Pensare ad una gestione del territorio etica forse significa non pensare ad una agricoltura così come intendiamo oggi, e forse a nessun tipo di agricoltura così come umanamente abbiamo da sempre considerato. I nostri compagni di viaggio su questo pianeta hanno occupato ogni nicchia biologica, ed anche ogni nicchia dello spazio fisico, tali da poter considerare tutta la vita come un unico grande e
ssere vivente, spostare gli equilibri interni senza stravolgere la vita dello stesso è impossibile. La libertà all’interno del sistema esiste fino a che non si mette in dubbio la stessa. Ma l’umanità non può più permettersi di agire in punta di piedi, la rilevanza di ogni nostra scelta è tale da modificare profondamente tutto l’ecosistema, e come stiamo vedendo oggi anche gli equilibri fisici del pianeta, e portare oltre i limiti di sopravvivenza interi settori ecologici, all’estinzione le specie collegate, ma direi soprattutto che si condiziona pesantemente l’evoluzione degli stessi, si impedisce uno sviluppo e una evoluzione secondo parametri naturali e con ritmi sostenibili, insomma gli effetti a lunga scadenza potrebbero essere più disastrosi di quelli immediati. La violenza diretta è solo un aspetto dello stravolgimento, ma la pressione esercitata dall’uomo spinge le altre specie verso direzioni dettate dall’evoluzione della nostra tecnologia, e quindi ad una lenta agonia, o per chi ce la farà, ad una resistenza ai nostri interventi, e questo porta spesso a squilibri di ogni livello. Gli esseri umani considerano il territorio che utilizzano, necessariamente una superficie neutra e senza vita, da riempire di cose a noi utili. Un substrato reso quasi sterile ed asettico, sia per abitare che per coltivare il cibo, dove appoggiare i nostri manufatti, far crescere, vivere, solo quello che ci serve. Questo concetto porta spesso anche delle incomprensioni tra le persone, dissidi difficili da analizzare perché ognuno da per scontati i suoi punti di riferimento, il nostro mondo “campato per aria” la base di partenza del nostro agire, del nostro vivere. Le nostre conoscenze scientifiche spesso sono limitate, e spesso anche esse non vengono enunciate partendo dai concetti di fondo, dalle basi filosofiche, e così ognuno di noi sogna un mondo proprio, partendo dalle proprie convinzioni, che spesso dipendono dal tipo di lavoro, dalla cultura, dalla propria storia, dal sesso e dal ruolo. Tutti siamo consapevoli di non essere perfetti, che la nostra coerenza ha il limite nel buon senso, nel possibile, la sostenibilità delle scelte. Ma spesso le nostre conoscenze superficiali ci impediscono di fare autocritica di valutare l’effettivo valore delle nostre scelte. Ad esempio mi sono sempre chiesto, da tendenzialmente vegetariano, se tutti i vegetariani o meglio i vegani siano consapevoli che la coltivazione di vegetali implica la distruzione di un numero infinito di forme di vita animale, aeree, superficiali, e soprattutto sotterranee. Pochi si rendono conto che una linea di trattore per piantare pochi cavoli equivale all’annientamento di un grandissimo numero di esseri viventi, e che in peso supererebbero le specie che possono nutrirsi in quella superficie, perché la natura tende comunque all’efficienza, alla compresenza di molti livelli biologici, cosa che a noi fa tanta paura, a parte cani e gatti e qualche altra specie, è questo il grado di evoluzione del nostro senso di appartenenza ad un ecosistema specificamente nostro. E nemmeno possiamo pensare ad ecosistemi urbani, la città è solo il risultato di componenti economiche e di mercato, ma un mercato di spazi senza vita, che probabilmente rimarranno tali negli anni. La dura critica al nostro stile di vita non vuole rimanere tale, lo scopo di tanto sforzo e tante parole è quello di iniziare un dibattito, confrontarsi sulle nostre rispettive esigenze, e condividere le scelte, una maggior conoscenza delle varie tipologie di intervento sul territorio, ottenere una maggior consapevolezza dei problemi che incontriamo quotidianamente nel tradurre le esigenze umane in beni di consumo, strutture per la produzione e per la vita in generale, nel trovare le risorse, i materiali, l’energia, le tecniche e rispettare la vita preesistente. Un compito tanto arduo quanto misero di riconoscimenti, culturali come economici. Divideremo le comunicazioni in tre capitoli distinti, con argomenti diversi anche se interconnessi. La salvaguardia e l’evoluzione della biodiversità. Equità sociale e cooperazione anche verticale, viste nell’ottica della ricostruzione di un tessuto sociale. Salute alimentazione stili di vita e consumi.