GLD53 0130 C

GLD53 0130 C Now try your luck! delle disposizioni in tema di immigrazione);
• D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 (T.U. disp. leg. P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (T.U.
(3)

• Diritto penale, diritto processuale penale;
• Disciplina e ricorsi CEDU;
• MAE (disciplina del Mandato di Arresto Europeo);
• D.P.R. 22 settembre 1988 n.448 (Processo penale nei confronti dei minorenni);
• L. 18 aprile 1975 n.110 e simili (disciplina di armi controllo e munizioni);
• Bancarotta e reati Fallimentari;
• D.L.vo 25 luglio 1998 n.286 (T.U. In materia doganale);
• D.L.vo 3 aprile 2006

n. 152 (Norme in materia ambientale);
• D.L.vo 6 settembre 2011 n.159 (Codice antimafia e delle misure di prevenzione);
• L. 26 luglio 1975 n. 354 (Ordinamento Penitenziario);
• D. L.vo 8 giugno 2001 n.231 (Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche);
• R.D. 18 giugno n. 773 (T.U.L.P.S.);
• D. droga);
• D.L.VO 30 aprile 1992 n. 285 (Nuovo Codice della Strada)
• D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ( T.U. edilizia);
• D.L.vo 10 marzo 2000 n. 74 (disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul v.a.)

31/01/2024
Rappresento che è stata pubblicata in GU. la LEGGE 7 dicembre 2023, n. 193 recante "Disposizioni per la prevenzione dell...
28/12/2023

Rappresento che è stata pubblicata in GU. la LEGGE 7 dicembre 2023, n. 193 recante "Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche" (GU Serie Generale n.294 del 18-12-2023) la norma entrerà in vigore il 02/01/2024.
Specifico che, ai sensi dell'art. 1 c. 2 della citata legge per P « diritto all'oblio oncologico » si intende il diritto delle
persone guarite da una patologia oncologica di non fornire
informazioni ne' subire indagini in merito alla propria pregressa
condizione patologica, nei casi di cui alla presente legge.

In Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.285 del 06-12-2023) è stato pubblicato un annuncio di  proposta di legge di i...
27/12/2023

In Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.285 del 06-12-2023) è stato pubblicato un annuncio di proposta di legge di iniziativa popolare sul tema della liberalizzazione della cannabis.
in particolare si legge il comunicato della Corte Suprema di Cassazione: "Ai sensi degli articoli 7 e 48 della legge 25 maggio 1970, n. 352, si annuncia che la cancelleria della Corte suprema di cassazione, in data 5 dicembre 2023, ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da sedici cittadini italiani, muniti di certificati comprovanti la loro iscrizione nelle liste elettorali, di voler promuovere ai sensi dell'art. 71 della Costituzione una proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo:
La depenalizzazione della coltivazione per uso personale ed in
forma associata della cannabis. Dichiarano, altresi', di eleggere domicilio presso la sede legale del comitato promotore «Meglio legale», sito in Roma (RM), via di San Basilio n. 64 - cap. 00187 [email protected]"

I macigni che passano inosservati
23/09/2023

I macigni che passano inosservati

08/09/2023

Legalità NON È rispetto delle leggi.
Legalità È CULTURA DELLA LEGGE

"Napoli sei tu, Napoli non è "Gomorra" non è "Mare Fuori" non è " Il Castello delle Cerimonie"."Chi ti ha ammazzato, non...
06/09/2023

"Napoli sei tu, Napoli non è "Gomorra" non è "Mare Fuori" non è " Il Castello delle Cerimonie".

"Chi ti ha ammazzato, non ha ammazzato solo te, ha ammazzato una comunità intera"

"Perdonaci Gio' Gio' perché siamo stati noi ad armare la mano di colui che ti ha ammazzato, con i nostri silenzi, con il non fare quello che andava fatto, con la carenza dell'educazione, voltandoci dall'altro lato".

Amore, Amore, Amore.

Oggi è stato il trionfo dell'Amore e della Bellezza.
A noi il compito severo, difficile e gravoso di diffondere l'Amore e la Bellezza, per far si che dove vi sia il deserto della disumanizzazione, si innestino i semi dell'umanità.
Per Gio' Gio',
Per Franco, per Danela, per Ludovica
Per Napoli, per le nostre città
Per noi.

