25/04/2024
Bottiglie di vetro. Sottotitolo: il vetro delle bottiglie. (Vuote, s’intende).
Come quel Valpolicella del ‘19. Una cosa da non dire: una bottiglia che, purtroppo, non facemmo a tempo a stappare che già era vuota.
Allegria, allegria! Quella stessa allegria necessaria poi per portare la bottiglia vuota alla cosiddetta “campana” che sta in piazza per il cosiddetto recupero del vetro o riciclaggio che dir si voglia.
Perché non è mica così facile portare la bottiglia (ahimè) vuota del suo Valpolicella alla campana che sta nella piazza. E, più che altro, mica è un lavoro per tutti.
Ci mancherebbe altro. Ma non hai mai visto le istruzioni alla televisione? Informati, per Dio!
Prima di tutto, non ci puoi andare da solo. Bisogna essere almeno una dozzina, ciascuno con la sua bottiglia vuota (non importa che sia ex Valpolicella; va bene anche ex passata di pomodoro, per dire) tanti abbastanza da poter organizzare un ballo di gruppo. Perché è ballando che ti devi avvicinare alla campana. Ballando, cantando e ridendo felice: di quella felicità così diffusa nella nostra società di riciclatori di vetro e affini. E allora, capisci, se non sei giovane e felice come fai a raggiungere la campana in mezzo alla piazza ballando e ridendo.
Come uno scemo, dici? Ma no, come un giovane!
Io, per esempio, non ci vado in piazza a portare la bottiglia alla campana. A me, ormai, non mi va né di ballare né di ridere. Faccio male, lo so. Ma non lo vedi che sono tutti felici? Basta un niente: un detersivo, un biscotto, un’auto più o meno elettrica o, appunto, le bottiglie di vetro.
Ma ormai sono un vecchio superato, io. Ho quasi cinquant’anni e non mi vuole più nessuno. No: io alla campana in piazza ci mando una ragazzina vicina di casa che balla come una dea, ha una bella voce squillante e un meraviglioso sorriso. Mi fa anche fare una bella figura.
Infine, hai visto come si fa a introdurre la bottiglia nel buco della campana? Pensi che sia facile per uno come noi che, oltre a non essere abbastanza giovane, è anche stanco perché ha lavorato tutto il giorno e, magari la lascerebbe cadere dentro e basta.
Si tratta, invece, di saltare a piè pari sopra la campana a tempo di musica e, senza smettere di ridere, da lì, un braccio verso il cielo in segno di trionfo, far cadere la bottiglia nel buco. Un’apoteosi: roba da Wanda Osiris che scende la scala circondata dai boys.
Da quel momento la musica cessa, i giovani felici, dopo un ultimo sorriso immobile, escono di scena e inizia, senza clamore, nel completo disinteresse dei ragazzini danzanti e felici e dei loro mandanti, il viaggio virtuoso della bottiglia ormai rotta e del vetro di cui è fatta. Da non dimenticare l’etichetta, i colori dell’etichetta, la colla dell’etichetta e quant’altro che correda la normale bottiglia.
Ad ogni modo, qualcuno addetto allo scopo, qualcuno che non balla, non ride, ma che, porco qui e porco là, lavora, solleva la campana con apposito mezzo meccanico e ne riversa il contenuto sul vicino camion con grande strepito e ulteriore frantumazione del vetro. Ormai del Valpolicella si è persa ogni traccia.
Via il camion, via l’apposito mezzo meccanico con larga combustione di gasolio chiaramente avvertibile dall’odore che lascia. (I ragazzini felici non lo avvertono, impegnati come sono a ballare e ridere davanti a un’altra campana).
Dove vadano a finire camion, mezzo meccanico, bottiglie rotte, etichette colorate e vetro, non è molto evidente; anzi, non è evidente per nulla. Forse perché là dove vanno non c’è nessuno che balla e che ride, essendo quindi socialmente e televisivamente insignificante. Allora niente musica e niente telecamera.
Comunque, dando credito alle voci che ci raccontano di un processo di recupero del vetro (“il vetro rinascerà” dice la canzoncina della giovane danzante che è saltata sulla campana), si dovrebbe trattare, prima di tutto, di macinare le bottiglie in modo da poter passare alla successiva lavorazione. Solo che il vetro, così fragile, è maledettamente duro. Tanto che c’è il rischio, invece di macinare il vetro mediante una macchina, di macinare la macchina mediante il vetro.
Va bene: acciai speciali, elevate potenze in gioco, forte consumo di energia, spese a non finire e il nostro vetro è ridotto in polvere.
E le etichette? Mica si possono lasciare con la polvere di vetro! Carbonizzate nel forno, rovinerebbero tutto. Vanno separate, è ovvio. Come? Forse, tirando a indovinare, con un processo che si chiama flottazione e che sfrutta il diverso peso del vetro e della carta, tale per cui, messi in acqua e detersivo, uno va a fondo, l’altra galleggia con l’inchiostro e la colla.
Altra macchina, altro lavoro, altra energia, altra spesa. Ma ora il nostro vetro è pulito e può entrare nel forno per essere fuso. (Altra energia, tanta; altra spesa, tanta).
Già, e la carta? La carta macinata, zuppa d’acqua lurida, una pasta oscena e maleodorante, quella (chiamiamola ancora, in mancanza di meglio, carta) dove la mettiamo? La consegniamo a quei giovani danzanti e felici? No, poveretti: magari non riderebbero più. La dimentichiamo, così sparisce.
In ogni modo, dopo tanto lavoro, tanta energia spesa, tanto capitale investito, finalmente abbiamo di nuovo il nostro vetro.
E che cosa ne facciamo? Bottiglie! Del tutto uguali a quelle introdotte gioiosamente nella campana. Senza etichetta, per giunta. E senza Valpolicella.
Allora, uno che non ha tanta voglia di ridere e di ballare potrebbe chiedersi: “Ma che siamo scemi? Ce l’avevamo già la bottiglia. Chi ce l’ha fatto fare tutto quel trambusto, tutto quel lavoro, per ritornare al punto di partenza?”.
Forse per far ballare alla televisione quei giovani felici, e incoscienti, come (quasi) tutti i giovani felici?
Forse per prendere per il …, per ingannare la gente convincendola della nostra (della loro) capacità tecnica di far fronte al problema dei rifiuti?
Forse perché frantumare bottiglie per fare bottiglie è un business mica da poco e, figuriamoci, crea anche posti di lavoro dove si ride poco?
Forse per nascondere che il solo modo di ridurre l’inquinamento è ridurre la produzione? E se ridurre la produzione è economicamente impossibile, non saranno loro i veri pazzi: gli economisti?
Forse …
Falaschi Arturo Tutti i diritti sono riservati