12/08/2024
Da un paio d'anni, guardo le Olimpiadi con occhi diversi. Sarà che trattare di sostenibilità con approccio sistemico ti abitua a farti domande che ti portano a fare il viaggio a ritroso su qualsiasi cosa. Ormai mi è impossibile non chiedermi: ma tutto questo è sostenibile a livello ambientale, economico, personale, collettivo? come e per chi?
Guardo alle Olimpiadi e penso a tutte quelle persone atlete, che si sono preparate quotidianamente, per anni, con lo scopo di andare oltre ai loro limiti psicofisici, per alzare l’asticella sempre più in alto, in competizione con il mondo intero. Vedo gli anni più giovani della vita, letteralmente trascorsi ad allenarsi ogni giorno con lo scopo della performance migliore, di un podio e una medaglia riservate solo a tre persone in tutto il globo, ogni quattro anni.
Dietro c'è molto, troppo altro. Famiglie coinvolte per anni in allenamenti, trasferte, visite, alimentazione, routine, infortuni, riabilitazioni, ma anche le dinamiche delle federazioni, gli allenatori. Se non si vince, non solo si sente il peso di non essere stat* abbastanza, ma ci si trascina dietro tutto il tempo, le energie, i sacrifici e gli investimenti che tutte queste persone che ti ruotano intorno, hanno fatto su di te. Perdi tu, hai fatto perdere del tempo a tutt*. A quell'allenatrice che non potrà vantarsi di averti seguita, a quella federazione di cui avresti dovuto essere la punta, ma anche ad interi paesi che scommettono su di te e hanno aspettative altissime perché sei chi porta la bandiera nel mondo, l'orgoglio nazionale da rivendicare.
Quest'anno, una nuotatrice italiana ci ha dimostrato come si può (e si deve) essere felici e orgogliose di un quarto posto. Di contro, una ex campionessa di scherma, stranita, avrà sicuramente pensato: "ma come fa ad essere felice questa? chissà che botta aver pure perso tutti questi soldi del premio e quelli che sarebbero arrivati con le sponsorizzazioni dai brand sportivi, gli eventi etc".
Perché se non sali sul podio, esattamente, chi sei? Basti a te stessa? è abbastanza? Quando riduciamo gli atleti alla loro identità atletica, sono qualcun* o qualcosa fuori da quella?
Le Olimpiadi, sono parte della cultura della performance nella società della Performance? Sono l’ennesima dimostrazione delle manie di onnipotenza di noi umani?
La narrazione delle Olimpiadi come celebrazione dell'unità e dell'equità globali, è una sviolinata che il Nord globale del mondo ha creato e continua a raccontarsi.
Oggi noi vediamo molte più persone diverse, con corpi, abilità e colori della pelle differenti, ma in passato come oggi, le Olimpiadi escludono nazioni e comunità minoritarie o emarginate di quello che ancora viene relegato come ’Sud Globale', perpetuando le disuguaglianze nello sport anziché assottigliarle.
Quante persone non occidentali, ancora oggi si aggrappano al sogno dello sport ad alti livelli o delle Olimpiadi, per cercare una vita dignitosa? Quanto è un loro vero sogno personale, e quanto è dettato dalla necessità di volere un futuro migliore?
Perché d'altronde, il mito del "se lo vuoi, puoi ottenerlo" che ci nutre da sempre, ignora i privilegi significativi richiesti per allenarsi, tra cui l'accesso a risorse, strutture, tempo, finanziamenti e reti di supporto, che non sono ugualmente disponibili a tutt* e ovunque e costituiscono barriere alla partecipazione olimpica. Immaginate le inesistenti piscine olimpioniche distribuite in paesi come la Turchia, il Burkina Faso o il Laos, solo per fare un esempio.
Le Olimpiadi rispecchiano principalmente la competizione tra paesi e persone che hanno i mezzi di partenza per poterci arrivare: di classe e quindi economici, temporali, di abilità fisiche e mentali, supporto costante, energie etc. La possibilità di dedicare la propria vita all'allenamento, è un privilegio non accessibile a chiunque. Chi ha determinati livelli di sostegno può realisticamente aspirare a diventare un* atleta olimpionica.
Questo è l'evento che parla di condizioni di vantaggio e performatività per eccellenza, ma senza mai nominarle. Si mostra molto, ma poco di tutto quel che vi è dietro, se non per alimentare qualche ennesima storia di chi con immensi sacrifici, è l’eccezione e non la regola, e in qualche modo vi è arrivato.
Le Olimpiadi sono un evento commerciale ed elitario che dovrebbe portare alla promozione dello sportività per tutt*, assicurando che i benefici dell'attività fisica non siano accessibili solo a pochi privilegiati. Se vincere diventa tutto, si oscurano i valori dello spirito sportivo e della crescita personale, e questo evento diventa la degenerazione dello sport portata all'estremo, ma narrata come eccellenza a cui ambire.
Questa competizione estrema può portare a conseguenze dannose, come problemi di salute mentale, che vengono spesso trascurati nella ricerca della gloria. Alla conversazione dovrei aggiungere anche qualche parola su sponsor, greenwashing, città ospitanti “pulite” dai senza tetto, dalle comunità vulnerabili, gentrification presentata come un faro di progresso e sviluppo, e molto altro, ma mi fermerò.
Decostruire le nostre idee di "normalità" ma anche di quello che consideriamo "estremo" o di una cultura della sana competizione e dei limiti, è necessario.