"

Mancata sospensione dell’ordine di carcerazione :  è ragionevole anche per il contrabbando aggravato di Giacomo Ascione ...
29/12/2021

Mancata sospensione dell’ordine di carcerazione : è ragionevole anche per il contrabbando aggravato
di Giacomo Ascione

Con la sent. 238 del 20/10/2021 ( mot. 7/12/2021 , pubblicata in G.U. n. 49 del 9-12-2021), la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale Ordinario di Napoli.

§.1 FATTO

R. G. è stato arrestato il 30 maggio 2019 per contrabbando di si*****te per un totale di 195,2 KG, aggravato dal fatto di aver occultato e custodito all'interno di un autoveicolo di proprietà di terzi i TLE. Egli viene condannato il primo grado il 31 maggio 2019, con sentenza resa all’esito dell’applicazione della pena - previa concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla contestata aggravante e recidiva reiterata specifica - di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 650.000,00 di multa. All’atto dell’irrevocabilità della sentenza (8/11/20219) egli risulta libero.
l’Ufficio esecuzione penale della Procura della Repubblica di Napoli, una volta divenuta esecutiva la sentenza, ha emesso l'ordine di esecuzione per la carcerazione , notificato al condannato in data 23 dicembre 2019. Non è stato possibile sospendere l’ordine di esecuzione poiché il reato di cui all'art. 291-ter, comma 1 del d.P.R. n. 43/1973 è ricompreso tra quelli di cui all'art. 4-bis O.P., richiamato nell'art. 656, comma 9 del c.p.p. , pertanto R. G. e' stato condotto in carcere.

La difesa di R.G. proponeva incidente di esecuzione chiedendo , in via principale, la revoca dell'ordine di
esecuzione e, in via subordinata e incidentale, ha sollevato questione di illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) del codice di procedura penale come modificato dall'art. 2, comma 1, lettera m) del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, conv. con mod. dall'art. 1, comma 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125, per violazione degli articoli 3 e 27 Cost. nella parte in cui richiama genericamente l'art. 291-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973 e stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell'esecuzione nei confronti delle persone condannate per delitto di detenzione e trasporto di tabacchi lavorati esteri di contrabbando aggravato ai sensi dell'art. 291-ter, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43/1973.

Il GM di Napoli rigetta la richiesta principale, ma dichiara rilevante e non manifestamente infondata costituzionale la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a) c.p.p., nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell'esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non può essere disposta nei confronti dei condannati di cui all'art. 4-bis O.P. , con riferimento al delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del decreto del d.P.R. n. 43/1973, ricompreso nella seconda fascia dell'art. 4-bis O.P. per contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione.

§.2 ORDINANZA

Le ragioni poste a base della sollevata questione di legittimità costituzionale possono essere così sintetizzate:
- La norma censurata ha previsto un diverso e più grave trattamento in tema di esecuzione della pena, poiché consente l’emissione dell’ordine di esecuzione senza sospensione anche a fronte di una detenzione breve ( meno di 4 anni), in ragione unicamente di un dato formale ( l’inserimento del contrabbando aggravato nell’elenco dei delitti per i quali non è prevista la sospensione dell’ordine di esecuzione );

- Al contrario l’Ordinamento consente la sospensione dell’ordine di carcerazione anche per delitti più gravi, con un fine pena residuo anche maggiore e per persone anche soggette alla misura degli arresti domiciliari;

- Il GM dubita, poi, della compatibilità dell’art. 656 c.9 c.p.p. con gli artt. 3, comma 1 e 27, comma terzo della Costituzione, ritenendo irragionevole la scelta normativa del legislatore di differenziare l'applicazione delle modalità di esecuzione della pena del delitto di contrabbando di tabacchi lavorati esteri, che si differenzia nelle modalità della condotta,richiamando il comma 1 una aggravante generica (quella di aver adoperato mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato) ed il comma 2 del medesimo articolo, aggravanti ad effetto speciale, ricollegate all'uso di armi, alla presenza di più persone ed agli ostacoli o violenza opposta agli organi di polizia giudiziaria [lettere a) e b) del comma 2 dell'art.291-ter], nonché al collegamento con reati contro la fede pubblica(art. 453 del codice penale e ss.) o contro la pubblica amministrazione (art. 314 del codice penale e ss.) o a circuiti finanziari e societari dediti al riciclaggio [capi c) e d) della medesima disposizione].
D’altra parte, ribadisce il giudice, le suddette aggravanti, laddove contestate e applicate, non potrebbero mai essere bilanciate dalle circostanze attenuanti generiche, proprio a causa della loro natura di aggravanti ad effetto speciale, per le quali il successivo comma 3 del dell’art. 291 ter, inibisce valutazioni di bilanciamento con alcune delle fattispecie previste sub lettere a) e d) del medesimo comma.

