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01/01/2025


Non sono semplici verdure strizzate: il mallone è un piatto contadino (straordinario) amato in Campania
di: La Redazione

Da pietanza contadina a star della cucina invernale. Il mallone si prepara con soli due ingredienti, ti coccola quando fa freddo ed è arrivato il momento di saperne di più
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Cercare di capire cos'è il mallone soltanto dal suo nome non è facile. Secondo la teoria più gettonata il termine si riferisce all’aspetto delle verdure che lo compongono una volta strizzate, simile ad un grande mallo di noce. Gli ingredienti sono essenziali: solo foglie di rapa e patate, configurando questa specialità del salernitano come piatto povero per eccellenza. Il mallone si mangia soprattutto in Valle dell’Irno, nell’Agro nocerino-sarnese e in Irpinia, ma a ridargli luce nel corso degli anni è stata una sagra a Bracigliano, in provincia di Salerno, con la tipica affluenza che solo queste meravigliose occasioni di aggregazione riescono a creare. Osteria del Borgo , lo propone con gran successo, oggi il mallone continua a intrufolarsi nei menu locali, viaggiando dall’entroterra verso i centri urbani, facendosi sempre più contemporaneo nella presentazione e negli abbinamenti. La sua storia, però, ci fa tornare decisamente indietro nel tempo…

Le origini del mallone
Durante la guerre mondiali le risorse scarseggiavano, ma non l’ingegno. Il mallone nasce infatti dall’esigenza di creare un pasto sostanzioso con i pochi ingredienti che si avevano a disposizione e per questo in origine era un po’ diverso da quello che conosciamo oggi. Si definiva infatti mallone sciatizzo, un termine che potrebbe avere diversi significati, indicando ad esempio il gesto di tagliare con l’ascia. In effetti ai tempi per fare il mallone si usavano verdure di scarto oppure erbe spontanee raccolte nei campi, come cicorie, biete, scarolelle e così via. Niente di più economico, ma i veri fortunati erano quelli che potevano permettersi di arricchirlo con grasso di maiale o addirittura olio di oliva. Oggi il mallone sciatizzo resta un simbolo del Montorose dove ancora signore (o meglio nonne)che escono in campagna a raccogliere queste erbe e lo preparano con sapienza con abbinamento la pizza di graurignolo (granone). In Osteria del Borgo e Tenuta del Re la di origini Montoresi prepara con sapienza questa pietanza. È un vero ritorno al passato. Mentre sul resto dell'Irpinia e nel Salernitano le cose sono cambiate e il mallone si prepara con le foglie di rapa, il cui gusto amarognolo ne definisce l’identità. La pianta è la stessa dei più celebri friarielli, quella che si raccoglie da ottobre a marzo, ma in questo caso si prediligono le foglie più grandi, spesso scartate (e quale modo migliore per evitare ogni spreco?).

Mallone con mascuotto qua entra in campo lo di origini Napoletane ma sposato a Ciorani piccola frazione del comune di mercato S.Severino a 3km da Bracigliano dove da più di 20 anni prepara con sua maestia il MALLONE CON MASCUOTTO
Anch'esso lo trovate sia in Tenuta del Re che in Osteria del Borgo e quindi c'è una bella lotta fra i due chef . Si prepara in settimane alterne
Il mallone salernitano e il mallone avellinese
Come spesso avviene per le ricette tradizionali è impossibile citare tutte le varianti o semplicemente i nomi con cui questo piatto è conosciuto in tutta la Campania. Per fare un esempio, in Cilento il mallone viene chiamato semplicemente foglie e patane, ovvero foglie e patate. Può essere un contorno o far parte di un piatto completo. C’è chi lo arricchisce con i famosi ciccioli di maiale o chi lo accompagna a secondi di carne. Nella zona di Avellino si serve insieme alla pizza di graurignolo, cioè di granone, una farina di mais molto utilizzata nelle cucine campane e lucane. A Salerno, invece, non può che essere gustato assieme al croccantissimo mascuotto, il tipico pane biscottato . E che dire della diatriba sulle percentuali di patate e foglie da usare nella ricetta: non c’è da preoccuparsi, chi vuole prepararlo a casa potrà calibrare a seconda del proprio gusto.

