29/07/2024
IUSVEducation Supplemento al numero #23 - Rivista interdisciplinare dell'educazione
Titolo: Introduzione generale
Autrici: Mariachiara Pacquola, Chiara Biasin
Introduzione generale
La proposta di questo numero della rivista IUSVEducation affronta il tema del Workplace Learning, ovvero l’apprendimento che avviene sul luogo di lavoro, un tema molto dibattuto nella letteratura internazionale in quanto si trova all’intersezione di una serie di questioni che concernono la complessa relazione tra apprendimento, lavoro e formazione, in prima battuta, ma anche le dimensioni organizzative, lo sviluppo individuale, le pratiche lavorative e i risultati produttivi.
Il Workplace Learning è stato approcciato e teorizzato da differenti prospettive disciplinari e culturali (sociologia del lavoro, economia e management, antropologia culturale, psicologia, pedagogia…) che hanno dato luogo a molti studi di approfondimento e ad altrettante, differenti, interpretazioni.
Alcune tra le principali ricerche (Tynjälä 2008; Fenwick 2010; Billett, Dymock, Choy 2016) hanno focalizzato l’attenzione sulla natura del Workplace Learning e le sue differenze rispetto ad altri contesti e tipi di apprendimento, oppure hanno messo in luce le caratteristiche, i livelli di conoscenza che esso genera o sollecita. il ruolo e l’interdipendenza di componenti organizzativo-sociali e dimensioni individuali implicate nelle esperienze professionali e lavorative.
Nella letteratura francofona, in particolare, si trovano testi che affrontano il tema degli apprendimenti dal punto di vista degli approcci di ricerca e di formazione, delle metodologie formative e dei contesti lavorativi e di apprendimento (Bourgeois, Durand 2012; Bourgeois, Enlart 2014).
Questa tematica, notevolmente approfondita da Fillietaz e Billett (2015), si associa ad un florido dibattito sviluppatosi attorno a riviste di portata nazionale come Education Permanente e a una significativa letteratura scientifica con filoni di ricerca sul tema della formazione e della professionalizzazione degli adulti per varie categorie e molti contesti professionali e lavorativi (insegnanti, professioni di cura, professioni della salute, nel settore agroalimentare, industriale…).
Il dibattito italiano, a tale proposito, pur riconoscendo appieno il valore formativo del lavoro, ha finora poco valorizzato la centralità di un ragionamento scientifico attorno alle questioni che riguardano il ruolo formativo e trasformativo dei contesti professionali e delle pratiche lavorative, l’impatto dell’evoluzione del lavoro, delle tecnologie e dei contesti organizzativi sull’apprendimento e lo sviluppo delle competenze necessarie per affrontarle. I temi che affrontano il nodo tra lavoro e apprendimento ne aprono, a loro volta, altri collegati con i nuovi modi della progettazione formativa di riuscire ad articolare saperi della pratica e saperi formali nei processi per professionalizzazione degli adulti.
Nel nostro paese questa tematica è poco sviluppata, sebbene alcune discipline ed alcuni autori abbiano da tempo affrontato i temi connessi con gli apprendimenti professionali: le questioni legate alla conoscenza pratica sono state approfondite in ambito sociologico per la loro rilevanza nello studio del lavoro come pratica situata (Gherardi 2006, 2018; Bruni, Gherardi 2007) e del ruolo della comunità di pratica nell’attivare processi di apprendimento (Bastianelli 2007); in ambito psicologico, per le implicazioni nello sviluppo professionale e organizzativo (Scaratti 2005) e nella trasmissione delle competenze esperte (Re 1990; Oddone, Re, Briante 1976); nell’ambito del management, lo studio della relazione tra saperi taciti, processi di sviluppo, innovazione aziendale e costruzione di reti territoriali (Rullani 2004).
