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di riflessione, proposta e approfondimento socioculturale.

“Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò c...
16/12/2024

“Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.

Scriveva così Pier Paolo Pasolini, sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974, in un articolo intitolato “Cos’è questo golpe? Io so”. Esattamente un anno dopo (2 novembre 1975), sarebbe stato brutalmente massacrato, in circostanze che nessuno è mai riuscito/ha mai voluto chiarire.

Grazia a Giuseppe Cesaro per questo nuovo affascinante viaggio alla ricerca della consapevolezza.

Uniamo i puntini “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentar...

Lotta, un termine antico che richiama il combattimento. Ma in senso più lato richiama la lotta per la sopravvivenza, per...
08/12/2024

Lotta, un termine antico che richiama il combattimento. Ma in senso più lato richiama la lotta per la sopravvivenza, per il riconoscimento, per la verità. C’e’ anche filosoficamente una lotta amorosa.
Scopriamo il percorso.

La lotta tra combattimento e amore Lotta, un termine antico che richiama il combattimento. Ma in senso più lato richiama la lotta per la sopravvivenza, per il riconoscimento, per la verità. C’e’ anche filosoficamente una lotta amorosa. Ma procediamo per gradi. Fin dalle origini la specie umana...

"Non so se esista un angolo di mondo la cui popolazione sia completamente autoctona e il suo sangue non si sia mai misch...
05/11/2024

"Non so se esista un angolo di mondo la cui popolazione sia completamente autoctona e il suo sangue non si sia mai mischiato a quello di nessun’altra etnia. Ammesso e non concesso, però, che esista, una cosa è certa: non è l’Italia. Per fortuna, aggiungo, visti gli inquietanti rischi, mentali e fisici, connessi all’endogamia. Sessuale o culturale che sia, non fa molta differenza. Senza considerare che, se un posto del genere esistesse, sarebbe arido, deserto e triste, e destinato a una fine di solitudine e dolore."
Suggestioni, dettagli e visioni sull'identità di Giuseppe Cesaro,

Nessun uomo è un’isola Non so se esista un angolo di mondo la cui popolazione sia completamente autoctona e il suo sangue non si sia mai mischiato a quello di nessun’altra etnia. Ammesso e non concesso, però, che esista, una cosa è certa: non è l’Italia. Per fortuna, aggiungo, visti gli in...

Una storia familiare irrompe in una maniera quasi prepotente nelle carte di una scrittrice, Linda Ferri, che della misur...
02/11/2024

Una storia familiare irrompe in una maniera quasi prepotente nelle carte di una scrittrice, Linda Ferri, che della misura, della discrezione, dell’eleganza narrativa ha fatto cifra distintiva nei suoi libri e nei suoi romanzi. E quando accade che, come diceva James Joyce, “la vita ti chiama a voce alta”, non puoi che mettere sulle pagine il racconto dei nonni, emigrati negli Stati Uniti, dei genitori, dei fratelli, e in generale di un mondo che ha attraversato buona parte del Novecento con passione e leggerezza, dramma e ironia, impegno e consapevolezza.

ll nostro regno è un romanzo che racconta una storia di cui, anche soltanto come testimoni, avremmo voluto far parte. E ci mette a conoscenza dei ricordi dell’autrice: dalla memorabile figura della madre ai rapporti con le amiche, con i fratelli, agli amori difficili, sempre sulla soglia di uscire dal privato per entrare nella storia pubblica, nella storia che abbiamo attraversato e ci è stata raccontata.

Ne esce un libro delicato e nitido, con una lingua precisa eppure piena di una poesia che restituisce il tepore, la forza lieve di un mondo perduto che ci riguarda. Linda Ferri è una scrittrice vera, capace di far passare anni se non decenni tra un libro e l’altro, senza l’ansia di dirsi e di raccontarsi, eppure consapevole che certe storie familiari non possono perdersi, certe storie sono di tutti noi, e dobbiamo tenercele strette.

