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MALITALIA www.malitalia.it Mafia, ndrangheta e camorra: in Italia è in corso un conflitto, silenzioso e inarrestabile. Raccontiamo l'Italia tra disperazione e speranza.

criminalità organizzata spara sempre meno e fa sempre più affari.

La vita ci riserva sempre delle sorprese e ciò che pensavamo nascosto, sepolto nei nostri ricordi, riaffiora all'improvv...
29/12/2021

La vita ci riserva sempre delle sorprese e ciò che pensavamo nascosto, sepolto nei nostri ricordi, riaffiora all'improvviso e riporta a galla tutto....
Ci sono lavori poi che ti portano a contatto con la cruda realtà quotidiana, con storie che pensiamo di vedere solo nei film...Ascoltate il podcast questa è una di quelle...
Stefano Masoni

http://www.lauraaprati.com/2021/12/26/un-giorno-al-bar-della-questura/

Una vita in viaggio.

Le reazioni alla sentenza su trattativa Stato-mafia: Tina Montinaro amareggiata, "Si riapre storia..."  Marco Bova12:43 ...
26/09/2021

Le reazioni alla sentenza su trattativa Stato-mafia: Tina Montinaro amareggiata, "Si riapre storia..."
Marco Bova

12:43 (AGI) - Trapani, 25 set. - "Pensavamo di aver chiuso un capitolo della nostra storia, invece siamo nuovamente qui, ed è sempre un ricominciare, uno stillicidio perchè qui non si finisce mai, anche se chiaramente chiaro aspettiamo le motivazioni per vedere cosa dicono". Lo dice ad AGI Tina Martinez, vedova di Antonio Montinaro, uno dei cinque agenti di scorta uccisi il 23 maggio 1992, nell'attentato al giudice Giovanni Falcone, commentando la sentenza d'appello del processo sulla Trattativa Stato-Mafia. "Noi non siamo stati bravi, i giovani devono essere più bravi di noi, non devono girarsi dall'altra parte come per tanti anni è stato fatto in questa Sicilia, ma se noi siamo confusi, penso che i giovani oggi debbano stare molto attenti, documentarsi e stare attenti a tutto ciò che succede" continua la vedova Montinaro, a margine della Giornata Tricolore organizzata a Custonaci dal centro studi Dino Grammatico, durante la quale le è stato assegnato il premio 'Cultura della Legalità'. (AGI)
TP2/MRG

12:43
(AGI) - Trapani, 25 set. - "Quel giorno non li hanno fermati e la 'Quarto Savona 15, (la sigla radio della Fiat Croma su cui viaggiavano Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo ndr) continua a camminare tutti i giorni - aggiunge Tina Martinez - continua a camminare oggi perchè io questo premio lo dedico a tutte le persone oneste e non si girano dall'altra parte e fanno ogni giorno dei sacrifici per andare avanti". Sulle trasformazioni della visione antimafia e la riforma della giustizia tuttora in discussione, la vedova dell'agente Montinaro precisa che "il garantismo e la legalità devono essere per tutti, ma la giustizia deve essere anche per i familiari perchè in questi anni hanno dato davvero tanto, in tutta Italia c'è sempre stata la lotta, ma a Palermo ci devono dare delle risposte concrete". Un sentimento rivolto anche alle "nuove vittime della mafia sono quelle messe da parte, perchè quando non ti uccidono con il tritolo lo fanno in altri modi, il prefetto Fulvio Sodano, (trasferito da Trapani ad Agrigento, su input dell'ex senatore Antonio D'Alì, condannato anche per questo episodio a 6 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa ndr) ho avuto modo di conoscerlo, so benissimo di chi stiamo parlando e certe cose non debbono accadere, ecco perchè ci rivolgiamo ai giovani, perchè si 'muore' anche per questo". (AGI)
TP2/MRG

Trattativa Stato-mafia: la sentenza della Corte di assise di Palermo.Fra 90 giorni le motivazioni         Rainews.it
26/09/2021