Come preparare il mallone secondo lo ,
La ricetta del mallone è semplice e richiede solo un po’ di pazienza nella fase di strizzatura.
Per prima cosa vanno lessate le foglie di rapa (per circa 10 di minuti) e le patate intere (per circa 20-25 minuti, a seconda delle dimensioni). Le foglie si scolano in acqua fredda e poi vanno strizzate fino ad eliminare tutta l’acqua. Dopo aver sbucciato le patate, basta schiacciarle con una forchetta e salarle. In una padella si fa rosolare abbondante olio extravergine di oliva, aglio e peperoncino e infine si cuociono le verdure e le patate per circa una decina di minuti, regolando di sale se necessario. Per un tocco autentico, a fine cottura si può aggiungere del pane raffermo spezzettato, a meno che non abbiate a disposizione il mascuotto originale!
Ovviamente è stata indicata la ricetta più facile comune.
Buona preparazione a tutti i nostri lettori oppure potete passare per o

Buon 2025 a tutti i nostri lettori
31/12/2024

Buon 2025 a tutti i nostri lettori

      Brut, extra brut o demi-sec? Quale spumante scegliere in base al grado zuccherinoPerché uno spumante Dry ha un gus...
29/12/2024


Brut, extra brut o demi-sec? Quale spumante scegliere in base al grado zuccherino
Perché uno spumante Dry ha un gusto dolce? Ma soprattutto, perché si chiama così? Come scegliere le "bollicine" in base al loro grado zuccherino, abbinandole perfettamente in ogni occasione.
Brut, extra brut o demi-sec? Quale spumante scegliere in base al grado zuccherino
di:Michele De Maio

Uno pensa che sia semplice andare a comprare uno spumante. Uno pensa che questi si dividano semplicemente in dolci e secchi, stop. Quindi, uno che si ritrova tra le mani uno spumante “Dry” o “Sec”, che in italiano si traduce con “secco”, potrebbe giustamente ignorare che quel vino contenga una più che discreta quantità di zucchero. E dunque, da ultimo, aprirebbe per l’aperitivo quel dannato spumante dry, suscitando notevoli malumori nei commensali.

Il mondo degli spumanti ha tante di quelle sfumature da dare il mal di testa ben prima di bere. Oltre alle differenze date dalla provenienza geografica, ci sono quelle di metodo produttivo, di annata dei vini base, di periodo di affinamento sui lieviti e, in ultimo, di grado zuccherino. Per non farlo diventare un tomo enciclopedico, oggi ci concentreremo solo sulla classificazione degli spumanti in base alla concentrazione di zuccheri presente.

Raccomandato da
La classificazione degli spumanti secondo il grado zuccherino

Questa classificazione è dettagliata a livello europeo dal regolamento CE N. 607/2009, Allegato XIV. La classificazione è progressiva e parte dalla tipologia più ‘estrema’, ossia il brut nature (o pas dosé, o dosaggio zero, o un altra decina di nomi), con cui si categorizza un vino spumante che abbia un contenuto zuccherino massimo pari a 3 g/l.

Il brut nature è seguito dall’extra brut, che reca in dote da 0 a 6 g/l di zucchero, e dal brut, la tipologia più nota, che di zucchero ne può contenere fino a 12 g/l. Parentesi: uno spumante che vanti un contenuto nullo di zucchero può dunque essere etichettato come brut nature, extra brut o brut. La scelta è tutta della cantina che magari, sondando il mercato, può valutare un maggior introito etichettando lo spumante come brut.

Riprendiamo la discesa della piramide arrivando all’extra dry (da 12 a 17 g/l), al dry o sec (17-32 g/l) e al medium dry o demi sec (32-50 g/l). E qui l’inghippo estremo di questa classificazione: perché indicare come secco qualcosa che contiene zucchero in maniera anche considerevole (nello specifico del dry, da 2 a 5 cucchiaini circa di zucchero per bottiglia da 0,75 l)? Proseguite nella lettura, che una spiegazione logica c’è.
Chiude la classificazione la tipologia dolce (o sweet, o doux), da 50 g/l a crescere. Semmai fossimo curiosi di conoscere l’esatta quantità di zucchero nel vino, la nuova modalità di etichettatura dovrebbe presto andare a soddisfare la nostra curiosità.

Come abbinare gli spumtanti brut o dry
Si sente dire sempre più spesso che l’abbinamento cibo-vino è sopravvalutato, che non è una scienza, che ognuno deve fare come più gli aggrada. Ecco, no. Non confutando la validità del principio di libertà, se un sorso di buon vino, dopo un boccone di buon cibo, ti rende disgustoso sia il cibo che il vino, è evidente che quello sia un abbinamento pessimo (volete fare una prova storicamente fallace? Carciofi e Cabernet Sauvignon. Poi mi dite). Per cui dobbiamo quantomeno conoscere le qualità di ciò che mangiamo e beviamo, fosse solo per non rovinarci il palato.

