22/10/2024
“Capri e l’arte dell’ospitalità attraverso i secoli”
“Capri e l’arte dell’ospitalità attraverso i secoli”, con la prefazione del prof. Alberto Lucarelli, è il titolo del nuovo libro del giornalista caprese Luciano Garofano, edito dalla Capri Green. La pregevole pubblicazione, tradotta anche in lingua inglese e riccamente illustrata con più di cento immagini in bianco e nero e a colori, riedizione di “Capri in Etichetta”, riveduta e aggiornata, racconta l’epopea dell’ospitalità tipica caprese attraverso i secoli, analizzandone l’evoluzione dalle origini fino ai giorni nostri, dall’arrivo dell’Imperatore Augusto all’overtourism che, ultima frontiera di un non più sostenibile turismo di massa, sta pericolosamente minando l’equilibrio del fragile ecosistema isolano. “Luciano Garofano” - scrive nella prefazione il prof. Lucarelli - “prima ancora di essere uno scrittore e giornalista, è un attento osservatore del ‘suo territorio’ e essere osservatore curioso a Capri significa avere un’anima cosmopolita sul mondo, a prescindere se si è viaggiato o meno. È il mondo che è sempre venuto a Capri, e l’Isola, pur stando apparentemente ferma, ha attraversato da protagonista le grandi fasi epocali di trasformazione dell’umanità… Un intellettuale innamorato della sua Isola, ma soprattutto innamorato della sua bellezza, della capacità di esprimere il bello che non è solo legato alla natura, all’ambiente, ma in grado di esprimere un significato molto più ampio, una essenza dolce e amara allo stesso tempo, capace di ferirti a morte. Siamo tutti feriti a morte! L’Autore di certo è ferito a morte e ne è melanconicamente consapevole, ma allo stesso tempo vuole assumere il ruolo dell’ultimo dei samurai, arroccato nella fortezza, dove, a differenza del Deserto dei Tartari, il nemico è stato avvistato e ha anche occupato i luoghi ed invaso le anime della bellezza…”. Un’invasione, fatta di grandi numeri e di grandi spostamenti, che finisce per bruciare i luoghi toccati, che distrugge le stesse ragioni d’essere del viaggio e mette in discussione le finalità di fare turismo sull’isola rischiando, seriamente e definitivamente, di azzerare anche i caratteri distintivi di quell’arte di ospitare, tipicamente caprese, così faticosamente costruita attraverso i secoli. Capri e l’arte di ospitare un binomio inscindibile dalla storia degli uomini che l’hanno esercitata, trasformando un’isola di pescatori e agricoltori in un’industria del turismo. Il libro, nella rivalutazione di quell’arte ormai dimenticata, vuole essere un omaggio a quei tanti capresi che, grazie alla loro laboriosità e imprenditorialità, dagli inizi dell’Ottocento a oggi, dall’impianto delle prime locande a gestione familiare ai grandi alberghi di lusso, hanno contribuito a fare di Capri una stazione turistica all’avanguardia e universalmente riconosciuta come meta dell’anima. Senza dimenticare i portieri d’albergo, i maître, i cuochi e i camerieri, le governanti e i facchini, i cocchieri e i barcaioli, le guide e i conduttori, che, con il loro lavoro di addetti al ricevimento ed al soggiorno dei forestieri, discreto e garbato, hanno segnato il mito di quel fare ospitalità. Ma Capri, a dispetto della sua fama, nell’antichità non dovette godere di una buona reputazione in quanto ad ospitalità. Una br**ta nomea che si porterà dietro sin quasi alla fine del XVIII secolo, quando iniziò a essere meglio conosciuta e apprezzata grazie ai resoconti dei viaggiatori dell’epoca, un’attività proseguita per tutto l’arco dell’Ottocento in forme e stili diversi, con un maggior ritorno d’immagine per l’isola. L’isola, infatti, quando nacque la consuetudine del viaggio d’istruzione in Europa, dalla