Trattativa Stato-mafia: la sentenza della Corte di assise di Palermo.
Fra 90 giorni le motivazioni

Rainews.it

Assolti anche De Donno e Subranni. Pena ridotta al boss Leoluca Bagarella, condannato il capomafia Nino Cinà. Dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca. Il processo era iniziato il 29 aprile 2019. Salvatore Borsellino: "Mio fratello Paolo morto invano"

08/04/2021

GIORNALISTI INTERCETTATI, PARLA L’AVVOCATO di Enrico Fierro pubblicato su "Domani" 8 aprile 2021

«Per fortuna l'informazione ha ancora gli anticorpi per i soprusi»
Andrea Di Pietro, consulente legale di Ossigeno per l’informazione che da anni segue le traversie giudiziarie dei giornalisti, commenta le vicende legate all’inchiesta di Trapani sulle Ong e sui cronisti che si occupano di Libia “spiati” dalla procura, come emerso grazie a un articolo di Domani: «Sono allarmato soprattutto come cittadino».
Un gravissimo errore. Una palese violazione della libertà dell’informazione». Andrea Di Pietro, avvocato che da anni segue le traversie giudiziarie dei giornalisti (si è fatto le ossa nello studio di Oreste Flamminii Minuto), consulente legale di Ossigeno per l’informazione, parla dello scandalo dei giornalisti intercettati emerso grazie a un articolo pubblicato da Domani. «Sono allarmato, come legale, ma anche come cittadino. In un paese dove le conversazioni dei giornalisti vengono intercettate, i loro spostamenti monitorati, si mina alla base l’indipendenza, l’autonomia e la libertà dell’informazione. Elementi che segnano, in un verso o nell’altro, la qualità della democrazia».
giornalisti, si sostiene, sono passibili di intercettazione, non c’è una norma che lo vieti, sono cittadini uguali agli altri di fronte alla legge, alle sue norme e ai suoi obblighi.

E chi mette in discussione questo principio? Qui si vuole spostare la discussione su altri terreni. Si vuole lasciar intendere che i giornalisti stanno qui a pretendere una sorta di immunità castale che è al di fuori e al di sopra della legge.

E invece?

Nel merito delle vicende legate all’inchiesta di Trapani, l’impressione è che si siano fatte intercettazioni a strascico e che dentro la rete siano finiti giornalisti che non hanno commesso reati, non li stavano commettendo, non pensavano di commetterli. Professionisti che stavano facendo semplicemente il loro lavoro. Sapere che un giornalista può avere il telefono, e tutti gli altri strumenti di comunicazione, sotto controllo, è allarmante dal punto di vista democratico. Forse di questo dovremmo discutere.

I giornalisti hanno diritto al segreto professionale e alla tutela delle fonti.

Tutte cose che l’ascolto delle telefonate, la registrazione dei contatti, il monitoraggio degli spostamenti, rendono labili, evanescenti, scritte solo sulla carta. Se nel corso di un’indagine tu intercetti un giornalista che contatta un indagato perché vuole approfondire, fare un lavoro che non si limita al riassunto delle informative di polizia o delle carte dei pm, se lo ascolti e ti rendi conto che non ci sono notizie di reato, passi oltre. Non trascrivi la conversazione neppure nel brogliaccio. Se lo fai limiti, insieme alla sua libertà, anche la sua possibilità di continuare a lavorare.

Vale a dire?

Le faccio un esempio legato all’attualità pandemica, così ci capiamo meglio. Sono un medico, un operatore sanitario, oppure lavoro in una grande industria che vende vaccini, vedo qualcosa che non va e decido di denunciare tutto all’opinione pubblica. Ma voglio mantenere l’anonimato. Cerco un giornalista che raccoglierà la mia denuncia, farà le verifiche del caso, e poi scriverà. La democrazia funziona anche così. Ma devo essere certo che nel momento in cui parlo lo sto facendo con una sola persona, che siamo io e lui che raccoglie le mie confidenze. Mi pare ovvio che nel momento in cui so che il giornalista in questione, bravo, coraggioso, pronto a far scoppiare un casino, è sotto intercettazione, non gli parlo più. Faccio a meno di contattarlo per evitare guai. Così il giornalista perde un’occasione di approfondimento di una notizia, ma anche di lavoro. Intercettandolo gli rompono un ferro del mestiere essenziale, il rapporto di fiducia con le fonti. Quel giornalista rischia di essere bruciato per sempre.