Nell’ambito dell’educazione degli adulti (Biasin 2022; 2023), della pedagogia del lavoro (Alessandrini 2017) o della storia della pedagogia del lavoro (Zago 2017), il tema dell’apprendimento nei contesti non formali e informali e della professionalizzazione in contesto organizzativo è prevalentemente limitato agli studi sulla formazione professionale e l’apprendistato (Tacconi 2011; Bertagna 2006), sulla questione della formazione continua degli insegnanti (Magnoler 2015), delle professionalità tecniche e dei mestieri manuali nella manifattura (Pacquola 2016, 2018, 2020); alcuni studi introducono una riflessione sulla rilevanza degli approcci situati e di dispositivi dialogici e partecipativi (Fabbri 2014), altri sulla centralità dell’apprendimento implicito e la formazione incorporata nei contesti professionali e organizzativi (Boffo, Torlone 2021; Federighi 2012), altri ancora riflettono sugli approcci e le metodologie che considerano gli apprendimenti sviluppati in luogo di lavoro nello sviluppo dell’agency personale (Costa, Strano 2017) e nel ripensare la progettazione formativa in contesto formale (Magnoler, Pacquola, Tescaro 2014; Tacconi 2012).
Se la riflessione scientifica italiana dedicata all’apprendimento nel/al/durante il lavoro è rimasta in ombra, sottostimando il rilievo dei processi e dei dispositivi non formalizzati e non intenzionali di formazione e apprendimento nei contesti professionali, le recenti evoluzioni delle politiche pubbliche formative, nazionali e regionali che riguardano la validazione e la certificazione degli apprendimenti acquisiti in contesto informale, non formale e formale (Porcelli, Montalbano 2023) richiamano una maggiore attenzione su questi temi.
L’obiettivo di questo supplemento è di presentare alcune voci autorevoli del dibattito internazionale che permettono di leggere la relazione tra apprendimento e lavoro in maniera innovativa con evidenti ricadute sulle persone e sulle organizzazioni. Si vuole mostrare come l’apprendimento sul luogo di lavoro sia connotato da processi, dinamiche, attori, saperi, modalità, condizioni, profondamente diversi da quelli della formazione formale sul luogo di lavoro. La dimensione dell’apprendimento informale è al centro della riflessione perché riguarda il modo e le condizioni con cui le persone, mentre lavorano, apprendono su di sé, sull’attività, sulle relazioni sugli artefatti prodotti, e sul lavoro stesso: il lavoro e l’attività professionale non sono più solo strumento e fine, ma hanno un valore formativo intrinseco che va considerato nella sua specificità.
Questo richiede che tutti gli operatori che hanno come oggetto di lavoro l’apprendimento (ci riferiamo in primis ai formatori e progettisti della formazione, ma anche a coach, tutor, responsabili della formazione, managers quadri e responsabili di linea, analisti del lavoro, account e case managers dei servizi per il lavoro, accompagnatori nei processi di IVC, ergonomi, certificatori, policy makers, docenti e operatori nei settori dell’istruzione …) si dotino di epistemologie, teorie, metodologie e una strumentazione formativa diversa da quella «tradizionale», per ripensare alle proprie pratiche. Sono chiamati infatti a lavorare in prossimità e in connessione con i contesti lavorativi e organizzativi per accompagnare stakeholders, attori organizzativi, lavoratori a sviluppare una maggiore consapevolezza dei modi con cui apprendono; hanno un ruolo decisivo nella progettazione e conduzione di dispositivi formativi, di professionalizzazione, di accompagnamento in grado di identificarli, valorizzarli, capitalizzarli e trasformarli per diffonderli; collaborano con individui e collettivi nel costruire e ricostruire saperi acquisiti nelle zone ibride dei contesti informali, non formali e formali di apprendimento; intervengono per organizzare o riorganizzare i contesti e il lavoro al fine di dare respiro a questa attività «nascosta, opaca, volatile», ma sostanziale per realizzare l’attività produttiva.
Contattare, entrare e so-stare nei luoghi di lavoro richiede una nuova postura e nuovi saperi per ripensare e condurre con maggior consapevolezza processi di apprendimento strettamente connessi con il processo lavorativo.
