Casa editrice indipendente, plurale e democratica. Napoli. Orthotes, casa editrice indipendente, plurale e democratica. Questa è l’"e-videnza" dell’ente.
Si occupa prevalentemente di saggistica filosofica, considerando il "filosofico" nella sua accezione più semplice e caratteristica, e cioè come uso del sapere a vantaggio degli esseri umani, donne e uomini. La casa editrice opera nella convinzione che ogni lavoro culturale ben sviluppato e argomentato sia un lavoro filosofico, inerisca esso alle scienze teoretiche (filosofia, critica, analisi), a
quelle pratiche (etica, politica, società), o poietiche (arti musicali, figurative, tecniche). In funzione di questi principi operativi Orthotes definisce il proprio orientamento, indipendente e non programmatico, cercando di volgere lo sguardo verso la "retta direzione" di un sapere che rischiara e illumina perché di se stesso insegna l'uso. Tutto dipende dalla orthotes, dalla correttezza dello sguardo. In virtù di questa correttezza, il vedere e il conoscere diventano retti, cosicché alla fine si rivolgono direttamente all’idea suprema e si fissano in questa "direzione". Così dirigendosi l’apprensione si conforma a ciò che deve essere veduto. Per effetto di questo adeguarsi dell’apprensione in quanto idein all’idea, si costituisce una omoiosis, una concordanza del conoscere con la cosa stessa. In questo modo dal primato dell’idea e dell’idein sull’aletheia nasce un mutamento dell’essenza della verità. Martin Heidegger, Dell'essenza della verità
08/12/2025
Che cosa significa esattamente la parola “arte”? A un primo sguardo sembra che il concetto di “arte” abbia sempre avuto a che fare con la natura del bello e con l’estetica. Ma quando ci chiediamo che cosa significhi in origine la parola «arte», ci imbattiamo nella problematica tensione che tiene insieme tre concetti decisivi della tradizione metafisica: “natura”, “arte” e “tecnica”. In ultima analisi il tratto più essenziale dell’arte sembra essere quello dell’“artificialità”. Ma come va pensato il nesso tra “naturalità” e “artificialità”? E come si pone la questione della “tecnica” – nome originario dell’“arte” – nel rapporto tra quei due concetti apparentemente contrapposti?
In un’epoca nella quale il dominio della tecnologia non impedisce alla filosofia di sviluppare un rinnovato interesse verso le forme della natura, ci si chiede se non sia l’arte il luogo più eminente nel quale abbiamo pensato il problematico rapporto tra “tecnicità” e “naturalità”.
08/12/2025
Da un lato al bene, ovvero a ciò che ci compie, non possiamo non tendere sempre, dall’altro il bene stesso esercita un’attrazione e una pretesa sulla nostra vita. Ecco perché, nella prospettiva di Tommaso d’Aquino, non c’è opposizione fra finalismo e normatività, e la domanda fondamentale della sua etica si può formulare così: quale bene è degno del nostro amore? Il volume, esito di un lungo lavoro di ricerca, espone in modo chiaro e sintetico il contenuto di testi estremamente ampi e articolati, e sconosciuti ai più. Esso mostra come il fondamentale presupposto antropologico dell'etica di Tommaso sia la stretta unità e sinergia, pur nella distinzione dei piani, di psiche e corporeità, razionalità speculativa e pratica, ragione e passioni, ragione e volontà, ragioni e motivazioni, materia e fine dell'azione, moralità e felicità, norma e virtù. Di qui il suo interesse in un’epoca in cui da molte parti si sente l’urgenza di superare nette divaricazioni, recuperando una concezione più unitaria dell’uomo e del suo agire.
08/12/2025
Obiettivo che questo volume si propone non è né la ricostruzione filologica del dibattito finalistico nella storia (più o meno recente) della filosofia né una determinazione oggettiva del concetto di finalità, ma di ridare vita a un gesto teoretico del Novecento che non ha ancora esaurito la sua vitalità. Il pensiero neofinalista – che trova in Raymond Ruyer il suo padre putativo – può rappresentare un campo di ricerca fertile per affrontare temi d’attualità filosofica: dal rapporto tra il vivente e la macchina, alla portata “pratica” di una filosofia dell’organismo, passando per questioni più propriamente epistemologiche e cosmologiche.
