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Fondazione Giacomo Mancini Fondata nel 2004

MANCHI | Il 10 novembre del 1930 nasceva a Napoli Antonio Landolfi. Egli ha partecipato alla Liberazione come staffetta ...
11/11/2024

MANCHI | Il 10 novembre del 1930 nasceva a Napoli Antonio Landolfi. Egli ha partecipato alla Liberazione come staffetta partigiana nella Roma occupata dai nazifascisti. Iscritto al Pci, ne uscì poco dopo per aderire al Psi. Ha fatto parte, a fianco di Giacomo Mancini, della Direzione Nazionale e della Segreteria del PSI, in qualità di responsabile della Cultura e di responsabile dell’Economia.

Nel 1979 venne eletto al Senato della Repubblica nelle liste del PSI. Ha insegnato all’Università La Sapienza di Roma e alle Università dell’Aquila, di Palermo e alla Luiss.

È stato autore di vari saggi e opere di storia : Il socialismo italiano (1978), Storia del PSI (1990), Il socialismo meridionale (1992), Il garantismo socialista (1999), L’Europa dei socialisti (2002), Il gladio rosso di Dio(1998), Global sì, Global no (2004), Giacomo Mancini – Biografia politica (2008). È stato collaboratore di «Critica sociale», dell’ «Avanti!», «Mondo Operaio», di «Le ragioni del socialismo», Presidente della “Fondazione Culturale Città di Cosenza” e primo Presidente della “Fondazione Giacomo Mancini”.

Landolfi venne a mancare, a Roma, il 26 aprile del 2011.

Un forte abbraccio ad Adriana, fedele moglie di Landolfi, alle figlie e buon compleanno ad Antonio, a cui io e, soprattutto, Giacomo Mancini abbiamo voluto tanto bene. Ci mancano la sua intelligenza politica, la sua ironia, la sua disponibilità.

Quante qualità hai dimostrato, mio vecchio e affettuoso amico !
È vero, ci addolora, molto, averlo perso troppo perso !
Ma ci consoliamo, pensando alla fortuna, che abbiamo avuto, “godendo” della sua intelligenza politica, della sua cultura, della vicinanza ai suoi familiari e della amicizia con noi per tanti anni !!

Pietro Mancini

GRAZIE | Grazie ai tanti che ieri hanno gremito la sala degli specchi della provincia di Cosenza per partecipare alla pr...
09/11/2024

GRAZIE | Grazie ai tanti che ieri hanno gremito la sala degli specchi della provincia di Cosenza per partecipare alla presentazione del libro di Marcello Sorgi intitolato San Berlinguer, l’ultimo capo del popolo comunista.

È stata una bella occasione di ricordi, di analisi e di prospettive.

Alla prossima

LA TESTIMONIANZA| Giorgio Frasca Polara, decano dei cronisti parlamentari e all’epoca dei fatti inviati dell’Unita’ ha r...
22/10/2024

LA TESTIMONIANZA| Giorgio Frasca Polara, decano dei cronisti parlamentari e all’epoca dei fatti inviati dell’Unita’ ha rievocato dal suo angolo di osservazione i momenti immediatamente successivi alla frana di Agrigento. Ringraziamo il giornalista Filippo Veltri per aver messo a disposizione della FGM questo testo che qui pubblichiamo integralmente.

