Simone Riflesso

Simone Riflesso Content creator, attivista q***r e disabile e combattente che veste alla marinara 💫

In questo pezzo per La Falla racconto del motivo per cui ho avviato SondaPride 💫
20/09/2022

In questo pezzo per La Falla racconto del motivo per cui ho avviato SondaPride 💫

Il Pride è uno dei momenti più importanti per la nostra comunità, in cui finalmente rivendichiamo e richiediamo la visibilità che troppo spesso ci viene negata. Ma siamo sicurә che anche all’interno della comunità non ci siano discriminazioni? Simone Riflesso quest’estate ha compiuto un sondaggio per capire quante organizzazioni dei pride fossero davvero inclusive nei confronti delle persone con disabilità: in questo articolo ci riassume i risultati del suo Sondapride.
Sondapride - Quando l’attivismo incontra i dati
👉👉👉 https://lafalla.cassero.it/sondapride/

Tetraperonzolo, potrebbe essere il mio ennesimo pseudonimo. Io, principessa disney rinchiusa in una torre sperduta mi ci...
16/09/2022

Tetraperonzolo, potrebbe essere il mio ennesimo pseudonimo. Io, principessa disney rinchiusa in una torre sperduta mi ci sento totale.

Di sicuro la torre sperduta che mi nasconde dal mondo c’è davvero, solo ha un ché di meno romantico l’essere relegato in una casa in periferia, lontano da tutto, da tutti gli affetti.

Capiamoci, grazie a dio mia madre mi ha preso con lei, o il mio destino sarebbe stato decisamente meno roseo. E sono convinto lo rifarebbe, senza pensarci un attimo, di darmi un’occasione.

Il fatto è che non ci sarebbe stata nessuna alternativa al suo rinunciare a una vita avviata, al suo lavoro, per prendersi cura di me.

Ora che un po’ di tempo è passato dal mio ritorno a casa, non mi resta che rimboccarmi le maniche. Trovare una via per scappare, per riemergere, darci dentro.

Ciò che mi brucia è il peso della responsabilità. Tutto mio, tutto nostro. Se voglio indipendenza, la stessa che ha chiunque altro, ci vogliono soldi.

Se paghi, ottieni. Se te lo puoi permettere, bene. Sei l’artefice del tuo destino. Se vuoi puoi. Si torna sempre lì, alla responsabilità scaricata su di te.

E come funziona se uno non può lavorare come chiunque? Se il suo corpo gli impone dei rirmi che non glielo permettono? Se non è nato ricco. Se non ha assistenza.

Se non è forte abbastanza. Se non ha imparato a credere in sé stessə. Se non ha avuto una formazione adeguata. Se non hanno investito su di ləi. Se tutto questo peso non riesce a sopportarlo, come fa?

Non tuttə hanno dei capelli magici per realizzare i propri sogni. Non può avere questo costo sognare un futuro come chiunque altrə.

Chiunque può diventare disabile. Chiunque è destinato a perdere autonomia. Questa è una lotta di tuttə. La disabilità non riguarda solo noi.

Non ci avete mai pensato?

💜 Oggi è la Giornata internazionale dei delle persone con disabilità, che ha lo scopo di aumentare la consapevolezza dei...
03/12/2021

💜 Oggi è la Giornata internazionale dei delle persone con disabilità, che ha lo scopo di aumentare la consapevolezza dei problemi connessi alle disabilità per rinnovare l'impegno collettivo nel garantire la dignità, i diritti e il benessere psico-emotivo delle persone con disabilità.

Ho preparato un post che trovate sul profilo di per spiegare l’importanza di questa giornata. 🏳️‍🌈🏳️‍⚧️

E poi ho scritto a qualche media locale per presentare l’ultimo progetto che ho ideato tramite in collaborazione con indirizzato a tutte le scuole di primo e secondo grado del territorio di Cremona, nato per dare ai ragazzi gli strumenti adatti per poter parlare serenamente e in maniera corretta delle varie forme di disabilità e per preve**re e contrastare l’abilismo di cui la cultura in cui viviamo e siamo cresciuti è pervasa.

Nonostante i titoli carichi di pathos che alcuni quotidiani hanno deciso di aggiungere e qualche commento di persone irrimediabilmente ispirate dal mio esempio (🙄) che potevo aspettarmi, sono rimasto colpito da come un editore ha rispettato il mio contenuto, semplicemente lasciandomi spazio.