La sfida di questo volume consiste nell’ibridare il pensiero neofinalista con la fenomenologia d’ispirazione dialettica di Maurice Merleau-Ponty, tentando di aprire sentieri filosofici che con troppa fretta sono stati considerati “interrotti”. Attraverso l’intreccio e il reciproco sporcarsi delle filosofie di Ruyer e Merleau-Ponty, il volume aspira a mappare quella che non può essere considerata una linea minoritaria di problematiche filosofiche.
Saggi di:
Prisca Amoroso, Veronica Cavedagna, Gianluca De Fazio, Francesco Di Maio, Alberto Giustiniano, Giovanni Leghissa, Francesco Pugliaro
07/12/2025
Chiunque ritiene di sapere cos'è un'amicizia, da cosa riconoscerla e come nominare i suoi gesti, quali rapporti debba intrattenere con l'amore, la famiglia o le asimmetrie; oltre quali soglie non può spingersi, pretendere e ambire – quantomeno non in maniera ragionevole. Ma ci si potrebbe chiedere: attraverso quali avvenimenti imprevisti, per quali giochi del vero e del falso, a opera di quali torsioni del pensiero e del sentimento, soprattutto contro chi abbiamo potuto acquisire quest'evidenza? Com'è accaduto che all'amicizia spettasse una forma specifica d'esperienza con le sue norme e i suoi vissuti?
Rispondere a questi interrogativi vuol dire confrontarsi con il compito di una storia del presente, pratica i cui contorni sono stati delineati da Michel Foucault, che nel 1982 dichiarava: «se c’è una cosa che mi interessa, oggi, è il problema dell’amicizia. Dopo aver studiato la storia della sessualità, bisogna comprendere la storia dell’amicizia». Si tratta, in questo lavoro, di saggiare la possibilità e il valore di questa storia.
L'amicizia appare nell'immediato come qualcosa di privato e indipendente dalle relazioni di potere, si definisce anzi tramite una sospensione di tutta una serie di relazioni (gerarchiche, sessuali, di dipendenza) che non possono incrociarla, pena il suo snaturamento. Ma che l'amicizia esista, che abbia una natura – e che possa dunque ve**re snaturata – è qualcosa di cui bisogna rendere conto.
07/12/2025
Nel 1887 Hans Vaihinger definiva l'edizione delle Riflessioni di Kant sulla Critica della ragion pura "la pubblicazione più importante degli ultimi anni". Con essa, infatti, iniziava l'interesse per le opere inedite e postume di Kant, che ha trasformato profondamente la nostra immagine della sua filosofia. Benno Erdmann, direttore delle edizioni delle opere di Kant per l'Accademia di Berlino dopo la morte di Dilthey, ha ricostruito, partendo da annotazioni manoscritte, le riflessioni di Kant sulla Critica della ragion pura, mostrando come il testo non sia un lavoro unitario ("completato" in pochi mesi, come dichiarato dallo stesso Kant), bensì un'operazione basata sulla ricostruzione e collazione di diversi manoscritti risalenti al periodo che va dal 1772 al 1780. Il criticismo, cioè il periodo della riflessione di Kant che culmina poi con la pubblicazione della Critica della ragion pura (1781), è dunque diretta conseguenza di una evoluzione che passa attraverso la precedente sconfessione della metafisica di Wolff e di Crusius, la formulazione di un nuovo concetto di metafisica intesa come "scienza dei limiti della ragion pura", e la confutazione dei problemi messi in luce dalle antinomie, cioè da quei ragionamenti che sono egualmente veri e falsi poiché non basati sull'esperienza sensibile. Questa edizione ha dunque il pregio di restituire al lettore, anche grazie all'apparato di note di Erdmann che fanno da commentario al testo, la complessa maturazione di una delle più rivoluzionarie opere del pensiero filosofico.