Il nostro regno è un libro che non si dimentica: ci commuove, ci rende più forti, ci insegna, ci racconta una storia che trasforma l’autrice in una compagna di strada, in una voce intima, originale e importante.

“Mamma, per l’ultima volta disfiamo il tempo… Abbracciami, fammi sentire come profumi d’arancia…

Dimmi di nuovo che studiare è la cosa più importante. Dimmi che odi i tuoi invitati che stanno arrivando per la cena. Torniamo nel nostro regno, mamma”

Linda Ferri
Linda Ferri vive tra Roma e Parigi. Esordisce nella narrativa nel 1997 con il romanzo Incantesimi, vincitore del Premio Fiesole Narrativa Under 40. In seguito pubblica una raccolta di racconti, opere per l’infanzia delle quali è anche illustratrice e un romanzo, Cecilia, candidato al Premio Strega. È anche una sceneggiatrice: ha collaborato con Nanni Moretti per La stanza del figlio, con Giuseppe Piccioni per Luce dei miei occhi e La vita che vorrei, e con Kim Rossi Stuart per Anche libero va bene. Per Feltrinelli Gramma è uscito Il nostro regno (2024).

Marchio: Feltrinelli Gramma
Data d’uscita: 8 Ottobre 2024
Pagine: 160
Prezzo: 15,20 €
ISBN: 9791256240159

31/10/2024

Il ragazzo dai pantaloni rosa: un pugno allo stomaco, senza via d’uscita

Alla prima del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, la sala è colma. L’atmosfera è densa di aspettativa e, quando le luci si abbassano, lo schermo si illumina con le prime immagini di Andrea. La storia è quella di un ragazzo quindicenne, vessato e ridicolizzato per un paio di pantaloni scoloriti diventati rosa per errore. Un dettaglio che, nella semplicità di una lavatrice sbagliata, scatena per Andrea un inferno di insulti e umiliazioni. Tutto questo calato nell'anno 2012 ma è come se parlasse di oggi, ieri e purtroppo domani.

Durante la proiezione, un silenzio inquieto invade la sala, e mentre la vicenda si sviluppa, quel rosa, quel piccolo sbaglio, diventa un simbolo insostenibile del dolore. Ogni scena è una coltellata: Andrea è circondato dai compagni che sghignazzano, dal rimbombo dei social dove i suoi coetanei lo aggrediscono virtualmente, moltiplicando il suo isolamento. Non c'è musica che alleggerisca, nessuna mano che gli venga tesa: solo una solitudine devastante.

Le persone iniziano a commuoversi, i fazzoletti escono dalle borse. Ma il film non si ferma, non arretra davanti a quella sofferenza. Andrea, inquadrato spesso da solo, appare sempre più fragile, sempre più schiacciato. Il film avanza come una lenta discesa in un abisso che tutti conosciamo ma che speriamo di non vedere mai così vicino. Nessun deus ex machina, nessuna mano a sollevarlo quando lui stesso si è già lasciato andare.

Alla fine, prima dei titoli di coda, lo schermo mostra le immagini reali di Andrea. Si vedono frammenti della sua vita, sorrisi spezzati che sembrano ancora brillare, ma che la realtà ha già soffocato. Ed è in quel momento, con le luci che si riaccendono, che il colpo arriva dritto al cuore.

Qualcuno si alza, con gli occhi lucidi, qualcuno resta immobile, incredulo. Si piange in silenzio. Non c'è spazio per la speranza o per il pensiero che un simile dramma possa essere evitato. Il messaggio è brutale, spietato nella sua verità: Andrea non c'è più, e nessun film, nessuna parola, potrà mai restituirlo alla vita.

Pasqualino Trubia

22/10/2024

È online il nuovo numero di Condi-Visioni. Grazie a tutti per il sostegno e per la fedeltà. Questo numero è dedicato all’identità con contributi molto interessanti. Di seguito le parole del nostro direttore. Buona lettura e ancora grazie.