Ogni tanto fa piacere rimanere stupito.

Per l’articolo integrale link in bio👆

💖

Anche oggi si parla di violenza sulle donne. Ma che p***e, se ne parla dappertutto. Non è un’emergenza, ci sono cose più...
25/11/2021

Anche oggi si parla di violenza sulle donne. Ma che p***e, se ne parla dappertutto. Non è un’emergenza, ci sono cose più importanti. E poi io non sono mica come gli altri uomini. Possibile che non va mai bene niente? Non si può più neanche fare satira?

👉 Parole di uomini, che non capiscono che la violenza di genere è SEMPRE una questione di potere, e che non si rendono conto di quanto certe immagini possano umiliare.

Potere di fare della donna e del suo corpo qualsiasi cosa l’uomo desideri. Un potere di una cultura sessista e patriarcale in cui siamo stati educati che la donna è la costola dell’uomo. Una cultura che parte dalle nostre case, delle nostre relazioni.

La violenza ha tante forme, non è solo quella fisica, quella è solo la punta dell’iceberg. La violenza è nelle parole, si nasconde dietro un “bella f**a”, “se l’è cercata”, “era solo un complimento”, “stai zitta”, “non te la prendere”, “come sei aggressiva”, “sei mia”, “puttana”. E si, anche dietro a un “è solo satira”.

Per cambiare sguardo sulle donne, il linguaggio può fare la differenza. Iniziamo a evitare stereotipi di genere, Ha fatto più danni un “è da femmina” del colera.

Ma la prima vera cosa che un uomo può fare per combattere la violenza di genere è fare la santa cortesia di chiudere la bocca. Tacere. Fare un passo indietro, lasciare spazio e ascoltare. Che è probabilmente la cosa più difficile per un uomo, che pensa di aver sempre qualcosa da dire, qualcosa da spiegare e soprattutto che debba ve**re ascoltato.

Viene naturale quando si ha un privilegio, sfruttarlo inconsapevolmente. Non c’è niente di strano, finché non ci accorgiamo di averlo. Io non voglio più togliere spazio alle donne, quindi faccio un passo indietro e vi invito a seguire donne preziose che devono essere ascoltate, e a taggarne altre nei commenti.



Il 25 novembre non basta. Bisogna educare contro la violenza di genere OGNI SINGOLO GIORNO.

“Poteva andarmi peggio” che essere disabile, dice la campagna. E se “poteva andarmi peggio”, di certo non mi è andata be...
11/11/2021

“Poteva andarmi peggio” che essere disabile, dice la campagna. E se “poteva andarmi peggio”, di certo non mi è andata bene. La disabilità è negativa: questo è la fallacia comunicativa.

Se voleva far sorridere, non ha funzionato. Non per tutti almeno. Cos’è andato storto?
Dal momento in cui me l’avete segnalata e ho letto nel nome del promotore “parents”: “genitori di…”. Mi son detto, eccallà. Si parla DI disabili (tramite persone disabili) ma chi parla non è disabile. Non è autorappresentazione.

Ma poi mi son detto, chissene frega. Perché ammettiamolo, sono battute che potrebbero uscire dalla bocca di qualsiasi disabile. Non è assurdo pensare che sia uno dei protagonisti della campagna ad averle suggerite. Non sono parole problematiche a tutto tondo, ed è per questo che lo scandalo che hanno provocato mi sembra decisamente too much.

Il problema delle parole è il contesto pubblico “campagna”, in cui smettono di essere lette con il codice dell’ironia e vengono interpretate in maniera astratta e assoluta, come messaggio a sè. E allora diciamolo:

❌ LA DISABILITÀ NON È INTRINSECAMENTE NEGATIVA.
❌ LA DISABILITÀ NON È UN MEZZO DI PARAGONE DELLE PROBLEMATICITÀ.

⚠️ L’errore narrativo è proprio paragonare la disabilità in quanto intrinsecamente negativa a qualcosa di intrinsecamente problematico, dal punto di vista sociologico e morale come essere omofobo o razzista.

Un messaggio e una campagna decisamente discutibile nella forma. Potenzialmente controproducente negli effetti perché divisiva. Spero la bontà della campagna non abbia effetti negativi sugli esiti, perché sostenere la ricerca è fondamentale.