Da Palermo (ancora lavoravo alla redazione siciliana del nostro giornale) avverto a Roma la carissima Lilli Bonucci: “Corro ad Agrigento”, mentre verso la città del “terremoto” si muovevano colonne di soccorso: esercito, pompieri, Croce Rossa, volontari… La Protezione civile era ancora di là da ve**re. Ma per me, prima di partire con la mia scassatissima 600, si pose un problema serio, serissimo: che fare? Come raggiungere Agrigento in tempo per scrivere il pezzo, e per giunta nelle dimensioni che la gravità della vicenda avrebbe certamente richiesto?
Esitai un poco, poi presi una decisione paradossale e rischiosa: scrissi e dettai il pezzo da Palermo basandomi non solo sulle ancora scarne notizie d’agenzia e radiofoniche, ma anche e soprattutto su quel che sapevo e avevo scritto già tante volte. Ciò che, anzitutto, anche a lume di naso, smentiva la tesi grottesca del terremoto. Sapevo che il rischio paventato dal decreto del ’45 si era paurosamente moltiplicato per l’edificazione dei tolli su terreni argillosi che favorivano il fenomeno del scivolamento a valle di interi quartieri. Ancora, sapevo che il sistema dell’informazione (tranne la stampa di sinistra, ma senza sufficiente vigore) aveva fatto di tutto, appena quattr’anni prima, per tacere, sopire, troncare la drammatica denuncia non di un potenziale terremoto ma delle conseguenze del sacco urbanistico e del degrado della città: una denuncia sottoscritta da urbanisti e storici dell’arte del calibro di Carlo Giulio Argan, di Cesare Brandi, di Antonio Cederna. E sapevo che qualche volta (solo qualche volta, purtroppo) l’opposizione aveva alzato la voce, in comune e in regione, di fronte alle più spudorate operazioni speculative e all’insabbiamento dei risultati pesanti di una prima inchiesta amministrativa rivelatrice di quasi tutti gli elementi del bubbone poi esploso con la frana e che chiamava apertamente in causa il blocco di potere Dc dominante ad Agrigento come a Palermo e a Roma.
Feci tesoro di tutto questo, e tutto utilizzai in fretta, ma nella più totale incertezza: un bluff da poker. Mandai dunque il pezzo “da inviato”, ma ben preoccupato del mio osare, un poco irresponsabile ma, ritenevo, necessitato. Poi presi l’auto e, non essendoci ancora superstrade, mi misi a superare autobotti e cucine da campo, gru e ambulanze, urlando “stampa!” per farmi largo nei frequenti ingorghi. Alla fine, nel pomeriggio avanzato, ecco Agrigento. La situazione era ben più grave di quanto avessi immaginato e scritto al buio. Insomma non dovevo rivoltare il servizio, semmai aggiungere, aggravare, accusare di più.
Del resto, rispetto al mattino, quel bugiardo del sindaco Ginex ora si era ammutolito: il suo “grave movimento tellurico” non era più che un pallido, ridicolo sipario ridotto a brandelli da una condotta – scriverà l’ingegner Michele Martuscelli nella relazione della commissione d’indagine spedita ad Agrigento dal ministro socialista dei Lavori pubblici, Giacomo Mancini – “intessuta di colpe scientemente volute, di atti di prevaricazione compiuti e subiti, di arrogante esercizio del potere discrezionale, di spregio della condotta democratica”.
Solo a notte, mettendomi in fila, riuscii ad ottenere per qualche minuto una telefonata (anche la teleselezione era di là da ve**re) con il giornale: feci qualche inserto sulle migliaia di senzatetto e senzatutto, sui bambini e le loro madri che piangevano, un poco di “colore”, e soprattutto chiamai più esplicitamente in causa non solo gli amministratori locali, ma anche il gruppo di potere doroteo-fanfaniano che amministrava la regione e, d’accordo con la segreteria nazionale della Dc, aveva coperto tutte le magagne dei compari agrigentini. Poi m’istallai all’albergo Jolly: niente acqua corrente, bidet con l’acqua minerale, vitto subito razionato nell’incertezza del domani.
