09/01/2025
PRESENTAZIONE DEL NUMERO 11
a cura di Sara Calderoni
L’arte della conversazione ha oggi decisamente perso il valore di un “progetto etico ed estetico”. Ma la questione va posta, prima ancora, in altri termini: esiste ancora un’arte della conversazione?
Dalla pratica ateniese degli incontri nell’Agorà passando per i circoli secenteschi delle précieuses e i Salotti e i Caffè parigini, tra Settecento e Ottocento, fino agli attuali spazi virtuali, il numero, dedicato alle Storie e politiche della conversazione, rintraccia valori e disvalori, conflitti, cambiamenti di un vivere mondano come momento di civile convivenza. Ci si domanda se di quel vivere mondano resti ora soltanto un termine sprecato in una abbagliante vacuità e se sempre più lontano sia anche l’insegnamento leopardiano circa un “onesto e retto conversar cittadino”. Non si intenda naturalmente, con questo, l’eliminazione del contradditorio, che anzi come suggeriva Montaigne nell’essere sempre d’accordo c’è di che annoiarsi, mentre nell’opposizione è da ritrovarsi il risveglio e il rafforzamento dell’intelligenza. Certo è che sempre più raro è oggi il coraggio di «fortificare il proprio udito e indurirlo contro la mollezza del suono cerimonioso delle parole», soprattutto nello spazio social. E in altri palchi, la controversia, se va bene, è non di rado opera di un raffinato teatrino già conciliato nelle intenzioni. Accettiamo allora il consiglio di Montaigne: «Sarebbe bene scommettere sul risultato delle nostre controversie, e che risultasse un segno tangibile delle nostre perdite, così da poterne tenere conto». Insomma, non guasterebbe avere ancora il buon servizio di qualcuno che ci rammentasse la nostra stupidità: «l’anno passato vi è costato venti volte cento scudi l’essere stato ignorante e cocciuto». Ma oggi che è il pensiero ad essere perlopiù a servizio del già detto, del cliché, nessuno più è disposto a percorsi impervi di dubbio, con rischio di errore e perdita. Difficilmente ci si incarica di un pensiero riflessivo, con sospensione di giudizio, con volontà di investigazione e con la responsabilità di una scoperta indipendente.
Così, ci chiediamo, con Valeria Rossella, se anche l’intellettuale non abbia accettato di fatto la comoda posizione di “turista di massa” a discapito di quello più faticoso dell’esploratore della ragione critica. Si dimentica fin troppo spesso che il pensiero è azione, problematizza l’esperienza, e che la curiosità diventa intellettuale quando si «trasforma in interesse a scoprire da sé le risposte ai problemi che nascono dal contatto con le persone e con le cose» (Dewey); si dimentica fin troppo spesso che il silenzio attivo, come ci ricorda Anelli, è una pratica che «rende dinamicamente possibile il pensiero e le arti». L’arte della conversazione non può che essere allora in primis educazione del pensiero. Fabrizio Elefante mette in luce proprio come essa possa «rinascere nella vita d’artista» traducendosi non in parola «mirata ad un effetto predeterminato, ma «in pensieri che si alimentano a vicenda».
Nel numero vogliamo dare conto anche del valore del dialogo nelle possibilità interne alla letteratura, in un orizzonte culturale intersoggettivo, nel segno di una dimensione etica. L’atto creativo è del resto atto conoscitivo, avanzamento di sé con la consapevolezza di far parte di un processo culturale che sempre deve andare, come direbbe Eliot, «verso una maggiore complessità», in una volontà trasformativa di sé e in una visione che trovi il punto di intersezione tra individuale e collettivo, per il rinnovo di una critica della cultura.
Le conversazioni con Amedeo Anelli e Guido Oldani mettono in luce il valore di una poesia di pensiero, dove centrali sono la tensione fra etica ed estetica e, in continuità con la linea dantesca, l’apertura a tutti i saperi. Anelli pratica una poesia polifonica stratificata, che si muove per campi semantici, affidata prima alle immagini, pone a seguire l’interrogazione filosofica. Con l’Oldani e la similitudine rovesciata – strumento anche conoscitivo che ribalta il rapporto oggetto-natura ristabilendo una graduatoria della loro relazione – entriamo invece nel Realismo Terminale e da questa forza innovativa del linguaggio il poeta ci mostra come si possa dialogare anche con il sacro, ripensandolo senza mai ridurlo e tantomeno banalizzarlo. Tuttavia, se è vero che a guidarci oggi potrebbero essere proprio i poeti, da queste conversazioni emerge anche come in generale la poesia italiana stia vivendo perlopiù un blocco estetico, ancorata com’è a soluzioni passatiste di matrice simbolista-decadente o ferma a posizioni neoavanguardistiche. Difficile intraprendere la strada dell’innovazione se tutta «una cultura, ancora imbevuta di storicismo di stampo ottocentesco e di resti di idealismo anche crociano-gentiliano» fatica ad «aprirsi alla molteplicità delle tradizioni, almeno di quelle europee e alla Weltliteratur», sottolinea Anelli.