Per valutare l’abbinamento di un vino occorre individuare le sue caratteristiche principali. Per uno spumante abbiamo sicuramente la presenza delle bollicine a farla da padrone che, come tramandano generazioni di sommelier, puliscono il palato e lo sgrassano (no, non come lo spicchio di limone nel bicchiere d’acqua o l’ananas a fine pasto; quelli non sgrassano una beata). Inoltre, abbiamo un’acidità superiore alle altre tipologie di vino. E, come insegna la tecnica dell’abbinamento per contrapposizione, queste caratteristiche ‘dure’ del vino dovrebbero andare a compensare le caratteristiche ‘morbide’ di una pietanza, nel caso specifico la sua grassezza. Di contro, dato che l’acidità del vino favorisce la salivazione, piatti molto succulenti o unti potrebbero dare sensazioni non molto piacevoli

Infine, teniamo conto degli altri tratti dello spumante: il suo sapore è intenso o delicato? Resta in bocca a lungo o svanisce in fretta? Soprattutto, è dolce o secco? Queste ultime caratteristiche devono andare di pari passo con il piatto.

Finito il sermone teorico, andiamo sul pratico. Uno spumante brut, dunque secco, lo abbiniamo a cibi non dolci (se stappate un brut per accostarlo a una torta di compleanno, io non voglio essere invitato). Spesso un brut viene servito durante l’antipasto, e ci sta dato che gli spumanti, essendo vini non corposi, ben si accostano a pietanze generalmente anch’esse non molto strutturate (ad es. i classici rustici). Ma, dato che siamo in tema stagionale, il vostro bel brut (che sia Prosecco, Franciacorta, Alta Langa, Trento DOC o anche Champagne) bevetelo accanto al cotechino. Se il brut è anche rosè, pure meglio.

Avendo invece tra le mani uno spumante dry, riservatelo per il fine pasto. Ben si accosta alla piccola pasticceria o ai biscotti da the (al panettone no: io resto un fedele servo del sublime abbinamento con il Moscato d’Asti DOCG). Qualora voleste abbinarlo a piatti non dolci, tirate fuori un bel gorgonzola. Difficilmente troverete spumanti dry che non siano Prosecco o spumanti generici, ma se vi capitasse di trovare un metodo classico dry, un Franciacorta ad esempio, è raro come un doblone.

Perché chiamiamo gli spumanti così: storie di esportazione
Ma dunque, perché definire sec qualcosa che non è sec même pas du tout? Prendendola molto alla lontana, che camminare fa bene, noi sappiamo che i vini spumanti esistevano fin dai tempi dei Romani. Fatto apicale: l’origine dell’effervescenza di questi vini era totalmente ignota e casuale. Un’origine ignota, diciamo la verità, anche al nume tutelare dello Champagne, il cellario dell’abbazia di Saint-Pierre d’Hautvillers Dom Pierre Perignon. Siamo nel XVII secolo e Dom Perignon aveva l’obiettivo di ottenere i pregiati vini di Champagne, rigorosamente fermi. Eppure con l’arrivo della primavera qualche bottiglia in cantina finiva sempre per scoppiargli, vai a capire come mai. La leggenda vuole che il buon cellario, pensa e ripensa, giungesse alla conclusione che il vino imbottigliato in inverno conteneva ancora un po’ di zuccheri non trasformati in alcol e qualche lievito; questi ultimi, con l’aumento delle temperature primaverile, riprendevano l’attività con una seconda fermentazione all’interno delle bottiglie, che avevano un vetro troppo fino per reggere la pressione al loro interno.

Le bottiglie miracolosamente rimaste integre contenevano un vino spumante, considerato un difetto per un vino fermo, ma che il buon cellario ritenne parecchio interessante, tanto da proseguire nel suo lavoro di ricerca e condividere le sue scoperte con un monaco benedettino passato a fargli visita, tale Thierry Ruinart, il cui cognome potreste aver letto su qualche etichetta.

Ok, ma la questione dello zucchero? Essa entra in gioco attorno alla prima metà del XIX secolo, con l’introduzione della liqueur de dosage o liqueur d’expédition subito dopo l’operazione del dégorgement, cioè dell’espulsione dei lieviti dalla bottiglia, operata per avere uno spumante limpido e cristallino.