Eppure è stato proprio un giornalista (Andrea Palladino) a portare alla luce la vicenda dei colleghi intercettati. Un giornale (Domani) le ha pubblicate.

Un cortocircuito straordinario, perverso, ma anche virtuoso. I giornalisti vengono intercettati con le modalità che dicevo, le loro conversazioni trascritte e messe agli atti. Su carta vengono scritti nomi, cognomi, numeri di telefono del cronista e delle sue fonti, il tutto finisce sui giornali grazie alla stampa che pubblica per denunciare e difendere la sua libertà. Il sistema complessivo dell’informazione ha ancora gli anticorpi rispetto a queste forme di ingerenza del potere giudiziario, perché racconta con coraggio un sopruso che ha subito.

In questo caso dire «è la stampa bellezza» può sembrare una presa in giro.

Direi più «è la democrazia bellezza», ma una democrazia malata, in crisi profonda. Quando si lacera in questo modo la libertà e l’indipendenza dell’informazione, giustamente poste al centro del sistema democratico, perdiamo tutti.

n tema di giornalisti intercettati c’è una sentenza del 1° aprile della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Che è stata chiarissima: l’accesso alle conversazioni telefoniche di un giornalista è una chiarissima violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con particolare riferimento alla libertà di stampa. Con questa sentenza (Sedletska contro Ucraina), Strasburgo fa un passo importantissimo anche in materia di tutela delle fonti e di interesse generale della collettività a ricevere informazioni.

Ma le fonti del giornalista non sono già tutelate dal segreto professionale?

Il segreto professionale del giornalista è un diritto molto limitato rispetto a quello degli avvocati. Come è noto il giudice può imporre, in alcuni casi, di rilevare l’identità della fonte. Ora è chiaro che nella vicenda di Trapani siamo andati oltre, prendo il caso di Nancy Porsia. Dalle cose che ho letto sui giornali è stata intercettata per mesi, finanche quando parlava con il suo avvocato. Come da lei stesso ammesso, in quel periodo si stava occupando occasionalmente del lavoro delle Ong nel Mediterraneo, visto che la sua attenzione principale era sulla situazione in Libia. Perché le sue conversazioni sono state intercettate, perché i suoi spostamenti sono stati monitorati con la geolocalizzazione? Sono domande più che lecite. Dubbi che vanno al più presto chiariti. Il tema è di rendere più solida la normativa che tutela il segreto professionale e le fonti del giornalista, con norme chiare, difficilmente aggirabili come avviene adesso, ma anche sanzioni certe per chi viola questo diritto.

© Riproduzione riservata

10/02/2021



La Procura di Napoli ha sospeso l’uso dei Trojan ad una delle principali ditte di intercettazioni a causa di “un grave disservizio”. Si tratta della Sio spa, con sede a Cantù, che da anni opera in affidamento con le Procure dell’intera pen*sola, inibita da un ordine di servizio del procurat...

26/01/2021


Il giornalista e sociologo fu ucciso dalla mafia nel settembre 1988

15/01/2021





“Nessuna ipotesi di reato” sulla scomparsa dei dispositivi con i file d’indagine sul latitante Matteo Messina Denaro, custoditi all’interno dell’ufficio del pm che gli dava la caccia. Così la Procura di Palermo ha archiviato l’indagine scaturita da una relazione di servizio a firma del ...

