21/10/2023
Nel triste giorno in cui ci lascia Nino Cescutti, con un pensiero ai familiari proviamo a ricordarne la grandezza per mezzo di un articolo del 2020.
NINO CESCUTTI, PROFETA IN PATRIA di Fabio Anderle
Chi sono i tre migliori giocatori prodotti dalla città di Udine? Ogni tifoso avrà la propria idea, in proposito. Io vi “sparo” i miei, e cioè le tre “G”: Giacomo “Jack” Galanda, Giampiero Savio e Giambattista “Nino” Cescutti. In che ordine? Sarebbe estremamente difficile fare paragoni tra atleti di epoche diverse e che hanno giocato in ruoli diversi. E oggi probabilmente tanti giovani conoscono solo uno o forse due di loro…e allora proviamo a colmare una di queste lacune, quella relativa a Nino Cescutti. Ritiratosi ormai cinquant’anni fa, i suoi record e la sua carriera li ricordano solo i libri ingialliti ed i tifosi attempati che, dietro a un canestro come potrebbero essere di fronte a un cantiere, ti ricordano: “Vuê no la metin plui tal zei, Cescutti sì c’al saveve cemût”…
Nino nasce a Udine il 13 giugno 1939 in un appartamento di piazza Patriarcato, in casa, come si usava allora. Non è il momento migliore per ve**re al mondo ma non è che si possa scegliere. I genitori lo proteggono per quanto possibile ritardandone l’accesso alla scuola anche perché la sua salute è un po’ malferma. “Problemi di crescita” si dice all’epoca, mentre il Nino viene su alto alto e magro magro. Finisce la guerra e le bombe smettono di colpire il centro di Udine: allora sì che si può cominciare ad andare a scuola e magari a fare un po’ di sport per rinforzare quel corpo tanto magro. Comincia con il calcio, come da tradizione, ma è poco coordinato e tutti sembrano avere più talento di lui, al punto che finisce sempre per giocare in porta o al massimo da terzino…dove fa meno danni, insomma. Un giorno si imbatte in uno sport nuovo: lo giocano al piccolo stadio di largo Ospedale Vecchio, sul campetto dell’ex GIL. Segnano le righe per terra e poi cercano di mandare delle enormi “pallonesse” dentro a due canestri appesi a tre metri…per Nino è amore a prima vista. Comincia a allenarsi con la squadra dei vari Gianadrea Birtig, Luciano Asini, Bruno Tonon, Alessandro Cozzi: è la “quarta generazione” del basket udinese, e cresce per prendere il posto del gruppo che proprio in quegli anni dà l’assalto alla serie A ma che viene…respinto con perdite. Nino si allena duramente e ben presto rivela una particolare predisposizione per il gioco dei canestri. Un po’ per il fatto che quel fisico magro magro si sta riempiendo di muscoli anche grazie alla pratica dell’atletica leggera (assieme al fratello Manlio), un po’ perché sembra sprizzare energia da tutti i pori, ma è un dato di fatto: la pallacanestro sembra calzargli a pennello.
Migliora costantemente al punto da venir notato dagli attenti osservatori del settore nazionali giovanili che nel 1956 lo convocano per una delle selezioni. Il grande Cesare Rubini, che considera Trieste e per estensione tutto il Friuli il suo “terreno di caccia personale” – manda un emissario a “visionare” il giovane friulano e, ricevuto un “feedback” positivo, lo fa arruolare nei ranghi della Ginnastica Triestina. La squadra giuliana,, da poco targata Stock, appartiene al “gotha” del basket nazionale in virtù dei cinque titoli vinti prima della guerra, ed è sicuramente un ottimo luogo dove affinare la propria tecnica. Ma Nino sembra già pronto e lo fa vedere fin da subito: nonostante una struttura fisica ancora acerba (190 centimetri per soli 74 chili), la sfrontatezza e dei fondamentali di prima classe in breve tempo gli valgono un posto in quintetto base. Da ricordare soprattutto le prestazioni contro Milano, i 25 punti segnati contro Roma e i 28 messi a segno nel successo ai supplementari contro Pavia. Le mani dei triestini si “raffreddano” negli ultimi due mesi di campionato e rischiano di venir risucchiati nella zona retrocessione, nonostante il finale di campionato poco felice, l’ottima impressione destata da Cescutti gli vale la chiamata di Rubini e la maglia dei campioni d’Italia dell’Olimpia Milano che da un paio d’anni è sponsorizzata “Simmenthal”.