Da qua però a demonizzare la campagna o la retorica polarizzando il discorso, ne passa. È semplicemente sciocca, infelice, superficiale, venuta male. Fa fare un sorrisino amaro, o non fa ridere per nulla. Ma si capisce che l’intento non è volutamente discriminatorio, non ha alcun senso accanirsi ferocemente come ho visto fare. Nè innescare la solita caccia all’abilismo.

⬇️ CONTINUA ⬇️

Se il movimento Pro Vita è furioso vuol dire che qualcosa di buono sta succedendo. E a quanto pare, in sordina, è succes...
06/11/2021

Se il movimento Pro Vita è furioso vuol dire che qualcosa di buono sta succedendo. E a quanto pare, in sordina, è successo davvero.

✅ È passato al Senato con 190 voti favorevoli e 34 contrari il decreto Infrastrutture, che presenta una norma che prevede "il divieto di pubblicità che proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell'appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all'orientamento sessuale, all'identità di genere, alle abilità fisiche e psichiche".

👉 Il comma 4 bis sull’articolo 1 introdotto con un emendamento a firma di Alessia Rotta e Raffaella Paita di Pd e IV ha mandato su tutte le furie esponenti di destra e altri detrattori di civiltà.

Insorge Fratelli d’Italia, che ha proposto emendamenti soppressivi chiedendo di votarli a scrutinio segreto. Strano. Ma il governo ha messo la fiducia sul testo.

C’è chi è partito con la solita retorica affabulatoria contro la censura, il fantomatico limite della libertà d’espressione, lo spauracchio del bavaglio, la dittatura gender e altre creature leggendarie. Too late baby! È legge. ✨

Resta da capire come funzionerà il controllo relativo a questa norma. E viene da chiedersi com’è che sia stato così facile questa approvazione a cui il governo ha chiesto la fiducia mentre il Ddl Zan ha avuto tanto ostracismo. Ma sai cosa?

Per un attimo son disposto a fregarmene, perché sto troppo gongolando per la furia di Pro Vita.

Amori ci mancheranno le vostre pubblicità e i camion telati contro il gender, le unioni civili, le famiglie arcobaleno, le adozioni per le coppie omosessuali, l’utero in affitto, l’aborto e la legge contro l’omotransfobia.
Bye honeyyy 👋✨

La Lobby Gay®️ a sto giro ha trionfato.
Evviva il gender, qualsiasi cosa sia. Tiè. 🏳️‍🌈🏳️‍⚧️✨

Avrete sentito del problema di inaccessibilità di cui è stata vittima la ministra israeliana al summit mondiale di Glasg...
03/11/2021

Avrete sentito del problema di inaccessibilità di cui è stata vittima la ministra israeliana al summit mondiale di Glasgow, esclusa dalla conferenza per via delle barriere architettoniche. Incidente diplomatico, l’hanno chiamato.

❌ La mancanza di accessibilità NON È UN INCIDENTE.
❌ Non si può parlare di figuraccia, nè tantomeno di dimenticanza.

La non accessibilità È LA NOSTRA NORMA.
È l’esempio di un problema sistemico, diffuso e generalizzato, che incontriamo sempre, quotidianamente. Ridurlo a un incidente vuol dire non riconoscerlo come problema globale, su cui interve**re in maniera strutturale.

✅ Usiamo le parole giuste: si chiama ESCLUSIONE.

È la dimostrazione di come nonostante accordi internazionali e impegni istituzionali ai massimi vertici non ci sia ancora l’impegno necessario di prevedere le persone con disabilità come parte di un tutto, della società.

Di come sia impedita la partecipazione, costantemente. Se succede ai livelli delle Nazioni Unite, alla ministra israeliana a una conferenza mondiale, tu pensa ai poveri stronzi.

🗣 “La delegazione israeliana avrebbe dovuto comunicare i BISOGNI PARTICOLARI della ministra” dicono gli organizzatori. Il problema è che “non lo sapevamo”.

Oltre il danno, la beffa. Oltre al trattare erroneamente l’accessibilità come condizione eccezionale, ecco che arriva il BIASIMO per non averlo fatto sapere. Niente di straordinario effettivamente.

Oltre che imprevisti ed esclusi, ci manca giusto il rimprovero. Vedere ribaltata la colpa. La ramanzina paternalistica da parte di chi evidentemente non è minimamente in grado di riconoscere la portata del problema, che siamo obbligati a dover subire continuamente.

