sorta di reincarnazione sorridentemente malinconica, un gesto amoroso per non farlo morire. Questo è il senso della memoria. Chiara travalica il ruolo di “figlia di”, entra in un gioco assurdo dell’identità assoluta. Il percorso naturale delle identificazioni sarebbe con il genitore dello stesso sesso. Forse una madre algida e dal fascino inarrivabile rende più semplice ripiegare sull’altro? O è solo un modo simbolico per farlo restare, per non strapparsi da lui dopo che lui andandosene le aveva “strappato il cuore”?
Benevola la critica italiana, quella internazionale taccia il film di narcisismo e banalità a gogò, un film inutile. Lo si prenda per quel che è: un omaggio a Marcello Mastroianni nel Centenario della nascita.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑂𝑀𝐵𝑅𝐸 𝑑𝑖 𝐽𝑜ℎ𝑛 𝐶𝑎𝑠𝑠𝑎𝑣𝑒𝑡𝑒𝑠𝐎𝐌𝐁𝐑𝐄 (𝟏𝟗𝟓...
30/05/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑂𝑀𝐵𝑅𝐸 𝑑𝑖 𝐽𝑜ℎ𝑛 𝐶𝑎𝑠𝑠𝑎𝑣𝑒𝑡𝑒𝑠

𝐎𝐌𝐁𝐑𝐄 (𝟏𝟗𝟓𝟗). 𝐄𝐬𝐨𝐫𝐝𝐢𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐭𝐫𝐞𝐧𝐭𝐞𝐧𝐧𝐞 𝐉𝐨𝐡𝐧 𝐂𝐚𝐬𝐬𝐚𝐯𝐞𝐭𝐞𝐬. 𝐓𝐫𝐞 𝐟𝐫𝐚𝐭𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐚𝐟𝐫𝐨𝐚𝐦𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚𝐧𝐢, 𝐭𝐫𝐞 𝐚𝐫𝐭𝐢𝐬𝐭𝐢, 𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐯𝐢𝐬𝐬𝐮𝐭𝐢 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐭𝐢 𝐜𝐢𝐫𝐜𝐚 𝐥𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐞, 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐍𝐞𝐰 𝐘𝐨𝐫𝐤 𝐬𝐩𝐚𝐞𝐬𝐚𝐭𝐚, 𝐝𝐢𝐯𝐢𝐬𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐞 𝐢𝐥 𝐣𝐚𝐳𝐳 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐞𝐧𝐝𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐂𝐡𝐚𝐫𝐥𝐞𝐬 𝐌𝐢𝐧𝐠𝐮𝐬 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦, 𝐚 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢 𝐜𝐨𝐥𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐢𝐦𝐛𝐨𝐥𝐢 𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢. 𝐔𝐧 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐢𝐧 𝐛𝐢𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐞 𝐧𝐞𝐫𝐨, 𝐜𝐨𝐧 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐞 𝐥𝐞 𝐬𝐩𝐞𝐜𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐨𝐦𝐛𝐫𝐞 𝐟𝐨𝐭𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐞 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐡𝐞, “𝐢𝐦𝐩𝐫𝐨𝐯𝐯𝐢𝐬𝐚𝐭𝐨” (𝐬𝐢 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐞 𝐧𝐞𝐢 𝐭𝐢𝐭𝐨𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐝𝐚), 𝐫𝐞𝐜𝐢𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐮 𝐮𝐧 𝐜𝐚𝐧𝐨𝐯𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨, 𝐫𝐮𝐯𝐢𝐝𝐨, 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐥𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐚𝐜𝐜𝐮𝐫𝐚𝐭𝐨, 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐭𝐢 𝐝𝐚 𝐮𝐧 𝐚𝐩𝐩𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐮 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢 𝐞 𝐫𝐚𝐝𝐢𝐨, 𝐞̀ 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐜𝐨𝐝𝐢𝐜𝐢 𝐭𝐞𝐜𝐧𝐢𝐜𝐢 𝐞 𝐢𝐥 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐟𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐢𝐧𝐞𝐦𝐚 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐩𝐞𝐧𝐝𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐦𝐞𝐫𝐢𝐜𝐚𝐧𝐨. 𝐔𝐧 𝐜𝐮𝐥𝐭 𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐨𝐝𝐞𝐫𝐧𝐢𝐭𝐚̀, 𝐮𝐧 𝐠𝐢𝐨𝐢𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐚𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐠𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚.