Dato che con il dégorgement oltre ai lieviti si perdeva una certa quantità di vino, questa veniva ‘ripristinata’ aggiungendo la liqueur de dosage (‘sciroppo di dosaggio’ in italiano), ossia nient’altro che altro vino e zucchero. Tanto zucchero. Già, il gusto dell’epoca richiedeva che lo Champagne fosse dolce, ma proprio parecchio dolce. Questa dolcezza, sebbene rimanesse molto apprezzata alla corte dello Zar di Russia (si parla di bottiglie con oltre 300 g/l di zucchero residuo: una confettura), alla lunga cominciò ad annoiare gli inglesi. E siccome gli inglesi erano gli influencer del mercato vinicolo, come d’altronde lo sono ancora oggi, richiesero alle maison francesi bottiglie di Champagne con sempre meno zucchero. Ecco comparire dunque le prime bottiglie etichettate “half-dry”, cui seguirono altre ancora più ‘secche’ denominate “dry” e “extra dry”. Sono definizioni che oggi ci mandano fuori strada, ma che un secolo e mezzo fa davano indicazione precise a chi volesse bere uno Champagne senza il rischio di carie dentale.

Ma non basta: poiché la richiesta di minor contenuto zuccherino non si esaurì, si arriva al giorno in cui un certo mr. Burne rimase colpito dall’assaggio di una cuvée di Perrier-Jouët, la prima a cui non erano stati aggiunti zuccheri, trovandola splendidamente ‘brute-like‘. Mr. Burne ne ordinò varie casse e cominciò a piazzarlo qua e là in terra d’Albione, finché non divenne questa tipologia la più apprezzata ovunque, soppiantando ai giorni nostri lo Champagne dolce del quale rimangono solo antichi racconti e una classificazione nominale storica ma confusionaria.

      di:Michele De Maio 24 dicembre 1988 vigilia di   Natale in diretta televisiva, Xuxa chiamo sul palco in diretta te...
25/12/2024


di:Michele De Maio
24 dicembre 1988 vigilia di Natale in diretta televisiva, Xuxa chiamo sul palco in diretta televisiva Ayrton Senna egli aveva augurato un buon 1989, e gli aveva stampato un bacio rosso sulla fronte, come nella foto Il pubblico aveva esultato. Buon 1990, aveva continuato, bacio rosso su una guancia. Altre grida. Buon 1991, altra guancia, altre grida. Buon 1992, sul mento. 1993, ancora sulla fronte, e ovazione. Si era portata avanti con gli auguri, fino al 1993. Il 1994 l’avrebbero festeggiato insieme, di nuovo. Perché tutto ha un senso, tutto può, tutto deve essere regolare e conchiuso come un cerchio nella condensa, come un circuito.
E Ayrton felice gli aveva confidato nell' orecchio che era lei il suo sogno ❤️....il suo sogno proibito il suo regalo di Natale🎄🎊💟

      da: la RedazioneLa giovane sommelier ci consiglia 5 bottiglie di bollicine da stappare per Capodanno (non troppo c...
25/12/2024


da: la Redazione
La giovane sommelier ci consiglia 5 bottiglie di bollicine da stappare per Capodanno (non troppo care)
Abbiamo chiesto a Mara Severin, giovane sommelier del Ristorante Essenza di Terracina, 5 bottiglie di vino spumante per festeggiare il nuovo anno. Ovviamente senza spendere una fortuna
Inizia il conto alla rovescia per festeggiare l’arrivo del nuovo anno. E come ogni 31 dicembre che si rispetti non c’è brindisi senza un calice di vino spumante che strabordi. La scelta di una buona bottiglia di bollicine non è però sempre semplice. Complice le variazioni di prezzo, la difficile lettura delle etichette, e in certi casi una buona dose di indecisione, non è sempre facile scegliere la bottiglia giusta. Soprattutto sotto una certa soglia di prezzo. Per questo abbiamo chiesto a Mara Severin, giovane sommelier del Ristorante Essenza di Terracina appena premiato con la prima stella Michelin, di aiutarci nella selezione di 5 bottiglie di vino spumante da stappare con amici e parenti. Unica indicazione che le abbiamo fornito: che non si eccedano i 50 euro di spesa.
Chi è Mara Severi, sommelier di 30 anni
“Mi sono avvicinata al mondo del vino e, in generale, alla ristorazione, 10 anni fa, quasi per caso. Essenza era aperto da poco e si trovava ancora nella sua prima sede di Pontinia. Ho iniziato con il servizio di sala senza troppe pretese e obiettivi” ci racconta la sommelier. Poi, nel tempo, la passione per il settore e più in particolare per il mondo del vino è cresciuta sempre più insieme alla curiosità. “Dopo circa tre anni di esperienza in sala ho iniziato a gestire la cantina di Essenza, lavorando in continua sinergia con lo chef Simone Nardoni, anche lui grande appassionato, diplomandomi poi come sommelier Ais nel 2022” continua.