Il campionato 1958-59 gli porta il primo scudetto e Nino se lo guadagna garantendo un ottimo apporto in una squadra che è praticamente la Nazionale Italiana rafforzata dallo statunitense Peter Tillotson: Gianfranco Bertini (80 partite in Nazionale), Sandro Riminucci (69), Gianfranco Pieri (61), Cesare Volpato (35), Gianfranco Sardagna (48). E’ un gruppo che dovrebbe vincere a mani basse, e invece il successo arriva solo all’ultima giornata, quando i diretti avversari della Virtus Bologna incappano in un’inaspettata sconfitta a Pesaro e il Simmenthal batte agevolmente la già retrocessa Livorno. E’ l’undicesimo scudetto per l’Olimpia e restare a Milano significherebbe continuare ad accumulare trofei (i lombardi si aggiudicheranno sette dei successivi nove campionati e la Coppa Campioni 1966): ma Nino nella metropoli fa fatica. E’ un ragazzo di provincia e il cemento, il traffico, la frenesia della capitale economica d’Italia negli anni del “boom” lo mettono a disagio. Preferisce una città più tranquilla. In futuro un po’ si pentirà della sua scelta, ma nella primavera del 1959 è deciso e preferisce passare alla Virtus Pesaro. E’ anche il momento in cui la Federazione Italiana Pallacanestro prende una decisione importante: inibisce agli stranieri la partecipazione al campionato per “tutelare” il patrimonio sportivo nazionale…altri tempi.
La decisione ha un effetto immediato sulla carriera di Cescutti: Nino è un ottimo realizzatore (sebbene ancora soggetto a “alti e bassi”) e il ruolo di leader di una squadra di seconda fascia abbinato all’assenza di stranieri gli permetteranno di ottenere maggiori successi. Gli costerà però molto a livello di maglia azzurra, visto che una legge non scritta sancisce che i migliori talenti debbano giocare nelle migliori squadre, pena l’esclusione dalla Nazionale. Il suo gioco intanto si è ormai raffinato, sebbene sia ancora contrassegnato da una certa imprevedibilità che non sempre verrà favorita dagli allenatori. E’ un “atipico”, a volte non si sa come faccia a segnare, ma lo fa: è decisamente diverso dall’Angelo Biondo Riminucci, così scolastico e bello da vedere. In attacco possiede l’intero arsenale di fondamentali: tira bene da lontano, sa attaccare l’area ma è anche abile nel gioco spalle a canestro. In pratica per le tre stagioni seguenti è lui l’americano della Pesaro di Agide Fava. Con la maglia della Vuelle marchiata prima Lanco e poi Algor si aggiudica i titoli di miglior realizzatore del campionato nel 1960 e nel 1962. L’exploit del 1960 gli resterà sempre nel cuore, perché ottenuto con una performance da 54 punti nell’ultima partita stagionale che gli permette di sorpassare in extremis il grande Tonino Zorzi. La continuità ad alto livello lo avvicina alla Nazionale con la quale ha esordito nel 1962 a Belgrado ma, come anticipato, il suo rapporto con la maglia azzurra sarà sempre…conflittuale. Il selezionatore Nello Paratore è tra quelli che non vedono di buon occhio la sua “fame di canestri”, preferisce un approccio più ragionato...e poi gioca in una provinciale. Come se non bastasse nel ruolo davanti a Cescutti ci sono Paolo Vittori - probabilmente uno dei cinque migliori giocatori della storia del basket italiano, sicuramente quello di cui si è parlato (e si parla) di meno - e Gianfranco “Dado” Lombardi, due anni più giovane e già in quintetto base alle Olimpiadi di Roma 1960.