A New York è il tempo della Beat Generation. Una ragazza afroamericana aspirante scrittrice ha la pelle bianca come uno dei due fratelli, il trombettista. L’altro, cantante, ha la pelle scura. Sembra che nasca un grande amore per lei, ma la scoperta delle sue origini provoca nel ragazzo delusione e abbandono. In una baraonda di feste, salotti intellettuali esistenzialisti in parallelo alla coetanea Nouvelle Vague europea, scorribande, risse, aspirazioni e sofferenze, le statue del MoMa, le pietre nelle stanze del Funzionalismo, la loro vita precaria di tutti i giorni tra le strade e i locali di una New York notturna e alienante diventa epica, sostanziale portavoce dei fermenti che stavano portando a un nuovo tempo.
Girato con una camera a mano, gli spostamenti fulminei, il flusso convulso e i momenti che indugiano sulle facce penetranti, il suono in presa diretta, rendono il film un film fatto “di cose vere, di persone vere” come Cassavetes voleva che fosse.
Anche se la rappresentazione del disorientamento generazionale interessa bianchi e neri, e ogni classe sociale, il tema dell’amore interraziale è troppo scottante per l’America del tempo, sicché il film viene portato a Venezia nel 1960. Diventando precursore del disagio americano che sarebbe stato dominante nella filmografia degli anni ’70.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑆𝐸𝐼 𝐹𝑅𝐴𝑇𝐸𝐿𝐿𝐼 𝑑𝑖 𝑆𝑖𝑚𝑜𝑛𝑒 𝐺𝑜𝑑𝑎𝑛𝑜𝐒𝐄𝐈 𝐅...
16/05/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑆𝐸𝐼 𝐹𝑅𝐴𝑇𝐸𝐿𝐿𝐼 𝑑𝑖 𝑆𝑖𝑚𝑜𝑛𝑒 𝐺𝑜𝑑𝑎𝑛𝑜

𝐒𝐄𝐈 𝐅𝐑𝐀𝐓𝐄𝐋𝐋𝐈 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐅𝐢𝐥𝐦 𝐜𝐨𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐒𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞 𝐆𝐨𝐝𝐚𝐧𝐨. 𝐒𝐮 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚𝐫𝐠𝐚𝐭𝐚 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐫𝐢𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚 𝐢𝐧 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐢𝐚 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐧𝐨, 𝐞𝐟𝐟𝐢𝐦𝐞𝐫𝐨, 𝐢𝐫𝐫𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐯𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞, 𝐞𝐠𝐨𝐢𝐬𝐭𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐦𝐚𝐝𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐬𝐮𝐨𝐢 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢, 𝐬𝐢 𝐬𝐮𝐢𝐜𝐢𝐝𝐚. 𝐏𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐨̀ 𝐠𝐥𝐢 𝐟𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐫𝐩𝐫𝐞𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫 𝐬𝐩𝐮𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐥 𝐧𝐨𝐭𝐚𝐢𝐨 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐬𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐥’𝐞𝐫𝐞𝐝𝐢𝐭𝐚̀ 𝟒 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐢, 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐨𝐧 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 (𝐩𝐢𝐮̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐨𝐫𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐨̀ 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐦𝐚 𝐝𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐭𝐚𝐥𝐞), 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐚, 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐟𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐬𝐮𝐚, 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐚 𝐝𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞𝐱𝐭𝐫𝐚𝐜𝐨𝐧𝐢𝐮𝐠𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐝𝐞𝐬𝐭𝐢𝐧𝐚𝐭𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐝𝐞𝐧𝐳𝐞. 𝐕𝐚𝐫𝐢 𝐢 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐭𝐭𝐞𝐫𝐢, 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐥𝐜𝐚𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐩𝐢𝐮𝐭𝐭𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐟𝐫𝐚𝐠𝐢𝐥𝐞, 𝐮𝐧 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐦𝐨𝐫𝐳𝐚𝐭𝐨, 𝐜𝐨𝐧 𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐢̀, 𝐟𝐨𝐫𝐬𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐨 𝐒𝐜𝐚𝐦𝐚𝐫𝐜𝐢𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐢𝐧𝐜𝐢𝐬𝐢𝐯𝐨 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐚.

Che poi, l’eredità son solo debiti, salvo la trasformazione di un’azienda in un allevamento di ostriche, che sulla carta può avere un suo valore di milioni di euro in prospettiva, ma che al momento ha prodotto solo un pezzo.
Il maggiore interesse riposa sul tema in sé, sempre un po’ trascurato sia nell’Arte sia in psicanalisi, a favore di quelli centrali come le relazioni genitori-figli. Fu il collaboratore di Freud Alfred Adler ad occuparsene sistematicamente per primo, dissertando sulle relazioni tra fratelli, quindi tra pari, che riteneva più importanti rispetto alla verticalità edipica per la formazione di un realistico stare al mondo in cooperazione e/o competitività. Successivamente si è dato un qualche rilievo a questo aspetto della realtà familiare che ha amplificato l’attenzione dalla centralità madre-bambino a tutte le altre figure significative, compreso il mondo interno formato anche dai fantasmi delle trasmissioni pluritransgenerazionali.
Tuttavia le dinamiche familiari nel film appaiono consuete, gelosie, rivalità fino all’odio, risentimenti irriducibili, preoccupazioni sul lascito, temporaneo distendersi in alleanze tra affini, e per fortuna un finale aperto (ci mancava solo un eventuale romantico ritrovarsi per sempre). Nella storia ormai sono passati decenni prima di questo incontro. Come si possono rimettere insieme i pezzi di relazioni stroncate quando i fratelli sono cresciuti ognuno a modo suo e ognuno stenta a trovare un filo conduttore di tante storie personali ormai strutturate e diverse, che li riunisca in un senso di appartenenza vero?
Le ambizioni del regista sono state elevate, a sentire le sue interviste: scelte di fotografia, di scenografia, di tipo di recitazione, di tecnica della macchina da presa, mai casuali etc. etc. Se sia del tutto soddisfatto del risultato, non ci è dato sapere.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝐶𝑂𝑁𝐹𝐼𝐷𝐸𝑁𝑍𝐴 𝑑𝑖 𝐷𝑎𝑛𝑖𝑒𝑙𝑒 𝐿𝑢𝑐ℎ𝑒𝑡𝑡𝑖𝗖𝗢𝗡𝗙...
02/05/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝐶𝑂𝑁𝐹𝐼𝐷𝐸𝑁𝑍𝐴 𝑑𝑖 𝐷𝑎𝑛𝑖𝑒𝑙𝑒 𝐿𝑢𝑐ℎ𝑒𝑡𝑡𝑖