07/12/2025
Il libro mette in rilievo come l’idea di tempo, quale oscillazione tra istante e intervallo, tra innovazione e continuità, sia il nucleo centrale della filosofia di Jankélévitch. La concezione dell’uomo, delle sue attività, dei suoi atteggiamenti di fronte al tempo, ma soprattutto il modo di intendere la vita morale e la virtù, dipendono, per il filosofo dell’effettività, dalla natura chiasmatica della temporalità. Interprete originale del pensiero bergsoniano, di cui condivide le analisi sulla realtà come durata, Jankélévitch accoglie anche, del pensiero dell’ultimo Schelling, l’impostazione metafisica, la concezione creazionistica, l’accento posto sugli aspetti di improvvisazione, discontinuità e creatività del tempo come istante. Particolarmente acuto nella descrizione di atteggiamenti e sentimenti come la noia e la nostalgia, l’ironia e la serietà, il rimpianto e il rimorso, l’amore e l’egoismo, il perdono e il non-perdono Jankélévitch tocca la massima capacità di aderenza alla vita nelle analisi sull’irreversibilità e sull’irrevocabilità, ritenute i caratteri costitutivi della temporalità.
07/12/2025
Stile e Idea è una raccolta di scritti selezionati dallo stesso Schönberg per dar vita a un volume unitario con cui il compositore chiarisce e sostiene la necessità delle sue innovazioni, anche nei termini politici di una decisa presa di posizione contro gli orrori perpetrati dal nazismo. La dodecafonia si può infatti leggere come la creazione di un nuovo universo fatto di relazioni eque e non prevaricanti.
Il tono dei saggi – a volte leggero, a tratti ironico, spesso concettoso – apre un varco sulla profondità del pensiero di Schönberg, la cui musica è ancora oggi, nel XXI secolo, la più rivoluzionaria e moderna.
Il volume è arricchito da un ampio saggio introduttivo e da un esteso apparato di note e commenti volti a contestualizzare e approfondire il testo originale anche tramite confronti dettagliati tra la prima edizione e le successive.
07/12/2025
Grazie al suo intenso e sempre rinnovato confronto con il pensiero di Walter Benjamin, di Jacques Derrida e di Jacques Lacan, Bruno Moroncini (1946-2022) ha elaborato un suo personalissimo stile di pensiero, volto a riconoscere all’esperienza, nel senso radicale del termine, tutti i suoi diritti, e a trarre da ciò rinnovate e decisive indicazioni per la riflessione etica e politica.
Questo libro raccoglie alcuni degli articoli più stimolanti – mai ripresi in volume prima – dedicati da Moroncini alle invenzioni teoriche benjaminiane, alle implicazioni ultime del decostruzionismo, al portato del confronto della filosofia con la teoria e la prassi psicoanalitiche. I testi proposti si accompagnano a tre articoli – di Mario Bottone, Fabrizio Desideri, Silvano Facioni – intesi a individuare le maggiori linee di forza del lavoro critico compiuto da Moroncini e a misurare il contributo da lui offerto alla costruzione di un’immagine rinnovata di compiti e responsabilità attuali del pensiero filosofico.
07/12/2025
– È bene mantenere il desiderio di trovare qualcosa dietro al velo, senza tuttavia spingersi troppo in là. Non solo perché dietro al velo non c’è ciò che si pensa di trovare, ma perché se c’è qualcosa è l’abisso, è la testa di Medusa. (Cristiana Cimino)
– È grazie a questa sua natura plastica che la figura istituisce contatti tra elementi diversi o addirittura opposti, e presentifica raggruppamenti inediti, concentrazioni, sostituzioni che rilanciano il pensiero portandolo a espressione. (Carmelo Colangelo)
– L’idea fissa non torna mai come elemento statico, ma come reminiscenza costantemente ricostruita e costantemente distorta dai suoi stessi frammenti. (Viviana Faschi)
Saggi di: Matteo Bonazzi, Pierpaolo Cesaroni, Cristiana Cimino, Carmelo Colangelo, Elena De Silvestri, Viviana Faschi, Elio Grazioli, Federico Leoni, Célin Menghi, Riccardo Panattoni, Igor Pelgreffi, Gianluca Solla
06/12/2025