👉 L’avete vista la foto della ministra israeliana? Visti quegli occhi bassi? Li riconosco benissimo. Sono la rabbia e la frustrazione che ci fanno bruciare da dentro, costantemente. Sono la rassegnazione. Il ridimensionamento della nostra dignità da parte di chi ci vive come un impiccio, e come tale ci fa sentire, vincolati alla tolleranza. La minimizzazione bonaria della gravità, la lamentela ridotta al silenzio.

Per quanto ancora dobbiamo tenere gli occhi bassi?

Nei giorni appena passati, durante una partita, guardando i ragazzi in campo, mi sono reso conto di come li stavo osserv...
01/11/2021

Nei giorni appena passati, durante una partita, guardando i ragazzi in campo, mi sono reso conto di come li stavo osservando, del mio filtro.

Alcuni erano atleti pazzeschi. Ho appoggiato a loro il mio sguardo ispirato cercando di cogliere di tanto in tanto qualche segreto, chiamiamola pure brama di evolvere. A qualcuno ho anche ricamato addosso un pigiamino di bava, ma questa è un’altra storia.

Nello stesso momento, mi sono accorto che una persona senza disabilità si chiedeva che problema avesse uno degli atleti sul terreno di gioco. “Chissà perché è così”. La sua disabilità gli poneva una domanda: di cosa si tratta?

Riguardandoli, mi rendo conto che le loro compromissioni fisiche ai miei occhi erano in secondo piano, non le vedevo. Vedevo solo la loro prestazione, la loro destrezza in campo. Mi sono chiesto: come mai questa diversità di sguardi? E la risposta che mi sono dato è: questione di abitudine.

Vivendo con una disabilità, sono banalmente abituato a vederla, in me e negli altri. Non è (più) un’anomalia. “Che cos’ha?” non è semplicemente una domanda che mi faccio, perché non mi importa, non aggiunge niente a quello che vedo.

Non è il nome di una patologia o identificare la causa del danno a farmi capire qualcosa di chi mi trova davanti. Nessuna particolare chiave di lettura. È un di più, una caratteristica come un’altra. Che non mi cambia lo sguardo più di quanto lo cambierebbe sapere cosa tiene uno nelle mutande.

Però capisco non sia per tutti così. Non per la questione delle mutande, quello lo fa chiunque, non mentiamo. Dico che riconoscere la diversità che ho di fronte, chiedersi “cos’è”, anche dandogli un nome a volte, è normalissimo. È il primo passo nel familiarizzare con l’altro.

Ri-conoscere la diversità è una questione di filtri.
E di abitudine.

Ha senso? È chiaro solo a me? Risp. ✍️

Immagina una realtà distopica, in cui devi pagare per fare qualsiasi cosa. Pagare per muoverti, per usare le gambe. Anco...
22/10/2021

Immagina una realtà distopica, in cui devi pagare per fare qualsiasi cosa. Pagare per muoverti, per usare le gambe. Ancora prima di “fare qualcosa”, devi pagare. Devi valutare bene ogni cosa, ogni scelta, perché ha un costo.

Assurdo no? Non per tanti. Se hai un’invalidità, è perfettamente normale. Devi pagare per uscire di casa, per avere una vita normalissima. Non dico per andare a lavoro, quello evidentemente per alcuni è un lusso. Parlo di aprire la porta di casa per uscire. Ecco, ha un costo.

Pensa ai farmaci, agli strumenti che ti servono per muoverti, ai dispositivi, alla tua cura personale, alle cure mediche, all’assistenza, se ne hai bisogno. Tutto ha un costo, e costa pure tanto.

La assegno mensile di invalidità civile fra il 74 e il 99% è un importo di 287€ già esiguo e beffardo, che non consente affatto di vivere dignitosamente. E spetta solo a chi non lavora.

Già solo riconoscere un importo così misero vuol dire escludere consapevolmente questa categoria di persone dalla vita civile, dalla società. Non farle uscire di casa. Condannati all’isolamento, alla solitudine.

Vuol dire costringerli a dipendere da chi è disposto a aiutarli o a prendersi cura di loro, nei casi più fortunati. Lavoro di cura non retribuito che quasi sempre ricade sulle sp***e delle donne.

Una categoria già provata per l’inaccessibilità a una vita equa, civile. La cui salute mentale è già fortemente compromessa. Non tanto per l’invalidità, ma per tutte queste difficoltà insormontabili che gli si presentano ogni giorno.

È in questo contesto che l’INPS ha stabilito di togliere la pensione d’invalidità civile a chi lavora dal 14 Ottobre.