“Mi capita spesso di pensare ai libri che non ho letto, ai chilometri che non ho calpestato, alle luci che non ho acceso, alle case che non ho abitato, ai letti che non ho vissuto, ai gatti che non ho spiato, ai cuori che non ho nutrito, ai sogni in cui non ho creduto, ai muscoli che non ho scolpito, agli occhi che non ho incontrato.

Mi capita… di pensare a quel che non sono. E a ciò che avrei potuto essere.

L’identità. Questa sconosciuta, verrebbe da dire. Le sue innumerevoli forme e sfumature, le sue nascite, le sue evoluzioni, le sue morti e resurrezioni credo siano ben raccontate, espresse, sottese in questo numero, che si pregia di contributi pronti a scavare ogni superficie.

Grazie a Giorgio Gabrielli, Giovanna La Vecchia e Walter Iolandi per la straordinaria capacità di tenere acceso e lucido il motore di questa avventura editoriale.

Grazie, senza limiti di tempo e di spazio, a Giuseppe Cesaro, per le parole, i pensieri, i sentimenti che ci ha donato.

Buona lettura, cari lettrici, cari lettori!”

Gerry Mottola

Per Andrea. Per tutti i ragazzi. Per tutte le mamme. Per Teresa Manes la mamma che non ha mai smesso di raccontare il su...
22/10/2024

Per Andrea. Per tutti i ragazzi. Per tutte le mamme. Per Teresa Manes la mamma che non ha mai smesso di raccontare il suo dolore. Grazie Teresa. Noi ci siamo per sempre

La propria Identità a costo della vita: Quando essere sè stessi conduce alla morte IN USCITA IL 7 NOVEMBRE IL FILM “IL RAGAZZO DAI PANTALONI ROSA” tratto dal libro di Teresa Manes. La vera storia di Andrea Spezzacatena “ucciso dal silenzio” il 20 novembre 2012. Fu il primo caso in Italia d...

Patria, parola importante, pesante, ingombrante e…..sacra! Ma non è forse il momento di fare una profonda riflessione su...
20/08/2024

Patria, parola importante, pesante, ingombrante e…..sacra! Ma non è forse il momento di fare una profonda riflessione sulla parola Patria? Lo ha fatto per noi lo scrittore Giuseppe Cesaro con un pezzo molto accurato e, come spesso accade, pungente e provocatorio.
Interroghiamo le nostre coscienze così da farci trovare pronti a disubbidire ogni qualvolta la Patria ci urlerà addosso i nostri doveri negandoci i nostri diritti. Abbiamo anche il potere di riconoscere che i nostri diritti vengono violati. Sacra è la Patria ma prima ancora sacro è l’essere umano.
Il pezzo di Giuseppe Cesaro è in ESCLUSIVA per i lettori di CondiVisioni. Grazie a nome di tutti.

Chiacchiere e distintivo! di Giuseppe Cesaro

“Quando la Patria chiama!…” tuonò il pingue e rubizzo podestà del piccolo borgo, al microfono della tribuna d’onore del campo sportivo. Davanti a lui, l’intero paese, riunito, come ogni sabato, per assistere alle manifestazioni di romana virilità dei suoi giovani, ardimentosi, figli.

“Speriamo che resti senza voce!”, urlò, dalla prima fila, uno dei più ardimentosi, prima che l’uomo potesse proseguire il suo stentoreo sermone.

Il ragazzo venne, ovviamente, fermato, identificato e portato via. Lo attendeva una punizione esemplare: sospeso da tutte le scuole del Regno.

Era il 1938 e aveva da poco compiuto sedici anni. Ventitré anni più tardi, sarebbe diventato mio papà.

Ogni volta che certa retorica torna a lordare di sé la realtà - spezzando le reni alla verità, imbellettando tutto e tutti di un’epica posticcia e ridicola, e trasformando l’informazione in indecente propaganda - ripenso alla lucidità e al coraggio di quel ragazzino (che, cinque anni dopo, si sarebbe unito alla Resistenza) e mi dolgo di non essere mai stato alla sua altezza. A questo punto, è evidente che non lo sarò mai. Mea culpa.