metà alla fine del XVII secolo, rimase fuori dal circuito del Gran Tour, Scrittori e studiosi, soprattutto inglesi, ma anche tedeschi e francesi si spingevano raramente oltre Napoli ed altrettanto a Capri, per non sfidare l’insidia del mare e dei corsari. Una prima, timida, scoperta di Capri si ebbe solo verso la fine del Settecento grazie all’interesse archeologico per le sue rovine d’epoca romana, sulla scia di quello suscitato dagli scavi di Ercolano, prima e di Pompei, subito dopo. Un interesse che iniziava a proiettare l’isola sullo scenario del mondo, diradandosi quell’alone di mistero che la circondava dall’antichità e che, ora, contribuiva ad alimentarne il mito. Della vera e propria invenzione di Capri, quella che rappresenterà le fortune dei suoi abitanti, si potrà iniziare a parlare nell’Ottocento. Un’invenzione che nacque, senza ombra di dubbio, nel 1826, anno della riscoperta turistica di quella che, d’allora in poi, si sarebbe chiamata Grotta Azzurra, divenuta ben presto la principale attrattiva dell’isola. Una riscoperta che divenne un mito, amplificato da letterati e pittori, diffusosi a cerchi concentrici, con una velocità impressionante, in tutto il mondo sulle ali spiegate del Romanticismo. Una concomitanza che, in definitiva, segnò il destino di Capri e dei suoi abitanti, innescando quel processo virtuoso che non si è più arrestato fino ai giorni nostri. Intanto, con il nuovo secolo, erano cambiati anche i mezzi di trasporto e i modi di viaggiare, lungo altri itinerari e percorsi turistici. Nel contempo si metteva mano a una gran mole di lavori pubblici per migliorare la pulizia e lo stato delle strade come degli alloggi destinati ai viaggiatori. Era il 1839, un anno storico, quando fu inaugurato il primo tratto della ferrovia Napoli-Portici che rappresentò l’inizio dell’avventura italiana sulle rotaie. I viaggiatori forestieri giungevano, così, a frotte a Napoli dove sempre più sovente si imbarcavano alla volta di Capri. Prima che fosse istituita una vera e propria linea di collegamento giornaliera, tre barconi a remi collegavano l’isola con la terra ferma e scaricavano, due volte a settimana, derrate alimentari, la posta e qualche forestiero direttamente sulla spiaggia, portato a spalla dai pescatori. In seguito, fu costruita una rudimentale banchina che però non consentiva ai vapori di attraccare, tanto che dovevano fermarsi all’ancora in rada ed i passeggeri venivano trasbordati, con i loro bagagli, nelle barchette dei pescatori, con non poche difficoltà. I capresi, intanto, stavano iniziando a prendere coscienza, in maniera ancora troppo istintiva, quasi primitiva, della rivoluzione che stava investendo la loro isola. Da sempre umili pescatori e rozzi contadini, stavano iniziando, cioè, a guardare i forestieri con occhi più smaliziati, attenti più alla loro borsa che alla loro stravaganza. Poi, quando iniziarono ad arrivare, non solo più artisti squattrinati e strani personaggi ma, sempre più spesso, nobili e signori altolocati che si facevano costruire le prime sontuose ville, gli isolani cominciarono a realizzare del tutto che si stavano dischiudendo davanti a loro attività ben più lucrative che spezzarsi la schiena nei campi a coltivare la terra o sul mare a pescare, spesso per giorni lontani da casa. L’industria del forestiero stava muovendo, così, i suoi primi passi, lentamente, ma non ancora al passo con la fama che Capri, intanto, stava acquisendo vertiginosamente nel mondo. Il suo sviluppo, in questa prima fase, non si discostò di molto da quello di tante altre località turistiche del Mediterraneo che dovettero la loro fortuna al soggiorno invernale degli aristocratici stranieri