La mattina dopo andai anzitutto alla ricerca dei dirigenti locali del partito. Il segretario della federazione? “È in viaggio di nozze, credo a Venezia – mi rispose un disorientato compagno –. No, non si è fatto ancora vivo”. Tornerà due settimane dopo: mentre la sua città franava lui offriva il granturco ai piccioni in piazza San Marco. Dal comitato regionale nessuno si era fatto vivo anche l’indomani: sapevo che il segretario era in Unione sovietica; quanto al vicesegretario non ritenne che la vicenda fosse sufficiente motivo per interrompere un viaggio tra vini e castelli della Loira. Insomma, mio malgrado scoprivo di essere non solo il primo inviato sulla piazza, ma anche l’unico interlocutore, anche politico, del giornale.
Riuscii a telefonare con maggiore calma al direttore del giornale Mario Alicata. Gli feci un quadro onesto della situazione: i dati approssimativi sulle grandi dimensioni della catastrofe, la mole ingente e crescente di materiale documentario sui divoratori della città: ci sono di mezzo – gli raccontai – un nugolo di ex sindaci oltre al Ginex, un piccolo esercito di magistrati e un questore in persona. E infine un partito, il nostro, praticamente inesistente. Alicata ne trasse conferma di una certezza maturata già da molte ore grazie anche ad una telefonata con il fratello magistrato: la frana non era il frutto del solito destino cinico e baro; piuttosto era un delitto provocato dalla speculazione e dalle complicità, a tutti i livelli, di cui i responsabili materiali avevano goduto per anni e anni. Il ritratto icastico di un regime di malaffare e di malavita. “Bisogna farne una grande campagna!”, disse il direttore, e m’intimò: “Tu resta lì, non ti muovere, scrivi, non guardare in faccia a nessuno! Questa storia deve diventare un tormentooone!”
E sarà proprio lui, Mario Alicata, benché piuttosto isolato tra i dirigenti del partito, a trasformare la frana in un incubo per il segretario della Dc, Mariano Rumor (che non caccerà nessuno, che coprirà tutti), per i quattro sindaci che si erano alternati nel malaffare in comune, che verranno processati e riprocessati sino a quando i reati loro ascritti cadranno ovviamente in prescrizione. Ma per lungo tempo la frana fu un incubo per la catena di presidenti della regione, di assessori, di deputati, sottosegretari, ministri e loro fratelli e loro compari, di alti funzionari dello Stato: dai magistrati agrigentini ai dirigenti della polizia.
E se l’iniziativa di Alicata valse a svegliare il circuito della informazione, persino l’ingessatissima tv pubblica, costringendo tutti a chiamare in causa le evidentissime responsabilità politiche, valse anche a smuovere il partito, il sindacato, le organizzazioni di massa: scattò la solidarietà, centinaia di bambini furono ospitati nelle colonie dell’Adriatico, le Coop inviarono vagoni di generi alimentari, fu fatto tutto quel che non fecero lo Stato, la regione siciliana, l’amministrazione locale.
Del resto non passava giorno senza che Alicata incalzasse il notabilato Dc, il governo di centrosinistra, la magistratura, e lo facesse con editoriali, corsivi e persino mettendo di frequente le mani nei miei servizi per renderli ancora più pesanti anche sulla base di notizie e dati che fonti assolutamente insospettabili gli passavano. Tanto che un giorno espressi ad Alicata qualche timore: già fioccavano infatti le prime querele e poi le denunce penali piovvero a grappoli. “Non ti preoccupare – mi tranquillizzò lui –, ai processi andremo insieme, e vedrai come ci divertiremo”. Ma ai processi andai purtroppo solo come poi racconterò, e non mi divertii affatto anche se ne uscii sempre indenne, forte dell’assoluta verità di quel che avevo/avevamo raccontato.
Verità più tardi confermata da quel rapporto Martuscelli di cui abbiamo già parlato e che spiegava come “più l’iniziativa dei costruttori diventa sfrontata nel violare la legge e più aumentano le concessioni, le autorizzazioni in deroga, le sanatorie, più il comune consente e legittima le violazioni, più cresce l’audacia dei costruttori, così che si realizza una concorde azione di erosione delle norme e di distruzione della città”.