03/01/2021





Mafia: pm Piscitello, impegno di tutti per cambiare direzione
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Pubblicato: 03/01/2021 11:34
Rete: Globale | Tema: Cronaca

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Mafia: pm Piscitello, impegno di tutti per cambiare direzione
Pubblicato: 03/01/2021 11:34
(AGI) - Trapani, 3 gen. - "Non saranno i magistrati a far alzare la qualità della vita dei cittadini di questa terra, ma saranno ben altre categorie che dovranno impegnarsi, finalmente". Lo ha detto il magistrato Roberto Piscitello, sostituto procuratore della Procura di Marsala e per anni in servizio al Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), intervenendo ad un incontro in omaggio al giudice Paolo Borsellino, ucciso da Cosa Nostra nella strage di via d'Amelio del 19 luglio 1992. "E' insopportabile pensare ancora oggi che la provincia di Trapani, come tutte le realtà meridionali, quando escono le classifiche sulla vivibilità delle nostre città, siano sempre in fondo", ha aggiunto il magistrato, noto per aver condotto alcune delle indagini sulla mafia trapanese e sui complici del latitante Matteo Messina Denaro. (AGI)
TP2/ROS
Mafia: pm Piscitello, impegno di tutti per cambiare direzione (2)
Pubblicato: 03/01/2021 11:34

(AGI) - Trapani, 3 gen. - "Credo che manchi una presa di coscienza da parte dei cittadini - ha proseguito il pm - e credo che manchi ancora quel concetto elementare di essere cittadini e non sudditi". Per un decennio il magistrato Roberto Piscitello ha ricoperto degli incarichi al Ministero della Giustizia e successivamente al Dap, occupandosi della gestione dei detenuti e dei provvedimenti di 41 bis e finendo nel mirino della mafia trapanese. "Alla società civile si può chiedere un contributo in via diretta, ma fino a un certo punto. La società civile si deve occupare della lotta alla mafia facendo il proprio dovere, interessandosi della cosa pubblica, partecipando alla vita politica del paese. Le lenzuola e i girotondi - ha continuato, riferendosi alle manifestazioni simbolo delle denunce antimafia - sono la cosa che si accetta, che è doverosa, che dà coraggio a tutti, ma non è quello lo scopo dell'opinione pubblica, che deve poter contare su forze dell'ordine che facciano il proprio lavoro, su giornalisti che criticamente descrivano ciò che accade, magistrati che non si facciano corrompere e che facciano per bene il loro lavoro. Soltanto quando tutte queste categorie, schierate naturalmente in prima linea nella lotta al crimine, faranno il proprio dovere, si potrà pretendere che il cittadino faccia di più, e su questo forse la strada è ancora lunga. Molte cose vanno fatte a varie livelli - ha concluso il pm Roberto Piscitello - e forse è ingeneroso iniziare a pretendere comportamenti dai semplici cittadini". (AGI)
TP2/ROS

20/12/2020

Il ritorno dei pescatori di Mazara tra e
di Paolo Di Giannantonio per Tvsette

29/11/2020



Respinto il ricorso contro proscioglimento presunto killer

   Enrico Fierro DomaniIl Nord, la Dc e la camorra: le mani sul terremoto in IrpiniaIl 23 novembre 1980 la terra trema: ...
22/11/2020




Enrico Fierro Domani

Il Nord, la Dc e la camorra: le mani sul terremoto in Irpinia
Il 23 novembre 1980 la terra trema: muoiono in tremila tra la Campania e la Basilicata. Per la ricostruzione si investirono 64 mila miliardi, ma finirono in sprechi e connivenze

ENRICO FIERRO

21 novembre 2020 • 17:36
Aggiornato, 21 novembre 2020 • 22:36
“Il terremoto come occasione di sviluppo” fu una menzogna. Speranze, voglia di riscatto, desiderio di un futuro migliore: tutto ucciso dai decenni della ricostruzione. Il più grande scandalo italiano.
Soldi, una montagna di soldi. 64mila miliardi di lire, una cifra che la Corte dei Conti tradusse in euro nel 2008, 34 miliardi dell’epoca. Politici locali, sindaci, amministratori, tutti volevano una loro fetta, anche in quei comuni dove le scosse non erano arrivate.
A documentare sprechi assurdi, progetti falliti, connivenze, anche due Commissioni parlamentari. A fare la parte del leone le imprese del Nord. Poi i politici, alla fine vengono i camorristi.
Quarant’anni dopo le ferite sono ancora aperte. Il ricordo delle vittime, che riposano in lunghe file nei cimiteri con le tombe che hanno tutte la stessa data della morte, è ormai svanito.