È un attentato all’indipendenza, all’emancipazione economica, contro l’autonomia di queste persone. È un ulteriore smacco alla loro salute mentale, un gesto che ribadisce il loro valore per una società che nel frattempo si dichiara “inclusiva”.

Nel frattempo il governo proroga la copertura per il reddito di cittadinanza, che molti percepiscono rifiutando un lavoro.

Mi unisco anche io all’appello di che ha avviato una petizione contro questo provvedimento, che trovate nella sua bio.

[2 di 3]🗣 Prepararsi alle paralimpiadi è già vincere.🗣 Rimettersi in gioco è la vittoria più grande.🗣 Non importa il ris...
21/10/2021

[2 di 3]
🗣 Prepararsi alle paralimpiadi è già vincere.
🗣 Rimettersi in gioco è la vittoria più grande.
🗣 Non importa il risultato.
🗣 L’importante è il percorso.

❌ Dove stanno le falle in questo discorso?

⚠️ Nel trattare atleti olimpici e paralimpici in maniera diversa. In un caso, guardi i risultati, nell’altro, la loro STORIA. Non importa quello che fanno, ma quello che RAPPRESENTANO.

“Federica Pellegrini ha vinto già solo preparandosi alla gara”
“Di Marcel Jacobs non importa il risultato, è un eroe”
“Gianmarco Tamperi, sei un esempio di forza, hai già vinto”

🤯 Può mai avere senso una retorica del genere? Direi di no. È un nonsense.
E allora perché riferendosi a Manuel Bortuzzo, Ambra Sabatini o Bebe Vio una retorica del genere è lecita?

Perché i due tipi di atleti non sono trattati - o non si fanno trattare - con la stessa dignità. Proprio per la loro disabilità. Non è che dietro a un elogio corrisponda un valore maggiorato. Anzi. Soprattutto se l’elogio non ha natura d’esistere.

👉 È che dagli atleti con disabilità ci si aspetta meno. Non solo perché la prestazione possa essere considerata inferiore, ma soprattutto perché li si guarda per altro.

👉 Dicendo per iperbole che l’atleta paralimpico ha qualcosa in più dell’atleta olimpico, li si carica di un valore aggiunto - che è tutto nella sua storia, in quello che rappresenta PER GLI ALTRI - che non è un surplus di dignità, ma un di meno.

👉 Perché? Perché diventando simbolo, sbiadisce l’atleta e i suoi risultati, nello stesso momento in cui la narrazione guadagna un’ispirazione, un esempio, un eroe da onorare.

❌ Oltretutto, grazie a UN simbolo, un paio di sparuti eroi da ammirare e plaudire, guarda caso sempre passabili, nella cerchia dei quasi-normali, disabili-ma-non-troppo, possiamo sentirci tutti appagati, e lavarci la coscienza senza badare a tutta quella sfilza di disabili senza occasioni nè supporti che non si caga nessuno e di cui nessuno vuole prendersi la briga di parlare. Tanto loro, i poveri stronzi, sono lontani dagli occhi, lontano dal cuore. Danno anche poco fastidio, quindi.

Finisco il discorso con il prossimo post ➡️
(Con una chicca 🦖)

✍️ Ho dimenticato qualcosa?

19/10/2021

🗣 Prepararsi alle paralimpiadi è già vincere.
🗣 Rimettersi in gioco è la vittoria più grande.
🗣 Non importa il risultato.
🗣 L’importante è il percorso, è partecipare.

A parte che la disabilità - parola che durante sto gf pare sconosciuta - non è qualcosa da vincere, ma al massimo qualcosa con cui imparare a convivere.

Rimettersi in gioco dopo un trauma è molto banalmente: sopravvivenza. Si può parlare di vittoria? Con fare sensazionalistico, forse. Ma sarebbe meglio parlare di ripresa, di entropia, di capacità di un sistema di ritrovare il proprio equilibrio. Resilienza se proprio.

✅ Ripetiamolo: quello che fanno gli atleti paralimpici, così come tante altre persone con disabilità è vivere, gareggiare, eccellere con la propria disabilità. Non nonostante. Non vincendo la disabilità. CON.

Cosa vuol dire questa retorica? A cosa serve? A chi serve? Per chi funziona?

Quello che potrebbe sembrare un benevolo elogio verso chi reagisce bene ad una condizione di indesiderabile svantaggio, è più un fugace momento catartico per sentirci tutti più buoni e incoraggianti nello slancio in cui si fà forza a qualcuno che si pensa abbia bisogno del nostro benestare.