- Da tutto ciò emerge che la disciplina dei delitti riconducibili al contrabbando è eterogenea sia sotto il profilo fenomenologico che quello sanzionatorio, ciò nonostante, senza alcuna diversificazione di pericolosità sociale, sono tutti compresi nella seconda fascia dell'art. 4-bis OP.
La norma censurata, quindi, determinerebbe, un ingiustificato deteriore trattamento non solo tra le diverse fattispecie di detenzione e trasporto di tabacco lavorato estero di contrabbando, ma anche rispetto ad altre più gravi fattispecie come la detenzione. Ciò renderebbe ausipabile un intervento della Corte costituzionale al fine di ristabilire un equilibrio nel rapporto tra offesa e sanzione, tenuto conto del fatto che i condannati per i delitti in parola ben possono giungere da liberi, all’udienza per la valutazione dell’applicazione delle misure alternative alla detenzione innanzi al competente Tribunale distrettuale di sorveglianza, essendo illogico ed irragionevole che gli stessi debbano essere detenuti in carcere in attesa della fissazione e della decisione in merito.

- Il giudice inoltre rilevava come dalle norme contestate, emergesse uno schema legislativo diretto all’apodittica presunzione di pericolosità del delitto de quo, e rappresentava come già in passato la Corte fosse intervenuta con la sentenza n. 125 del 2016, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale del divieto di sospensione dell'ordine di carcerazione in relazione ai condannati per furto con strappo; l’analogia con la vicenda odierna, si fonderebbe proprio sull’ «aprioristica presunzione di pericolosità, oltrepassando il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative». Secondo il giudice remittente, l'art. 291-quater,c. 1 del d.P.R. n. 43/1973 manifesterebbe tutta l’elevata pericolosità della fattispecie disciplinata , collegabile a contesti di criminalità organizzata. Tale pericolosità avvertita in senso normativo non troverebbe riscontro in ipotesi in cui la condotta del singolo non sia processualmente collegabile con quelle delle associazioni criminali all’attualità, determinando il contrasto del medesimo art. 4-bis1-ter O.P. con gli articoli 3 e 27 della Costituzione.

- Ulteriore elemento rappresentato dal giudice, è la notazione secondo la quale la disciplina di cui all'art. 4-bis O.P. avendo natura restrittiva, dispone la carcerazione per determinate categorie di detenuti che si presumono socialmente pericolosi unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la detenzione è stata disposta. A parere del giudice, il catalogo dei delitti indicati dall’art. 4 bis, è anacronistico poiché applica in maniera irragionevole il principio della presunzione di pericolosità disancorata da ogni valutazione in concreto per il delitto di cui all'art. 291-ter, comma 1 del d.P.R. n. 43/1973, auspicando che nella ipotesi non collegata alla criminalità organizzata, esso venga espunto dal catalogo di cuiall'art. 4-bis 1-ter O.P.,

- Il GM, quindi, ritiene come quello contestato ( 656 c.9 c.p.p. in relazione all’art. 4 bis O.P. all'art. 291-ter, comma 1 del d.P.R. n. 43/1973), sia un caso lapalissiano di “automatismo” nel trattamento penitenziario del condannato che va certamente rimosso, così come più volte la Corte costituzionale ha fatto. Sul punto il GM cita le sentenze 3 febbraio 2016, n. 37578, e 19 settembre 2012, n. 36, n. 436/1999, 257/2006, n.255/2006.

- In conclusione il Tribunale partenopeo ritiene che in un modello di esecuzione penale costituzionalmente ispirato alla finalizzazione rieducativa della pena, sia inaccettabile che il condannato ad una pena breve per un fatto che, pur qualificato ai sensi dell'art.291-ter, comma 1, non desta allarme sociale, libero nella persona, sia condotto in carcere in attesa di essere valutato dal TdS per l’applicazione di eventuali benefici penitenziari, in assenza di elementi concreti di pericolosità e di recidivanza, già analizzati dal giudice in fase cautelare all'esito del giudizio di merito, il quale , notava il GM, ha applicato una misura non custodiale ( obbligo di presentazione alla PG). La sclerosi del sistema nella fase ibrida tra l’emissione dell’ordine di carcerazione e l’applicazione delle misure alternative alla detenzione in carcere comporta di fatto quella vicenda definita “ le porte girevoli del carcere” sulla base di un automatismo che prescinde dalla valutazione del fatto come giudicato e soprattutto della persona.
L’irragionevolezza del sistema, a parere del GM, è ancora più evidente se si pensa che il meccanismo di sospensione automatica dell'ordine di esecuzione di cui all'art. 656, comma 5 c.p.p. è una delle soluzioni procedurali adottate dal legislatore proprio per evitare proprio le cosiddette “porte girevoli” cioè di condurre nel sistema carcerario – già afflitto da grave sovraffollamento - di condannati che potrebbero essere ammessi a misure alternative.