Rileggere il nesso apprendimento/ lavoro alla luce del Workplace Learning implica necessariamente anche un differente modo di concepire la formazione nella filiera formativa, in particolare la formazione continua e professionale iniziale, che chiede a sua volta un ripensamento alla luce del valore delle dimensioni informali e implicite, cruciali e specifiche nel WPL. L’apertura a nuove forme dell’apprendere nel contesto lavorativo, che vadano al di là della formazione finalizzata, formalizzata ed organizzata in corsi aziendali o in esperienze outdoor, apre sicuramente alla possibilità di considerare nuovi modi di concepire il lavoro e di stare al lavoro, con un impatto evidente sulle persone e sulle organizzazioni in termini di know how, di sviluppo di competenze innovative e creative, di benessere sul posto di lavoro, di valorizzazione delle dimensioni biografiche, delle capacità individuali e di condivisione della conoscenza. Vanno ripensate, quindi, le modalità con cui vengono fatte l’analisi dei bisogni, la progettazione e la tipologia delle attività formative, messi a punto gli strumenti formativi, definite le condizioni e le esigenze dell’apprendimento nel lavoro. Ciò implica anche una revisione delle competenze e del ruolo degli operatori di formazione, skills developers e skills builders (Del Gobbo, Torlone 2022) che sono chiamati a diventare accompagnatori di organizzazioni e individui nel valorizzare apprendimenti e garanti della legittimità del processo di apprendimento consustanziale alle situazioni di lavoro. Non più esperti di strumenti e tecniche, ma «orchestratori» e «mobilizzatori», in stretta condivisione con gli attori lavoratori e organizzativi, di visioni collettive a respiro ecosistemico e territoriale e di conoscenze incarnate, situate e condivise nei diversi luoghi in cui si realizzano lavoro e apprendimento.
Questo supplemento si divide in due sezioni i cui contributi offrono un quadro autorevole della riflessione sul tema da parte di autori internazionali che, a differente titolo (in quanto ricercatori, docenti universitari, professionisti esperti, …) propongono una prospettiva significativa e originale sulla complessa relazione tra apprendimento e lavoro.
Nella prima sezione, “Concetti e approcci”, rientrano sette contributi che si focalizzano sulle questioni dell’agentività nel lavoro, sulla nozione di Workplace Learning e di situazione professionale ed approfondiscono il ruolo dei saperi esperienziali, taciti, dell’analisi dell’attività lavorativa e del Corso d’Azione attraverso prospettive differenti ma interconnesse, tali da restituire la ricca complessità e la significativa densità del tema.
Chiara Biasin presenta il contesto di lavoro come un luogo di apprendimento non formale e di educazione informale dell’adulto. Partendo dal confronto tra definizioni e prospettive diverse sul Workplace Learning, l’autrice analizza caratteristiche e specificità che distinguono questo modo di apprendere da altri più accreditati e tradizionali. Vengono messe in luce le interdipendenze tra individuo e contesto lavorativo, ovvero tra adulto che lavora e organizzazione lavorativa, rispetto al comune processo di acquisizione di conoscenze, sviluppo di capacità e attitudini. Un particolare approfondimento viene dedicato alle dimensioni informali e tacite, che connotano il sapere che si genera dalla performance professionale, al fine di valorizzare e legittimare il fatto che l’apprendimento possa avvenire anche sul posto di lavoro, attraverso lo scambio interattivo, i processi di problem solving, networking e mentoring, l’osservazione e l’autoapprendimento. Viene proposta una visione del Workplace Learning come forma di apprendimento sociale, incarnato e situato.
Stephen Billett approfondisce il riferimento teorico di Workplace Learning per far emergere e valorizzare l’apprendimento attraverso il lavoro. L’autore mostra come la partecipazione, le interazioni e l’apprendimento attraverso la pratica lavorativa siano i modi principali con cui nel corso della storia dell’umanità viene appresa la maggior parte delle capacità professionali, distinguendole nettamente da quelle che si sviluppano all’interno delle istituzioni educative. La comprensione di come l’apprendimento nasca attraverso il lavoro richiede premesse esplicative distinte da quelle che fondano l’apprendimento nelle istituzioni educative. Tali considerazioni portano anche a riflettere su come questo apprendimento possa progredire al giorno d’oggi. Attingendo alle discipline antropologiche, storiche, psicologiche e sociologiche, Billett introduce le nozioni di curriculum sul luogo di lavoro e di pratiche pedagogiche e personali che sostengono l’apprendimento attraverso il lavoro, che sono spiegate e illustrate come percorsi lungo i quali le esperienze lavorative vengono arricchite dallo sviluppo di conoscenze attraverso il lavoro stesso.
