Nato il 7 Agosto 1956

Nato il 7 Agosto 1956 Racconti della mia infanzia, piccoli pensieri che emergono come roccie dal lento sgretolare dei calanchi. Racconti frutto di fantasie e pensieri.

24/12/2021
Daniele e Maurizio
24/12/2021

Daniele e Maurizio

Locomotore della tramvia
24/12/2021

Locomotore della tramvia

22/12/2021
Dicembre 2019, dopo una notte di sofferenza, mi risveglio al mattino con questo sogno, che mi regala una speranza ed un ...
18/12/2021

Dicembre 2019, dopo una notte di sofferenza, mi risveglio al mattino con questo sogno, che mi regala una speranza ed un sorriso.

Am svegg, a fadiga
Avir iocch, a pens, ma ac’dè el inqu ?
Um pe’ che seja e dè ad Nadèl,
aver’iocch, de tott

Ma duv’soja?
Am guerd’intoran , sel 'stè post?
Am sent be, ma an’vegg gnito e an’ciò
Am liv so e uiè ‘na nébia,
clam pé ad’Nunì d’Amarcord.
Am sciaress iocch, e a vegg na lus luntena, luntena.
Ai vag.

A’sò arivé in pett ad’na Cisena, znena, znena
L’am pe’ averta, fora l’è fred,
a pens che dentar e srà mej che fora, anc se srà freda cumpegna a tott al Cis
avir la porta e am' infil dentar.
Am mett insdè e am guerd intoran e pens.
L’è pù blina!

Fat quel l’è cald!
la lus di zir l’am pies propri.
Ai stag propri be, ungnè ancjo
Me an’poss fe etar che guardè la Madunena con e su Babì

L’amarcoda al futugrafei d’la mi Mema con me in braz.
Ma me an’sera ac’sè bel.
Um pè de’sar turné basterd.
A pens cà so ‘sté fortunè

Però, dop un po, a pens
Parché ain’ so mai stè?
An’lo vesta? Ca’ na bia vlu av’dela?

Adess ca’lò trueda
A starò a què par un po', pu dut’vut a‘vaghia ?
fasim stè què Maduneina a stag zet zet a fev cumpagneia, sol a guardè e pinsé e babì, ai mi babì, a tot i babì de mond.

Mi sveglio a fatica
Apro gli occhi e penso, che giorno è oggi?
Mi sembra sia il giorno di Natale
Apro gli occhi del tutto.

Dove sono?
Mi guardo attorno, che posto è?
Mi sento bene, ma non vedo nulla e nessuno
Mi alzo e c’è una nebbia che sembra quella del Nonno in Amarcord
Mi schiarisco ulteriormente la vista e vedo una luce lontana, lontana
Ci vado

Sono arrivato di fronte ad una Chiesetta piccola piccola
Mi sembra aperta, fuori è freddo
Penso che dentro sarà meglio di fuori, anche se sarà fredda come tutte le Chiese
Apro la porta ed entro.
Mi siedo e mi guardo attorno e penso.
È bella!

Strano è caldo!
La luce delle candele è molto gradevole.
Ci stò veramente bene,
non c’è nessuno.
Non posso che guardare la Madonna con il Gesù bambino.

Mi ricorda le fotografie di mia Mamma con in braccio me.
Io però non ero così bello.
Mi sembra di essere tornato bambino
Penso che sia stato fortunato

Dopo un po' penso
Perché non sono mai stato qui?
Che io non l’abbia vista? Che io non l’abbia voluta vedere?

Ora che l’ho trovata
Penso di stare qui un po', poi dove volete che vada?
Fatemi stare qui Madonnina, starò zitto zitto a farmi compagnia, solo a guardare e pensare al bambino, ai miei bambini, a tutti i bambini del mondo.

17/12/2021
Lom a Merz (luce a Marzo)Quando l’inverno iniziava a dare segni di cedimento, la neve c’era e non c’era, a volte il sole...
17/12/2021