§.3 SENTENZA
La Corte costituzionale, letta l’ordinanza di rimessione della questione motiva la sua decisione come di seguito sinteticamente schematizzato.

- Preliminarmente la Corte ( cfr. punto 3.1) ricorda la funzione sistemica dell’art. 656, comma 9, lettera a) c.p.p. rappresentando che ( analogamente dirà anche per l’art. 4bis O.P.) da un lato il PM dell’esecuzione non può che dare mero seguito alle disposizioni legislative, dall’altro la ritenuta pericolosità sociale dei delitti per i quali non è possibile sospendere l’ordine di esecuzione, è frutto di una valutazione operata ex ante dal legislatore ( cfr. anche 3.4).

- Posto che il GM nell’ordinanza di rimessione aveva indicato specifici precedenti in cui la Corte costituzionale rilevava una disparità di trattamento in esecutivis tra diverse fattispecie normative e che tale metodo potesse applicarsi anche al richiesto scrutinio di costituzionalità ( il riferimento giurisprudenziale era soprattutto al furto con strappo, cfr. sentenza n. 125 del 2016), il Giudice delle leggi, offre una lettura dei medesimi precedenti richiamati dal Tribunale, che si discosta da quella operata dal giudice a quo, osservando che tale metodo non potesse essere replicato nel caso di specie. In particolare ( punto 3.3.) la Consulta precisa che dell'art. 656, comma 9, lettera a), cod. sfugge ad ogni censura di irragionevolezza per il fatto che l’ordinamento “consente comunque una valutazione sostanziale della sua posizione quanto alla possibilità di concedergli i benefici previsti dall'ordinamento penitenziario. Tale valutazione resta, infatti, demandata al tribunale di sorveglianza in sede di esame dell'apposita istanza, che il medesimo condannato può comunque presentare una volta passata in giudicato la sentenza che lo riguarda.”

- Quanto alle censure di “irrazionale automatismo” ( n.d.r.) in fase di applicazione delle norme per la sospensione dell’ordine di esecuzione, la Corte sposta l’angolo di osservazione dal sindacato di legittimità costituzionale “all’insindacabile volontà politica del legislatore”(n.d.r.); in particola la Consulta rappresenta che nella sentenza n. 216 del 2019 la Corte ha già segnalato “l'incongruenza cui può dar luogo il difetto di coordinamento attualmente esistente tra la disciplina processuale e quella sostanziale relativa ai presupposti per accedere alle misure alternative alla detenzione, in relazione alla situazione dei condannati nei cui confronti non e' prevista la sospensione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ai quali - tuttavia - la vigente disciplina sostanziale riconosce la possibilità di accedere a talune misure, alternative sin dall'inizio dell'esecuzione della pena”: come, per l'appunto, i condannati per i reati elencati dall'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen., diversi da quelli di cui all'art. 4-bis ordin. penit. (per i quali l'accesso ai benefici penitenziari e' invece subordinato a specifiche stringenti condizioni). Cio', in particolare, in relazione al rischio - specialmente accentuato nel caso di pene detentive di breve durata, peraltro indicative di solito di una minore pericolosità sociale del condannato - che la decisione del tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai interamente o quasi scontato la propria pena”. La Corte conclude il punto ( 3.3) rappresentando che anche in altre occasione ha dichiarato infondate analoghe questioni di legittimità.