𝗖𝗢𝗡𝗙𝗜𝗗𝗘𝗡𝗭𝗔 (𝟮𝟬𝟮𝟰). 𝗚𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲 𝗳𝗶𝗹𝗺 𝗱𝗶 𝗗𝗮𝗻𝗶𝗲𝗹𝗲 𝗟𝘂𝗰𝗵𝗲𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗮𝗹 𝗿𝗼𝗺𝗮𝗻𝘇𝗼 𝗱𝗶 𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗼 𝗦𝘁𝗮𝗿𝗻𝗼𝗻𝗲. 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗱𝘂𝗲 𝗼𝗿𝗳𝗮𝗻𝗶: 𝗹𝘂𝗶, 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗲𝘀𝘀𝗼𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗟𝗶𝗰𝗲𝗼 (𝗘𝗹𝗶𝗼 𝗚𝗲𝗿𝗺𝗮𝗻𝗼) 𝗲 𝗹𝗲𝗶 (𝗙𝗲𝗱𝗲𝗿𝗶𝗰𝗮 𝗥𝗼𝘀𝘀𝗲𝗹𝗹𝗶𝗻𝗶) 𝘀𝘂𝗮 𝗲𝘅 𝘀𝘁𝘂𝗱𝗲𝗻𝘁𝗲𝘀𝘀𝗮 𝗴𝗲𝗻𝗶𝗮𝗹𝗲 𝗺𝗮 𝗰𝗼𝗻𝘁𝗼𝗿𝘁𝗮, 𝘀𝗶 𝗳𝗶𝗱𝗮𝗻𝘇𝗮𝗻𝗼 𝗱𝗼𝗽𝗼 𝗶𝗹 𝗱𝗶𝗽𝗹𝗼𝗺𝗮. 𝗟𝗲𝗶 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶 𝘀𝗰𝗮𝗺𝗯𝗶𝗮𝗿𝘀𝗶 𝘂𝗻 𝘀𝗲𝗴𝗿𝗲𝘁𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗱𝗶𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲𝗿𝗼 𝗻𝗲𝗽𝗽𝘂𝗿𝗲 𝗮 𝘀𝗲 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗶 𝘂𝗻𝗶𝗿𝗮̀ 𝗽𝗲𝗿 𝘀𝗲𝗺𝗽𝗿𝗲, 𝗲 𝗹𝗼 𝗳𝗮 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗿𝗮. 𝗔𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗹𝘂𝗶, 𝗽𝗶𝘂𝘁𝘁𝗼𝘀𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗿𝗽𝗹𝗲𝘀𝘀𝗼, 𝗹𝗼 𝗳𝗮. 𝗣𝗼𝘁𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝗿𝗼𝘃𝗶𝗻𝗮𝗿𝗹𝗼. 𝗦𝗶 𝗹𝗮𝘀𝗰𝗶𝗮𝗻𝗼. 𝗜𝗻𝗶𝘇𝗶𝗮 𝗹𝗮 𝗽𝗮𝘂𝗿𝗮.

