06/02/2025
(✏️ Tommaso Labate) «Abbiamo un problema molto serio, una bomba a orologeria che sta per esplodere».
Chi ha un problema, maestro Avati?
«Il cinema italiano. Non è la solita boutade, siamo davvero a un passo dal baratro. Anzi, ci siamo già dentro».
In che senso?
«Chiuda gli occhi e immagini un produttore cinematografico italiano, uno di quelli che considera ricco sfondato, senza ovviamente farmi il nome. Fatto?».
Fatto.
«Ecco, anche lui non dorme sonni tranquilli. Sta per finire tutto».
Dopo quasi sessant’anni di cinema, lei sarà ricchissimo.
«Macché, sono povero. Se fossi rimasto a vendere surgelati sì, a quest’ora sarei milionario».
Stiamo conversando in questa casa romana bellissima a due passi da piazza di Spagna, che da sola varrà...
«Altolà. Ci vivo da cinquantacinque anni ma non è mia, sono in affitto».
Perché non l’ha mai comprata?
«Perché non ho i soldi. Ci sono stati anni in cui ne ho avuti, anni in cui le banche elargivano così tanto credito al cinema italiano che mio fratello Antonio (da sempre il suo produttore, oltre che sceneggiatore, ndr) girava con la carta in titanio dell’American Express. Con quella potevi alzare il telefono e prenotare un volo per l’Australia con la cena nel miglior ristorante di Sidney appena atterrato, senza neanche arrivare a domandarti quanto avessi sul conto. I soldi giravano, punto. Ora a stento c’è il bancomat. Le cifre di cui si parla sottovoce fanno paura». 👉 Leggi l'intervista completa sul Corriere