- Percorrendo la stessa linea, la Consulta muove da una corroborata giurisprudenza ( ex plurimis sentenza n.41 del 2018) per soffermarsi su come le modalità di accesso ai benefici penitenziari siano assorbiti nella volontà discrezionale del legislatore che compie una valutazione di pericolosità ex ante “nell'indicare specifici delitti per i quali è esclusa la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena. Il legislatore può anche prendere atto che l'accesso alla misura alternativa è soggetto a condizioni così stringenti da rendere questa eventualità meramente residuale, sicché appare tollerabile che venga sottoposto all'esecuzione carceraria chi all'esito del giudizio relativo alla misura alternativa potrà con estrema difficoltà sottrarsi alla detenzione”

- Nel merito della vicenda, la Corte esclude la censura di irragionevolezza del trattamento stabilito, per chi commette fatti di contrabbando di tabacchi lavorati esteri adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato. Esaminando un precedente (sentenza n. 233 del 2018), la Consulta riferisce di aver già vagliato la conformità del grado di “pericolosità sociale” ritenuta dal Legislatore in parte qua. La Corte cita se stessa riferendo che : «[i]l contrabbando di t.l.e. è [...] fenomeno criminale che - come del resto testualmente si ricavava in considerazione del tenore letterale dell'art. 1, comma 1, della legge n. 50 del 1994 - interseca gli interessi della criminalità organizzata, allettata dagli ingenti profitti che tale iniziativa illecita garantisce immediatamente. Profitti, questi, che risultano acquisiti secondo percorsi analoghi a quelli propri di altri traffici transnazionali (inerenti agli stupefacenti, alle armi, all'immigrazione clandestina), notoriamente dominati dalle organizzazioni criminali; e che costituiscono, a loro volta, l'utile provvista da reimpiegare in altre iniziative, non necessariamente illecite, secondo tecniche sempre più sofisticate». Da ciò la Corte deduce che la valutazione di pericolosità pubblica stabilita dal legislatore in ordine all’ipotesi del contrabbando aggravato sia adeguato agli obbiettivi di politica criminale che il legislatore si è prefissato anche perché «abbraccia sempre più l'esigenza di reprimere adeguatamente un fenomeno criminale caratterizzato [...] da una crescente recrudescenza alla luce dell'ancora più marcato coinvolgimento delle organizzazioni criminali, anche sul piano internazionale, capaci di movimentare ingenti capitali e di realizzare profitti elevati su vasta scala».
Questo conduce la Corte a ritenere ragionevolmente differenziata la condotta di chi commette il delitto di contrabbando aggravato dall’uso di un’autovettura altrui, sotto il profilo della coerenza sistemica in ordine alla mancata sospensione dell’ordine di carcerazione. In particolare sul punto la Corte afferma ( cfr. punto 5) : “La ricomprensione del citato art. 291-ter tra i reati della cosiddetta "seconda fascia" dell'art. 4-bis ordin. penit. risulta, dunque, coerente con il particolare rigore sanzionatorio che l'ordinamento italiano riserva al contrabbando di tabacchi lavorati esteri nell'ambito dei reati doganali, allo scopo di garantire un più efficace contrasto a tale fenomeno delittuoso, ritenuto particolarmente allarmante, tanto da indurre il legislatore ad apprestare un sistema repressivo analogo a quello predisposto per i più gravi reati di criminalità organizzata. E' poi il censurato comma 9, lettera a), dell'art. 656 cod. proc. pen. che include in primo luogo i reati di cui all'art. 4-bis ordin. penit. tra quelli per i quali non opera la sospensione degli adempimenti esecutivi stabiliti per le pene brevi, in vista dell'eventuale applicazione di misure alternative alla detenzione”.

- Prendendo le mosse dall’argomentazione che precede, la Corte supera anche la censura mossa dal giudice a quo in ordine alla illogica cumulazione di può discipline giuridiche afferenti il delitto di contrabbando aggravato, stante la loro differente gravità, ed irragionevolmente ricondotte tutte nell’alveo dell’ art. 4 bis O.P. In particolare la Consulta osserva che la scelta del legislatore di compendiare indistintamente nel catalogo dei reati di cui all'art. 4-bis, comma 1-ter O.P. tutte le ipotesi aggravate del reato di cui all'art. 291-bis del d.P.R. n. 43 del 1973. , appare comunque assimilabile, per il quid pluris che qualifica la condotta, alle altre ipotesi aggravate, piuttosto che all'ipotesi semplice, tenuto conto proprio della gravità del delitto (pre)valutata dal legislatore.