Un thriller della mente senza morti ammazzati. Desideri omicidi sì però. Anche suicidi. In sequenze visionarie. Ma anche le sequenze della realtà sono inquiete esaltate da musica jazz e dodecafonica sonorità e rumori. Una tensione viva nonostante la lunga durata del film (136’). Tante sottigliezze psicologiche si rincorrono, non riassumibili.
E la mimica eccezionale dei due protagonisti la dice sempre lunga. Lei non ha niente da perdere, quel darsi in pasto magari le è un po’ liberatorio, chiederlo a lui è senza dubbio crudele, lei ha alle spalle un passato difficile da sempre, e allora il suo è un perenne sorriso difensivo e/o maligno, facciamo un ghigno. Lui, sì, ha da perdere, tutto, è un adorato professore di Lettere che propone la “Pedagogia dell’Affetto”, che scrive alla lavagna “Che relazione c’è tra Amore e Paura?”, e che le circostanze obbligheranno all’Odio. Dopo la rottura, lui si sposa con una collega (una volutamente scialba Vittoria Puccini), e diventa un padre, un nonno molto coinvolto, un saggista affermato (Isabella Ferrari è sua editrice, e tentatrice…): potrebbe esserne danneggiato per sempre.
Ma da che? Qual è la confidenza sconvolgente, qual è l’indicibile dopo il quale lei se ne va improvvisamente, lasciandolo per tutta la vita, con vaghi intermittenti segni di minaccia, nel terrore che parli e lo distrugga? E il contenuto di quel loro brevissimo “prima”, che sarà terribilmente un “per sempre”, non è importante. Non è “il che cosa” in questo film, della sfera professionale o privata, che conta. È “il come”. Un “come” padroneggiato da una scrittura sapiente lucidissima, diremmo scientifica, dello stesso regista e di Francesco Piccolo, che indaga su pensieri e mosse del quotidiano, della normalità, della perversione, e alla quale si sottomette persino la malia del mistero.
Non secondario che lui fosse andato a convincerla, dopo la rinuncia all’Università per fare la cameriera in una trattoria, a riprendere gli studi e a diventare tra i più brillanti matematici, famosa in tutto il mondo specie per la “teoria dei nodi”. Invidia e gratitudine in lei s’impongono. Lui è sicuramente il bersaglio di rivendicazioni personali e sociali, di un’ambivalenza malata, di un Amore da nemica (“fu l’unico che ho amato e che ancora oggi mi pare di continuare ad amare”) che fa aleggiare costantemente la tragedia. Lui è quello che teme, per tanti decenni fino a quando, per prendere un premio dal Presidente della Repubblica, deve avvalersi nientedimeno che della testimonianza di lei intorno al suo valore, su richiesta della figlia di lui (Pilar Fogliati), faccia a faccia da vecchi in un momento terrifico in cui potrebbe esplodere la verità. Risucchiandolo nell’incubo senza fine della prospettiva di una vita che s’interrompa socialmente, e nella memoria di quando s’era già interrotta interiormente, tanti tanti anni fa, dando a un altro il proprio Sé inviolabile, anzi, anche prima.
Chapeau.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑍𝐴𝑀𝑂𝑅𝐴 𝑑𝑖 𝑁𝑒𝑟𝑖 𝑀𝑎𝑟𝑐𝑜𝑟𝑒̀𝐙𝐀𝐌𝐎𝐑𝐀 (𝟐𝟎𝟐...
18/04/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑍𝐴𝑀𝑂𝑅𝐴 𝑑𝑖 𝑁𝑒𝑟𝑖 𝑀𝑎𝑟𝑐𝑜𝑟𝑒̀

𝐙𝐀𝐌𝐎𝐑𝐀 (𝟐𝟎𝟐𝟑). 𝐄𝐬𝐨𝐫𝐝𝐢𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐍𝐞𝐫𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐨𝐫𝐞̀, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐩𝐫𝐞𝐭𝐞. 𝐒𝐢𝐜𝐮𝐫𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞, 𝐜𝐢 𝐟𝐨𝐫𝐧𝐢𝐬𝐜𝐞, 𝐜𝐨𝐧 𝐦𝐚𝐧𝐨 𝐮𝐧 𝐩𝐨’ 𝐚𝐜𝐞𝐫𝐛𝐚 𝐦𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐠𝐞𝐧𝐭𝐢𝐥𝐞, 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐭𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐥𝐞, 𝐝𝐢 𝐠𝐫𝐚𝐝𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨, 𝐬𝐨𝐩𝐫𝐚𝐭𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨. 𝐋𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐖𝐚𝐥𝐭𝐞𝐫, 𝐮𝐧 𝐢𝐦𝐩𝐢𝐞𝐠𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 ’𝟔𝟎, 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐨 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐭, 𝐬𝐢 𝐫𝐢𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚 𝐬𝐮𝐨 𝐦𝐚𝐥𝐠𝐫𝐚𝐝𝐨 𝐚 𝐝𝐨𝐯𝐞𝐫 𝐠𝐢𝐨𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐪𝐮𝐚𝐝𝐫𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐳𝐢𝐞𝐧𝐝𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐢𝐬𝐢𝐦𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐞𝐭𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐟𝐢𝐬𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐥𝐜𝐢𝐨. 𝐖𝐚𝐥𝐭𝐞𝐫, 𝐝𝐢𝐥𝐞𝐠𝐠𝐢𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐢 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐞𝐠𝐡𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐧𝐨 𝐢𝐫𝐨𝐧𝐢𝐜𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐙𝐚𝐦𝐨𝐫𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐟𝐮 𝐢𝐥 𝐦𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐩𝐚𝐠𝐧𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 ’𝟑𝟎 𝐝𝐞𝐭𝐭𝐨 “𝐄𝐥 𝐃𝐢𝐯𝐢𝐧𝐨”, 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞 𝐚𝐢𝐮𝐭𝐨 𝐚 𝐆𝐢𝐨𝐫𝐠𝐢𝐨 (𝐍𝐞𝐫𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐨𝐫𝐞̀), 𝐮𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢𝐞𝐫𝐢, 𝐨𝐫𝐦𝐚𝐢 𝐟𝐮𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐧𝐝𝐚𝐥𝐨, 𝐝𝐞𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐨, 𝐬𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐬𝐨 𝐞 𝐚𝐥𝐜𝐨𝐥𝐢𝐬𝐭𝐚. 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐮𝐬𝐜𝐢𝐫𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞? 𝐃𝐚𝐥 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐝𝐢 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐏𝐞𝐫𝐫𝐨𝐧𝐞 𝐫𝐞𝐜𝐞𝐧𝐭𝐞𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐬𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐫𝐬𝐨, 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐨𝐫𝐫𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐞𝐫𝐚, 𝐚𝐥 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐥 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐞̀ 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨.

