🗣 Prepararsi alle paralimpiadi è già vincere.
🗣 Rimettersi in gioco è la vittoria più grande.
🗣 Non importa il risultato.
🗣 L’importante è il percorso, è partecipare.
A parte che la disabilità - parola che durante sto gf pare sconosciuta - non è qualcosa da vincere, ma al massimo qualcosa con cui imparare a convivere.
Rimettersi in gioco dopo un trauma è molto banalmente: sopravvivenza. Si può parlare di vittoria? Con fare sensazionalistico, forse. Ma sarebbe meglio parlare di ripresa, di entropia, di capacità di un sistema di ritrovare il proprio equilibrio. Resilienza se proprio.
✅ Ripetiamolo: quello che fanno gli atleti paralimpici, così come tante altre persone con disabilità è vivere, gareggiare, eccellere con la propria disabilità. Non nonostante. Non vincendo la disabilità. CON.
Cosa vuol dire questa retorica? A cosa serve? A chi serve? Per chi funziona?
Quello che potrebbe sembrare un benevolo elogio verso chi reagisce bene ad una condizione di indesiderabile svantaggio, è più un fugace momento catartico per sentirci tutti più buoni e incoraggianti nello slancio in cui si fà forza a qualcuno che si pensa abbia bisogno del nostro benestare.
Peccato funzioni solo nei casi in cui un semplice incentivo è a sufficienza, che è evidentemente un privilegio di chi ha una disabilità relativamente poco invalidante, una famiglia benestante che lo sostiene, chi crede e investe su di lui e soprattutto, risalto mediatico.
Esaltare UN disabile, comunque performativo e autonomo, passabile come normo-abile, disabile-ma-non-troppo, inconsapevolmente privilegiato è esaltare la disabilità per come vogliamo vederla: un’ispirazione.
E prestarsi a questo gioco superficiale da privilegiato, prendere parte a questa narrazione per farsi eleggere nuovo eroe fra i disabili, è una deresponsabilizzante questione di immagine. Puro marketing.
❌ Dove stanno le falle in questo discorso?
Ne parliamo nel prossimo post.
Nel frattempo co
🗣 Prepararsi alle paralimpiadi è già vincere.
🗣 Rimettersi in gioco è la vittoria più grande.
🗣 Non importa il risultato.
🗣 L’importante è il percorso, è partecipare.
A parte che la disabilità - parola che durante sto gf pare sconosciuta - non è qualcosa da vincere, ma al massimo qualcosa con cui imparare a convivere.
Rimettersi in gioco dopo un trauma è molto banalmente: sopravvivenza. Si può parlare di vittoria? Con fare sensazionalistico, forse. Ma sarebbe meglio parlare di ripresa, di entropia, di capacità di un sistema di ritrovare il proprio equilibrio. Resilienza se proprio.
✅ Ripetiamolo: quello che fanno gli atleti paralimpici, così come tante altre persone con disabilità è vivere, gareggiare, eccellere con la propria disabilità. Non nonostante. Non vincendo la disabilità. CON.
Cosa vuol dire questa retorica? A cosa serve? A chi serve? Per chi funziona?
Quello che potrebbe sembrare un benevolo elogio verso chi reagisce bene ad una condizione di indesiderabile svantaggio, è più un fugace momento catartico per sentirci tutti più buoni e incoraggianti nello slancio in cui si fà forza a qualcuno che si pensa abbia bisogno del nostro benestare.
Peccato funzioni solo nei casi in cui un semplice incentivo è a sufficienza, che è evidentemente un privilegio di chi ha una disabilità relativamente poco invalidante, una famiglia benestante che lo sostiene, chi crede e investe su di lui e soprattutto, risalto mediatico.
Esaltare UN disabile, comunque performativo e autonomo, passabile come normo-abile, disabile-ma-non-troppo, inconsapevolmente privilegiato è esaltare la disabilità per come vogliamo vederla: un’ispirazione.
E prestarsi a questo gioco superficiale da privilegiato, prendere parte a questa narrazione per farsi eleggere nuovo eroe fra i disabili, è una deresponsabilizzante questione di immagine. Puro marketing.
❌ Dove stanno le falle in questo discorso?
Ne parliamo nel prossimo post.
Nel frattempo co