17/01/2025
Qui la recensione di Giuliana Sgrena, che ringraziamo, al libro "Femminicidi d'onore" ( https://www.futura-editrice.it/prodotto/femminicidi-donore/)
https://ilmanifesto.it/quelle-radici-patriarcali-e-fondamentaliste
Quelle radici patriarcali e
fondamentaliste
– Giuliana Sgrena, 16.01.2025
SCAFFALE «Femminicidi d’onore. Dal “processo Saman” ai diritti negati delle donne
migranti», a cura di Ilaria Boiano e Isabella Peretti per Futura Editrice
Il femminicidio di Saman Abbas, la ragazza pachistana uccisa dai familiari, ha colpito
l’opinione pubblica italiana e ha aperto gli occhi sulla realtà di giovani donne – nate in Italia
o arrivate da piccole – la cui libertà è repressa con violenza inaudita da parte dei maschi
della famiglia. Nonostante le denunce Saman era stata abbandonata alla sua malasorte,
vittima di un rapporto padre-figlia esiziale, basato sul «possesso-dominio», come viene
definito da Teresa Manente e Rossella Benedetti, le avvocate di parte civile nel processo
per l’omicidio e l’occultamento di ca****re di Saman. Il caso della giovane pachistana è
sviscerato nei diversi aspetti in Femminicidi d’onore, dal «processo Saman» ai diritti negati
delle donne migranti a cura di Ilaria Boiano e Isabella Peretti (Futura Editrice, pp. 164, euro
15).
SICCOME SAMAN si ribellava alle angherie cui era sottoposta – segregata in casa, divieto
di studiare e promessa in sposa a un cugino più vecchio – veniva definita la «pazza» dalla
madre. Proprio della madre, Nazia, condannata all’ergastolo insieme al padre Shabbar,
colpisce la complicità, dovuta forse al fatto che anche lei era vittima di una segregazione
totale, che non le aveva permesso di alzare lo sguardo sul mondo che la circondava. Quindi,
«non vi è dubbio alcuno che con l’uccisione della figlia, Nazia uccida anche una parte di
sé», secondo Giovanna Fava, anche lei avvocata nel processo.
Ma quante Saman ci sono? Quante le vittime di femminicidio d’onore? Abbiamo sentito
parlare di Hina Saleem la prima ragazza pachistana vittima di femminicidio in Italia, di Sana
Cheema, altre sono morte nell’indifferenza, come Begun Shahnaz, lapidata, Kaur Balwinder,
uccisa e buttata nel fiume.
È Tiziana Dal Pra, fondatrice dell’associazione Trama di Terre, a ricordarcele. Tutte vittime
del controllo della sessualità da parte della famiglia ma anche della comunità di
appartenenza, all’interno della quale un ruolo importante è spesso giocato dai
fondamentalismi religiosi. Ma, come giustamente sostiene Tiziana Dal Pra, quando si
trattano questi temi non dobbiamo autocensurarci per paura di essere accusate di
islamofobia.
I diritti delle donne sono universali e non si può rinunciare a difenderli per una sorta di
relativismo culturale che, questo sì, le condanna a essere sottomesse. Le forze reazionarie
che sostengono che le altre «culture» sono barbare e violente lo fanno per difendere
l’Occidente, come sostiene Isabella Peretti, e, in Europa, per difendere l’identità cristiana.
Tuttavia, non si può negare il ruolo dei fondamentalismi religiosi, tutti, nell’oppressione
della donna, anche nell’imposizione di un velo ideologico.
LA RIVOLUZIONE delle donne iraniane contro la teocrazia – che ha fatto del ciador
l’identità della donna musulmana – è partita proprio dalla lotta contro l’obbligo del velo.
Naturalmente il controllo delle «Saman», non si esercita solo con il velo, però basta
guardare le foto di Saman velata o con la fascia rossa tra i capelli per vedere due donne
completamente diverse. Quale è stata uccisa? Sicuramente la seconda. Le donne afghane
sono quelle che, soprattutto con il ritorno dei taleban al potere – complici gli Usa negli
accordi di Doha – soffrono le peggiori condizioni costrette a vivere in un sistema di
inflessibile apartheid di genere. Private anche della possibilità di parlare, «la voce è la
nudità della donna», non solo nell’islam.
Per eliminare giustificazioni culturali o religiose, le afghane con l’appoggio del Cisda e di
una rete europea, hanno avviato una campagna per il riconoscimento del crimine di
apartheid di genere intollerabile anche per il diritto internazionale.
Nel libro si richiama la responsabilità di chi dovrebbe proteggere le donne in pericolo.
Innanzitutto, rendendole visibili, dando loro la parola – come nel Tribunale delle donne
migranti – per individuare i problemi e i bisogni. Dalle testimonianze risulta un sistema
legale e istituzionale inadeguato a riconoscere e affrontare le violenze – sfruttamento,
tratta, prostituzione, matrimoni combinati, pregiudizi – che subiscono le donne migranti
lasciate in una condizione di estrema vulnerabilità per il mancato riconoscimento dei loro
diritti.
© 2025 il manifesto – copia esclusivamente per uso personale –
Violenza maschile (Cultura) «Femminicidi d’onore. Dal "processo Saman" ai diritti negati delle donne migranti», a cura di Ilaria Boiano e Isabella Peretti per Futura Editrice. Di Giuliana Sgrena