Ho scritto centinaia di articoli e due romanzi per denudare e denunciare l’ipocrisia subdola, velenosa e profondamente antidemocratica dei “benpensanti”. Eppure, malgrado tutti i miei sforzi, nulla in quella montagna di pagine ha la forza e l’efficacia di quel “speriamo che resti senza voce!”, urlato da un ragazzino, durante una delle ore più buie, dolorose e nefaste della Storia italiana.

Le parole sono banconote: hanno un “valore nominale” e uno “reale”. Quando il secondo non corrisponde al primo – cosa che accade con raccapricciante frequenza - non sono che carta straccia.

Se dico “ti amo” ma, in realtà, voglio solo indurti a fare sesso con me, l’amore di cui parlo non esiste. Evocarlo, non è altro che un modo immondo per riuscire a estorcerti ciò che - senza mentire, blandire e frodare - non riuscirei mai a ottenere da te.

Insieme a Dio e famiglia, patria è tra le parole più inflazionate in assoluto. Non solo da noi, a dire la verità. Ma questo non consola affatto. Al contrario: deprime e fa infuriare ancora di più.

Il “valore nominale” è altissimo; il “valore reale”, bassissimo. Talmente basso che, spesso, rasenta lo zero. E, a volte - come sta accadendo in questi ultimi anni - precipita addirittura sotto zero.

La parola patria è stata, infatti, ridotta a specchietto per le allodole: un vetrino colorato che viene spacciato per diamante, con l’unico scopo di convincerci a sacrificarci per un simulacro, vuoto e inutile come un dente cariato. Un “vitello d’oro”, che dei gran sacerdoti senza fede e senza scrupoli ci spingono ad adorare, consapevoli del fatto che, solo in nome di parole come Dio, patria e famiglia, riusciranno a farci commettere ogni genere di bassezza e scelleratezza.

Non lasciamoci incantare, quindi, dall’apparente nobiltà di quella parola. Di mera apparenza si tratta, appunto. Di nobile, infatti, è rimasta solo la parola. “Flatus voci”: una breve emissione di fiato e un suono che durano un secondo e, un secondo dopo, si disperdono nel nulla, come fumo di sigaretta.

Chi si serve di quella parola, lo fa per un unico obiettivo: servirsi di noi. Ci chiama “figli” ma si guarda bene dal riconoscerci ruolo e dignità di figli. A meno che non ci sia qualcuno convinto che figlio significhi suddito o servo.

Eppure questo squallido giochetto psicologico fa breccia facilmente in quel che resta delle nostre teste e coscienze. Teste e coscienze lobotomizzate da decenni di tv spazzatura, di informazione compiacente – che, in molti casi, da controllore del potere, si è trasformata in scendiletto dei potenti (nel 2024, secondo il World Press Freedom Index di Reporters Without Borders, l'Italia si è posizionata al 46° posto nella classifica internazionale della libertà di stampa), dall’orgia di stupidità, ignoranza, follia e odio dei social media e da un consumismo senza controllo, che ci spinge a desiderare - come una droga - pagandolo profumatamente, l’inutile e a fuggire - come la peste - tutto ciò che potrebbe dare senso, valore e profondità alle nostre vite, persino quando è gratis.

“Panem et circenses”: ricetta millenaria ma, ahimè, sempre efficace.

E, così, quando ci chiamano figli (valore nominale altissimo, valore reale inesistente), ci sentiamo, istintivamente, obbligati a “onorare il padre” (patria deriva, appunto, dall’aggettivo latino patrius «paterno», «del padre»). E, dunque, a fare tutto ciò che gli astuti cantori del culto della patria ci chiedono. Nefandezze e follie incluse.
E noi onoriamo il padre senza chiederci chi egli sia davvero, dimenticando che il comandamento cristiano (dietro al quale i predicatori senza scrupoli del falso patriottismo nascondono le loro inconfessabili intenzioni) ha valore unicamente se rispettiamo, davvero e in toto, la Parola di Cristo. Una Parola che, non solo ci impone di amare il nostro prossimo come noi stessi (Mc. 12,29-31) ma, addirittura, di amare i nostri nemici: “Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt. 5,44).