Peccato funzioni solo nei casi in cui un semplice incentivo è a sufficienza, che è evidentemente un privilegio di chi ha una disabilità relativamente poco invalidante, una famiglia benestante che lo sostiene, chi crede e investe su di lui e soprattutto, risalto mediatico.

Esaltare UN disabile, comunque performativo e autonomo, passabile come normo-abile, disabile-ma-non-troppo, inconsapevolmente privilegiato è esaltare la disabilità per come vogliamo vederla: un’ispirazione.

E prestarsi a questo gioco superficiale da privilegiato, prendere parte a questa narrazione per farsi eleggere nuovo eroe fra i disabili, è una deresponsabilizzante questione di immagine. Puro marketing.

❌ Dove stanno le falle in questo discorso?
Ne parliamo nel prossimo post.
Nel frattempo cosa ne pensi?

Orecchie rosse coca cola e una t-shirt con una mia stampa amazing in edizione limitata. Talmente limitata che tipo ce l’...
17/10/2021

Orecchie rosse coca cola e una t-shirt con una mia stampa amazing in edizione limitata. Talmente limitata che tipo ce l’ho solo io 🙄

Ho fatto questo disegn durante il progetto di cui vi ho parlato qualche post fa, svolto in due classi V di un istituto di moda di Cremona.

Un laboratorio per riflettere sulla rappresentazione della disabilità e dei corpi non conformi, slegandoci dalle aspettative sociali e giocando con gli stereotipi .

Per quest’anno scolastico, con il progetto è evoluto e verrà proposto in tutti gli istituti superiori della Lombardia Sud. Se ci penso mi scappa un goccio di urina.

L’attivismo è anche questo 🤓

Quanto è f**a da 1 a 10? 🚀🚀🚀

Ancora, dopo quasi due anni, mi tocca imbattermi in messaggi del genere.Dal niente, senza conoscermi, forza e coraggio. ...
13/10/2021

Ancora, dopo quasi due anni, mi tocca imbattermi in messaggi del genere.

Dal niente, senza conoscermi, forza e coraggio. Intanto, forza e coraggio esattamente per cosa? Per le occhiaie?

Ora, se proprio vogliamo prendere i social come realtà altra, facciamo finta accada nella vita vera. Viene verso di te una persona, non la conosci, si avvicina e esordisce con un “Forza e coraggio”.

Innanzitutto, di coraggio ne ha avuto evidentemente lui per il gesto audace, perché diciamocelo, è stato chiaramente un maschio. Ma voglio dire. Ma come può passarti anche solo per l’anticamera del cervello una cosa del genere?

Intanto, cosa vuol dire con quelle parole? Parte dal presupposto che ne abbia bisogno, di forza e coraggio, solo guardandomi. In un gesto chiaramente paternalistico, sempre senza cattive intenzioni, mi da dell’anima reietta. Ai suoi occhi, sono un poveretto.

Pensate mi sarebbe mai potuto accadere se non fossi stato disabile? Esattamente. No. È bastata la mia disabilità per fargli scattare questo gesto tanto innocuo quanto capace di mettermi al mio posto nell’ordine sociale: la cerchia dei bisognosi.

Di frasi apparentemente insignificanti come questa, che sono costanti microaggressioni quotidiane, ne viviamo in continuazione. Per il semplice fatto di avere una disabilità, e ci ricordano qual è il nostro valore per la società.

Posso capire l’imbarazzo e l’inesperienza per la mancanza di occasioni di contatti con persone disabili nella cerchia di relazioni. Ma un “Ciao” non era a sufficienza?

Secondo voi, nei limiti della civiltà, cos’avrei dovuto rispondere? ✍️

Se ti va, dillo. Che serva oppure no, se puoi, tu fallo. Urlalo con gioia, con leggerezza, con rabbia, ferocemente. Rive...
11/10/2021

Se ti va, dillo. Che serva oppure no, se puoi, tu fallo. Urlalo con gioia, con leggerezza, con rabbia, ferocemente. Rivendica il tuo diritto a non avere vergogna di niente, di come sei.

Fallo come preferisci. Con pacatezza, con sfacciataggine. Serenamente, quello sempre. Ridendo, con commozione, come se nulla fosse. A modo tuo, qualsiasi esso sia.