Un lavoro quello di Mara Severin che ha portato la cantina di Essenza a contare oggi circa 900 etichette, con una particolare attenzione alla carta dello Champagne con più di 100 referenze. “Una carta ampia nella quale cerco di bilanciare etichette più note a piccole realtà artigianali, andando alla continua ricerca di novità. Recentemente, questo percorso ci ha portato a creare una sala interamente dedicata al mondo del vino: “La Cave” inaugurata nell’autunno 2023”. Uno spazio riservato dove si conducono gli ospiti a degustare il calice in maniera più immersiva e dove si organizzano periodicamente degustazione a tema

L’Opificio del Pinot Nero, Marco Buvoli - Rosè Tre Extrabrut
“Sarà perché il Pinot Nero è il mio vitigno preferito ma questa è una bollicina rosata ideale da bere in convivialità, fra amici, dove si può percepire l’equilibrio tra freschezza e sapidità con belle note di piccoli frutti rossi e qualche accenno di spezie ed erbe aromatiche”. Siamo a Vicenza, a Gambugliano, e parliamo di Marco Buvoli che si definisce autodidatta e sopra ogni cosa amante del Pinot Nero tanto da prendere come punto di riferimento il territorio della Champagne e della Borgogna. (55€)

Sergio Mottura - Brut Nature Millesimato
“Questo è uno Chardonnay che non ti aspetti. 120 mesi sui lieviti e quando lo bevi senti la finezza del perlage accompagnato da un gusto pieno con grande freschezza e sapidità nel finale”. Ispirato e guidato dal profondo amore per il Blanc de Blancs, Sergio Mottura realizza questa bollicina nei primi anni ‘80 a Civitella d’Agliano, nel cuore della Tuscia viterbese, dove appunto sorge la tenuta. Una curiosità? L’affinamento dei suoi vini avviene all’interno di grotte ricche di tufo. (50€)

Famiglia Cotarella - Metodo Classico Brut
“Se cercate una bollicina elegante e di buona struttura, per accompagnare la serata, il metodo classico della Famiglia Cotarella a base uva Roscetto fa al caso vostro. È l’unione tra aromaticità e acidità, che ritroverete poi al palato in modo raffinato e vivace”. La cantina Famiglia Cotarella, guidata da Dominga, Marta ed Enrica, figlie di Renzo e Riccardo (qui la sua intervista), ha un legame stretto con il vino, tanto da essere uno dei nomi più importanti del panorama enologico italiano. Cantina da sempre dedita allo studio e alla ricerca, dimostrando di sapersi reinventare in etichette che ben esprimono tale passione e curiosità. (30€)

MICHELE DE MAIO N+ NOVE
“Qui mi rivolgo alle persone che sono amanti e appassionate di bollicine a tutto pasto. Vitigno assoluto Falanghina quindi priva di zuccheri aggiunti, in grado di esprimere la sua personalità attraverso note di pasticceria e una sottile cremosità che renderà il palato armonico”. N+ è leader della linea e anche il nome nasce dalla prima lettera del nome della signora De Maio (Natascia) amante di questo brut, ma soprattutto grazie a lei che oggi lo beviamo. (25€)

Marco De Bartoli - Terzavia Extrabrut
“Terzavia è un 100% grillo pensato da Marco De Bartoli. Si tratta di un prodotto non semplice ma che convince. Innovativo ed entusiasmante, coniuga al meglio la tradizione francese delle bollicine con l’espressivo e solare carattere della Sicilia. Infatti si presente pieno e inteso, dal gusto dinamico e corposo rimanendo molto persistente al palato”. Siamo a 12 chilometri da Marsala dove sorge l’azienda De Bartoli, oggi guidata dai figli di Marco, che hanno raccolto l’eredità del padre mantenendo la qualità dei vini ad un altissimo livello e fedeli ad un territorio generoso e suggestivo come quello siciliano. (52,50€)

    I 10 orologi più venduti del 2024di:Michele De Maio Omega-Speedmaster-Pro-2-12024, che anno! Per molti, gli orologi ...
24/12/2024


I 10 orologi più venduti del 2024

di:Michele De Maio
Omega-Speedmaster-Pro-2-1
2024, che anno! Per molti, gli orologi sono stati un modo per non pensare troppo alle brutte notizie. Ognuno dei 10 orologi di questa lista, di 10 marche diverse, è un mondo a sé. Uno è legato alla gara più affascinante degli sport motoristici, un altro ispira viaggi intorno al mondo e un altro ancora evoca un viaggio sulla Luna. Sono i più venduti sul marketplace e c’è un motivo. In questo elenco troverete diversi archetipi, ognuno rappresentante una dimensione particolare e in grado di dimostrare tutto ciò di cui è capace il settore.