Deleuze, con tutta probabilità, non lesse mai direttamente la sconfinata opera di Peirce ed ebbe accesso solo ad un “Peirce di seconda mano”, attraverso le antologie di Gérard Deledalle. Proporre di lavorare all’intersezione fra Deleuze e Peirce non può che configurarsi dunque come un equivoco, e nella fattispecie come un equivoco ermeneutico. Se quello tra Deleuze e Peirce è in linea di principio un incontro impossibile, è proprio a partire da questa radicale discontinuità che ci sarà occasione di evidenziare delle soglie di continuità. A nostro modo di vedere Deleuze non dispone di una semiotica di stampo peirceano. Porremo dunque sullo sfondo quello che Deleuze ha scritto su Peirce nei suoi testi sul cinema per attualizzare invece ciò che in riferimento a Peirce è rimasto impensato nella penna di Deleuze. Ci avventureremo così nella “libreria concettuale” del non pensato deleuziano per riattivarne alcuni nodi problematici, nell’alleanza con Peirce. Il tentativo è quello di tenere insieme l’aspirazione cosmologica con cui entrambi guardano al reale, nonché una nuova immagine del pensiero, che vive nel rapporto mutuale fra virtualità e attualità, ovvero fra generalità ed individuazione. Il testo è un gioco concettuale che senza prendere troppo sul serio cosa Deleuze e Peirce hanno effettivamente detto, si colloca nel mezzo fra i due pensatori, con l’obiettivo di mostrare fino a che punto questa doppia deformazione possa reggere, dandoci alcuni indizi su come abitare il nostro contemporaneo.
06/12/2025
Nel mondo spirituale di E.T.A. Hoffmann, magistrato e artista poliedrico – poeta, recensore e compositore musicale, scenografo e regista teatrale a un tempo – la musica svolge un ruolo primario, è espressione della Sehnsucht romantica, di una tensione mai appagata verso l’infinito. È la sfera del demoniaco e del soprannaturale che si contrappone alla prosaicità del quotidiano. Johannes Kreisler, il musicista generato dalla fantasia hoffmanniana e per taluni versi suo “doppio”, vive in modo tragico e grottesco questo dualismo arte-vita. Da un lato egli è l’artista-clown che intrattiene il suo pubblico salottiero, borghese e filisteo; dall’altro è vivente testimonianza di una crisi dell’arte mercificata e dell’artista divenuto incapace di creare. Ma in queste pagine ci parla anche lo Hoffmann recensore e critico che giunse alla poesia attraverso la musica.
I Kreisleriana, nella finzione poetica gli scritti di Johannes Kreisler, fanno parte dei Pezzi fantastici alla maniera di Callot (1814-15); a essi si ispirò, nella composizione della Kreisleriana op. 16 per pianoforte, Robert Schumann, figura paradigmatica del romanticismo musicale.
Nei Princìpi della filosofia dell'avve**re (1843) Feuerbach ricostruisce la genealogia dell'idealismo, mostrando il legame tra teologia e forme filosofiche sostenuto già nelle Tesi provvisorie per una riforma della filosofia. Tuttavia non si ferma ad una lettura, pur geniale, della storia della filosofia, ma prospetta una nuova soluzione del problema ontologico che eviti il vuoto di soggetto in cui incorre la logica di Hegel: l'essere non è solo pensato ma esperito come altro rispetto al pensiero. Feuerbach propone una nozione positiva della sensibilità, uno sguardo rinnovato che pone la causa del desiderio umano nel campo del visibile. Andare oltre Hegel non significa infatti recuperare il concetto romantico di sentimento, ma riconoscere la positività del reale. Nei PrincìpiFeuerbach si interroga sugli effetti a lungo termine della verità. Il destinatario di questo manifesto filosofico non è l'uditorio universitario ma l'umanità futura. Qui l'universalità emerge come piano dell'intersoggettività. Solo dopo aver destituito l'Assoluto come soggetto, l'uomo incontra l'altro come simile: finito nella sua esistenza corporea, ma infinito nel genere in quanto umanità.
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Orthotes è una casa editrice indipendente, plurale e democratica.
Si occupa prevalentemente di saggistica filosofica, considerando il "filosofico" nella sua accezione più semplice e caratteristica, e cioè come uso del sapere a vantaggio degli esseri umani, donne e uomini.