Ostenta chi sei, qualunque cosa voglia dire. Mostrati in tutta la tua verità, senza pensare alle conseguenze. Liberati, e basta.

Ti diranno che non serve, che non sta bene. C’è chi non sa cosa vuol dire nascondersi, fingere, avere paura. Lasciali fare, non capiranno. Anzi, tu ripetilo, dillo più forte. Lasciati andare. Fregatene.

Può volerci coraggio, all’inizio. Potrebbe volercene sempre. Tu buttati. Non abbassare mai lo sguardo, mai. Non ha prezzo l’autenticità.

Se ti va, tu dillo.

Buon raghy 💖✨🏳️‍🌈🏳️‍⚧️

+++ Era meglio scrivere E ANCHE SE L’OMO***SUALITÀ FOSSE UNA MALATTIA MENTALE? +++ L’assessore mette in dubbio che l’omo...
09/10/2021

+++ Era meglio scrivere E ANCHE SE L’OMO***SUALITÀ FOSSE UNA MALATTIA MENTALE? +++

L’assessore mette in dubbio che l’omo***sualità non sia una malattia mentale. La comunità LGBT+ si indigna. La notizia delle ultime ore (https://bit.ly/3DqC7J3) mi ha fatto riflettere: e anche se l’omosessualità fosse una malattia mentale?

Qual è l’esigenza di accertarsi che lo sia oppure no? Se lo fosse come cambierebbe la natura del dibattito? Fermo restando che “il dibattito” è fermo da cinquant’anni. Ma metti che fosse una malattia mentale. E quindi? Cosa sarebbe lecito dire?

È curioso questo scaldarsi sul tema omo***sualità-malattia mentale, da entrambe le parti. Sia da parte dei detrattori, che evidentemente sperano di poter sfruttare la questione per una delegittimazione sul piano morale. Sia da parte della comunità lgbt+ stessa, che ci tiene a rivendicare con forza la propria estraneità a una condizione evidentemente vista come negativa.

Entrambe le posizioni considerano il disturbo mentale una condizione di svalutazione.
Come se fosse implicitamente associato all’errore, un’anomalia, passibile di colpa, di vergogna. In ogni caso, disonorevole. Che ricalca perfettamente lo stigma che ricade a livello sociologico sul tema della salute mentale.

Perché cosa puoi permetterti di fare coi pazzi? Puoi non ascoltarli, non dargli credito. Ed è probabilmente questo il timore nella rivendicazione di integrità da parte della comunità lgbt+, quella di sentirsi discreditata per una posizione trattata da ambo le parti come minoritaria.

E da parte dei detrattori. Se fosse una malattia, allora sarebbero delegittimati tutti gli sforzi per non discriminare le persone lgbt+? Le persone malate non dovrebbero godere di pari diritti e dignità? Di tutele? È un discorso che a un certo punto va in corto circuito, ma da cui la malattia mentale esce sempre sconfitta.

Qual è il rapporto fra una malattia mentale e una società considerata sana? Il potere di quest’ultima su una condizione vista come implicitamente problematica. Il controllo della vita di chi è considerato deviato, pericoloso, da contenere, da correggere. Una questione da gestire, di cui prendersi carico. È una questione di potere.

Mi domando una persona con una malattia, un disturbo mentale qualsiasi, un deficit anche lieve come possa vivere questa situazione. Soprattutto una persona lgbt+ con un disturbo mentale o disabilità cognitiva come possa affrontarla.

Sarebbe stato così liberatorio rispondere all’assessore omofobo: E QUINDI?

✍️ Voi cosa ne pensate?

La vita con una persona con disabilità può essere tante cose. Come per ogni rapporto, dipende da entrambi i componenti d...
07/10/2021

La vita con una persona con disabilità può essere tante cose. Come per ogni rapporto, dipende da entrambi i componenti della relazione e ci sono tantissimi fattori che ne determinano la qualità.

Io ho una donna intelligente e sensibile che ha voluto mettersi in gioco e mi ha dato la possibilità di riprendere in mano la mia vita, e posso parlare in qualità di persona privilegiata. Ma non è sempre così, anzi, temo di essere una delle eccezioni.

(Inizialmente avevo scritto che sono fortunato ad avere mia madre, ma non sono convinto sia giusto dire che un disabile che non viene abbandonato sia fortunato, ma sorvoliamo)

È anche per questo che decido di raccontarmi, per portare attenzione su una realtà possibile. Di una vita serena con una disabilità grave, sia per me che per chi è con me.

