“Tranquillo, qui siamo tutti clubbers.”
Come se fosse un termine mai sentito mi trovo a chiedermi:
“Ma chi c***o sono ‘sti clubbers?”
Trovando un identificazione d’un preciso genere musicale a cui collegare i “clubbers”,passando dall' elettronica alle sottocategorie (minimal, techouse, techno progressive, ecc.. ) è troppo generico, spiegano solo un gusto musicale personale scevro del minimo comune
denominatore che cerco;
così mi sono spinto nei ricordi personali ed ho cercato di “descrivere” il soggetto “clubber” riferendomi a chi ho incontrato nell’ambito del fenomeno “clubbing”. Per quanto sia possibile “descrivere” un movimento che ormai vanta ben trent’anni di vita e si è espresso senza parole, racchiudendo, anzi, un variegatissimo cosmo di soggettività, spesso antitetiche. Già da qui si evince la peculiare apoliticità del clubbing e del clubber, che, si badi bene, non è un disimpegno totale, ma un disimpegno ideologico: il clubbing è un movimento di rivolta. Ma a cosa si rivolti, non è ben dato saperlo e forse non serve neanche capirlo. Si potrebbero dare al clubbing delle connotazioni da socialismo di bassa lega, ma ad una tale forzata banalità preferisco astenermi. Mantenendoci sul basso esistenzialismo da post-rock si potrebbe ben dire, parafrasando: “Clubbing is a rebel without a ‘cause”. E’ vero, questa ribellione non porterà a nulla, al che gli amanti dell’agire s’indigneranno, ma la ribellione può ben essere un valore giusto in se fintanto che sia una ribellione pacifica e non dannosa per l’altro (soprattutto in un’epoca ed in una nazione dove lo spirito di rivolta della nuova generazione sembrerebbe essere pressoché assente). I clubbers potrebbero essere, usando un po’ di poesia, che non guasta mai, angeli disperati alla ricerca della socializzazione perduta, o della propria essenza mascherata e di quella connessione celestiale tra anime terrestri che si può chiamare amore o anche estasi. I clubbers sono sempre e comunque dei “disadattati”: incapaci di reggere nel mondo reale permanentemente, si rifugiano in una bolla chimica e sonora di sicurezza ed empatia in cui lavare la propria essenza da tutte le sozzure e le insoddisfazioni esterne che sono costretti, come tutti, ad affrontare. Molti cercano altre anime come le proprie, per poter condividere, anche solo per una f***e notte d’amore impulsivo, tutta quella pena segreta che si trascinano inconsciamente. Sarebbe stupido dire il contrario. E vorrei sottolineare che qui non si fa un’apologia della dipendenza da stupefacenti. Eppure, non pare insano o completamente sbagliato cercare una via di fuga dalla realtà (non da questa realtà storica, già di per se tragica, ma da qualunque realtà, perché sempre percepita come limitante), e ben venga una via di fuga che aumenti la sfera di consapevolezza individuale. Ben venga, ovviamente, fintanto che rimane ciò che è: una via di fuga temporanea. Ed è qui un altro dei pregi del clubbing: l’intrinseca temporaneità dell’evento. Temporaneità che dona l’ulteriore pregio: lasciare la “soggettività” ad un movimento che, come ogni movimento giovanile, dovrebbe essere di massa.