13/04/2021
Marco De Luca
GEMMAE LUCIS
A cura di Roberto Pagnani
In mostra dal 17 al 25 aprile 2021
spazio PAVVAVICINI 22
Via Pallavicini 22 Ravenna
www.pallavicini22.com
Marco De Luca. Le Pale di San Martino
di Luca Maggio
“È molto più necessario che si aprano qua e là dei pozzi di luce.” Christian Bobin
Tre stele. Così l’ultima architettura musiva di Marco De Luca: Le Pale di San Martino (2020). Tre cime, sintesi dolomitica, sono testimoni dell’incanto dell’artista davanti al sublime di questo tratto alpino antico milioni di anni e colto nell’attimo del tramonto, eterno ritorno quotidiano del precipitare del giorno nel suo darsi l’addio, abbracciando il corpo immenso della montagna, erotica della luce su una massa aperta di declivî e crepacci e cime, sedimentata poi nella memoria di un uomo, nel tempo dunque minuto e individuale, filtrato dai raggi dell’iride alle pieghe delle mani, sapienti sue nel tagliare e condurre a casa, tessera dopo tessera, andamento per andamento, ogni smalto o soffio di marmo emergente dalla parete petrosa del fondo.
Ciascun elemento è disposto a sua volta all’interno di micro-campi quadrangolari mai eguali e composti da toni che spaziano dai grigi delle estremità laterali – a riprendere il supporto – alle terre ocra più scure alla base e via via chiarificate dall’inserto di virgole celesti e soprattutto dalle molte declinazioni dei rosa preziosi (usati secoli addietro per i visi di santi antichi bizantini), qui prevalenti e volti a restituire l’eco cromatica della dolòmia, la carne viva della roccia che si illumina grazie alla malìa degli inserti di oro più fitti all’apice, sostanza segreta di queste strutture, pioggia ascendente che attende ogni goccia dell’altra luce, quella della stella solare.
Di altezze e sagomature differenti, due antecedenti, l’ultima a colmare l’orizzonte, le tre Pale ricordano certa fascinazione espressa da Shaftesbury nei suoi Saggi morali: “Persino le aspre rupi, gli antri muscosi, le caverne irregolari e le cascate ineguali, adorne di tutte le grazie della selvatichezza, mi appaiono tanto più affascinanti perché rappresentano più schiettamente la natura e sono avvolte da una magnificenza che supera di gran lunga le ridicole contraffazioni dei giardini principeschi.”
I sogni di De Luca nascono dalla natura effettivamente, trasfigurandola in altro, in alto, in meditazione. E pare di percepire, avvicinandosi a queste tre dita terrestri eppure sacre, come quelle della benedizione ortodossa, melodie inattese, i cori dell’Ars poetica di Mansurian, il miracolo dell’Officium di Garbarek e The Hilliard Ensemble, suoni che salgono incessanti continui, note umane e strumentali che si inseguono come le tessere e ripiegano e si rialzano, nascendo da un altrove dove sanno ricondurre chi le ascolti e le senta proprie, come chi rapito si perda fra i colori delle vette di De Luca