Ventitré novembre 1980, ore 19,32, la terra trema lungo l’Appennino meridionale. I sismografi impazziscono: nono grado della Scala Mercalli. Irpinia, Basilicata e paesi di montagna del Salernitano, vengono rasi al suolo. Muoiono in tremila. Crepano nelle loro case di tufo e nei paesi senza piani regolatori quelli che Domenico Rea chiamerà “gli emarginati, i clandestini della storia”. I feriti sono 9mila, i senzatetto 300mila, 600mila gli edifici abbattuti. Uno scenario da guerra.

Lacrime, dolore, e disperazione. E poi la grande illusione. “Il terremoto come occasione di sviluppo”. Arriveranno i soldi, ricostruiremo case e paesi, ci sarà finalmente lavoro per tutti. Speranze, voglia di riscatto, desiderio di un futuro migliore. Tutto ucciso dai decenni della ricostruzione. Il più grande scandalo italiano. L’ultimo, devastante esempio di un uso scellerato della spesa pubblica da parte di una classe politica che negli anni d’oro della Prima Repubblica, sull’uso della spesa pubblica viveva e prosperava.

CHI VISSE TRA LE MACERIE
E’ questo che oggi divide anime e cervelli tra l’Irpinia e la Basilicata, il giudizio sull’occasione mancata. La memoria di fatti che hanno irrimediabilmente segnato il destino di questa parte del Paese, ipotecando il futuro delle generazioni a ve**re. “La generazione dei prefabbricati”. Quelli che la sera del 23 novembre 1980 non erano nati o erano appena bambini. Una generazione cresciuta in baracche di legno e prefabbricati di amianto. Ragazzi e ragazze che hanno studiato, si sono aggrappati ai libri per capire e giudicare.

Sandro Abruzzese aveva due anni nel 1980. Incontrò il terrore per la prima volta a Grottaminarda (Avellino). Insegna lettere a Ferrara. Ha scritto bei libri, uno molto importante, Mezzogiorno padano.

«Appartengo ai tanti che sono andati via, non solo per il lavoro, ma soprattutto per sfuggire alla cappa opprimente di un ceto politico dominante padrone di tutto. L’uso dei fondi del dopo-sisma ha drogato e accelerato il metabolismo economico campano, compromettendo, nel lungo periodo, le chances future della regione». Franco Fiordellisi, invece, ha deciso di restare. Aveva 11 anni quando la terra tremò al suo paese, Calitri.

«Ho passato un anno della mia vita in un carro bestiame delle ferrovie, quindici in un prefabbricato. Credo che questa esperienza di vita sia stata determinante nel farmi scegliere l’impegno sindacale». E’ il segretario della Cgil in Irpinia. «Oggi affrontiamo la pandemia disarmati. Qui sono stati chiusi gli ospedali. Se mettiamo insieme questo con la disoccupazione giovanile ormai al 55 per cento, la ripresa dell’emigrazione (in 2mila ogni anno vanno via), i bassi livelli della qualità della vita, lo spopolamento dei paesi, e mettiamo tutto ciò a confronto con la spesa per la ricostruzione, possiamo dire che questa terra è stata tradita. Sì, tradita dalla classe politica che dominava in quegli anni, e dalla alleanza tra le sue clientele politiche e gli interessi di gruppi industriali del Nord».

UN FIUME DI DENARO
Un tuffo nel passato è necessario per ricordare le parole entusiastiche di uno dei protagonisti politici dell’epoca, Paolo Cirino Pomicino, “teorico” e anima del Pus, il partito unico della spesa pubblica. «Abbiamo avuto più soldi nel dopo terremoto che nei cento anni di Unità d’Italia».