Una disabilità, soprattutto se arriva durante una vita, può essere un trauma, non solo per chi la vive in prima persona. Restare è un’opzione. C’è chi è rimasto e chi se n’è andato.

C’è chi non è disposto, vivendola come una rinuncia alla propria esistenza, di fare quello che crede essere un sacrificio. Non è sempre facile, soprattutto se la persona con disabilità sono io. Ma è possibile.

La verità è che come in ogni altro rapporto, ci si sceglie, continuamente.

Sto proseguendo il mio pressing psicologico martellante su madre, per farle aprire un account e farle raccontare la propria storia e esperienza, ma non si è ancora decisa.

Io posso anche dare spazio alla sua voce, e lo farò, ma vorrei fosse lei ad aprirsi al mondo. Visto che non sono l’unico a pensare che avremmo bisogno della voce di persone come lei, l’altra faccia della medaglia, mi date una mano a convincerla?

✍️ Scrivetele nei commenti, magari è la volta buona che si butta!

Qual è l’esigenza di specificare che “Là sotto funziona tutto”?Quello che segue potrebbe essere, per stare in tema, un m...
06/10/2021

Qual è l’esigenza di specificare che “Là sotto funziona tutto”?

Quello che segue potrebbe essere, per stare in tema, un mio gran pi***ne. Anche se dopo qualche confronto con amici disabili, non credo sia così. Quindi, tornando a noi. Perché quella riportata non è un’informazione come un’altra?
Partiamo da una prima profonda analisi socio-culturale.

🍆 Qual è la quintessenza di un uomo? Il suo ca**o.
Cos’è un uomo senza la sua virilità? Ben poco.
E infatti quali sono fra i peggiori insulti per un uomo in quanto tale? Essere considerato effemminato, che vuol dire essere percepito come innocuo. Avere il ca**o piccolo, che vuol dire essere incapace di avere una prestazione sessuale. E essere impotente. Vedi sopra.

🥒 Prendete un uomo medio. Toglietegli la sua possibilità di esprimere la propria mascolinità. Cosa rimane? Fragilità. Smarrimento. Una identità compromessa.

👼 In più. Le persone con disabilità, nella nostra società performativa, sono viste come inutili e inidonee. Anche dal punto di vista sessuale, sono considerate innocui bambini asessuati senza pulsioni, esigenze, nè dignità ad avere una vita sessuale e romantica appagante. Quindi.

“Là sotto funziona tutto, scusate eh!” vuol dire “Tranquilli, sono ancora dei vostri. Sono ancora degno di esser considerato un uomo!”. “Sono disabile MA NON così disabile.”

Con quelle parole Manuel Bortuzzo vuole fare una cosa tanto tenera quanto immatura: discostarsi da uno stereotipo negativo, da un taboo. Mettersi al riparo. Vuole rassicurare, e forse ancora di più, rassicurarsi. Di essere ancora degno di far parte di un certo gruppo sociale: quello degli accettabili. Maschi e normoabili.

Sono disabile PERÒ là sotto funziona tutto.
“Usa una carrozzina PERÒ quando passo neanche mi vedi.”
Guardatemi, sono ancora abbastanza performativo, sono ancora degno di essere dei vostri. Sono disabile-ma-non-troppo.

Manuel sta facendo una cosa semplicissima: lavorando per la propria inclusione nel gruppo, a discapito di uno stereotipo che continua a rimanere negativo. Peccato che Bortuzzo aveva detto di voler essere un punto di riferimento e di voler lasciare un segno parlando della disabilità.

Diciamo che per ora ha fatto la figura di chi vuole giocare ad un’accettazione al ribasso. Meh.

D’altronde, senza volerlo giudicare troppo negativamente, non tutti hanno lo stesso livello di maturità e accettazione per poter affrontare tematiche tanto delicate come queste. Anche se effettivamente era la sua missione dichiarata.

Quello che vorrei dire a tutte quelle persone che non possono vivere la loro sessualità ed erotismo come vorrebbero è: va bene così. Siete comunque persone valide, potete trovare il modo di esprimere voi stessi. I modi ci sono. E se non ci riuscite, o non vi va, va bene ugualmente. In ogni caso, tutto passa prima di tutto per un’accettazione di sè stessi. Lavorateci su, senza ansia, senza badare alle aspettative altrui. È una cosa che riguarda solo voi.

Trattatevi con rispetto.

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Cremona

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