Due richieste, queste ultime, che nessuno dei gran sacerdoti del falso culto della patria condivide, né ci chiederebbe mai di rispettare, per due ragioni evidenti persino ai ciechi:

• essi odiano ogni genere di prossimo: negri, ebrei, musulmani, migranti, stranieri, omosessuali, intersessuali, transessuali, transgender, q***r, gender fluid, gender creative, non-binari, pansessuali, demisessuali, ma anche donne, giovani, vecchi e poveri;

• non fanno altro che creare nemici: interni o esterni, reali o presunti. Secondo costoro, infatti, non esiste patria senza un nemico. Nemico che non solo noi figli non dobbiamo azzardarci ad amare ma che ciascuno di noi deve imparare a odiare con tutto sé stesso.

Un figlio può benissimo decidere di amare comunque suo padre, pur sapendo che egli è un assassino, un violento (dentro e fuori la famiglia), un ladro, un bugiardo, un cialtrone, un ru****no. Tale scelta, però, è una scelta individuale che impegna solo quel figlio.
Un cittadino, invece, non è affatto tenuto a onorare una patria “solo chiacchiere e distintivo”, che non lo ama, non lo rispetta, e non solo non fa assolutamente nulla per lui ma, spesso, lo vessa e lo danneggia pesantemente.

Il celebre chiasmo con il quale, il 20 gennaio 1961, John Fitzgerald Kennedy chiuse il suo discorso di insediamento - «Non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese» - rappresenta, senza dubbio, un’invenzione retorica di grande forza e fascino.

Dato, però, che Kennedy usa la parola “country” [paese] e non “nation” [nazione] o “homeland” [patria], il vincolo morale che egli richiama non è né basato sul diritto di nascita (nazione deriva dal verbo latino “nasci”: nascere) né di territorio. Si tratta, semmai, di un vincolo che potremmo definire sociale, nel senso che ci viene dalla parola latina socius: «socio», «unito», «partecipe», «alleato». Un legame paritario ed egualitario, dunque, fondato su riconoscimento, rispetto e solidarietà reciproci tra tutti coloro i quali – a qualunque titolo e da qualunque parte del mondo provengano – danno vita alla comunità di quanti vivono in un certo Paese.

Non un vincolo sbilanciato, nel quale il soggetto forte (la patria) può tutto e il soggetto debole (il cittadino) può nulla o quasi; il primo è titolare di tutti i diritti, il secondo, solo di doveri; il primo vive alle spalle del secondo per soddisfare i capricci del primo.