“’O ministro”, con Antonio Gava, gestiva le risorse a Napoli, Emilio Colombo, ras democristiano della Lucania, nella sua terra, Ciriaco De Mita, Nicola Mancino, Salverino De Vito (che fu ministro per il Mezzogiorno) in Irpinia. Soldi, una montagna di soldi. 64mila miliardi di lire, una cifra che la Corte dei Conti tradusse in euro nel 2008, 34 miliardi dell’epoca.

Per comprendere di cosa stiamo parlando basta un paragone con i soldi del Mes che l’Europa ci mette a disposizione per la pandemia: 40 miliardi.

Furono costruite strade dai costi miliardari a chilometro, sbancate montagne per mettere in piedi venti aree industriali che promettevano 14mila posti di lavoro tra il Salernitano e la Basilicata, finanziati investimenti che poco o nulla avevano a che fare col territorio. Politici locali, sindaci, amministratori, tutti volevano una loro fetta, anche in quei comuni dove le scosse non erano arrivate.

La “Repubblica del terremoto” si estese fino a Foggia, arrivando a contare 7 milioni di abitanti-beneficiari. In quelle aree prese il sopravvento quella che la studiosa Ada Becchi Collidà definì «l’economia della catastrofe».

Ma quando si cominciò a rubare? Subito. Fu Rocco Caporale, un sociologo italo-americano di origini calabresi, a documentarlo nei suoi studi. A fare la parte del leone le imprese del Nord (sui 144 grandi consorzi edilizi intervenuti, solo 75 avevano radici campane o lucane), «i tecnici che hanno preso dal 25 al 35 %. Poi i politici, che hanno preso mediamente il 10 per cento. Alla fine vengono i camorristi».

A documentare sprechi assurdi, progetti falliti, connivenze, anche due Commissioni parlamentari. Quella presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, e l’Antimafia. Il loro lavoro è racchiuso in volumi che ormai ammuffiscono nei sotterranei di Palazzo San Macuto. «La ricostruzione fu un fallimento? La risposta è sì, se guardiamo alla enorme cifra investita. Il mio giudizio si basa sullo studio del passato, ma anche dall’osservazione del presente. Dalla inarrestabile marginalizzazione delle aree interne. Dalla loro desertificazione».

Stefano Ventura oggi è uno storico dell’Università di Siena. Figlio di emigranti tornati al paese, Teora, in Irpinia, quando la terra tremò aveva due mesi. Da allora ha dedicato energie e studi per capire gli effetti nel tempo del dopo terremoto. Ha sistemato analisi e giudizi nell’ultimo libro, Storia di una ricostruzione, edito da Rubbettino. Resistere con i libri, lo studio. L’impegno politico. Simone Valitutto nacque sei anni dopo la scossa. Da antropologo indaga il passato, perché «quelle scelte, quell’uso dissennato della spesa pubblica ci hanno costruito per quello che siamo adesso». Da vicesindaco del suo paese, Palomonte, Salerno, guarda al futuro. «Le migliori energie vanno via. Bisogna ricostruire un legame forte di comunità territoriale».

La generazione dei prefabbricati è l’ultima speranza per “l’osso del Sud”. Loro lottano per il futuro. La classe dirigente dell’epoca guarda al passato. Si ostinano a non voler prendere atto di un fallimento epocale. I Pomicino, i De Mita, insieme ai loro tristi epigoni, pretendono di passare alla Storia come statisti. Sulle macerie di un terremoto infinito vogliono l’ultima medaglia. Quella di difensori del Sud.