Lom a Merz (luce a Marzo)
Quando l’inverno iniziava a dare segni di cedimento, la neve c’era e non c’era, a volte il sole scaldava un po' di più, a volte si rimangiava tutto e una buriana cancellava le tenui speranze, ed ancora, soprattutto, non c’era il profumo di primavera, era la stagione della luce a Marzo (lom a Merz).
Il profumo di primavera era una cosa che fatico a descrivere, ma era uno stato di fatto.
Un bel giorno ti svegliavi e uscendo di casa sentivi che nell’aria qualcosa era cambiato, ti guardavi attorno e ti accorgevi che tutto stava cambiando, le semplici erbacce erano diventate rigogliose e gli alberi ancora scarni avevano dei timidi boccioli, a quel punto questo profumo ti prendeva e ti rendeva euforico, impaziente per l’arrivo della nuova stagione.
Ogni stagione aveva il suo profumo, forse il meno significativo era quello dell’estate, perché il caldo a volte opprimente non ti permetteva di goderne appieno, la ghiaia davanti a casa era, polverosa, e mi sembrava che la polvere avesse l’odore dell’estate, soprattutto quando con la mia piccola bici, cadevo lungo disteso e quella polvere mi riempiva le narici.
L’autunno era umido e le muffe che in giro si propagavano lasciavano questo sentore di decomposizione che aleggiava ovunque.
L’inverno aveva come unico odore quello della legna bruciata, quasi che il gelo avesse il potere di congelare gli altri.
Ma alla fine di Febbraio, esattamente il giorno 28, c’era una tradizione antichissima: Lom a Merz!
Il Nonno aveva raccolto tutti gli sfalci delle varie potature del nostro giardino, poi si era fatto lasciare dal vicino contadino parte degli sfalci della potatura delle vigne, radunando poco lontano dal fico bianco una catasta molto alta di rametti di legna.
Quella era una cosa da “uomini” le donne potevano assistere, ma l’operazione doveva essere fatta da noi.
Mi spiegava il Nonno che questa era una cosa molto importante, che era più antica della nascita di Gesù Bambino, si perdeva nella notte dei tempi e qui partiva con la descrizione magica: in campagna spiriti benevoli volevano che si bruciasse come sacrificio il residuo della legna accantonata, perché si era certi che dal giorno successivo il tempo sarebbe stato perfetto, in grado di farci avere un grande raccolto.
Noi però, a scanso di equivoci con gli spiriti della natura, bruciavamo gli sfalci e la legna del capanno la lasciavamo ancora lì.
Il pomeriggio si raccattavano tutti i rametti residui del giardino e li portavamo nella grande catasta.
Dopo cena, quasi ci fosse un segnale convenuto, accendevamo il fuoco, e per magia, guardando verso Dozza, centinaia di fuochi venivano contemporaneamente accesi, io mi giravo a bocca aperta, guardando da Toscanella sino al Piratello tutti i contadini avevano acceso il loro fuoco, noi che contadini non eravamo, comunque rispettavamo la tradizione, come mio nonno aveva da bambino fatto con i suoi nonni.
A fuoco acceso Mamma e Nonna uscivano dalla casa con il vin brulè per il Nonno e un piccolo bicchiere anche per me!
Il fuoco doveva essere regolato perché non facesse dei disastri, il Nonno con il forcale lo sistemava in continuazione come faceva con il fuoco del camino e non mi permetteva di avvicinarmi.
Solo da grande ho capito che governare il fuoco era una grande magia, le fiamme ipnotiche ti prendevano e il governarle dava una sensazione strana che ti rilassava e allo stesso tempo cancellava i pensieri malevoli.
La concessione del vin brulè era un evento straordinario, perché non mi era ovviamente consentito assaggiare del vino.
La mamma si arrabbiava molto quando il nonno mi portava con lui a comprare la frutta dai contadini.
Sapeva perfettamente che loro (i contadini) mi avrebbero offerto un bicchiere di vino anche se avevo solo cinque anni.
Ovviamente lo assaggiavo appena, il sapore non mi piaceva, ma poi la nonna diceva: va là, va là che un po' di vino fa buon sangue!
Se avesse fatto buon sangue avrebbe dovuto essere utile anche per far crescere mio fratello così avrebbe potuto giocare con me! Detto fatto, in un momento che Massimo era solo in cucina mentre Mamma e Nonna erano in cortile a stendere la biancheria, vedo sul tavolo un mezzo bicchiere di vino, Massimo è sul seggiolone, con un cucchiaino, come avevo visto fare, prendo un po' di vino ed inizio ad imboccarlo, Lui non si butta via, sembra gradire il dono, cucchiaino dopo cucchiaino il bicchiere finisce, nel frattempo entrano Mamma e Nonna, che vedono il tovagliolino di Massimo sporco di rosso, Mamma quasi sviene, poi Nonna vede il cucchiaino e capisce, mi guarda seria, io abbasso la testa.
Ma la mamma non me la fa passare liscia, dopo diverse sculacciate, la Nonna ferma Mamma e mi mandano in punizione in camera mia.
La Nonna mi aveva salvato dalle molte sculacciate, sapevo che quando c’era Lei, Mamma si conteneva, per cui me l’ero cavata, eppure il senso di colpa che provavo per aver fatto la cosa sbagliata mi faceva stare male più delle sculacciate.
Ma mi dovevo rassegnare perché di cose sbagliate, nella mia vita, ne avrei fatte tante e purtroppo, a volte, mi sarei sottoposto volentieri alle sculacciate, piuttosto che convivere con il senso di colpa.