• Se fossimo davvero figli, la nostra patria non farebbe gravare su di noi un debito pubblico stratosferico, giunto a un passo da quota 3mila miliardi (2.918mld): il 137% del nostro PIL, pari a 49.450 euro di debito per ogni “figlio”.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.
• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe un’evasione fiscale scandalosa: tra i 90 e i 100 miliardi di euro l’anno, secondo le stime interne. Stime internazionali, invece, la valutano tra i 100 e i 120 miliardi (Fondo Monetario Internazionale) se non, addirittura, 200-250 miliardi (EU Tax Observatory).
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe di accumulare, nel cosiddetto “magazzino della riscossione”, più di 1.200 miliardi di euro (più di 6 volte il PNNR) di tasse dovute e mai riscosse, il 90% delle quali lo Stato non vedrà mai.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non lascerebbe che il peso dell’Irpef si scaricasse, per oltre l’80%, sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe che i salari medi degli italiani fossero tra i più bassi d’Europa. Secondo Eurostat, i salari medi in Italia sono significativamente inferiori rispetto a quelli di molti altri paesi dell'Unione Europea. Il salario medio annuale in Italia si aggira intorno ai 31mila euro, contro una media dell'UE di circa 33.500 euro. In confronto, paesi come Lussemburgo e Danimarca registrano salari medi significativamente più alti, rispettivamente oltre 72mila euro e 63.300 euro. Anche in Francia e Germania i salari medi superano i 40mila euro annui, evidenziando una differenza di circa 14-15mila euro rispetto all'Italia.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe né la cultura androcentrica e ottusamente misogina alla base di un fenomeno drammatico e ingiustificabile come la violenza sulle donne. Secondo l’Istat quasi 7 milioni di donne (6,8mln) hanno subito, nel corso della loro vita, violenza fisica o sessuale: il 31,5% (quasi una su tre) delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni. La Relazione annuale del Ministero dell'Interno, inoltre, segnala che, nel 2022, si sono registrati oltre 15mila casi di stalking e violenza sessuale (in media, 41 al giorno; 1,7 ogni ora); secondo l’associazione D.i.Re - Donne in Rete contro la Violenza, infine, una delle forme più comuni di violenza contro le donne è la violenza domestica. Nel solo 2023, più di 23mila donne si sono rivolte ai centri antiviolenza. In media, 63 al giorno, 2,6 ogni ora.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe la follia dei femminicidi, più della metà dei quali attribuiti a partner o ex partner e circa il 20% ad altri parenti: 4 omicidi su 5 avvengono, quindi, nell’ambito familiare. Nel 2023, i femminicidi sono stati 120 (quasi 1 ogni 3 giorni); 80 nei primi otto mesi di quest’anno. Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe il fatto che le donne italiane guadagnino meno (4,2% secondo Eurostat; 5-7% secondo Istat, 10,7% secondo ODM Consulting) dei loro colleghi uomini, in un Paese che - secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum - si posiziona al 79° posto su 146 paesi nella classifica generale della disparità di genere, che comprende partecipazione economica e opportunità, accesso all'istruzione, salute e sopravvivenza, empowerment politico.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

• se fossimo davvero figli, la nostra patria non accetterebbe un tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) del 22-23%, né accetterebbe che il 14,9% dei giovani tra i 15 e i 29 anni rientri nei cosiddetti NEET (“Not in Education, Employment, or Training"): giovani che non studiano, non lavorano e non seguono alcun tipo di corso di formazione. Un tasso, quello italiano, significativamente superiore alla media UE, che si attesta sull’11,2%.
Nessun vero padre accetterebbe mai questo stato di cose.

Tutto questo, senza parlare della scandalosa situazione della giustizia nel nostro paese (spesso ridotta a questione di protezioni politiche & Co. o di disponibilità economiche dei singoli), del f***e smantellamento della sanità pubblica (già oggi tra i 4,7 e i 7 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi, per problemi economici, liste d'attesa troppo lunghe, difficoltà di accesso alle strutture sanitarie, eccessiva distanza dalle strutture mediche), della totale mancanza di attenzione, rispetto e risorse per scuola pubblica, università e ricerca scientifica.

Alla luce di tutto questo, la domanda che dobbiamo porci è: dove diavolo è il sedicente “padre” di tutti questi “figli”?

Ognuno di noi interroghi la propria coscienza.
Un fatto, però, emerge con indubitabile, dolorosa, chiarezza: fino a quando la patria non comincerà a parlare con voce di libertà, giustizia, eguaglianza, diritti e pari opportunità per tutti i suoi figli, attuando - nei fatti e non negli slogan elettorali - il mandato costituzionale (Art. 3) che recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, non sarà davvero patria.

E ogni volta che ci chiamerà, più che il diritto, avremo il dovere di urlare: “speriamo che resti senza voce!”

55 anni fa - 15/18 agosto 1969 - Woodstock
15/08/2024

55 anni fa - 15/18 agosto 1969 - Woodstock

Woodstock 1969

HERMANN HESSE SULL'AMORE “Quanto più invecchiavo, quanto più insipide mi parevano le piccole soddisfazioni che la vita m...
12/08/2024

HERMANN HESSE SULL'AMORE

“Quanto più invecchiavo, quanto più insipide mi parevano le piccole soddisfazioni che la vita mi dava, tanto più chiaramente comprendevo dove andasse cercata la fonte delle gioie della vita. Imparai che essere amati non è niente, mentre amare è tutto, e sempre più mi parve di capire ciò che da valore e piacere alla nostra esistenza non è altro che la nostra capacità di sentire.