Poiché il tema del Calcio è centrale, i tifosi lo vedranno ben volentieri. E le canzoni degli anni ’60 fanno la loro parte. E poi ci sono anche tante altre storie e messaggi, c’è come a volte gli incontri giusti possono aiutarti a ricostruire l’autostima e a dare una svolta alla vita all’insegna del “non è mai troppo tardi” di manziana memoria, nelle scelte lavorative, affettive, esistenziali. Insomma dominano i buoni sentimenti, tutto è a lieto fine, tutto può sembrare ingenuo, ma il film dice garbatamente delle verità perché qualche volta è vero che queste cose possono accadere, quindi portiamoci a casa questa speranza.
Walter (Alberto Paradossi) è un ragioniere che vive in provincia ma la sua azienda chiude; era guidata da una brava persona (partecipazione amichevole di Antonio Catania) che gli procura subito un posto a Milano. Si trasferisce, e il nuovo datore di lavoro (Giovanni Storti del trio Aldo Giovanni e Giacomo) è il bizzarro signore che pretende che il suo personale giochi ogni anno un vero e proprio torneo con tanto di allenamenti rigidamente scanditi, partite settimanali e tutto un corteo di regole fisse. In un cameo appare anche, del trio, Giacomo Poretti, industriale concorrente. E in un altro, nella parte di se stesso, il giornalista sportivo Marino Bartoletti, che, presente alla Prima milanese, su Facebook ha definito il film “delizioso”.
Intanto Walter è perseguitato dal tracotante ingegnere dell’azienda, è deluso da una donna, è nostalgico della vita di provincia dove la saggia mamma (Pia Lanciotti) aveva sempre incoraggiato con leggerezza i figli a seguire scelte veramente sentite. L’aiuto chiesto, per imparare a giocare, a Giorgio, l’ex portiere fallito, arreso, tra i più grandi del tempo, “il paratutto", si rivelerà per entrambi un cammino difficile ma importante. “Le cose belle le rovino sempre, mi sembra di non meritarmele”. Ma non è escluso che le cose possono rimettersi tutte a posto, anche le persone. E il gioco, è il caso di dire, è fatto.

📰𝐂𝐮𝐫𝐢𝐨𝐬𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐞 𝐚𝐫𝐭𝐢𝐠𝐢𝐚𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐦𝐚𝐝𝐞 𝐢𝐧 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐲👉𝐿𝑎 𝑙𝑒𝑔𝑔𝑒𝑛𝑑𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑎𝑙𝑙'𝑎𝑟𝑡𝑖𝑔𝑖𝑎𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑒𝑟𝑙𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝐵𝑢𝑟𝑎𝑛𝑜......
09/04/2024

📰𝐂𝐮𝐫𝐢𝐨𝐬𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐞 𝐚𝐫𝐭𝐢𝐠𝐢𝐚𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐦𝐚𝐝𝐞 𝐢𝐧 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐲

👉𝐿𝑎 𝑙𝑒𝑔𝑔𝑒𝑛𝑑𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑖𝑛𝑡𝑜𝑟𝑛𝑜 𝑎𝑙𝑙'𝑎𝑟𝑡𝑖𝑔𝑖𝑎𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑒𝑟𝑙𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝐵𝑢𝑟𝑎𝑛𝑜...

🆙Una tradizione che si sta perdendo, ma che per secoli ha rappresentato un punto di orgoglio per la tradizione artigianale veneziana e non solo.

▶️Anticamente anche nelle corti europee era considerato materiale prezioso per ornare abiti e realizzare accessori e corredi.

‼️𝑷𝒆𝒓 𝒂𝒑𝒑𝒓𝒐𝒇𝒐𝒏𝒅𝒊𝒓𝒆 𝒗𝒊 𝒓𝒊𝒎𝒂𝒏𝒅𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒍𝒆𝒕𝒕𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍'𝒂𝒓𝒕𝒊𝒄𝒐𝒍𝒐 𝒒𝒖𝒊 𝒔𝒐𝒕𝒕𝒐
👇
Se volete, fateci sapere se conoscevate queste leggende😉 e cosa ne pensate di queste antiche tradizioni che si stanno perdendo😔

Si narra che in tempi molto antichi, un giovane pescatore, andando incontro alla sua promessa sposa, una fanciulla dell’isola di Burano, venne tentato dal canto di sirene ammaliatrici che cercavano di disorientarlo e distoglierlo dal suo cammino. Poiché il giovane riuscì a resistere ai loro tent...