che iniziavano a scoprire le coste italiane alla ricerca di un miglior stato di salute in considerazione dei benefici che si credeva apportassero all’organismo umano l’acqua fredda e l’aria di mare. Per questo motivo Capri non si era ancora affermata come stazione balneare estiva. La ‘stagione buona’ era quella dei mesi freddi. L’isola si propose così, all’inizio della sua storia turistica, per un turismo essenzialmente invernale d’élite, legato alla salubrità del clima, che assurse anche a rimedio terapeutico per curare malattie reumatiche e polmonari. Si era al cospetto una forma di turismo esclusivo che si caratterizzava per lunghi soggiorni e per la richiesta di strutture confortevoli e di prestigio, oltre a servizi essenziali in piena efficienza, come l’acqua potabile e le fognature. È indubbio che questa prima forma di turismo invernale significò una svolta importante anche nell’ambito degli investimenti e dello sviluppo socioeconomico dell’isola. Ed è proprio per rivolgersi a questa prima categoria di clienti, rappresentata da aristocratici forestieri in cerca di mare freddo, che gli alberghi più importanti furono edificati, intorno ai primi anni del 1880, alla Marina Grande non solo perché luogo di approdo ma soprattutto perché esposta a Nord, meno soleggiata e fresca d’inverno. Alla fine del secolo si conteranno una ventina, tra grandi alberghi, con tutti i confort, dell’epoca, per una clientela sempre più esigente e piccole locande, la maggior parte a gestione familiare. Gli alberghi non bastavano certo da soli a soddisfare le esigenze degli ospiti: bisognava dotarsi di nuove infrastrutture per accoglierli nel migliore dei modi. Sono del 1899 tre importanti progetti che saranno realizzati di lì a più tardi: la costruzione della Funicolare per il collegamento dalla Marina al Paese, quella della centrale elettrica per fornire l’illuminazione sia pubblica che privata e l’approvvigionamento di acqua potabile dalla terraferma tramite bettoline per sopperire alla sempre più crescente richiesta.
Indiscutibilmente l’accelerazione impressa al processo di mutamento dell’economia isolana, da agricola e marinara a industriale, passò attraverso questi tre fondamentali progetti, senza la realizzazione dei quali Capri non sarebbe diventata stazione turistica. Certo c’era ancora molto da fare, come la trasformazione in porto dello sbarcatoio alla marina, con la conseguente istituzione di più idonee e stabili linee di collegamento marittimo con Napoli, l’allargamento delle strade di congiungimento tra i maggiori nuclei abitativi dell’isola ed il miglioramento delle condizioni igieniche e strutturali e sociali del paese. A beneficio della colonia di stranieri che risiedeva stabilmente sull’isola, iniziarono a sorgere, accanto agli alberghi, anche numerose ville, dal gusto tipicamente borghese e dall’architettura continentale, ancora oggi testimoni di quell’epoca d’oro. Capri, per dirla con Edwin Cerio, era diventata la ‘legione straniera del mondo’, dove approdavano ‘poeti, artisti ed anime vaganti’. “L’Autore guarda indietro” - scrive Lucarelli - “e soprattutto guarda a quella Capri, che tra la fine dell’Ottocento fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, è la massima espressione della cultura europea. Un’Isola che virtualmente sta a pieno titolo nel perimetro mitteleuropeo (Monaco-Vienna-Praga), orientato alla crescita spirituale della personalità, dove anche il processo di sviluppo economico, scevro da volgare incultura, ne è funzionale. Fino a quel momento, come ben tratteggiato dall’Autore, Capri è il luogo del cd. cosmopolitismo, della Cultura da contrapporre alla civilizzazione internazionale dei mercanti”.