Ovunque scorgessi sulla terra qualcosa che si potesse chiamare “felicità”, consisteva di sensazioni. Il denaro non era niente, il potere non era niente. Si vedevano molti che avevano sia l’uno che l’altro ed erano infelici. La bellezza non era niente: si vedevano uomini belli e donne belle che erano infelici nonostante la loro bellezza.

Anche la salute non aveva un gran peso; ognuno aveva la salute che si sentiva, c’erano malati pieni di voglia di vivere che fiorivano fino a poco prima della fine e c’erano sani che avvizzivano angosciati per la paura della sofferenza. Ma la felicità era ovunque una persona avesse forti sentimenti e vivesse per loro, non li scacciasse, non facesse loro violenza, ma li coltivasse e ne traesse godimento. La bellezza non appagava chi la possedeva, ma chi sapeva amarla e adorarla.C’erano moltissimi sentimenti, all’apparenza, ma in fondo erano una cosa sola. Si può dare al sentimento il nome di volontà, o qualsiasi altro. Io lo chiamo amore. La felicità è amore, nient’altro. Felice è chi sa amare. Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa senta se stessa e percepisca la propria vita. Ma amare e desiderare non è la stessa cosa. L’amore è desiderio fattosi saggio; l’amore non vuole avere; vuole soltanto amare.”

Il 9 agosto 1962 ci lasciava Hermann Hesse, grande scrittore, poeta e pittore tedesco naturalizzato svizzero, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1946.

Assieme a Franz Kafka e Thomas Mann, Hesse è tra gli scrittori di lingua tedesca del XX secolo più letti nel mondo, tradotto in più di 60 lingue e con circa 150 milioni di copie vendute in tutto il mondo

Foto di Giovanna La Vecchia - Montagnola (Svizzera) Casa Museo di Hermann Hesse

10 agosto 2023. Un anno fa ci lasciava Michela Murgia. Ma è così semplice ritrovarla ovunque perché lei è colei che con ...
11/08/2024

10 agosto 2023. Un anno fa ci lasciava Michela Murgia. Ma è così semplice ritrovarla ovunque perché lei è colei che con un linguaggio semplice è arrivata dovunque ed a chiunque. Grazie per il tuo straordinario contributo e per tutte le verità che non hai voluto tacere.

“Amarsi vuol dire perdere l'equilibrio, derubarsi l'un l'altro, attrarsi e spaventarsi, scambiarsi di posto: è questo che fanno Eleonora e Chirú. La loro è una storia di apprendistato, dono, manipolazione e gioventú. Lei maestra, lui allievo, ma entrambi impreparati davanti alla lezione piú difficile: quando l'amore smette di essere una forza e diventa un potere?” - Chirú di Michela Murgia (Einaudi)

“Indifesa”, “31 aprile: il male non muore mai”, “Manuale per aspiranti scrittori” sono tre libri di Giuseppe Cesaro cons...
10/08/2024

“Indifesa”, “31 aprile: il male non muore mai”, “Manuale per aspiranti scrittori” sono tre libri di Giuseppe Cesaro consigliati per le vostre vacanze. Non riuscirete a smettere, sarete “capovolti” da mille sentimenti contrastanti, catturati ad ogni pagina senza possibilità di rilascio sotto cauzione. La scrittura di Giuseppe Cesaro è benedizione e condanna, ma serve a spalancarci gli occhi su realtà e verità. E l’onestà non è un optional. Grazie a Giuseppe, amico e grande sostenitore di CondiVisioni, giornalista, scrittore, ghostwriter, curatore, editor e traduttore, professionista creativo ed originale. Di lui ne abbiamo bisogno, leggerlo è sicuramente un atto d’amore e di rispetto verso noi stessi.
Pubblichiamo un suo pensiero sul tema del nostro ultimo numero.