Karen Evans focalizza il concetto di agency nei contesti di lavoro e mostra come il contesto socioeconomico e culturale produca degli effetti sulle dimensioni della vita personale e professionale degli individui. Se, infatti, l’agentività può essere concepita come un processo socialmente integrato, attivo e potenzialmente trasformativo, l’espressione agentività delimitata (bounded agency) vuole invece rappresentare gli effetti e le influenze che i contesti, e nello specifico il luogo di lavoro, l’ambiente familiare e comunitario esercitano sulle capacità individuali. L’autrice spiega che, generalmente, nell’apprendimento e nello sviluppo, le persone sono disposte ad apprendere nuove capacità, riferite sia al perimetro circoscritto del proprio luogo di lavoro, che ad orizzonti più ampi coincidenti con i propri obiettivi di vita e di lavoro. Tuttavia, l’agentività è condizionata dai domini e dai contesti professionali e organizzativi in cui la persona opera, i quali vincolano le sue possibilità di espressione, di mobilizzazione delle sue conoscenze e di esercizio del giudizio nella valutazione della portata e dei limiti della sua stessa azione. Le storie personali di ciascuno costituiscono inoltre una base che influenza i modi in cui le persone si aprono alla conoscenza, orientando il senso e l’azione nei luoghi di lavoro e nella loro vita professionale. A sostegno di tale argomentazione, l’autrice porta tre esempi di pratica professionale nel settore pubblico, nella libera professione e in occupazioni tipicamente fragili e di bassa scolarità.
Paul Olry presenta nel suo contributo i riferimenti teorici e metodologici dell’approccio francofono della Didattica Professionale. La Didattica Professionale si propone di studiare come acquisire e sviluppare conoscenze e competenze legate alla pratica professionale, in una prospettiva di formazione degli adulti. Per fare ciò assegna all’analisi del lavoro un posto centrale al fine di identificare le conoscenze da mobilizzare in una situazione professionale di riferimento con lo scopo di costruire i contenuti formativi e utilizzare le situazioni di lavoro come supporti per la formazione delle competenze e per l’apprendimento di tali conoscenze. Adottare questo approccio significa guardare alla dimensione cognitiva dell’attività professionale in una prospettiva interdisciplinare, coniugando gli studi ergonomici e di psicologia del lavoro francesi centrati sulla differenza tra compito prescritto e attività reale, gli apporti della psicologia dello sviluppo dove lo schema diventa vettore della concettualizzazione, i contributi della didattica delle discipline e la nozione di situazione didattica. Analizzare il modo in cui le persone concettualizzano il lavoro e le situazioni di lavoro diventa quindi una tappa metodologica preliminare alla progettazione dei dispositivi formativi, in contesti formali e non formali, ma è essa stessa un importante momento formativo in sé, per lavoratori, esperti e formatori che apprendono a partire dall’esplicitazione dei saperi che stanno mobilizzando.