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑈𝑁 𝑀𝑂𝑁𝐷𝑂 𝐴 𝑃𝐴𝑅𝑇𝐸 𝑑𝑖 𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑀𝑖𝑙𝑎𝑛...
04/04/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑈𝑁 𝑀𝑂𝑁𝐷𝑂 𝐴 𝑃𝐴𝑅𝑇𝐸 𝑑𝑖 𝑅𝑖𝑐𝑐𝑎𝑟𝑑𝑜 𝑀𝑖𝑙𝑎𝑛𝑖

𝐔𝐍 𝐌𝐎𝐍𝐃𝐎 𝐀 𝐏𝐀𝐑𝐓𝐄 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐢𝐥 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢𝐬𝐬𝐢𝐦𝐨 “𝐆𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞 𝐑𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐢”, 𝐝𝐢 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐀𝐧𝐭𝐨𝐧𝐢𝐨 𝐀𝐥𝐛𝐚𝐧𝐞𝐬𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐌𝐢𝐥𝐚𝐧𝐢. 𝐐𝐮𝐢 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐝𝐝𝐢𝐬𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐦𝐚𝐞𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐨𝐦𝐛𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐜𝐮𝐨𝐥𝐚 “𝐀𝐥𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐌𝐨𝐫𝐚𝐯𝐢𝐚” - 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐢 𝐬𝐢𝐚 -, 𝐬𝐜𝐞𝐠𝐥𝐢𝐞 𝐥𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐜𝐮𝐨𝐥𝐚 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐧 𝐀𝐛𝐫𝐮𝐳𝐳𝐨, 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐞𝐭𝐚̀ 𝐢𝐧 𝐮𝐧’𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐥𝐚𝐬𝐬𝐞, 𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐜𝐞𝐩𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞 𝐀𝐠𝐧𝐞𝐬𝐞 (𝐕𝐢𝐫𝐠𝐢𝐧𝐢𝐚 𝐑𝐚𝐟𝐟𝐚𝐞𝐥𝐞), 𝐞 𝐥’𝐨𝐬𝐭𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐨𝐠𝐥𝐢𝐨𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐮𝐝𝐞𝐫𝐥𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐫𝐢𝐠𝐚𝐭𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢. 𝐈𝐦𝐩𝐞𝐠𝐧𝐚𝐭𝐨, 𝐭𝐞𝐧𝐞𝐫𝐨, 𝐞𝐬𝐢𝐥𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐞. 𝐕𝐨𝐭𝐨: 𝟏𝟎.

Libero remake di un film francese di Nicolas Philibert, “Essere e Avere”, di cui ci occupammo tempo addietro, tratto da una storia vera. “Io questa felicità me la vado a prendere” dice il maestro, in “quegli angoli di paradiso” dove i disagi non si contano, i lupi ululano, i cervi camminano nei vicoli, e dove tutti perciò lo prendono in giro. In uno sperduto paesino abruzzese di 364 anime arrampicato sulla montagna che sembra un presepe diurno o notturno, innevato o fiorito, mentre passano i giorni.
Insomma, ha voluto un luogo lontano dalla trista realtà metropolitana, ha voluto un mondo a parte, un mondo marsicano, un paesetto moribondo dalle parti di L’Aquila e Pescasseroli. Cresceranno consapevolezze in lui e nella nuova gente che lo circonda, insegnanti, bidello, discenti e familiari. È la scuola dedicata al pastore poeta Jurico nato nell’ ‘800 che indicava “vertude e pace” tra terra e cielo. Qualcuno però ha interesse a chiuderla questa scuola come già in passato sono riusciti a chiuderne un’altra. E allora bisogna formare nuove alleanze e lottare. Bisogna capire l’importanza della scuola. Bisogna capire che non bisogna arrendersi. Che non si deve sempre scappare. Bisogna capire il valore della “restanza”.
Notevole la capacità di trasmettere contenuti sociali fondamentali, tanti, che ruotano attorno al tema del compito della scuola come fucina del domani, senza retorica, con comicità ininterrotta e punte di commozione. Una storia d’amore, poi, che cresce disincantata gentile e profonda, non guasta mai, con quella chiosa decisiva dove divampa “Agnese dolce Agnese” di Ivan Graziani. “La montagna lo fa”.

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑈𝑁 𝐴𝐿𝑇𝑅𝑂 𝐹𝐸𝑅𝑅𝐴𝐺𝑂𝑆𝑇𝑂 𝑑𝑖 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑜 𝑉𝑖𝑟𝑧𝑖...
21/03/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑈𝑁 𝐴𝐿𝑇𝑅𝑂 𝐹𝐸𝑅𝑅𝐴𝐺𝑂𝑆𝑇𝑂 𝑑𝑖 𝑃𝑎𝑜𝑙𝑜 𝑉𝑖𝑟𝑧𝑖̀