- Da ultimo ( cfr. punto 6) la Corte affronta il tema indicato nell’ordinanza di remissione afferente la palese dicotomia tra il formalismo della norma contestata e la valutazione sostanziale del caso concreto ( persona condotta in carcere per un reato che per fatti e modalità deve essere ritenuto tutt’altro che grave, pena breve, mancanza di pericolosità sociale già valutata dal giudice di merito), che il GM individua in un aprioristico automatismo che deroga in maniera irragionevole sia al principio di rieducazione che di proporzionalità della pena.
Ad avviso della Corte – per le ragioni già descritte – il legislatore ritiene particolarmente pericolosa la condotta di chi commette il delitto di contrabbando, utilizzando un mezzo di trasporto appartenente ad un terzo estraneo al reato; il metodo legislativo, prescinde sia dalla gravità della condotta posta in essere e sia dall'entità della pena irrogata.
Con la sentenza n. 41 del 2018 , la Corte aveva già avuto l’occasione di ribadire la coerenza sistemica dell’inserimento della norma in commento nel catalogo dei delitti ex bis O.P.
A nulla giova rappresentare – stigmatizza la Consulta – la descrizione del merito del fatto anche con riguardo al bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche , tenuto conto del fatto che appare dato consolidato (sentenza n. 52 del 2020) che «la previsione di attenuanti [...] consente di adeguare la pena al caso concreto, ma non riguarda necessariamente l'oggettiva pericolosità del comportamento descritto dalla fattispecie astratta», sicché la concessione dell'attenuante può dirsi rilevante ai soli fini della determinazione della pena proporzionata al caso concreto, mentre, nella logica dell'attuale art. 4-bis, comma 1-ter, ordin. penit., essa non risulta idonea a incidere, di per se sola, sulla coerenza della scelta legislativa di ricollegare a quel determinato delitto un trattamento più rigoroso in fase di esecuzione, quale che sia la misura della pena inflitta nella sentenza di condanna.”

- In ultimo ( punto 7) la Corte esclude la ritenuta violazione del principio rieducativo della pena sancito dall'art. 27,terzo comma, Cost., in quanto ogni valutazione sul trattamento penitenziario è demandata al Tribunale di Sorveglianza e per il condannato al delitto in parola non è esclusa.

§.4 COMMENTO

L’ordinanza di rimessione formulata dal Tribunale di Napoli è stata un atto di giustizia umana e processuale. La enorme levatura personale e professionale del magistrato redattore dell’ordinanza, unita alla sua poliedrica esperienza giurisdizionale, ha fatto sintesi di una delle tante antinomie di un sistema dell’esecuzione penale che va certamente riformato.

Cosa può fare un magistrato giudicante coscienzioso laddove si renda conto di un grumo processuale che limita in maniera grave ed incoerente la libertà personale di un essere umano? Il giudice!
Esercitando in maniera impeccabile i poteri giurisdizionali, il giudice a quo ha esposto in scienza e coscienza alla Corte Costituzionale una serie di dubbi oggettivi sulla compatibilità dei principi ordinamentali ( ragionevolezza e proporzionalità della pena) con una vicenda concreta che ha determinato l’irrazionale conduzione in carcere di un condannato libero.
La Corte Costituzionale, con innata maestria, ha sapientemente volteggiato tra le questioni di diritto sollevate, producendo una sentenza scarna di soluzioni e che epurata dai formalismi redazionali appare non rispondere né alle questioni sollevate, né alle istanze di giustizia sostanziale richieste dal magistrato rimettente.
Il Tribunale partenopeo, per vero, puntualizzando l’aspetto sostanziale su quello formale, ha posto in luce l’incoerenza del sistema esecutivo che sancisce la conduzione in carcere di una persona libera condannata ad un delitto oggi quasi bagatellare, a causa del mancato aggiornamento in una norma tanto incompresa quanto ostile ( art. 4 bis O.P.).
Dalla lettura combinata dell’ordinanza di rimessione e della sentenza, emerge l’atavico scontra tra una giustizia sostanziale e quella formale, tra la reale tutela dei diritti e la giurisdizione delle “tre carte”.

Venendo al testo della sentenza, emerge come la motivazione licenziata dalla Consulta sia sintetizzabile in poche righe: il delitto di contrabbando, utilizzando un mezzo di trasporto appartenente ad un terzo estraneo è un reato grave, tanto si evince proprio dal testo legislativo del 1973, mai riformato in melius, su ciò ( cfr. punto 9 della sentenza) la Corte “… ovviamente non esclude che il legislatore possa diversamente modulare le cause di esclusione della sospensione dell'ordine di esecuzione delle pene detentive. In questa prospettiva, invero, sembra porsi l'art. 1, comma 17, della legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo perl'efficienza del processo penale nonchè in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), il quale detta principi e criteri direttivi per procedere ad una revisione organica della disciplina delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, con innalzamento del limite della pena detentiva sostituibile e con agevolazione delle richieste di accesso alle misure alternative alla detenzione, proponibili già nel giudizio di cognizione.”.