Dopo i tre anni a Pesaro Nino sente che è il momento di tornare nel basket che conta e accetta le offerte dell’Ignis Varese che nel 1961 ha vinto il suo primo titolo spezzando l’egemonia milanese. Ma il Simmenthal è una corazzata e nel campionato 1962-63 si aggiudica tutte e 26 le partite, lasciando ai prealpini solo il secondo posto. Nella stagione successiva l’Ignis parte determinata: è ancora una sfida con Milano e le prime nove giornate vedono le due squadre contendersi la vetta della classifica a punteggio pieno. Alla decima però l’Olimpia “scivola” a Livorno, alla dodicesima perde il confronto diretto in quel di Masnago e quei quattro punti faranno la differenza. E’ il secondo titolo per l’Ignis ed è anche il secondo per Cescutti, che negli anni successivi con Varese si porta a casa anche una Coppa Intercontinentale (1966, l’anno del “ritorno” dello straniero in campionato) e una Coppa delle Coppe (1967). Nino assiste anche all’arrivo di Dino Meneghin al quale fa da mentore, insegnandogli i “rudimenti” del gioco spigoloso tipico del campionato italiano. Con la maglia azzurra disputa gli Europei a Mosca nel 1965: Paratore non gli lascia molto spazio, ma dopo un primo tempo contro la Romania in cui l’Italia sembra amorfa e va sotto di 14 lunghezze, quando il passivo tocca i 18 punti decide di giocarsi la carta-Cescutti. Il campione friulano mette a segno 18 punti, compresi i due liberi che mandano l’incontro ai supplementari. Inspiegabilmente, nell’overtime Paratore lo toglie dal campo, ma ormai gli azzurri hanno la partita in pugno e se lo aggiudicano per 81 a 75, lanciandosi vero un onorevole quarto posto finale. E’ anche il canto del cigno di Nino in azzurro. Di lì a poco Paratore opererà uno svecchiamento dei ranghi in vista dei Mondiali in Uruguay del 1967 e delle Olimpiadi messicane del ’68. Eppure Nino è considerato tra i migliori giocatori europei, come provato dalla convocazione per la prima selezione continentale che a Cracovia nell’ottobre del 1965 gioca due amichevoli contro il Real Madrid ed il quintetto locale del Wisla.
Ma gli anni stanno passando e anche all’Ignis Varese, dopo cinque stagioni ad ottimo livello il suo ruolo comincia a essere più sfumato (dai 17 punti di media nelle prime due esperienze varesine, nel 1967 è sceso a meno di nove) e Nino capisce che deve cercare nuovi stimoli. Come detto il tempo per la Nazionale è finito ed il suo il grande cruccio rimarrà sempre quello di non essere stato convocato da Paratore ai Giochi di Roma 1960 e a quelli di Tokyo 1964, nonostante proprio in quel periodo fosse il miglior realizzatore del campionato italiano.