🎬𝐔𝐍 𝐀𝐋𝐓𝐑𝐎 𝐅𝐄𝐑𝐑𝐀𝐆𝐎𝐒𝐓𝐎 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐒𝐞𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐝𝐢 𝐅𝐞𝐫𝐢𝐞 𝐝’𝐚𝐠𝐨𝐬𝐭𝐨, 𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚𝐦𝐛𝐢 𝐝𝐢 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐢𝐫𝐳𝐢̀. 𝐑𝐞𝐮𝐧𝐢𝐨𝐧 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝟐𝟖 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥’𝐢𝐬𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐕𝐞𝐧𝐭𝐨𝐭𝐞𝐧𝐞 𝐭𝐫𝐚 𝐢 𝐝𝐮𝐞 𝐜𝐥𝐚𝐧 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐚𝐬𝐚, 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐥𝐥𝐞𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐞 𝐢 𝐜𝐚𝐟𝐨𝐧𝐢. 𝐓𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢𝐧𝐯𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢𝐚𝐭𝐢, 𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐢 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐢. 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨 𝐞̀ 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨. 𝐌𝐚𝐥𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐢𝐜𝐨 𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐭𝐫𝐚𝐦𝐨𝐧𝐭𝐨, 𝐞 𝐮𝐧’𝐚𝐛𝐛𝐮𝐟𝐟𝐚𝐭𝐚 𝐝’𝐢𝐝𝐞𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚.

Sono passati tanti anni da quel cult di fresca amarezza che vinse il David di Donatello. Ora gli anni hanno prodotto scontati cambiamenti anche se essenzialmente non cambia mai niente. I figli crescono e arrivano i nipoti. Uno dei figli, battezzato Altiero come Spinelli, è diventato in America un ricchissimo informatico sposato con un modello. Un’altra figlia è la goffa influencer promessa sposa a un disinvolto Vinicio Marchioni tatuato sul braccio con Memento audere sempre.
Silvio Orlando, il giornalista impegnato, ora è incongruo tra personalità di base e demenza acquisita. Sua moglie Laura Morante è sempre più sprofondata nel complesso d’inferiorità culturale che la mette a caccia di affettuose e nevrotiche rassicurazioni esterne. Dice di lui: “Non è cambiato niente. Non mi vede e non mi sente”. Dall’altra parte le due sorelle son diventate vedove (di Ennio Fantastichini e Piero Natoli): l’una, Paola Tiziana Cruciani, svanita a cercare nelle pratiche yoga tutta una pace, l’altra, Sabrina Ferilli, con un nuovo accompagnatore, l’ing. Christian de Sica azzimato venditore di fumo.
La politica s’insinua e a un certo punto la fa da padrona. Orlando, smemorato e feticista della memoria remota, tra dialoghi surreali ricordi e sogni rivive le parole dei confinati nel fascismo a Ventotene, di cui si è smarrito “il grande insegnamento”, Altiero Spinelli, dicevamo. E Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Umberto Terracini, e Ursula Hirschmann. Che altro possono dirgli se non le disillusioni le confusioni gli errori di una ovvia nuova Italia “debole e divisa”? Mentre feste malinconiche mettono alla prova la tolleranza di ciascuno alle devastazioni del tempo e al fantasma della morte implacabilmente sotteso a ogni ruga a ogni risata a ogni fallimento personale e collettivo.
Molto parlato e urlato, stancamente faceto, molto didascalico, molto prevedibile, con un certo mordente solo verso la fine. E una Ferilli molto in parte, unica consapevole osservatrice di tutte le cose, con garrula afflizione. Punto di domanda: se ne poteva fare a meno?

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊🎥𝑉𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑀𝑎𝑟𝑔ℎ𝑒𝑟𝑖𝑡𝑎 𝐵𝑢𝑦🎬𝐕𝐎𝐋𝐀𝐑𝐄 (𝟐...
07/03/2024

𝐂𝐈𝐍𝐄𝐌𝐀 𝐄 𝐏𝐒𝐈𝐊𝐄

✍️𝑹𝒖𝒃𝒓𝒊𝒄𝒂 𝒒𝒖𝒊𝒏𝒅𝒊𝒄𝒊𝒏𝒂𝒍𝒆 𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒊𝒂 𝑨𝒏𝒕𝒐𝒏𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂 𝑪𝒐𝒄𝒄𝒂𝒏𝒂𝒓𝒊 𝒅𝒆' 𝑭𝒐𝒓𝒏𝒂𝒓𝒊

🎥𝑉𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑀𝑎𝑟𝑔ℎ𝑒𝑟𝑖𝑡𝑎 𝐵𝑢𝑦

🎬𝐕𝐎𝐋𝐀𝐑𝐄 (𝟐𝟎𝟐𝟒). 𝐃𝐞𝐛𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐌𝐚𝐫𝐠𝐡𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚 𝐁𝐮𝐲, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐮𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐚𝐠𝐨𝐧𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐦𝐞𝐝𝐢𝐚 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐛𝐢𝐨𝐠𝐫𝐚𝐟𝐢𝐜𝐚. 𝐒𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐨𝐛𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐥’𝐚𝐞𝐫𝐞𝐨. 𝐋𝐚 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐞𝐫𝐚̀?