Appare evidente che il ragionamento naftalinico della Consulta non tenga minimamente conto delle attuali contingenze criminali del territorio italiano, in cui il delitto di contrabbando è tutt’altro che all’apice storico della sua incidenza sociale: la liquida ricostruzione socio-giuridica operata dalla Corte, si scontra con la oggettiva analisi di un giudice che quotidianamente vive la scarna rilevanza sociale del delitto di contrabbando, che nel caso concreto è aggravato dall’avere utilizzato l’autovettura di un terzo ( circostanza questa, che è applicabile tutte le volte che il soggetto agente, conduca un veicolo non di sua proprietà).
Per vero il GM ha stigmatizzato in maniera chiara l’ irrazionalità della detenzione in carcere per un delitto ad oggi bagatellare, motivando le proprie argomentazioni sotto diversi profili.

La Corte aleggia tra le questioni sollevate, trincerandosi dietro il dato formale di un mancato aggiornamento legislativo, forse ipotizzando che l’impatto sociale del delitto in parola, sia ancora determinato dai rocamboleschi inseguimenti acquatici tra contrabbandieri e GdF, memorabilmente descritti nei film degli anni 80.

Bene ha fatto il GM a ricordare il metodo di lettura costituzionale che la Corte stessa ha impiegato per dirimere analoghi conflitti di legittimità, analizzando un numero rilevante di sentenze della Consulta afferenti proprio la corretta applicazione dell’art. 656 c.9 c.p.p., sollecitando altresì la Corte a replicare lo stesso metodo giurisdizionale: il saggio questa volta non ha guardato le stelle.
La Corte ha prodotto una serie di argomentazioni catalogative mediante le quali rappresentava che i precedenti citati non potevano trovare applicazione per la differenza sostanziale delle vicende prese in esame. Sul punto, assume rilevanza la sent. 125 del 2016 con la quale la Consulta dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 656 c.9 lett.a) c.p.p. nella parte in cui stabilisce che non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione nei confronti delle persone condannate per il delitto di furto con strappo; tale precedente è stato più volte citato dal GM per indicare il metodo di valutazione sulla ragionevole applicazione dell’art. 656 c.9 c.p.p. nonché della legittima sussistenza del contrabbando aggravato dall’impiego dell’autovettura altrui nel catalogo dell’art. 4bis O.P. e specificamente dell’irragionevole inserimento del delitto citato nell’ambito del coacervo normativo sintetizzato dall’art. 291-ter, comma 1 del decreto del d.P.R. n. 43/1973.

Il giudice rimettente è stato più volte chiaro nel rappresentare che l’art. 291-ter, comma 1 del decreto del d.P.R. n. 43/1973 ( inserito nel comma 1ter dell’art. 4 bis O.P.) contiene un’indistinta ipotesi di aggravanti che descrivono una progressione criminosa tendente a contrastare le organizzazioni criminali che prendevano linfa proprio dal contrabbando; ciò nonostante, spiegava che l’ipotesi singola del soggetto non collegato ad organizzazioni criminali che avesse detenuto TLE anche con l’impiego di un’autovettura di terzi, non potesse ex se determinare una pericolosità tale da giustificarne la conduzione in carcere all’esito dell’irrevocabilità della sentenza e pertanto una diversa valutazione non può che consistere in un’«aprioristica presunzione di pericolosità, oltrepassando il limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte legislative».
Tra l’altro lo stesso GM si è più volte speso – con tutte le armi logiche possibili – nel significare alla Corte che la commissione del delitto mediante l’utilizzo di un autoveicolo di proprietà di terzi assume carattere marginale al punto tale da essere irrazionalmente compreso nel novero dall’art. 291-ter, comma 1 del decreto del d.P.R. n. 43/1973 e per l’effetto dell’art. 4 bis c.1 ter O.P.
Per vero, la circostanza aggravante in discorso rileva in maniera pregnante laddove ( secondo la ratio della norma) il veicolo impiegato sia intestato ad altri per evitarne la confisca dello stesso al fine di agevolare l’attività illecita di una ipotizzata organizzazione criminale, non se colui che conduce il veicolo non ne uno ed utilizzi per la commissione del delitto, l’auto di un parente o di un amico.