E così accetta di tornare nella sua amata Udine, figliol prodigo, dove il cavalier Rino Snaidero sta mettendo assieme i pezzi per riportare Udine nella massima serie. Il braccio destro di Snaidero è Manlio Cescutti, fratello di Nino, e come si fa a dire di no al proprio sangue? Così torna a Udine dove è immediatamente la stella di una squadra che tra gli altri comprende anche Giancarlo Sarti, Aldo Cella, Lino Paschini, Paolo Magnoni e “Cola” Porcelli. E’ un campionato lungo, quello di serie B. Snervante. Durissimo. Partite che sembrano battaglie, come quella di Vigevano in cui la Snaidero viene letteralmente aggredita da tifosi esagitati. Nino questa volta non la vince con un tiro, ma con un calcio: quello che un “signore” gli rifila al basso ventre, mandandolo all’ospedale. La Biancosarti Vigevano vince di misura la partita in un clima intimidatorio, la Federazione però ribalta l’esito del campo e assegna la vittoria agli udinesi. Gli “arancione” si aggiudicano la promozione con vincendo venti delle ventidue partite, tre più dei lomellini e addirittura sette in più dei terzi classificati, i “cugini” della Splugen Gorizia. Adesso però per Rino Snaidero ed il fido Manlio Cescutti arriva il difficile: costruire una squadra che possa dire la sua nella massima serie. Lo fanno partendo dalla solida base protagonista della promozione e vi aggiungono ulteriore talento: quello giovane di Iwan Bisson e Pierangelo Gergati, in prestito da Varese, quello solido del veterano Corrado Pellanera e quello raffinato di Joe Allen, centro americano. E’ un gruppo tosto che al palasport “Benedetti” è ostico per ogni avversaria: tra la metà di gennaio nel piccolo palazzetto friulano cadono l’Ignis Varese, Virtus Bologna (dopo tre supplementari) e Fides Napoli (dopo due supplementari). La squadra ruota attorno all’enorme – in tutti i sensi – Joe Allen che viene aiutato da Bisson (14 punti a partita) e Cescutti (poco meno di 12). Da neopromossa ottiene un inatteso quinto posto, seppur in coabitazione con altre tre squadre, che rappresenta, assieme al risultato della Sanidero versione 1971-72, il momento più alto del basket udinese. E Nino è ancora una volta profeta in patria.
A fine stagione Boris Kristančić torna a Lubiana e viene sostituito da Gianfranco Benvenuti, il gruppo resta immutato negli uomini più importanti ma non riesce a ripetere l’exploit dell’anno da matricola terribile. Nove vittorie e tredici sconfitte, lo stesso bilancio che viene fatto registrare dalla Snaidero nel campionato 1970-71, il primo al palasport “Carnera” e l’ultimo per Nino Cescutti, che decide di appendere le scarpette al chiodo. Due salvezze tutto sommato tranquille che rafforzano il ruolo di Udine tra le reginette della massima serie, alle spalle del triangolo lombardo Milano-Varese-Cantù. Nino potrebbe continuare, ma il suo formidabile atletismo sta venendo meno.
E allora accetta due offerte, allenare le giovanili della Snaidero e cominciare ad insegnare: per trent’anni avrà a che fare con i ragazzi del “Copernico”, dello “Zanon” e del “Marinoni”. Nel 1974 viene chiamato in Svizzera dalla Federale Lugano e assieme alla coppia formata dal fenomenale Manuel Raga e dall’americano Ken Brady porta nel Canton Ticino il primo titolo elvetico, oltre che la coppa nazionale. Poi torna a Udine dove, dieci anni dopo, prova a rimettere in linea di galleggiamento l’Australian di Dražen Dalipagić e Swen Nater. E’ una squadra dal talento enorme (può contare anche su Fabrizio Della Fiori, Lorenzo Bettarini, Gigi Cagnazzo, Achille Milani e Tiziano Lorenzon), ma coach Aza Nikolić ha alzato bandiera bianca e si spera che una leggenda locale possa riuscire nel miracolo. Il gruppo però non riesce mai a trovare la “chimica” giusta e retrocede. E probabilmente la delusione per Nino è tale da allontanarlo definitivamente dalle panchine di alto profilo.
Ad oltre trent’anni di distanza, Giambattista “Nino” Cescutti è ancora una delle presenze di maggiore impatto nel basket friulano. Nelle rimpatriate e nei raduni la sua figura spicca decisamente tra tutti anche dopo aver scollinato gli ottanta, con lo sguardo fiero di chi è stato protagonista di un’epoca d’oro del basket udinese.
Intanto, per me, rimane sempre uno dei tre migliori cestisti prodotti dalla città di Udine: le tre G, Giampiero…Giacomo…Giambattista detto “Nino”. L’ordine non mi interessa, mettetelo voi.