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   [12:24, 20/11/2020] Marco Bova: Mafia: ammessa richiesta revisione condanna Vaccarino per droga ----------------12:17...
21/11/2020





[12:24, 20/11/2020] Marco Bova: Mafia: ammessa richiesta revisione condanna Vaccarino per droga
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12:17 (AGI) - Trapani, 20 nov. - La Corte d'appello di Caltanissetta ha ammesso la richiesta di revisione della condanna a sei anni e mezzo inflitta ad Antonio Vaccarino il 16 aprile 1997 dalla Corte di Appello di Palermo, per un presunto traffico di sostanze stupefacenti che aveva come base logistica l'aeroporto di Linate a Milano. L'ex sindaco di Castelvetrano, 75 anni, noto per aver intrattenuto una corrispondenza con il latitante Matteo Messina Denaro, a gennaio è tornato in carcere nell'ambito di una recente indagine della Dda di Palermo per cui lo scorso 2 luglio è stato condannato a 6 anni di reclusione per rivelazione di notizie coperte dal segreto, con l'aggravante di avere favorito Cosa nostra. Le accuse nel processo per droga erano state mosse sulla scorta delle dichiarazioni rese dall'ex collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, che indicava Vaccarino quale membro di Cosa nostra. Quest'ultima accusa, in primo grado accolta dal Tribunale di Marsala che lo ha condannato a 18 anni di reclusione, è stata poi ritenuta infondata dalla Corte di Appello di Palermo che, tuttavia, ha ritenuto credibile le dichiarazioni del Calcara in ordine al solo reato di traffico di stupefacenti. (AGI) TP2/MRG
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[12:24, 20/11/2020] Marco Bova: Mafia: ammessa richiesta revisione condanna Vaccarino per droga (2)
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12:17 (AGI) - Trapani, 20 nov. - La richiesta di revisione della condanna è stata avanzata dagli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, sulla scorta di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia e funzionari dei carabinieri e polizia che "attestano - affermano i legali - le falsità delle accuse a suo tempo mosse dal discusso collaboratore Vincenzo Calcara, già ritenuto falso con sentenza della Corte di Assise di Caltanissetta nel processo per l'omicidio del giudice Ciaccio Montalto. Adesso tutto torna in discussione, la Corte di Appello ha disposto l'inizio del processo di revisione". In precedenza il procuratore generale della Corte d'appello di Catania, cui era stata avanzata l'istanza di revisione, aveva chiesto la revoca della sentenza di condanna, ma si era dichiarata incompetente per territorio investendo così la Corte nissena. Il processo di revisione inizierà il 10 marzo 2021 con l'audizione di due nuovi testimoni che "hanno sostenuto di essere a conoscenza di circostanze rilevanti ai fini della definizione del presente procedimento". Inoltre i giudici nisseni hanno disposto l'acquisizione della sentenza emessa lo scorso luglio dal Tribunale di Marsala. L'istanza presentata dai legali di Vaccarino si basa principalmente sulla presunta inattendibilità del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, recentemente definito come un 'inquinatore dei pozzi della verità', durante la requisitoria del processo a Messina Denaro, in cui il latitante è stato condannato come mandante delle Stragi. All'epoca dell'arresto per mafia (avvenuto con il blitz "Palma" del maggio 1992, Vaccarino finì sui giornali perchè accusato dal pentito Calcara di essere il mandante di un attentato, in fase di programmazione, nei confronti del magistrato Paolo Borsellino. Alla fine Vaccarino venne assolto dall'accusa di associazione mafiosa e condannato per traffico di droga. Nel 2007 il suo nome tornò alla ribalta dopo il ritrovamento dei pizzini custoditi da Bernardo Provenzano, compresi quelli ricevuti dal latitante Matteo Messina Denaro, in cui descriveva al capomafia la sua corrispondenza con Vaccarino, indicato come 'il professore'. (AGI) TP2/MRG
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18/11/2020


La Cassazione annulla la confisca dei beni dell'imprenditore Michele Mazzara di Paceco (Trapani), vicino a Matteo Messina Denaro. A rischio il riutilizzo sociale

14/11/2020



L’ordine per la Strage di Pizzolungo partì dalla mafia palermitana. L’obbiettivo era uccidere quel magistrato arrivato a Trapani dal nord Italia, ma l’autobomba esplosa il 2 aprile 1985 fece saltare in aria l’auto su cui viaggiavano Barbara Rizzo e i gemellini Beppe e Tore Asta. Si salvò i...