Ho ancora tra gli appunti di quella stagione il regolamento edilizio comunale entrato in vigore nove anni prima della frana: era fatto su misura dei desideri dei costruttori. Esagerazione? Niente affatto. Si ebbe l’impudenza di dar valore di norma cogente ad espressioni pazzesche come questa: “Quando è possibile gli edifici devono poggiare sulla roccia viva”, ma naturalmente solo quando è possibile. O questa: “Quando non si possa raggiungere terreno compatto e si debba fabbricare su terreno di riporto o comunque sciolto, dovranno adottarsi i mezzi dell’arte di costruire” e s’era poi visto che razza di artisti s’erano lavorati la collina Atenea. O questa ancora: “Il limite massimo di altezza degli edifici è fissato in 25 metri, salvo deroghe”, e una deroga, ad Agrigento, non si negò a nessuno.
E infatti già un anno dopo l’entrata in vigore di questo regolamento l’ex assessore comunale e costruttore ing. Gaetano Vita aprì la serie del raddoppio in altezza delle dimensioni di un suo palazzo. E che dire di quell’ing. Vajana, costruttore del primo grattacielo andato in briciole, che con una mano rilasciava licenze in deroga come assessore ai lavori pubblici e con l’altra le utilizzava per far lavorare la propria impresa e quelle degli amici: amico era il titolare dell’impresa Sciacca (quattro piani in più di quanti ne consentisse la licenza), amica era l’impresa Giunta (tre piani in più), amica l’impresa Albano, tre piani in più e per soprammercato un bell’attico. In breve nell’ultimo anno antefrana ben 131 licenze su 190 erano state rilasciate in deroga o in sanatoria o addirittura contro i pareri ora dell’ufficio tecnico comunale e ora della sovrintendenza ai monumenti.
Ma la mia raccolta di informazioni per sempre nuovi, ma sempre quotidiani servizi (che sarebbero servite anche ad Alicata, alle viste di uno show down in Parlamento) avveniva anche nei modi più imprevedibili: la soffiata di un impiegato comunale, un pizzino (anonimo) lasciato al Jolly, la telefonata del collega palermitano che aveva letto la Gazzetta Ufficiale della regione: c’era scritto che la suocera del presidente della regione, Giuseppe La Loggia, era stata autorizzata ad alzare sino a 40 metri un palazzo in quella via Dante poi devastata dalla frana, e con strepitosa giustificazione: “Le più moderne tendenze urbanistiche mirano ad uno sfruttamento sempre più intensivo delle aree edificabili”.
Quanta tenacia ci mise Alicata in quei mesi dice da solo un piccolo episodio. Era quasi un mese che vivevo nel caos di Agrigento ed ero destinato a restarci chissà quanto ancora. Chiesi per Ferragosto una pausa di quattro-giorni-quattro per andare a trovare i miei figli. Su Agrigento si sarebbe potuto lavorare in redazione sulle agenzie, sulle telefonate (qualche compagno era tornato ad Agrigento). In mia assenza una notte il direttore tornò al giornale per controllare la prima edizione in cui, tra l’altro, usciva un suo furioso corsivo in replica ad un deputato fanfaniano, Raffaello Rubino detto Lello, che ergendosi a difensore degli speculatori (tra i quali c’era suo fratello, ingegnere e progettista di qualche tollo) aveva osato gridare alto e forte che “Agrigento è la nuova Danzica di una guerra del Pci per colpirci e umiliarci!”. Testuale.
Alicata trovò bell’e stampato in prima pagina il suo corsivo, ma poi sfogliò in fretta tutto il giornale e con stizza si rivolse di scatto ad Alberto Provantini, il nostro corrispondente dall’Umbria che faceva un cambio ferie a Roma (poi è stato parlamentare, quindi dirigente del Gramsci: ahinoi, ci ha lasciato anche lui) e sbottò: “Ma come? Su Agrigento c’è solo il mio corsivo? E non c’è un pezzo di notizie? Eppure bastava sfruttare almeno la dichiarazione di Ugo La Malfa, una volta tanto accettabile… La Sicilia non è l’Umbria, caro Provantini: volete capire che dobbiamo fare campagna ogni giorno, dare ogni momento il tormentooone a quei banditi? Forza, inventatevi un pezzo che accompagni il mio corsivo”, e se ne andò furioso, non prima di avermi telegrafato: “Torna subito al tuo posto”. Tramontato il Ferragosto sarei rimasto ad Agrigento sino al 4 dicembre.