Il Cinema TriesteOgni tanto la Mamma mi accompagnava a trovare mio Babbo, che faceva, come lavoro principale, il cineope...
17/12/2021

Il Cinema Trieste
Ogni tanto la Mamma mi accompagnava a trovare mio Babbo, che faceva, come lavoro principale, il cineoperatore cioè il proiezionista in un piccolo cinema in centro ad Imola nel vicolo Troni.
Lungo il vicolo, a destra una osteria, poi più avanti il garage delle auto Simca, a fianco il Cinema Trieste.
Il Cinema era collocato dietro al grande garage Gonni, dove trovavi oltre alle auto a noleggio, un piccolo distributore di benzina poi a fianco, poco lontano, l’Enal Danze, un edificio con teatro, sala danze Bar e molto altro
Il Cinema era accogliente, alla cassa c’era Luisa con a fianco spesso il marito Danilo originario del Modenese, sempre pronto a elencare le doti della sua città, i prodotti alimentari ecc.ecc.
Antognetta, che oltre a pulire il cinema vendeva poche cose golose, in particolare le brustulle (semi di zucca), le carube, le noccioline americane, qualche sacchetto di luppini e le rotelline di liquerizia con al centro una pallina di zucchero, le mie preferite.
Ovviamente essendo mio padre il proiezionista, potevamo entrare gratuitamente, avendo l’avvertenza di andare quando il cinema non era pieno.
Per me era una grande magia, a casa non c’era la televisione, l’avevo vista qualche volta da mio cugino e dalla figlia del ragioniere, poi eravamo andati, a vederla, dai vicini di fronte, oltre la via Emilia, loro avevano la tv e la sera ospitavano molte persone del vicinato.
Antognetta, era anziana e, credo, povera, ci raccontava delle sue difficoltà con un figlio in particolare, Sergio, distrofico che la gente in modo molto crudele, a mio avviso, lo chiamava Gnegno.
Sergio era talmente abituato al suo soprannome che non faceva una piega quando lo chiamavano Gnegno i suoi amici. Amici che gli volevano molto bene lo portavano con loro in tutte le avventure possibili.
Antognetta era come una Nonna, lei come Luisa e mio Padre erano affezionatissimi e molto devoti al proprietario che raramente da Trieste, veniva a fare sopralluoghi, fidandosi del loro operato.
Un anno, io, mio Fratello, Antognetta, mio Padre e mia Madre, prendemmo a noleggio una splendida fiat 600 e con mio Padre alla guida partimmo in direzione di Trieste, per andare a trovare il titolare, che lì gestiva un Hotel.
Un bel viaggio con sosta a Venezia, con Massimo rincorremmo i piccioni in Piazza San Marco e grande meraviglia per i traghetti al posto dei bus.
Con un proprietario così distante e dei dipendenti felici di potersi auto gestire, la vita al Cinema Trieste mi sembrava felice.
Il primo film che ho visto è stato Bambi, l’ho visto più volte perché non mi rassegnavo alla morte del babbo, piangevo disperato allora la Mamma pazientemente aspettava che il film riiniziasse e il babbo di Bambi ricomparisse vivo!!!
Quando uscivamo dal cinema, ci chiedevano se ci eravamo divertiti, io avevo ancora gli occhi umidi per la tragedia che si era appena compiuta, la Mamma in modo risoluto: si certo ci è piaciuto molto! Insomma…, avrei detto io.
Quello con il cinema è stato un amore molto intenso che mi ha accompagnato per il resto della mia vita, mi sarebbe poi capitato di dover, a mia volta, sostituire mio Padre, fare il proiezionista, aprire e chiudere il corpo macchina per controllare i carboni, riparare le pellicole, montarle e smontarle, riavvolgere le pellicole e guardare i film dall’oblò, con il rumore del trascinamento della pellicola che invadeva la piccola cabina di proiezione.
Quando ho visto il film Nuovo Cinema Paradiso, ho sinceramente pianto, troppo simile a ciò che avevo vissuto, la mia grande soddisfazione fu quella di convincere i miei genitori a guardarlo. Mio Padre per reazione, a quello che era stata la sua vita lavorativa, si rifiutava di guardare qualsiasi film.
Mia Madre mi ringraziò moltissimo: era quello che abbiamo vissuto! mi disse in lacrime.
Il Cinema, purtroppo, aveva un lato negativo, mio Padre non c’era mai, alle 13 usciva di casa, a volte lo incrociavo mentre ritornavo da scuola, sarebbe poi rientrato a notte fonda e la mattina anche se ero a casa, dormiva sino a tardi, salvo che non avesse impegni con la sua seconda attività: il Fotografo.
Era il fotografo di Cresime, Comunioni, Matrimoni, battesimi ed eventi vari il tutto rigorosamente nel circondario di Dozza.
Purtroppo ci ha lasciati quest’anno, lasciando in eredità a me e a Massimo oltre 10.000 negativi e due splendide Rolleiflex.
Il Cinema Trieste era piccolino rispetto ai “colossi” Centrale, Modernissimo e Cristallo, in particolare poi sia il Centrale che il Modernissimo avevano anche una arena estiva.
Ma nonostante le dimensioni, il cinema ha avuto momenti di gloria per i film di successo che ha proiettato.
Papà mi raccontava delle lunghissime code, in particolare quando ci fu la serie dei film di Don Camillo e Peppone, delle risse scoppiate per chi parteggiava per Don Camillo e chi per Peppone, dei litigi per entrare nell’ultima proiezione, delle persone che entravano sapendo di non avere un posto a sedere!