La casa editrice opera nella convinzione che ogni lavoro culturale ben sviluppato e argomentato sia un lavoro filosofico, inerisca esso alle scienze teoretiche (filosofia, critica, analisi), a quelle pratiche (etica, politica, società), o poietiche (arti musicali, figurative, tecniche).
In funzione di questi principi operativi Orthotes definisce il proprio orientamento, indipendente e non programmatico, cercando di volgere lo sguardo verso la "retta direzione" di un sapere che rischiara e illumina perché di se stesso insegna l'uso.
Orthotes nasce come idea nel 2010. La casa editrice è stata l’approdo, per certi versi la soluzione, a cui ha portato il dialogo tra un gruppo di studiosi di filosofia, poi amici, che si sono incontrati per la prima volta a Torino nel marzo del 2010. Quelle discussioni ruotavano attorno ad alcune questioni poste dal pensiero di Severino, di Lacan, di Žižek e Stiegler, e in genere alle direzioni tracciate dalla filosofia contemporanea. Ci accorgemmo però quasi subito che prepotente tornava in superficie un’esigenza, poi convertita in desiderio: quello di capire se ci fosse, e se sì quale fosse, il luogo ideale per fare filosofia, considerandola come sapere irriducibile alle quattro mura dell’accademia, o a una necessaria individuazione geografica e strumentale (come il laboratorio per lo scienziato, o il tribunale per l’avvocato). Eravamo quindi alla ricerca di uno spazio topologico, che potesse funzionare come luogo (al tempo lo definimmo virtuale) altro dall’Università, in cui il sapere filosofico potesse muoversi con maggiore libertà, non informato e intossicato cioè dalle istanze del potere politico ed economico (ci parve un dato di fatto sommamente criticabile perché ineludibile).
Convergemmo infine (eravamo alla fine del 2010) che lo spazio di cui andavamo alla ricerca non era già presente e da occupare, ma che avremmo dovuto crearlo noi. Una casa editrice (non stavamo ancora considerando gli aspetti operativi, il lavoro era tutto da fare) era il luogo che avrebbe potuto costituire una stazione meteorologica di analisi del sapere filosofico – e più in generale della cultura contemporanea (storiche rimangono nella mia mente le ore passate a parlare del ruolo del capitalismo o della democrazia a partire da film come RoboCop e 300 o della musica di Cage e delle avanguaride).
Il passaggio fu repentino: individuata la casa editrice come base del nostro comune lavoro di ricerca sullo statuto del sapere, e poi facendo di essa la traccia silenziosa della nostra frequentazione, delle letture, delle proposte, fummo in grado di trasformare questo sapere (di cui la casa editrice era il luogo d’origine e di emanazione) in un saper fare qualcosa (di questo sapere).
A inizio 2011 Luisa Muraro accettò di lasciarci pubblicare un suo libro (che aveva visto la luce molti anni prima e solo come dispensa), e stampammo in una micro tiratura di sole 50 copie Tre lezioni sulla differenza sessuale (il primo libro pubblicato da Orthotes). Era un libro ancora solo per noi e pochi altri. Un tentativo di orientamento. In breve seguì una ristampa di 300 copie. E di lì a qualche mese vennero le prime traduzioni (Il resto indivisibile di Žižek e Emancipazione/i di Laclau). Poi nel febbraio 2012, soddisfatti di quanto stavamo facendo, Orthotes venne ufficialmente fondata. Da quei primi anni a oggi il passo è stato breve. Ci siamo semplicemente lasciati trascinare dall’onda su cui eravamo saliti. Quella che continua a srotolarsi potente sotto di noi.
Ancora qualcosa sul nome Orthotes. Dalla primissima idea di un luogo (Ort in tedesco), siamo passati a quella di correttezza del vedere (orthotes). Questa è possibile quando, ovunque si sia, si fissi nella giusta direzione. Non esistono luoghi della verità o migliori di altri. Sta tutto a noi. È la nostra apprensione, la nostra postura, a dirci infine se siamo a casa. Orthotes non è la casa editrice, bensì lo spazio che la precede, quello aperto dall’incontro e dal dialogo.
Senza che ce ne accorgessimo, senza saperlo ancora, eravamo già tutti lì.