La Corte sorvola la questione avanzata , ritenendo che non sia irragionevole la conduzione in carcere ex art. 656 c.9 c.p.p. nel caso in esame, poiché il legislatore, segnala la pericolosità sociale dell’art. 291-ter, comma 1 del decreto del d.P.R. n. 43/1973 con l’inserimento della predetta norma nel novero dell’art, 4bis O.P. ( richiamato poi dall’art. 656 c.9), differentemente al delitto di furto con strappo che era richiamato solo dall’art. 656 c.9 lett. a) c.p.p. e non anche dall’art. 4 bis O.P. Ciò conduce la Corte a ritenere irragionevole l’arresto all’esito dell’irrevocabilità della sentenza del condannato di furto con strappo ( delitto progressivamente vicino a quello di rapina semplice per il quale, al contrario era prevista la sospensione dell’ordine di esecuzione), per assenza di una valutazione di pericolosità mediante l’inserimento di tale delitto nell’elenco di quelli contenuti nell’art. 4bis O.P. Ex adverso sussiste la pericolosità sociale che giustifica la detenzione del condannato per il delitto di contrabbando per essere l’art. 291-ter, comma 1 del decreto del d.P.R. n. 43/1973 menzionato nell’art. 4bis O.P.
D’altra parte ogni ulteriore doglianza è riconducibile alla discrezionalità politica del legislatore e come tale non censurabile in sede di legittimità costituzionale.

Non si comprende, invero, la scelta della Corte di non affrontare il quesito centrale posto dal giudice a quo: perché un condannato ad una pena breve, non pericoloso, per un delitto non più grave del furto con strappo o della rapina semplice o dello spaccio di droga, deve essere condotto in carcere in attesa della celebrazione dell’udienza camerale innanzi al TdS per la valutazione delle misure alternative alla detenzione?
La questione, mossa da un giudice che ha ricoperto anche la carica di Magistrato di Sorveglianza, porta con se l’esperienza concreta di chi sa bene che tra la conduzione in carcere e la fissazione dell’udienza innanzi al TdS non trascorrono meno di 4/5 mesi che, in ragione di possibili rinvii e del carico dei ruoli di udienza diventano quasi 10. Qual è dunque il senso rieducativo di applicare una misura alternativa ( 50 o 47 O.P. tenuto conto che la detenzione domiciliare ordinaria nell’ipotesi dei delitti ex 4bis O.P. è inammissibile) ad un detenuto al quale mancano un paio di mesi dalla fine dell’espiazione della pena? Perché una persona non pericolosa deve essere “stipato” in carcere in attesa di comprendere come deve espiare la sanzione detentiva?
Quando il giudice segnala alla Corte costituzionale l’irragionevolezza di condurre in carcere un condannato a pena breve (che quasi certamente accederà alle misure alternative), esprime tutta l’inefficienza di un sistema “a maglie bucate” che non si occupa più della persona ma macina fascicoli e produce studi di settore, favorendo le diseguaglianze e le incongruenze strutturali.

Dal canto suo, la Corte, sembra rinchiudersi nella turris eburnea dei suoi precedenti e tra una citazione e l’altra di se, candidamente ritiene che nel caso di specie l’art. 656 c.9 lett a) c.p.p. è legittimo poiché il contrabbando aggravato è contemplato nei delitti di cui all’art 4 bis O.P., il PM non può non eseguire la legge, e i diritti del detenuto non sono compressi perché egli può chiedere l’applicazione di una delle misure alternative al Tribunale di Sorveglianza (SIC!).
Grazie Orazio! avrebbero detto i comici di un tempo!

Lascia sgomenti la decisione “glaciale” della Corte, seconda solo alla motivazione standard di rigetto di una comune istanza de libertate (V° si rigetta non avendo l’istante prodotto elementi di novità e restando il quadro cautelare inalterato), priva di modulazioni, riflessioni, interpretazioni costituzionalmente vincolate. Letta con attenzione la sentenza in commento sembra ineccepibile ma l’occhio di chi ama la giurisprudenza costituzionale, ritenuta da sempre l’ultimo baluardo contro la cialtroneria legislativa soprattutto in tempi di riforme populistiche, si accorge che la serietà e la completezza dei temi trattati non sono in armonia con l’addentellato motivazionale offerto.

Con la sentenza 238/2021 la Corte Costituzionale ha bruscamente interrotto un filone meritevole di interventi su disfasie ed aporie normative, che dal 2015 ha dato vero ossigeno ad un sistema dell’esecuzione penale raggrinzito e rattoppato.
Napoli, 28/12/2021
Giacomo Ascione

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