14/05/2022
LUCIANO CLERICO, IL DOPO
C'è dentro ognuno di noi, per ciascuno di noi, un dopo.
Può condurre ad un luogo fisico o a uno stato mentale. A ricordi, sogni, speranze attuate o deluse.
Il Dopo del titolo è un edificio. Una villa patrizia diventata un secolo fa Casa del Popolo, a cui Luciano Clerico, giornalista e scrittore, affida il compito di raccontare cento anni di storia, a Lessona, piccolo paese delle Prealpi Biellesi, dove l'autore è cresciuto. Una delle prime aperte in Italia (venne inaugurata il primo maggio 1921), trasformata per legge nel 1928 in Dopolavoro fascista (il Dopo, appunto), affacciata sulle colline e sulle vigne dell'Alto Piemonte, per cento anni è stata e continua ad essere un luogo di incontro. Ed è proprio il Dopo la voce narrante, che racconta in prima persona le tante storie di operai, commercianti, contadini, che da lì sono passati.
"Storie piemontesi dal valore extra piemontese - garantisce l'editore Beppe Valperga, di Luna Edizioni - Di umanità diffusa in cui ciascuno di noi può trovare qualcosa di sé". Nove in tutto, in cui il protagonista della prima diventa comparsa nella seconda, e così via, seguendo una narrazione circolare che punta a esprimere la coralità di una dimensione collettiva, l'anima di un paese. "Un libro sicuramente fuori dagli schemi tradizionali, dove la realtà romanzata si sviluppa attraverso un filo conduttore rappresentato da un pezzo di storia quale è il Dopo - scrive nella prefazione Gabriele Tacchini, storico caporedattore di Ansa Milano, presidente del Gruppo Lombardo giornalisti sportivi e fondatore del Premio PontedilegnoPoesia - Leggendolo posso dire che oggi Luciano ha trovato una sua nuova vera dimensione: l'anima dello scrittore ha soppiantato quella del giornalista dopo essere convissute per lungo tempo". Il Dopo, che sarà presentato in anteprima al Salone del Libro di Torino, è in primo luogo, come scrive Tacchini, "un atto d'amore verso una terra e la sua gente". "E' vero - ammette Clerico -. Il tentativo è stato quello di raccontare un modo d'essere che è proprio di quei posti. Ma non è facile trovare una lingua che renda, in italiano, l'immediatezza del dialetto e nello stesso tempo mantenga la forza della narrazione. Ho dovuto lavorare molto sulla parola, cercare dialoghi che esprimessero, in italiano, il ritmo della lingua dialettale. Con le dovute proporzioni, Fenoglio, Pavese e Primo Levi mi hanno aiutato tantissimo. Ma per andare subito al "nocciolo" di ciò che intendevo rievocare, mi è stato di grande aiuto anche aver lavorato per tanti anni all'Ansa. In quello, credo, sta il valore extra piemontese di queste storie che sono, e vogliono essere, squisitamente piemontesi".
Ringraziamo Marisa Alagia dell'Ansa per lo splendido articolo!