Intanto, a settembre, Alicata volle ve**re nella “sua” città della frana. Non l’avesse mai fatto. In buona sostanza lui, che pure era realista sino al cinismo, aveva creduto che gli agrigentini gli fossero grati, o dovessero essergli grati per la buriana creata, per i danni materiali sociali e morali denunciati, e per l’attenzione partecipe che in questo modo si era riversata su Agrigento non solo da tutta l’Italia, ma da mezzo mondo. Credeva che aleggiasse una sorta di riconoscenza per quel che aveva fatto l’Unità, e che i cittadini gliela avrebbero testimoniata accorrendo all’annunciato suo comizio nella grande piazza alberata che è un poco il centro della città. Comizio fissato ad ora acconcia del pomeriggio, passata la calura. E invece quando Alicata parlò si contarono trenta, forse quaranta persone.
Lui non batté ciglio, mascherò perfettamente la rabbia, parlò come se avesse dinnanzi migliaia di persone. Poi rientrò in federazione, ora più sgomento (inedito per lui) che furioso (non inedito). Si rendeva conto, sulla sua pelle, che lo scandalo, forse persino più che i danni materiali della frana, colpiva anche interessi minuti e diffusi. Metteva a repentaglio una ragnatela di reciproci vantaggi: quelli su cui la Dc e i suoi alleati avevano costruito un sistema di potere che altrove sarebbe andato in frantumi solo parecchi anni dopo (e non per una rivolta di popolo), e che in una Sicilia “irredimibile” (Mario Alicata stimava assai Leonardo Sciascia pur non condividendone certe punte di pessimismo), in quella Sicilia avrebbe invece assunto le solite forme gattopardesche. Ma in quel momento, successivo al fiasco del comizio, vomitò solo un distillato d’odio. C’era, in un corridoio della federazione, una grande carta dell’Italia. Lui coprì il triangolo dell’isola con la sua grande mano e mormorò: ”Come sarebbe largo questo Mediterraneo”.
Non ebbe tempo né voglia di rimetter piede in Sicilia. Il 4 novembre ci fu l’alluvione di Firenze. Alicata comprese subito il valore dei risvolti politici del nuovo disastro. Montò un’altra campagna di stampa anche a sostegno del primo, splendido fenomeno di volontariato giovanile di massa. Ma il tempo di Alicata stava purtroppo finendo: il 5 dicembre intervenne alla Camera su Agrigento. Per un verso apprezzando entusiasticamente il rapporto dell’ing. Martuscelli (“Se ella, signor presidente della Camera, presiedesse la Convenzione giacobina, io proporrei di decretare la corona civica per questo coraggioso e onesto funzionario”), e per un altro verso ammonendo Dc e governo: “Tocca a voi trarre le conseguenze politiche di questo scandalo. Fatelo, altrimenti più gravi guasti ne verranno non solo ad Agrigento ma alle istituzioni”.
Riferimento non casuale alle istituzioni: Alicata parlò del presidente del tribunale penale agrigentino, Aurelio Di Giovanni (proprietario di alloggio Incis, se ne era procurato un altro col fratello-prestanome in uno dei tolli costruiti senza licenza); e degli analoghi sconci affari edilizi del procuratore della repubblica Giovanni La Manna, del presidente della corte d’assise Guido Bellanca, del presidente della sezione civile del tribunale Raimondo Mormino e infine dell’ex questore della città… Risultato dell’ammonimento: nessuno, ma proprio nessuno pagò.
Nessuno pagò. Tranne Alicata. Distrutto dalla tensione accumulata nel gestire praticamente da solo la vicenda di Agrigento, e da ultimo stremato dalla vicenda di Firenze, non sapeva di avere le ore contate. Ero tornato da Agrigento apposta per assistere all’intervento di Alicata alla Camera e pronto, se fosse stato necessario, a fornirgli tutta la ulteriore documentazione necessaria. Alla fine lo avevo accompagnato al giornale: uno sguardo al resoconto, poi su un foglietto ne aveva vergato il titolo. Poi finalmente, dopo più di cinque mesi agrigentini, potei andare in ferie. Lui andò a cena con un’amica e andò a dormire da lei. L’indomani lei lo trovò morto, stroncato da un infarto. Risparmio anche a me stesso e su questa testimonianza il ricordo di come si evitò uno “scandalo” (Alicata era sposato con l’ex moglie del grande matematico Renato Caccioppoli) solo grazie alla prontezza di riflessi dei compagni della mitica Vigilanza di Botteghe oscure.