Ancora di poesia si riflette con il pezzo di Gandolfo Cascio Conversazioni in esilio dei felici pochi, dove lo sradicamento dell’esilio è l’esperienza che accomuna poeti come Ovidio, Dante, Mandel’štam. L’autore, soffermandosi in particolare sulla relazione che ha Mandel’štam con la Commedia e «con i luttuosi versi ovidiani», ci offre esempi di colloqui, all’interno della letteratura, possibili persino tra autori di diverse geografie ed epoche, e non dimeno «rappresentanti poetiche distanti tra loro».
Se «l’utile del lettore e l’utile dell’artista idealmente convergono», come voleva Pontiggia, questa dimensione dialogica non mancò di certo al Manzoni, che seppe porsi il problema di un’organizzazione della propria opera, così stratificata e profonda da poter agilmente colloquiare, per lingua e contenuti, coi posteri di tutti i tempi, come leggiamo con Luca Vaglio. Altro “contemporaneo del futuro” fu Piero Gobetti, soprattutto come esempio di giovane intellettuale interprete del proprio tempo con la forza di una coscienza storica. La sua prolifica attività culturale, politica e sociale, viene qui discussa in una conversazione tra Caterina Arcangelo e Bruno Quaranta, anche alla luce dell’uscita, cent’anni dopo, del volume Piero Gobetti. Carteggio 1924 (Einaudi, 2024).
Con Mariolina Bertini facciamo invece un salto nell’Ottocento francese ed entriamo nel vivo delle conversazioni di due grandi romanzieri: Stendhal e Balzac. A confronto, i giovani Julien Sorel e Rastignac che, decisi a conquistare la società parigina del loro tempo, violano le regole della conversazione, ottenendo ben due opposti esiti. Insomma, è proprio vero, la conversazione ha le sue trappole. Ma è pur sempre questo terreno competitivo anche fonte di preziosa conoscenza. Del resto, anche dagli esiti di una conversazione, come avviene con Rastignac, si può fare esperienza che i mediocri difficilmente comprendono la difficoltà dell’intelligenza ad accettare i pregiudizi ereditati. L’intelligenza in genere usa diversamente il proprio coraggio. Ma dove finisce l’intelligenza e inizia la stupidità? Senz’altro assistiamo al suo trionfo sui social che ogni barriera abbattono, e senz’altro ben altrove sta l’interesse per la stupidità che «è bella se perfetta», scriveva Thomas Mann. L’interesse per la stupidità può essere infatti una forma d’arte, come lo stesso Barbolini osserva riflettendo sul genere romanzo-conversazione, a partire da Thomas Love Peacock, «letterato vittoriano di risentito buonsenso» che lo ha canonizzato. «L’arte perduta della conversazione risuona, vacua e inarrestabile, nelle pagine dei suoi romanzi, ambientati in dimore di campagna risolutamente inglesi dove casualmente si svolge un’inconsistente trama da commedia» leggiamo. E qui, da Peacock a Firbank, Barbolini ci nutre anche con il suo di witz, sollecitando persino un redivivo Arbasino a scrivere un nuovo romanzo-conversazione ambientato in una villa nel Chiantishire.
E ora siamo pronti a conversare con l’intelligenza artificiale? Maria Grazia Mattei, qui intervistata da Silvia Tomasi, fa notare che «il tavolo della realtà codificata è ormai ribaltato», ma si può essere fiduciosi anche di fronte a ciò che è più di uno strumento: l’AI è Novum Organum, un «potenziamento simbiotico». Nell’area Territori oltre a questa intervista, leggiamo inediti poetici di Florinda Fusco, da Quaderno non matematico, commentati da Laura di Corcia che della Fusco mette in luce la ricerca intorno al tema del principio, quel «mistero fitto che animò i primi filosofi greci, gli Ionici». Ancora, un saggio di Sara Calderoni su Dino Terra, vero archeologo dello spirito che crea i suoi personaggi in una costante problematizzazione e in una costruzione progressiva dell’individualità, non di rado intessendo la trama di elementi favolistici, funzionali a interpretare meglio i fatti.
Con l’area Scritture si inaugura da questo numero lo spazio dedicato ad un saggio su un autore contemporaneo. È Marco Beck a scrivere di Piero Lotito, autore la cui prosa, scrive Beck, «distilla una sostanza che rischia di scomparire dalla chimica della fiction odierna».
Buona lettura!