Il Bandito Le sere d’inverno, erano momenti particolari, dopo cena con Nonno Arturo, andavamo dal camino nella ex sala d...
17/12/2021

Il Bandito
Le sere d’inverno, erano momenti particolari, dopo cena con Nonno Arturo, andavamo dal camino nella ex sala d’aspetto, ora sala buona, quella da usare quando c’erano ospiti.
Il camino era ancora quello della ex stazione ed era un bel camino in ceramica lucida a rilievo di colore marrone scuro, con rappresentato un cacciatore affiancato dal suo cane e con il carniere pieno di selvaggina, con le lingue di fuoco che in parte illuminavano la stanza e le ombre che si muovevano, mi sono chiesto mille volte se il cacciatore stesse andando a casa oppure stesse continuando a cacciare.
L’ho chiesto al Nonno, e mi rispondeva che siccome era sera stava tornando a casa.
Il Nonno tutte le sere mi raccontava le storie della nostra famiglia, dei suoi fratelli della loro casa natale “la Barlena”, vicino a Dozza, del periodo del servizio militare che aveva svolto in aviazione nel 1919, nel campo che era stato di Francesco Baracca, ovviamente lui era arrivato che Baracca era morto, ma tutti erano molto orgogliosi di far parte di quel campo.
Aveva in camera sua un modellino di aereo che aveva costruito durante il servizio militare, mi raccontava che a quei tempi gli aerei che, anche lui aggiustava, erano fatti di legno e tela.
Poi mi raccontava gli eventi importanti di Dozza, della prima volta che avevano visto in cielo un dirigibile, la prima auto che avevano visto, eventi ai suoi tempi straordinari.
A volte Nonna Ida ci faceva compagnia, mentre faceva le mantelline ai ferri, e integrava i racconti di Nonno con quelli della sua famiglia, che era originaria di un podere non troppo lontano da Dozza tra la Pieve di Sant’Andrea e Monte del re.
Una sera Nonna Ida mi raccontò quello che era successo a suo nonno, ancora bambino.
Non ricordo esattamente il nome del Nonno di Ida, ma ho l’impressione che si chiamasse Lorenzo e così lo chiamerò.
Lorenzo era piccolo e povero, condizione molto diffusa a quel tempo, tanto povero che non andava a scuola, ma per aiutare la famiglia, portava al pascolo un piccolo gregge di pecore di altri, in poche parole faceva il servo pastore per pochi soldi.
Non era l’unico, molti bambini come lui facevano questo per aiutare la famiglia.
Lorenzo mangiava in modo irregolare, quando a casa c’era cibo, si vestiva con i residui dei vestiti degli altri ed in particolare gli era stata passata una vecchissima giacca del babbo, enorme per lui, senza tasche e rattoppata ovunque, ma calda ed in grado di difenderlo dal maltempo che spesso lo accompagnava al pascolo.
La giacca era ridotta ai minimi termini, però lo distingueva da un bambino di nome Giuseppe che per ripararsi dal freddo usava una vecchia coperta, tutta lacera.
La mattina si salutavano e qualche volta se le pecore permettevano, scambiavano qualche parola, per il resto i giochi erano una cosa sconosciuta.