BELLA INIZIATIVA |Bella serata nella nostra sede per la presentazione del volume di Katia Massara dal titolo “Agrigento ...
21/10/2024

BELLA INIZIATIVA |Bella serata nella nostra sede per la presentazione del volume di Katia Massara dal titolo “Agrigento 1966, la battaglia del Ministro Giacomo Mancini per la tutela del territorio” edito da Rubbettino.

Complimenti vivissimi all’autrice per l’interessante pubblicazione che va ad arricchire la collana di studi e di ricerche della FGM.

Grazie all’architetto Giovanni Multari e al giornalista Francesco Kostner e al nostro presidente Pietro Mancini per le loro brillanti reazioni. Grazie al professor Mimmo Passarelli, al dottor Antonio Belmonte e all’onorevole Sandro Principe per i loro interessanti contributi.

E grazie mille alle amiche e agli amici presenti che partecipato a questo bel momento che ha permesso di ricordare ha storia antica che mai come oggi è molto attuale.

GRAZIE | Bella serata nella nostra sede per la presentazione del volume di Katia Massara dal titolo “Agrigento 1966, la ...
21/10/2024

GRAZIE | Bella serata nella nostra sede per la presentazione del volume di Katia Massara dal titolo “Agrigento 1966, la battaglia del Ministro Giacomo Mancini per la tutela del territorio” edito da Rubbettino.

Complimenti vivissimi all’autrice per l’interessante pubblicazione che va ad arricchire la collana di studi e di ricerche della FGM.

Grazie all’architetto Giovanni Multari e al giornalista Francesco Kostner e al nostro presidente Pietro Mancini per le loro brillanti reazioni. Grazie al professor Mimmo Passarelli, al dottor Antonio Belmonte e all’onorevole Sandro Principe per i loro interessanti contributi.

E grazie mille alle amiche e agli amici presenti che partecipato a questo bel momento che ha permesso di ricordare ha storia antica che mai come oggi è molto attuale.

A LUNEDÌ | “(…)Se la situazione urbanistica italiana è profondamente cambiata, se la speculazione edilizia ha finito di ...
17/10/2024

A LUNEDÌ | “(…)Se la situazione urbanistica italiana è profondamente cambiata, se la speculazione edilizia ha finito di fare il bello e il cattivo tempo, se i cittadini potranno godere d’ora in avanti di più civili ed umane condizioni di vita negli insediamenti urbani, (…)tutto ciò è certamente avvenuto per l’azione determinante dei socialisti di centro sinistra (…)” cosi scriveva nella primavera del 1968 Giacomo Mancini, allora ministro dei Lavori Pubblici in una lettera inviata a Pietro Nenni, allora vicepresidente del consiglio dei Ministri.

La lettera- insieme ad altri carteggi tra Giacomo Mancini, Aldo Moro e Francesco De Martino – è pubblicata nel volume di Katia Massara dal titolo “Agrigento 1966, la battaglia del Ministro Giacomo Mancini per la tutela del territorio” edito da Rubbettino che sarà presentato lunedì 21 aprile alle ore 18 presso la sede della FGM a Cosenza.

L’evento che oltre all’autrice prevede gli interventi dell’architetto Giovanni Multari, e dei giornalisti Francesco Kostner e Filippo Veltri e del Presidente della FGM Pietro Mancini fornirà l’occasione non solo di rievocare i tragici fatti della frana di Agrigento del luglio del 1966, gli interventi determinati e coraggiosi del ministro Mancini, l’avvio della riforma urbanistica, ma anche di riflettere sulla situazione attuale che vede il territorio, ad iniziare di quello delle nostre comunità, stuprato da abusi tollerati quando non addirittura sostenuti dalle amministrazioni territoriali.