Germain Poizat, Deli Salini e Simon Flandin affrontano l’attività, l’apprendimento e la formazione in situazione lavorativa alla luce del paradigma enattivo del Corso d’Azione di J. Theureau. L’approccio enattivo all’attività porta ad assumere come oggetto il lavoro e ciò che gli attori fanno concretamente in un una situazione specifica di lavoro, a dare il primato all’esperienza vissuta dall’attore e alle dinamiche di costruzione del significato in una situazione di lavoro, ad approcciare l’apprendimento come un processo che è il risultato sia di una presenza corporea nel mondo che di interazioni corporee. L’apprendimento, quindi, non è un processo innestato o aggiunto all’attività, ma inerente alla dimensione autocostruttiva dell’attività stessa. Gli autori descrivono le conseguenze pratiche di tale approccio per le ricerche e le azioni di formazione in situazione di lavoro. Tra queste, la necessità metodologica di una doppia descrizione del luogo di lavoro, interna ed esterna. La descrizione intrinseca, in prima persona, illustra la situazione dell’attore, in altre parole il contesto di lavoro al livello in cui è significativo per l’attore; quella estrinseca, in terza persona, invece, è una descrizione degli effetti e dei vincoli del luogo di lavoro compiuta esclusivamente dal punto di vista di un osservatore esterno.
Hervé Breton affronta la definizione di sapere esperienziale, concetto sempre più attuale nell’educazione degli adulti, nell’analisi del lavoro e più ampiamente nelle scienze umane e sociali ma anche nell’ambito della salute, dove prevalentemente conduce la sua ricerca. Il programma di ricerca che l’autore conduce all’interno dell’approccio biografico narrativo ha l’obiettivo di chiarire le condizioni di validità delle narrazioni e delle pratiche che mobilitano il sapere esperienziale, in particolare nei contesti di formazione, lavoro e certificazione. Il contributo entra quindi nel merito di due questioni. La prima riguarda l’emersione e l’esistenza dei saperi esperienziali e si interroga sui modi in cui questi possano essere appresi. L’autore descrive a tale proposito tre dinamiche: come i saperi esperienziali si manifestano nella situazione, come essi vengono acquisiti dal punto di vista del soggetto e come vengono formalizzati nei discorsi e nelle auto-narrazioni. La seconda questione riguarda come i saperi esperienziali possano entrare e prendere forma nel linguaggio, in modo tale da poter essere riconosciuti nelle narrazioni sul lavoro. Viene a questo punto affrontata la definizione di narrazione e introdotta la nozione di regime narrativo.
A chiudere la prima parte, Philippe Maubant affronta più ampiamente l’apprendimento professionale in situazione, approfondendolo dal punto di vista degli scopi e degli oggetti. L’elaborazione di questo quadro teorico ha tre obiettivi: porre l’atto dell’apprendimento al centro delle proposte difese dalle teorie dell’analisi dell’attività lavorativa, contribuire a delineare un’ingegneria della formazione e progettazione formativa legata al lavoro, fornire ai diversi attori coinvolti nel compito di sostenere percorsi di professionalizzazione un quadro di intervento pedagogico.
Collochiamo appositamente questo contributo alla fine della sezione, perché lo scopo del quadro teorico e metodologico proposto è quello di arricchire le proposte innovative degli autori del settore con una riflessione scientifica sull’utilizzo dell’analisi dell’attività lavorativa a fini di apprendimento e di sviluppo professionale.
Nella seconda sezione, “Dispositivi e metodologie”, rientrano sette contributi che analizzano alcuni dispositivi particolarmente cruciali nel WPL, come l’accompagnamento collettivo, la trasmissione e la condivisione dei saperi, nonché il riconoscimento degli apprendimenti acquisiti sul posto di lavoro. Una riflessione viene condotta sul ruolo delle temporalità formative e degli spazi di apprendimento nel contesto professionale. Gli autori presentano anche alcune metodologie particolarmente pertinenti, adeguate ed efficaci, come l’intervista di esplicitazione e l’uso del video per il riconoscimento e la valorizzazione degli apprendimenti che consentono di tradurre operativamente temi e approcci.