Un giorno, come al solito, si trovava al pascolo quando vide passare di corsa delle persone che gli gridavano di scappare, perché stava arrivando il Passatore, noto bandito.
Lorenzo si immobilizzò, si guardò attorno, nessuno! neppure Giuseppe.
Pensò: se scappo poi le pecore che fine fanno? Cosa può succedermi? Nell’indecisione decise di non fuggire e di restare al suo posto.
In lontananza vide arrivare tre persone con la caparela e schiop e la caplena, (mantello, fucile e cappello) appena lo videro si avvicinarono.
Quello al centro disse: lo sai chi sono? Lorenzo: si, sei il Passatore!
Come mai non hai paura di me? Purtroppo, io sono molto povero! disse Lorenzo, non posseggo nulla, le pecore non sono le mie e l’unica cosa che ho è la giacca che era di mio padre.
Il Passatore chiese a Lorenzo dove abitava e cosa facevano i suoi genitori, Lorenzo gli descrisse tutto, comprese le difficoltà che la famiglia attraversava.
Il Passatore, serio, guardò Lorenzo e gli ordinò: dammi la giacca! Lorenzo si sentì perso, perdere la giacca significava affrontare freddo e pioggia in modo molto più duro, si guardò attorno come alla ricerca di un aiuto, ma non c'era nessuno, guardò i due compari del Passatore e li vide sogghignare sotto i baffi, con le lacrime agli occhi se la sfilò e la passò al Passatore.
Come fu senza giacca, sentì il freddo che presto si sarebbe insinuato nel suo corpo sino alle ossa, gli passò per la mente il ricordo di quando la sua mamma gli aveva dato la giacca, uno dei pochi regali ricevuti, della sua felicità, poi con il tempo l'aveva data per scontata, ma così non era.
Il Passatore, lentamente, la indossò e lo guardò con aria dura mentre lui oramai piangeva silenziosamente, sempre guardandolo negli occhi disse: l’am stà brisa ben (non mi sta bene), con una mossa rapida se la sfilò, fece un nodo nella manica che riempì velocemente con un pugno di marenghi d’oro e la restituì a Lorenzo.
Lorenzo, ancora con gli occhi lucidi e la bocca aperta, guardò il Passatore che nel frattempo gli aveva voltato le sp***e e se ne stava andando senza neppure aspettare un ringraziamento.
Neppure mia Nonna sapeva se la storia era vera o inventata, ma per me resta vera e la cosa certa è che da quel giorno Lorenzo continuò a fare il pastore però le pecore erano le sue, non era certamente diventato ricco, ma un poco meno povero.
Andando al pascolo con le sue pecore e una giacca sempre usata ma in condizioni migliori, si avvicinò a Giuseppe, lo abbracciò e di diede un fagotto, dentro la vecchia giacca e gli disse: Giuseppe, non è un gran regalo, ma a te serve ed a me ha portato fortuna.
Le morali che la storia insegnavano erano tante, non sempre fare di testa tua è un errore, non giudicare le persone dal si dice, ma dai fatti, se ti senti il più sfortunato certamente c’è chi lo è più di te, è sempre possibile che ti succeda qualcosa di peggio, mai essere disperati, Lorenzo quando aveva creduto di perdere la giacca l’aveva capito.
Per essere felici non occorre molto denaro, ma solo ciò che ti serve.