1. Rolex GMT-Master II 126710BLNR
Al primo posto si classifica il Rolex GMT-Master II Batman 126710BLNR.
Il marchio di orologi più venduto su Chrono24 è Rolex. La marca con la corona è la numero 1 del settore, quindi la vetta della classifica non sorprende. Considerando la schiera di modelli iconici che popola il catalogo di Rolex, in apertura avremmo potuto trovare il Datejust, il Submariner o il Daytona. Oppure un pari merito con il GMT Pepsi e la sua lunetta rosso-blu. Ma i dati non mentono: il più venduto è il GMT “Batman”. Che i consumatori abbiano iniziato a spostare le proprie preferenze? Il Batman sta rubando il ruolo di GMT prediletto al Pepsi? Questa evoluzione potrebbe indicare una virata nella strategia di Rolex e nell’eredità GMT.

2. Omega Speedmaster Professional Moonwatch
Lo Speedmaster è il miglior Omega di tutti i tempi, nonché l’ultimo e il migliore per gli aficionados. La variante del 2021 è un’ulteriore evoluzione degli Speedmaster che l’hanno preceduto ed è disponibile in declinazioni con vetro zaffiro ed esalite, ognuna con i suoi vantaggi. Il lancio di un orologio puramente moderno e uno di ispirazione vintage non poteva che essere un successo garantito. A questo punto la domanda è: riuscirà lo Speedmaster con quadrante bianco a conquistare il primo posto nel 2025?

3. Patek Philippe Nautilus 5711/1A-010
La diffusione può avere pro e contro. Volete un Patek classico ed elegante? A voi la scelta tra decine di numeri di referenza. Cercate un Patek sportivo? Le opzioni sono molto più limitate e non solo, visto che c’è un chiaro favorito nel gruppo. Si dice che la grande popolarità del Nautilus sia stata la ragione principale per l’interruzione della produzione. Sebbene il clamore attorno al Patek Philippe Nautilus 5711 sia andato scemando, il suo impatto culturale rimane altissimo. Quando i prezzi diventano più abbordabili, i potenziali acquirenti aumentano. In vista del 2025, Patek spera che un certo nuovo modello diventi l’orologio da avere.

4. Tudor Black Bay 58 M79030N-0001
Il Black Bay 58 è stato un orologio cruciale per Tudor. È stata la prima uscita importante a sdoganare le casse da 40 mm e meno, ed è stato l’orologio con cui Tudor ha iniziato ad affrancarsi dall’immagine di sorella minore di Rolex. Il BB58 ha fatto apparire Tudor in una nuova luce agli occhi degli acquirenti. Questo ha coinciso con l’allungarsi delle liste d’attesa per i modelli Rolex più popolari. È ben costruito, è bello, ha un buon prezzo e, stando ai nostri dati di vendita, è anche molto amato.

5. Vacheron Constantin Overseas
Con una lunetta ben definita e il bracciale che incorpora abilmente la croce di Malta, l’Overseas si è guadagnato una schiera di estimatori nel corso degli anni. Non è avvolto dallo stesso clamore dei suoi concorrenti firmati Audemars Piguet e Patek Philippe (con cui non condivide nemmeno la fascia di prezzo) e per molti è proprio questo il motivo per cui vale la pena acquistarlo. Vacheron Constantin rappresenta l’alta orologeria che non ha bisogno di far parlare di sé. È un orologio per chi se ne intende e, per quanto possa valere, ha anche una maggiore resistenza all’acqua rispetto al Nautilus o al Royal Oak.

6. Cartier Santos de Cartier WSSA0029
Sorpresa! L’orologio Cartier più venduto su Chrono24 non è il Tank. Il Santos – o Santos de Cartier se vogliamo essere più precisi – brilla con la sua raffinatezza parigina e una versatilità decisamente maggiore per tutti i giorni, soprattutto ora che è dotato di una resistenza all’acqua di 100 metri. Ultimamente la parola “brutalismo” si sente molto anche nel settore degli orologi, ma tra tutti i modelli a cui è stata associata, forse il Santos è l’esempio migliore e più antico. Il segnatempo incarna la classe di Cartier con un tocco di veemenza, in un design che resiste da oltre 120 anni.