ADDIO COMPAGNO MANFEROCE | In quello che fu il glorioso partito socialista, Raffaele Manferoce, che oggi ci ha lasciato,...
10/10/2024

ADDIO COMPAGNO MANFEROCE | In quello che fu il glorioso partito socialista, Raffaele Manferoce, che oggi ci ha lasciato, farmacista di Cinquefrondi, e sindaco della sua comunità per più di dieci anni, figlio di Domenico pioniere socialista della Piana, fu sempre vicino alle posizioni di Giacomo Mancini.

Sempre al suo fianco nei momenti belli, ma anche nei tanti tornanti difficili. Quando andava in provincia di Reggio, la farmacia e a casa di Rafelino si trasformavano in una sorta di quartier generale.

La sua scomparsa provoca in noi molta tristezza. Ciao Rafelino che la terra ti sia lieve

21/09/2024
A DOMANI| «A noi interessa ricordare ed esaltare la memoria di questo operaio cosentino che seppe morire nella luce del ...
19/09/2024

A DOMANI| «A noi interessa ricordare ed esaltare la memoria di questo operaio cosentino che seppe morire nella luce del suo ideale, che oggi passa dal ruolo di vittima di un delitto efferato a simbolo, a guida, ad orgoglio della classe operaia cosentina».

Così Pietro Mancini, nelle pagine di La storia del Psi nella provincia di Cosenza, commemorava Paolo Cappello, assassinato dai fascisti il 21 settembre del 1924.

A cento anni dal suo assassinio la FGM ricorda la figura di Paolo Cappello con una iniziativa in programma domani -venerdì 20 settembre-con inizio alle ore 18 presso la sede nel centro storico di Cosenza.

Vi aspettiamo

IL MARTIRE SOCIALISTA | Cento anni fa, il 21 settembre 1924,  veniva ucciso a Cosenza Paolo Cappello, vittima della viol...
13/09/2024

IL MARTIRE SOCIALISTA | Cento anni fa, il 21 settembre 1924, veniva ucciso a Cosenza Paolo Cappello, vittima della violenza fascista – così e scritto in una nota diramata dalla Fondazione Giacomo Mancini.

Per ricordare la figura del militante socialista (nato a Pedace nel 1890 e formatosi nel quartiere Massa di Cosenza dove si guadagna da vivere facendo il muratore), per tratteggiarne l’impegno politico (membro del Comitato Direttivo della Sezione Socialista Cosentina, intitolata a Pasquale Rossi. «Non vi fu piccola lotta cosentina, economica o politica, che non lo rinvenne nella prima linea sempre pronto a sguainar l'anima dritta là dove la lotta per il pane e per l'Idea », ricorderà Pietro Mancini) e per rievocare il contesto storico (la marcia su Roma, l’inizio del regime fascista, l’omicidio di Giacomo Matteotti) di quei tragici fatti, la Fondazione Giacomo Mancini ha organizzato un evento venerdì prossimo 20 settembre 2024 alle ore 18 presso la propria sede nel centro storico di Cosenza.

Lo storico e giornalista Matteo Dalena e l'editrice Maria Pina Iannuzzi, accompagnati dal cantautore Daniele Moraca metteranno in scena il reading a due voci e tre atti "Quel garofano spezzato. Paolo Cappello, muratore antifascista (1890-1924)" tratto dall'omonimo libro di Dalena, edito da Le Pecore Nere.

Seguiranno le testimonianze e le analisi di Saverio Carlo Greco, già presidente del consiglio comunale di Cosenza, Massimiliano Ianni, segretario generale della Cgil di Cosenza, Enzo Paolini, presidente Fondazione Premio Sila e già presidente del consiglio comunale di Cosenza e Sandro Principe, già sindaco di Rende, parlamentare, sottosegretario di Stato, consigliere e assessore regionale.

L’appuntamento è per venerdì 20 settembre alle ore 18 presso la sede della FGM in via del Liceo 27 nel centro storico di Cosenza.

CIAO OTTAVIANO | E scomparso nella sua Collelongo in Abruzzo all’età di settantanove anni Ottaviano Del Turco.Socialista...
25/08/2024

CIAO OTTAVIANO | E scomparso nella sua Collelongo in Abruzzo all’età di settantanove anni Ottaviano Del Turco.