L’incidenteLa Befana era un ricordo e come diceva il Nonno, “l’epifania ogni festa porta via”. Sinceramente a me sembrav...
17/12/2021

L’incidente
La Befana era un ricordo e come diceva il Nonno, “l’epifania ogni festa porta via”. Sinceramente a me sembrava che le sorprese e le feste non mancassero anche se in tono minore.
Per un paio di anni ho frequentato l’asilo delle suore a Toscanella, dove assieme ad un gruppone di bambini il pomeriggio dovevamo fare il riposino in piccole brandine in una stanza grandissima.
All’asilo c’erano molti giochi, la suora che ci assisteva si chiamava Patrizia, poco più di una bambina, aveva sedici anni, ed aveva una paura terribile dei lombrichi, scoperto il difetto, tutti i bambini a caccia nel giardino di lombrichi per spaventarla, tanto che una volta assediata, si chiuse in una stanza, mentre una marea di bambini con il loro lombrico in mano la contornavano.
I compagni d’Asilo erano simpatici, a volte il pomeriggio, prima che mi venissero a prendere i miei famigliari andavo a casa di una bambina, la figlia del Ragioniere, che abitava sopra la banca a toscanella.
Meraviglia delle meraviglie aveva la televisione, ed io avevo visto Topolino, prima di allora lo avevo visto solo nei fumetti di zio Franco.
Spesso andavo a casa di mio cugino, con lui l’intesa era perfetta, anche lui aveva la televisione, una cantina lunga e buia dove giocavamo a rincorrerci, un giorno ho sbattuto la testa contro una sporgenza, dopo di che è diventata una cosa proibita.
Ad un certo punto dell’anno, nella nostra stanza apparivano moltissimi abbecedari, Franco oltre agli studi, faceva una specie di rappresentante di Abbecedari, cioè andava nelle varie scuole a proporre testi per i bambini delle elementari, la nostra stanza era piena di copie bellissime, con disegni che anche prima di saper leggere, guardavo con molta curiosità, come Franco mi spiegava, erano libri scritti apposta per i bambini, per insegnare loro non solo a leggere e a scrivere, ma a conoscere il mondo, ma il mio mondo era quella piccola isola ancorata alla via Emilia che galleggiava in un mare di terra arata.
Quindi ero un po' preparato al mondo esterno che mi aspettava, quando un giorno di settembre con tanto di grembiule e fiocco la mia Mamma mi aveva accompagnato alla vicina fermata della corriera, mi aveva presentato all’autista, si era raccomandata di non sbagliarmi e fatto vedere la differenza tra la corriera per Bologna, più grande, rispetto la corrierina, per Dozza.
Dal giorno seguente, essendo io “grande”, sarei andato da solo, lungo la via Emilia alla fermata, con l’unica certezza che l’autista, sempre lo stesso, mi avrebbe riconosciuto, caricato e portato a Dozza.
Non ero l’unico bambino, ce ne erano molti altri, tra cui il malefico Elvio.
Malefico, non perché fosse cattivo con me, ma perché smontava tutte le mie credenze e tutte le cose magiche che i miei nonni e genitori mi raccontavano, io odiavo sapere la verità, il mio mondo magico, mi piaceva e non volevo che si sgretolasse.
Giunti a Dozza, si scendeva e poi, non molto distante si arrivava a scuola, una scuola con le aule molto alte e tanti bambini che giungevano a Dozza dal circondario, ricordo tra gli altri miei compagni una bambina particolarmente alta, ho poi appreso che era una ripetente, cioè a fine anno non era stata promossa ed aveva dovuto ripetere la prima, era strana, sempre molto disordinata, a volte arrivava in ritardo, poi ho saputo che la mattina doveva fare un’ora di cammino attraverso i campi per arrivare a scuola, era molto povera, era la prima volta che conoscevo una povera, ricordo che la scuola gli regalò un paio di scarponcini, unico mezzo di locomozione a lei disponibile, mi faceva tanta tenerezza, a metà mattina facevamo merenda e la scuola a lei forniva un panino, forse l’unico pasto certo della giornata, inoltre la scuola le forniva libri e quaderni.
Quella bambina mi restava impressa, me la figuravo, camminare in mezzo i campi con i sentieri ghiacciati, sinchè un giorno particolarmente freddo e con le strade ghiacciate, lei non è venuta a scuola, poverina, il mio pensiero quella mattina era per lei.
Finita la lezione, salimmo sulla corrierina, ben vestiti ma rigorosamente con i pantaloni corti, le gambe violacee dal freddo.
Sulla corrierina non faceva molto caldo, l’autista era particolarmente preoccupato, partimmo lentamente e sempre lentamente procedemmo lungo la discesa che da Dozza portava alla via Emilia, quando a seguito di una piccola frenata la corrierina, con tutti i bambini, scivolò nel fosso.
Fortunatamente il fosso non era molto profondo e dalla corrierina sbandata, una volta aperta la porta uscimmo tutti.
L’autista si mise in testa a seguire noi in fila indiana, come se fossimo ancora in corriera, a piedi verso le nostre case facendo attenzione a non cadere.
Il ricordo più bello fu di vedere in lontananza le mamme che tutte insieme correvano incontro a noi, non in fila indiana ma in un fronte unico, preoccupate del ritardo.
Ci abbracciarono, e ringraziarono mille volte l’autista che ci aveva accompagnato.
Anche quella fu una festa!

L’EpifaniaIl periodo Natalizio continuava a spargere doni e felicità anche dopo la nascita del Gesù bambino, sino ad arr...
17/12/2021