7. Grand Seiko Heritage Collection SBGA211
Parlando di versatilità quotidiana, ci spostiamo in Giappone per scoprire lo “Snowflake” SBGA211. Questo orologio racchiude tutti gli elementi preferiti di Grand Seiko, tra cui la cassa squadrata, la lucidatura Zaratsu, il movimento Spring Drive e il quadrante Snowflake con le sue immacolate sfumature. È una delle opzioni più sobrie tra gli altri orologi della Heritage Collection di Grand Seiko e probabilmente questo contribuisce alla sua popolarità sul mercato. Inoltre, è realizzato in leggero e confortevole titanio che lo rende un’ottima scelta da indossare in qualsiasi occasione.

8. Audemars Piguet Royal
Se puntate a un Audemars Piguet, il Royal Oak scheletrato è l’orologio per vivere al meglio l’esperienza AP, perché oltre alla possibilità di ammirare il calibro ha un tocco di classe in più rispetto a un modello già di per sé prestigioso. Un nome così lungo è già un programma. Nel delicato equilibrio tra acciaio e metallo prezioso, questo modello ammalia con il design audace e i dettagli intricati. Un best seller che è destinato a diventare un classico del futuro.

9. TAG Heuer Monaco Calibre
È grande, è quadrato ed è una leggenda. Il TAG Heuer Monaco ha le corse nel sangue e m***a il Calibre 11, probabilmente il primo cronografo automatico al mondo. Il quadrante blu opaco, i sottoquadranti quadrati e gli accenti rossi riempiono una cassa tanto anticonvenzionale quanto riconoscibile. Un piccolo appunto: la cassa da 39 mm è molto più grande di quanto non sembri sulla carta, ma certo non si tratta di un orologio che ha paura di farsi notare.

10. Zenith Chronomaster Sport
Un altro orologio che contende lo scettro per il primo movimento cronografo automatico al mondo è lo Zenith Chronomaster Sport con il movimento El Primero da 36.000 alternanze l’ora. Certo, le prestazioni sono un grande punto di forza per questo orologio, ma anche i dettagli di design come i sottoquadranti tricolore distintivi, il fondello trasparente e la finestrella della data nascosta discretamente tra le 4 e le 5 non sono da meno. Assomiglia un po’ al Daytona, ha un prezzo simile allo Speedmaster, eppure lo Zenith Chronomaster Sport è un orologio completamente a sé stante.

La Redazione Augura buon Natale a tutti i ns.lettori...
24/12/2024

La Redazione Augura buon Natale a tutti i ns.lettori...

         di:Michele De Maio  Fernando Alonso regala la McLaren di Senna al papà: un dono da sogno! 🎁Il Natale è arrivato...
24/12/2024


di:Michele De Maio
Fernando Alonso regala la McLaren di Senna al papà: un dono da sogno! 🎁

Il Natale è arrivato in anticipo per la famiglia Alonso, e con un regalo davvero straordinario. Il due volte campione del mondo ha comprato la leggendaria McLaren MP4/4 del 1988, la monoposto con cui Ayrton Senna vinse il suo primo titolo mondiale, e l'ha regalata ai suoi genitori.

Alonso ha un rapporto speciale con il padre José Luis, che lo ha sempre sostenuto nella sua carriera fin dagli inizi. Come ex meccanico in una fabbrica, José Luis è stato determinante nel permettere al figlio di inseguire il sogno della Formula 1. Per ringraziarlo, Fernando non solo gli ha fatto provare la storica vettura sul circuito di Aragon, ma gliel’ha regalata: “Grazie di tutto, papà. Goditela e fammi usarla ogni tanto”, ha scritto Alonso su Instagram.

🏎 La McLaren di Senna
La MP4/4 è una delle vetture più iconiche della storia della Formula 1, con cui Senna vinse 8 Gran Premi e il suo primo Mondiale. È anche il simbolo della leggenda che ha ispirato milioni di appassionati, Alonso compreso.