Socialista, prima impegnato nel sindacato fino a diventare segretario aggiunto della CGIL nel periodo in cui a guidarla fu Luciano Lama e poi in politica ultimo segretario del glorioso Psi e poi parlamentare, ministro, europarlamentare e infine presidente della sua regione.

A suo figlio Guido, ai suoi familiari e ai tanti che piangono il dirigente appassionato e combattivo giungano le più sentite condoglianze.

Ciao caro Ottaviano, che la terra ti sia lieve

SELFIE CON IL LEONE | Metti una serata di fine agosto. Una passeggiata per il corso di una città ancora vuota. Ed ecco d...
24/08/2024

SELFIE CON IL LEONE | Metti una serata di fine agosto. Una passeggiata per il corso di una città ancora vuota. Ed ecco dei ragazzi che raggiungono la statua, tirano fuori lo smart phone, si mettono in posa e via con il selfie con il Leone

CIAO LINO| Un grande giornalista, un acuto meridionalista, uno dei più cari amici di Giacomo Mancini. Un forte abbraccio...
08/08/2024

CIAO LINO| Un grande giornalista, un acuto meridionalista, uno dei più cari amici di Giacomo Mancini. Un forte abbraccio alla vedova, ai figli, ai nipote del nostro indimenticabile amico. Un abbraccio, carissimo Lino, che la terra ti sia lieve !

RITAGLI| Non mi importa niente dell'esito giudiziario. Sono superbo. Se sono per bene non me lo devono dire i giudici. S...
24/07/2024

RITAGLI| Non mi importa niente dell'esito giudiziario. Sono superbo. Se sono per bene non me lo devono dire i giudici. Sono solo dinanzi alla mia coscienza. Ma questo atto di superbia so che non mi consentirebbe di fare piú il sindaco. Ed io ho avuto il voto di questo popolo. Entro tra poco nel settantanovesimo anno di vita. Ho fatto tanti errori. Ma, mi cre-da, merito di trovare un giudice che mi dia ragione. E dica: lei è innocente, lei è un galantuomo».
Ha le mani profumate di basilico o
di qualche erba del genere il vecchio Mancini. Gli si spezza un po' la voce parlando dei figli, ma resiste. Sì, tieni duro, compagno Mancini.

AGRIGENTO 1966 | Il 19 luglio 1966 una gigantesca frana si abbatteva su gran parte del centro storico di Agrigento, una ...
18/07/2024

AGRIGENTO 1966 | Il 19 luglio 1966 una gigantesca frana si abbatteva su gran parte del centro storico di Agrigento, una zona di grande valore artistico e archeologico adiacente alla Valle dei Templi.

Il disastro, che mise per strada migliaia di famiglie e arrecò danni consistenti a numerose abitazioni, era stato senza dubbio annunciato, ma la classe politica del tempo non seppe e non volle trovare soluzioni adeguate.

In occasione del 58 anniversario di quei fatti siamo lieti di annunciare l’uscita nelle librerie del volume, che fa parte della Collana di studi e ricerche della Fondazione Giacomo Mancini, dal titolo “Agrigento 1966, la battaglia del ministro Giacomo Mancini per la tutela del territorio” di Katia Massara edito da Rubbettino.

L’autrice, che insegna Storia contemporanea e Storia dell'Italia repubblicana nel Dipartimento di Studi umanistici dell'Università della Calabria, attingendo anche alla documentazione conservata nell’archivio della Fondazione, racconta come contro la logica perversa, che mirava soltanto ad alimentare i profitti dei costruttori e a proteggere il consenso elettorale del partito di maggioranza, si schierò il ministro dei Lavori pubblici Giacomo Mancini.

E testimonia come l’azione svolta da Mancini a favore del varo di una riforma urbanistica, quantomai necessaria eppure fortemente ostacolata e infine irrealizzata, resta a testimonianza di una visione politica coraggiosa, innovativa e lungimirante.

Da domani il volume sarà in vendita in libreria.

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Via Liceo 27
Cosenza

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