L'ennesimo ergastolo per
21/10/2020

L'ennesimo ergastolo per

Condannato all’ergastolo anche per le stragi del 1992. A soli trent’anni, l’attuale latitante Matteo Messina Denaro, contribuì alla ‘strategia stragista’ in cui furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. La decisione è arrivata poco prima di me...

       Mafia: Messina Denaro. Risarcimenti per oltre 15 mln a vittime ----------------11:15 (AGI) - Palermo, 21 ott. - I...
21/10/2020


Mafia: Messina Denaro. Risarcimenti per oltre 15 mln a vittime
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11:15 (AGI) - Palermo, 21 ott. - Il boss latitante Matteo Messina Denaro dovrà risarcire oltre 15 milioni di euro agli eredi delle vittime delle stragi del '92. Lo ha deciso la corte d'Assise di Caltanissetta che ieri, poco prima della mezzanotte, ha letto in aula il dispositivo di sentenza, con cui ha condannato all'ergastolo l'ultimo latitante stragista, da 27 anni ricercato dallo Stato, per gli eccidi del '92. La cifra è stata indicata dal presidente del collegio, giudice Roberta Serio, "a titolo di provvisionale ed immediatamente esecutiva" nei confronti dei familiari dei giudici e degli agenti della scorta uccisi negli attentati di Capaci e via d'Amelio e ammessi tra le parti civili del processo. Tutti loro potranno accedere al 'Fondo di rotazione' (presieduto dal commissario Raffaele Cannizzaro) incardinato nel ministero dell'Interno e alimentato dai fondi confiscati alla criminalità organizzata. Nello specifico la corte d'Assise di Caltanissetta ha stato riconosciuto 500 mila euro a testa a Manfredi, Lucia e Fiammetta Borsellino, a Concetta Mauro Martinez, Giovanni Montinaro, Gaetano Montinaro, Emanuele Catalano, Emilia Catalano, Rosalinda Catalano, Maria Petrucia do Santos, Dario Traina, Nella Cosiliani, Luisa Affatato, Rosalba Terrasi, Rosaria Romano, Maria Rosaria Costa, Antonino Emanuele Schifani, Mariano Li Muli, Melia Provvidenza, Grazia Asta. (AGI) TP2/MRG
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= Mafia: Messina Denaro. Risarcimenti per oltre 15 mln a vittime (2)
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11:15 (AGI) - Palermo, 21 ott. - Trecentomila euro a Matilde Montinaro, Luigia Montinaro, Maria Claudia Loi, Marcello Loi, Edna Pasqua Loren Cosina, Oriana Susan Cosina, Concetta Schifani, Michele Dicillo, Rosaria Schifani, Alessandro Li Mili, Tiziana Li Muli, Angela Li Muli, Giuseppe Traina, Giuseppa Filomena Traina, Antonina Traina, Luciana Traina, Anna Maria Montinaro, Brizia Donata Montinaro, Maria Falcone Di Fresco, Anna Maria Falcone Cambiano, Alfredo Morvillo, Cecilia Fiore, Marta Fiore, Claudio Fiore, nella qualità di eredi di Rita Borsellino, Salvatore Catalano, Giuseppa Catalano, Giuseppe Gioè, Tommaso Catalano, Rosa Catalano, Giulia Catalano. La Corte inoltre ha stabilito dei risarcimenti anche per altri familiari delle vittime coinvolte nelle due stragi, riconoscendo anche un rimborso delle spese legali affrontate nel corso del dibattimento. Contestualmente i giudici lo hanno giudicato "interdetto in perpetuo dai pubblici uffici, interdetto legalmente e decaduto dalla responsabilità genitoriale", in riferimento alla figlia Lorenza, concepita quando già era latitante da tre anni. Le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 90 giorni. (AGI) TP2/MRG
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