L’Epifania
Il periodo Natalizio continuava a spargere doni e felicità anche dopo la nascita del Gesù bambino, sino ad arrivare all’agognata Epifania.
Tutto il mondo magico costruito dalla mia famiglia girava intorno a me, la nonna diceva, che la notte gli angioletti vegliavano su di me, ogni volta che facevo la preghiera a Gesù Bambino, lui mi benediceva, dovevo rammentarmi della Madonnina sopra la porta della cucina, protettrice di tutta la casa, io tra una preghiera e l’altra dicevo a Gesù Bambino, con il quale avevo più confidenza, ti voglio bene, ma mi raccomando fai arrivare la Befana che fra tutti i miei protettori era l’unica che concretizzava con i regali la sua presenza.
La Befana era come la Cicogna che porta i bambini, era venuta anche Lei, aveva portato il mio fratellino, ho subito chiesto dove fosse e il Nonno pronto, si stà riposando sul fico nero!
Mi sono fiondato dal fico nero, di corsa ho controllato anche dall’altra parte della casa sul fico bianco, ma la cicogna era volata via, me lo ha confermato anche Franco, scappata come la Befana.
Accidenti che sfortuna!! Alla Befana facevo l’agguato, però oltre ad un certo orario, iniziavo ad addormentarmi e come mi addormentavo, improvvisamente, suonava la trombetta dell’ex capostazione dopo che aveva lasciato i regali, per avvisarmi che la consegna era avvenuta.
Io morto di sonno, correvo alla finestra anteriore subito, il Nonno, mi diceva è dal capanno, quando arrivavo alla finestra del retro era già partita.
Loro avevano anche il coraggio di domandarmi se l’avevo vista, poi commentavano, come è possibile è stata qui un bel po' a scaricare tutti i regali, erano tanti, si è anche un po' lamentata per quello ti ha lasciato un po' di carbone dolce, ero sfortunato! Gli altri vedevano tutto, io niente!!
Io mi arrabbiavo col Nonno: non potevi farla aspettare un attimo! Rispondeva il Nonno: aveva molta fretta doveva consegnare i regali anche ad Elvio, ho visto che aveva un sacco di carbone più grande del tuo, Elvio era il bambino che abitava nella vicina” Cà de’ vent”, meno “incantato” del sottoscritto.
Poi dopo Elvio, c’erano mille e mille altri bambini.
L’epifania era la fine, ma anche il top delle vacanze di Natale, una indigestione di giochi, che però riuscivo a malapena a scartare e poi il sette si doveva andare a scuola, anche se a me sembrava di essere stato bravo, un po' di carbone c’era sempre, dolce ma c’era, un mandarino non mancava, la nonna e la mamma mi raccontavano sempre che io ero fortunato perché ricevevo i giochi, loro da bambine, se fossero state brave, avrebbero ricevuto un mandarino e il carbone non dolce! A letto subito, svelto svelto ,un bacio veloce alla Madonnina, la tana calda mi aspettava in previsione del giorno successivo.
Mio Padre era Cineoperatore, cioè il proiezionista di un cinema ad Imola che si chiamava Trieste.
Così il sei gennaio ai dipendenti dello spettacolo, l’agenzia che raccoglieva la pubblicità che si proiettava prima dei film, faceva un regalo ai figli.
Il viaggio che dovevamo fare sino a Bologna era un viaggio, a quei tempi, abbastanza impegnativo, non perché fosse difficile il percorso, ma perché solitamente andavamo in auto con un signore e i suoi due figli, mamma, io e dopo qualche anno anche il mio fratellino, in sei, in una splendida fiat 500, con la frase di rito: ci stiamo, ci stiamo, magari avessimo tanto posto così in Paradiso…
Arrivati a Bologna la meraviglia erano i cumuli di regali per la Befana dei Vigili, in mezzo alla strada, panettoni e pacchi con fiocchi colorati, bottiglie e a volte giochi. Io curioso chiedevo come mai facessero i regali ai vigili, la risposta era: così, speriamo siano più clementi…
Finalmente arrivavamo alla sede dell’agenzia, prima di entrare un controllo e le raccomandazioni di rito.
Occorreva far fare bella figura ai genitori, per cui non si poteva correre e si doveva aspettare di scartare il gioco a casa, ai richiami di mamma occorreva ubbidire immediatamente.
I regali erano importanti: il primo trenino, il fortino con i soldati e gli indiani, il meccano, il tutto con un ricevimento dove mi sembrava che la cioccolata in tazza corresse a fiumi, oltre ai pasticcini e ai sandwich maionese e prosciutto, era una vera festa.
Alla fine del giorno sei gennaio, avevo il regalo dell’agenzia da aprire, i regali del cinque notte ancora integri e ma*****ia il giorno dopo a scuola, l’unica cosa era che potevo, dovevo mangiare il mandarino e decantarne le qualità, se no Mamma e Nonna ci restavano male.

Il periodo Natalizio Nonostante il freddo, il periodo che preferivo dell’anno era quello delle festività natalizie.Gli e...
17/12/2021