Anna è una famosa attrice di fiction che per la paura di volare rinuncia all’occasione della sua vita, un film con un grande regista coreano, con sgomento della sua agente (Anna Bonaiuto) che subito la rimpiazza con Elena Sofia Ricci (partecipazione amichevole nel ruolo di se stessa). Un altro problema è la figlia (interpretata da Caterina De Angelis, somigliantissima figlia reale della Buy) che deve partire per l’America a studiare, e lei vorrebbe accompagnarla. La motivazione materna arriverà dove non è arrivata l’ambizione?
Nel film viene eseguita tutta la preparazione psicologica da uno staff con le tecniche per affrontare e superare la fobia per qualche cosa d’innocuo e imparare a distinguerla dalla paura che prende per un pericolo reale. È un film corale. La terapia è di gruppo. Varia umanità è pronta a realizzare il desiderio di raggiungere un luogo lontano, per ragioni diverse, come il critico cinematografico che disprezza Anna, un terrorista, un giocatore di basket, un contadino e altri ancora. Questa umanità sarà importante nello stringersi in un proseguimento di aiuto oltre i limiti della stanza delle sedute. Il film risulta quindi didattico, magari utile ai tanti fobici che troveranno la spinta a curarsi. Freud contò più di cento fobie. Altri dicono che ne esistono infinite, di qualunque cosa, incastonata nella radice greca del nome. L’aerofobia è la paura specifica di volare, come un sottotipo dell’acrofobia che è il terrore delle altezze in generale.
Un’opera semplice diretta con la freschezza la dedizione e le incertezze del principiante di buona volontà, con la canzone scontata di Modugno nel finale, e una specie di omaggio alla memoria del padre, come una riconciliazione. Dire che il film decolli è troppo. È piuttosto un bisogno della Buy di raccontare le sue nevrosi, portate prima costantemente sullo schermo in maniera più indefinita in quella sua recitazione convulsa, e tutto sommato gradevole, con quella sua fragilità sempre verso un altrove.

𝐈𝐍𝐓𝐄𝐑𝐕𝐈𝐒𝐓𝐀🎙👩‍🦰𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑖𝑧𝑧𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑡𝑜 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑖𝑙𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑢𝑙𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑐𝑙𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑖𝑛 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑠𝑢𝑎 𝑒𝑠𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑢𝑜𝑣𝑒𝑛𝑑𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠...
26/02/2024

𝐈𝐍𝐓𝐄𝐑𝐕𝐈𝐒𝐓𝐀🎙

👩‍🦰𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑖𝑧𝑧𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑡𝑜 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑖𝑙𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑐𝑢𝑙𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑒𝑐𝑙𝑖𝑛𝑎𝑡𝑎 𝑖𝑛 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑠𝑢𝑎 𝑒𝑠𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒, 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑢𝑜𝑣𝑒𝑛𝑑𝑜𝑛𝑒 𝑙𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑜𝑠𝑐𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑟𝑒𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑛𝑒𝑙 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑎𝑙𝑒, 𝑒 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑛𝑑𝑜 𝑛𝑜𝑡𝑒 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑓𝑖𝑔𝑢𝑟𝑒 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑖𝑙𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎, 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑙𝑒𝑡𝑡𝑒𝑟𝑎𝑡𝑢𝑟𝑎, 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑎𝑟𝑡𝑖 𝑒 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑠𝑐𝑖𝑒𝑛𝑧𝑒 ℎ𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑟𝑎𝑝𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑔𝑒𝑛𝑖𝑜 𝑓𝑒𝑚𝑚𝑖𝑛𝑖𝑙𝑒.

👉Incontriamo la Presidente del 𝑪𝒆𝒏𝒕𝒓𝒐 𝑺𝒕𝒖𝒅𝒊 𝑭𝑬𝑴𝑰𝑵𝑰𝑵𝑼𝑴 𝑰𝑵𝑮𝑬𝑵𝑰𝑼𝑴: 𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐚 𝐅𝐢𝐝𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚.

📰"Le donne sono presenti nella storia senza clamore, rivelano l’essenza del femminile, che è anche narrazione, tessitura di relazioni, edificazione sociale. Il 𝘾𝙎𝙁𝙄 si pone l’obiettivo di riscoprire e rivalutare queste figure e queste caratteristiche, al fine di contribuire all’emersione di una storia dell’umanità e delle sue idee, non con intento conflittuale e di contrapposizione rispetto a quella ufficiale, ma in modo ad essa speculare e complementare. Parafrasando 𝐿𝑢𝑐𝑒 𝐼𝑟𝑖𝑔𝑎𝑟𝑎𝑦, la diversità tra i due sessi nel suo essere riconosciuta diventa ponte tra il femminile e il maschile. Avvicinare l’altro in un dialogo che è incontro, perché nella differenza entrambi i soggetti – il femminile e il maschile – partecipano allo scambio ed entrano in relazione".

Femininum Ingenium

Trovate l'intervista completa al link qui sotto👇

Valorizzare il contributo femminile alla cultura declinata in ogni sua espressione, promuovendone la conoscenza nella sua concretezza nel sociale, e rendendo note quelle figure femminili che nella storia, nella letteratura, nelle arti e nelle scienze hanno rappresentato il genio femminile: questo è...

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