Un gesto che dimostra quanto sia forte il legame familiare, anche per un campione come Fernando. 💚

    da:La RedazioneMantecare la pasta nella forma di Parmigiano è una cafonata o ha senso? Rispondono gli espertiSi trat...
23/12/2024


da:La Redazione
Mantecare la pasta nella forma di Parmigiano è una cafonata o ha senso? Rispondono gli esperti
Si tratta di una pratica che ha assunto sempre maggior successo nel rappresentare la cucina italiana nel mondo che sembra avere molte meno controindicazioni di quello che si pensa
Una padella fumante fa colare la pasta direttamente nella forma, quando il cameriere comincia a rivoltare il contenuto con un cucchiaio e a cercare di fonderlo con il Parmigiano o con il pecorino. A questo punto scatta il video da parte del cliente, lo stesso che – felicemente – riceverà il piatto della pasta mantecata davanti ai suoi occhi. Viene chiamata, certe volte, “pasta alla forma” ed è una delle neo-tradizioni di alcune trattorie e ristoranti italiani (c’è addirittura chi, nella zona di Parma, ci mette il brodo con i cappelletti), che ora si è estesa anche all’estero. Tantissimi i video che vengono ad esempio dalla Francia, dove questa pratica è diventata comunissima
La pasta mantecata nella forma di Parmigiano è scenografia
Ma da dove arriva questa abitudine? Possiamo affermare che rientra nel corollario dei piatti che vengono completati direttamente al tavolo, davanti agli occhi dei clienti. Un po’ come il carrello dei gelati o dei formaggi, il tiramisù al piatto, la crêpe suzette, il prosciutto tagliato a mano, il pesce pulito e spinato davanti agli occhi dei commensali. Si fa scena, si crea una scenografia e si coinvolge il cliente in una preparazione a vista, che fa aumentare la salivazione con una sola occhiata ma magari incide poco o nulla sul gusto. Anche per questo molti si pongono una domanda: è una cosa igienica? Non si corre qualche rischio ad ordinarla?

“Bisogna fare molta attenzione”
Sandro Tomei, proprietario insieme ad Alessandra Morra del negozio tutto dedicato ai formaggi e ai salumi, Tomei Cibo Giusto, non la raccomanderebbe ai suoi clienti. In particolare perché si gioca con temperature diverse (quelle della pasta calda e quella del Parmigiano). “Si tratta di una cosa che abbiamo visto in tutte le salse, prima ci facevano anche il risotto, ora la cacio e pepe. Bisogna fare molta attenzione affinché non si generi una proliferazione batterica non attenzionata. Anche perché quella forma dopo l’utilizzo di certo non viene buttata” e ci mancherebbe aggiungiamo noi, visto l’immane spreco per mantecare qualche piatto.

Sorpresa: è una manovra a basso rischio
Per avere una risposta più puntuale, risaliamo alla consulente HACCP ed esperta di sicurezza alimentare che ha seguito Sandro nelle sue procedure, Laura Scannella. “C’è sempre una valutazione del rischio. In realtà la forma di formaggio i ristoratori non la cuociono, all’interno dovrebbe avvenire solo una mantecatura” ci spiega Scannella “dunque per la parte relativa alla cottura della pasta, la procedura dovrebbe essere sicura. Ricordiamo che il condizionale è d’obbligo. Per quello che accade invece dopo la mantecatura della pasta, il punto critico di controllo (P.C.C. in gergo tecnico) riguarda le forme di formaggio, perché non credo che vengano lavate e sanificate. E poi sanificarle come? Andrebbero fatte delle analisi – che non abbiamo mai fatto – per verificare. Diciamo che c’è un rischio limitato, ma c’è. Eppure non sta scritto da nessuna parte che non si possa fare”.

Le analisi microbiologiche sulla forma
Come ci spiega Scannella, il formaggio per sua conformazione chimica non è così alterabile da batteri. Tuttavia se viene usato o riusato in questo modo, potrebbe richiedere un’analisi microbiologica più attenta sul prodotto per valutare il reale stato del prodotto. “Del resto il formaggio è una materia organica. Non parliamo di una padella che è sterile. Fino ad adesso non abbiamo avuto registrazioni di casi di intossicazioni o simili. Ma il dubbio me lo pongo sempre. Ci sono ristoranti molto importanti che usano questa preparazione”. Si porrebbero dunque problemi sulla pulizia della forma: non può avvenire tramite prodotti chimici (come per le pentole) che produrrebbero una contaminazione ancora più rischiosa. “Ci sarebbe da consigliare di rilevare lo strato di formaggio venuto a contatto con la pasta. Ma chi farebbe una cosa del genere?” dice ancora Scannella “Comunque ai ristoratori consiglierei almeno di mettere sempre le forme in frigo dopo la fine del servizio, poiché le basse temperature non consentono ai batteri di moltiplicarsi”.

Indirizzo

Viale A. Gramsci
Montoro
83025

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