Il periodo Natalizio
Nonostante il freddo, il periodo che preferivo dell’anno era quello delle festività natalizie.
Gli eventi all’Oleandro erano cadenzati dalle stagioni, il 30 novembre, giorno di sant’Andrea, avveniva il sacrificio del maiale o meglio la macellazione, subito dopo iniziava il periodo natalizio.
Io sapevo che il Natale non avrebbe portato regali significativi, quelli li portava, la Befana, quindi per me il compimento delle feste Natalizie, era l’Epifania.
All’inizio di dicembre arrivava l’altro mio Zio, Gianni, fratello di Mamma, coetaneo di Franco, anche se lo conoscevo poco non vedevo l'ora che arrivasse, Il suo arrivo, segnava l'inizio della costruzione del grande presepe.
Il luogo era la ex sala d’aspetto, semi deserta per buona parte dell’anno, veniva per metà occupata da un mega presepe predisposto su cavalletti, con sfondi di cieli stellati.
In lontananza montagne con piccole case e strade di ghiaia, raccolta in cortile scegliendo la più fine, sbiancata a dovere, prati di muschio raccolto con diversi viaggi alla Sellustra, alcuni laghetti fatti con specchi rotti e centinaia di statuine di cartapesta, greggi di pecore, anatre, oche, qualche palma sparsa in giro, sotto le montagne una grotta con un pastore addormentato, in lontananza i re magi che con il passare dei giorni si avvicinavano sempre di più alla stalla con, Gesù bambino, il bue, l’asinello, Giuseppe, Maria, l’angelo sul tetto e sopra la stella cometa ad indicare il luogo, di fronte i pastori adoranti, compreso quello con l’agnellino sul collo, il taglialegna con la fascina sulle sp***e, in parte un piccolo borgo con i bottegai, il falegname, la rivendita di alimentari, la venditrice di stoviglie, a bordo laghetto almeno un paio di lavandaie, qualche ca****lo sparso oltre a qualche cane vicino ai greggi.
Era un piacere guardare il presepe, fantasticavo ore e ore non so se rapito dallo spirito natalizio o dal desiderio di spostare le statuine, come facevo con i miei soldatini nelle zolle di terra dietro casa.
A fianco del grande presepe, c'era l'albero di Natale, bello, ma non grande, insomma secondario, nonostante le belle p***e di vetro di murano, rammento la mia preferita a forma di pinocchio, purtroppo andata persa.
L'albero era lo sfondo preferito per le foto di famiglia, con un panettone ovviamente ancora confezionato, una bottiglia di moscato d’asti e una bottiglia di stock '84 il tutto ostentato in bella mostra, al fine di dare un segnale di opulenza.
Durante le feste, c’era il via e vai di molti parenti che passavano a salutarci e farci gli auguri, alcuni speciali perché si vedevano raramente come Bisnonna Adelina, che arrivava da Faenza con la figlia Gigina e il genero Nino, la ricordo molto anziana come e forse più di Bisnonna Sofia.
Entrambe le mie Bisnonne avevano dei comportamenti particolari, Adelina beveva solo l'acqua calda della stufa economica, perché la preferiva, Sofia che abitava con il figlio Mario e la moglie alla Cagnetta, fumava il sigaro.
Dopo la Prima guerra mondiale, durante la pandemia di sp****la si era diffusa la credenza che chi fumava il sigaro toscano non si ammalava, Sofia aveva iniziato così a fumarlo e il vizio la accompagnava da allora, anche se ora la Sp****la non c’era più.
A volte veniva a trovarci zio Gino, fratello di Mamma, che lasciava dietro di sé un odore di fumo e che a differenza di Babbo, che lo usava solo per bellezza, lo stock 84, lo beveva volentieri.
Il giorno di Natale oltre alla messa, c'era il pranzo, un evento, che univa anche i Nonni materni con quelli Paterni.
I genitori di mia mamma abitavano a Biancanigo, mi raccontavano che il nome del luogo era dovuto al fatto che un esercito mercenario capitò in zona quando era nevicato, per cui venne chiamato così.
Al pranzo di Natale, l'abbondanza era memorabile.
I tortellini erano d'obbligo, come il lesso, accompagnato dalla salsa verde, dalla mostarda per Nonno Arturo, le zampe di gallina rigorosamente riservate a Nonna Ida, in aggiunta il cotechino o lo zampone, il polpettone, la crosta del parmigiano bollita, il purè e la torta degli sposi, panettone sul tavolo, foto di rito sempre con stock '84 migrato dalla sala alla cucina!
Solitamente la notte di Natale era simile alle altre, una preghiera speciale davanti al Gesù bambino, poi a letto, con il letto riscaldato dal prete e dalla suora, una sorta di tana calda, fuori dalla tana il gelo, tanto che la p**ì, a volte durante la notte congelava.
Una volta Nonna e Nonno mi portarono alla messa di mezzanotte, al Piratello, in chiesa, guardavo le luci ipnotiche delle candele che lasciavano grandi ombre sulle pareti, udivo i canti e le preghiere in sottofondo, dopo poco mi addormentai sul banco.
Mi risvegliai in braccio al Nonno, sentii un rumore strano, era il rumore della neve che scricchiolava sotto i piedi, alzai gli occhi e tutto il panorama era bianco, durante la messa, nonna mi disse, Gesù Bambino ci aveva regalato la neve.
la magia del Natale quella notte fu completa.

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