Natasha Kersh riflette sulla questione dell’apprendimento sul luogo di lavoro alla luce della nozione di «spazio professionale». In linea con queste prospettive di ricerca, gli spazi professionali e lavorativi vengono teorizzati non solo come contesti per lo sviluppo e la diffusione di competenze professionali, ma anche come contesti che possono giocare un ruolo importante nel contribuire allo sviluppo personale, nel migliorare le possibilità di vita e nel ridurre l’esclusione sociale. Il contributo prende in considerazione alcuni modi in cui questi spazi sono percepiti, costituiti e a cui viene dato significato attraverso le interrelazioni tra contesti e individui, con un particolare riferimento all’interpretazione dell’apprendimento sul, per e attraverso il luogo di lavoro. La considerazione delle complesse interdipendenze tra lavoro, apprendimento e individui (dipendenti) porta l’attenzione sul significato delle seguenti dimensioni: il ruolo dell’individuo (dimensioni individuali), l’accessibilità dello spazio di apprendimento (dimensioni contestuali), opportunità offerte dalle interazioni tra spazi e individui (dimensioni ecologiche).
Pascal Roquet affronta nel suo contributo un’analisi delle temporalità formative e lavorative nei dispositivi di professionalizzazione dell’adulto. Per mostrare quanto sia determinante la piena comprensione dei tempi formativi necessari per sviluppare attività lavorative stabili e durature, l’autore prende in esame alcune politiche formative realizzatesi in Francia negli ultimi anni, in particolare la formazione in situazione di lavoro. Tale politica è valorizzata all’interno delle politiche di formazione, trovando riconoscimento nella legge sulla formazione professionale, recentemente ripresa all’interno della legge del 2018 “Liberté de choisir son avenir professionnel”: i percorsi pedagogici definiti dal Codice del lavoro francese al fine di raggiungere un obiettivo professionale prevedono modalità in presenza, a distanza o in una situazione di lavoro.
L’autore mette in evidenza la tensione che può crearsi tra temporalità legate ai bisogni individuali di formazione, che richiedono tempi lunghi per giungere ad una qualificazione professionale, sviluppo professionale o personale, e temporalità politico-istituzionali, caratterizzate dal culto dell’urgenza, della soluzione veloce, che puntano alla rapida verifica dell’efficacia della formazione in vista del reinserimento lavorativo e dello sviluppo di carriera. Tale tensione può sfociare in un vero e proprio conflitto qualora a queste temporalità si dovessero aggiungere le specifiche temporalità istituzionali marcate anche dalla necessità della loro sostenibilità, perennizzazione e programmazione istituzionale.
Catherine Delgoulet sottolinea nel suo contributo come il ruolo dell’esperienza in situazione di apprendimento professionale risulti ambivalente quando si affronta il fenomeno dell’invecchiamento sul luogo di lavoro. A volte infatti l’esperienza è considerata un vantaggio, quando si tratta di trasmetterla, condividerla, capitalizzarla o riconoscerla nel quadro di dispositivi formalizzati (es. la Validazione e la Certificazione degli apprendimenti esperienziali). Può però anche essere concepita come portatrice di conoscenze e di competenze obsolete, se non addirittura devianti, che bisognerebbe piuttosto tacere e dimenticare. L’esperienza può così essere sia attesa che temuta, quando si tratta di pensare allo sviluppo delle competenze, a qualsiasi età, delle donne e degli uomini sul lavoro. L’autrice ritorna quindi sui dispositivi di apprendimento che possono sostenere la circolazione dell’esperienza e delle conoscenze, mettendone in luce le condizioni necessarie da soddisfare in fase di progettazione e di attuazione e le conseguenze in termini di conciliazione dei problemi di salute e di prestazioni sul lavoro.
Maela Paul ricostruisce nel suo contributo come la nozione di accompagnamento stia progressivamente evolvendo. In un primo tempo, infatti, l’accompagnamento è stato considerato come un binomio, basato su una relazione duale stabilita tra due persone o tra un professionista-accompagnatore e un gruppo, un’organizzazione, una famiglia, un insieme di persone in formazione. Nuove forme di accompagnamento emergono soprattutto in occasione di formazioni tra pari, che suscitano una nuova riflessione e orientano verso la concezione di «collettivi che si accompagnano». Paul sottolinea la necessità di avere nuovi punti di riferimento per progettare dispositivi in grado di agire in seno a queste forme collettive di accompagnamento, superando il vecchio modello pedagogico trasmissivo e impositivo, per considerare modelli capaci di «pensare insieme» e che presuppongono pratiche costitutive basate sulla discussione e il dialogo, di cruciale importanza soprattutto nei contesti professionali e lavorativi.