“Apparenza” di Giuseppe Cesaro

“L’apparenza inganna”, diciamo. Vero. Ma è solo a causa di un sillogismo fallace. Per noi, infatti, “apparente” equivale a “evidente”, “evidente” equivale a “vero” e, dunque, “apparente” equivale a “vero”.

Falso. Non serve disturbare millenni di filosofia per dimostrarlo. Basta pensare al Sole. Era talmente evidente che fosse lui a muoversi, che l’umanità ha impiegato millenni prima di chiedersi se non fosse, invece, la Terra a girargli intorno. Eppure, ancora oggi diciamo che il Sole sorge e tramonta: falsità che accettiamo come verità.

Uno dei motivi per i quali scrivo è proprio per insinuare il seme del dubbio, che – al contrario di ciò che pensiamo - è l’anticamera, non la negazione della verità.

“Indifesa” (il mio primo romanzo firmato da me dopo quasi vent’anni di ghostwriting) è una sorta di parabola/metafora che – attraverso la surreale vicenda di Andrea (che, per tutta la vita, passa da un sesso all’atro, senza mai sapere perché il suo corpo si trasformi né quando e dove accadrà) – ci pone due domande anti-apparenza: chi siamo davvero? Siamo disposti a riconoscere la nostra e l’altrui vera natura?

“Il fatto è che mi sono sempre sentita fuori posto, sia come uomo che come donna. Probabilmente ero condizionata dall’idea che uno debba essere o l’una o l’altra cosa: il mondo non perde occasione per ricordartelo. Fa già una fatica immensa ad accettare l’idea che ognuno abbia la sua identità, figurarsi se può accettare il fatto che esista qualcuno che di identità ne ha addirittura due”.

In “31 aprile: il male non muore mai” - il mio secondo romanzo - lo stesso tema viene ripreso in relazione al nostro ipocrita rapporto col male: sosteniamo di disprezzarlo e fuggirlo mentre, in realtà, lo amiamo e lo pratichiamo molto più del bene.

“La verità è che il male è bello. Bello e infinitamente più affascinante del bene. […] Togliere una vita, è infinitamente più eccitante che darla. Uccidere inebria, molto più del sesso, dell’alcol e di qualunque tipo di droga, perché trasmette un senso di onnipotenza che nient’altro è in grado di trasmettere. […] una scarica di adrenalina talmente forte che ti senti invincibile, immortale, un Dio!”

Persino nel mio “Manuale per aspiranti scrittori” il tema dell’apparenza è centrale, dal momento che cerco di spiegare che – al contrario di ciò di cui siamo tutti convinti – il romanzo non è affatto la storia che racconta. Ma questa è, appunto, un’altra storia. Un altro giorno, chissà…

10/08/2024

Dopo la cerimonia di apertura con le arie della Tosca a Caracalla, si e' chiuso giovedì 8 agosto il World Congress of Philosophy nell'Aula Magna dell'Universita' La Sapienza con un'infuocata e coinvolgente taranta.

A Rogliano (Cs) c'è la Piccola Biblioteca di Cuti, la più fornita e plurale Biblioteca Rionale d’Italia. Oltre mille tit...
10/08/2024

A Rogliano (Cs) c'è la Piccola Biblioteca di Cuti, la più fornita e plurale Biblioteca Rionale d’Italia.
Oltre mille titoli, in varie lingue, per tutti i gusti.

Annoverata tra i Musei della Restanza, ospita artisti e lettori da tutto il mondo.

È frutto di grande passione e sacrificio.

Ideatore, creatore, fondatore della Piccola Biblioteca di Cuti è Daniel Cundari, nato a Rogliano nel 1983. Poeta, traduttore e narratore, come performer plurilingue è molto apprezzato all'estero. Si è esibito in Cina, Messico, Serbia, Spagna, Francia, Slovacchia, Germania e in centinaia di manifestazioni culturali italiane.

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ℹ️ 3315967851






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Rome

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