Philipp Assinger approfondisce nel suo contributo il tema del riconoscimento degli apprendimenti acquisiti (Recognition of Prior Learning – PLR). All’interno della nozione-ombrello di RPL rientrano diversi approcci che affrontano la questione del riconoscimento dell’apprendimento, accomunati dal fine di cercare di rendere visibile l’apprendimento sul luogo di lavoro e di sostenere le fasce svantaggiate della popolazione adulta nell’acquisizione di qualifiche o nell’accesso all’istruzione. La relazione tra riconoscimento dell’apprendimento e luogo di lavoro sembra semplice, avverte l’autore, ma uno sguardo più attento rivela difficoltà concettuali: tra queste, i significati stessi che vengono attribuiti all’apprendimento, come acquisizione di una conoscenza o come forma di partecipazione alla vita collettiva lavorativa. La scelta concettuale del secondo significato, ad esempio, ha delle implicazioni non solo nella riconsiderazione delle circostanze contestuali nei luoghi di lavoro, ma anche a livello di valutazione degli apprendimenti ivi acquisiti. Assinger distingue l’RPL tradizionale da quello sul luogo di lavoro e, nel confrontarli, evidenzia e incoraggia la discussione scientifica ad approfondire il rapporto tra le due forme di RPL.
Mariachiara Pacquola, nei due contributi collocati alla fine della seconda sezione sottolinea le potenzialità dell’indagine qualitativa dell’attività lavorativa focalizzando l’attenzione sui modi e le condizioni in grado di permettere ai ricercatori-formatori di accedere alle conoscenze tacite, produrre nuove conoscenze individuali e collettive, modificare i comportamenti organizzativi, aumentare il poter agire dei singoli e del gruppo e trasformare le situazioni lavorative.
La constatazione di partenza è l’accettazione di un dilemma tra il dire e il fare, e che non è possibile ridurre quest’ultimo ad un discorso sul fare stesso in quanto la semplice verbalizzazione non riesce ad afferrarlo in tutta la sua complessità.
Affrontare questo dilemma significa quindi interessarsi al rapporto delle verbalizzazioni dell’attore rispetto alla sua azione, alla sua attività, esaminando le condizioni di produzione delle verbalizzazioni che documentano l’agire, o meglio, la logica dell’azione, il modo in cui l’attore e/o gli attori costruiscono e vivono la situazione. L’autrice entra nel merito di alcune metodologie costruite con il fine di documentare l’attività reale per far parlare il lavoro favorendo, tramite il linguaggio, l’argomentazione, l’esplicitazione dello svolgimento dell’azione lavorativa. Il linguaggio infatti rappresenta una parte costituiva del lavoro, una risorsa di produzione e di mediazione attraverso cui si svolge una pratica professionale: esso viene preso in considerazione dal ricercatore-formatore come uno strumento di costruzione di significati e di interpretazione dell’azione. Il linguaggio, infine, costituisce uno dei metodi di accesso per scoprire, e studiare la zona enigmatica, nascosta, del lavoro e accedere ai saperi esperienziali sedimentati nel tempo e per loro natura taciti, laconici e invisibili posseduti dagli esperti nelle organizzazioni. Questa nuova classe di metodologie di indagine qualitativa dell’attività lavorativa centrate sul fare parte quindi dal presupposto che non è possibile raggiungere l’obiettivo di esplicitare l’attività reale in situazione né con una semplice osservazione della situazione, né con una semplice intervista agli attori che hanno realizzato l’azione.
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La rivista IUSVEducation è open access, on line, accessibile a tutti al sito iusveducation.it
IUSVE - Istituto Universitario Salesiano Venezia - Verona (ufficiale)
La proposta di questo numero della rivista IUSVEducation affronta il tema del Workplace Learning, ovvero l’apprendimento che avviene sul luogo di lavoro, un tema molto dibattuto nella letteratura internazionale in quanto si trova all’intersezione di una serie di questioni che concernono la compl...