Una colonia piuttosto variegata, composta non solo da artisti e intellettuali e quanti potevano permettersi di vivere senza lavorare ma anche da una non trascurabile rappresentanza di stravaganti e spregiudicati dandies, uomini eleganti e donne fatali dalla ambigua sessualità, d’ogni genere e provenienza, in fuga dai loro paesi d’origine in ragione dei loro comportamenti trasgressivi, che aveva trovato rifugio discreto e sicuro sull’isola per via dell’aria di libertinaggio che sembrava si respirasse, alimentata proprio dal mito delle follie tiberiane. Ai capresi, certo, non importava quali inclinazioni sessuali avessero o eccentriche perversioni praticassero quei forestieri, chiudevano un occhio anzi tutti e due, purché fossero munifici e pagassero i conti. In fondo, ieri come oggi, Capri ha sempre mantenuto, in contrasto con una certa forma di bigottismo imperante e perbenismo di facciata ma, forse, solo in apparenza, un’indiscutibile tolleranza, un misto di discrezione e benevolenza, nei confronti dei propri particolari ospiti. Neanche sotto il Fascismo un vero e proprio repulisti fu mai fatto e, anche se ci fu un giro di vite, Capri continuò ad essere una sorta di enclave, dove venivano tollerate le eccentricità e le stravaganze degli stranieri, proprio perché rientrava eccezionalmente, più che ogni altro posto, nell’ottica della sacra ospitalità caprese. Una lunga e significativa stagione che durò fino agli anni Trenta del XX secolo, quando il numero dei visitatori, soprattutto giornalieri, iniziò ad essere così ingente ed i mezzi di comunicazione sempre più rapidi e diversificati che l’isola, fino ad allora abituata ad una forma di turismo elitaria, mostrò i primi segni di un’evidente standardizzazione che si ripercuoterà anche nell’industria alberghiera che comincerà ad adattarsi alla nuova clientela, anticipando l’evoluzione dei decenni successivi. Dal dopoguerra, in pieno boom economico, l’arrivo, oramai consolidato ai giorni nostri, di gruppi sempre più organizzati, ha messo a dura prova il mito dell’ospitalità tipica caprese, discreta e garbata, finendo per assorbire in molti casi, suo malgrado, le mutate esigenze di un modo di vivere l’isola sempre più variegato, che non sarà mai più quello, romantico e trasognato, della ‘belle epoque’. Nel rafforzare l’excursus sull’epopea dell’ospitalità caprese attraverso i secoli, l’autore ha inserito, corredandola di bellissime immagini, la singolare e affascinante storia delle etichette da valigia, che finisce per identificarsi con quella dei bagagli su cui erano attaccate e dei loro proprietari che li portavano in giro per il mondo. I forestieri, approdati alla marina, a cavallo tra fine Ottocento e inizi Novecento, con gli ingombranti bagagli al seguito da trasferire in albergo, dovevano per forza affidarsi a qualcuno del posto per arrivarci, non essendoci ancora idonei mezzi di collegamento. Bagagli che, nella filiera di trasferimento dal porto al paese, per i facchini ma soprattutto per i portieri d’albergo che vi vivevano più a stretto contatto, valevano molto di più dell’abbigliamento, delle maniere e delle facce dei loro proprietari. Bastava uno sguardo d’insieme alla costellazione di etichette presenti su di esse per inquadrare il cliente e farsi un’idea di come ci si sarebbe dovuti regolare… Facendone un’arte. Del resto, come oggi ci si comporta in base al dispiegamento delle carte di credito sul bancone dell’accettazione. Una storia che, quindi, parte dall’arrivo dei forestieri sullo sbarcatoio di Marina Grande, che poi sarà molo e dopo, ancora, diventerà porto, per arrivare fin dentro la reception degli alberghi, dove veniva consumato il rito dell’incollaggio di quelle colorate e raffinate piccole gioie di carta sui bagagli. Un gesto, non solo di cortesia verso il cliente, nel segno della migliore ospitalità tipica caprese, ma anche di un’incredibile promozione turistica per diffondere l’immagine degli alberghi al di fuori dell’isola. In conclusione, come ben analizza l’autore, le vicende dell’evoluzione turistica di Capri si identificano in quelle dei viaggiatori, con i loro bagagli al seguito, che ne hanno dettato i tempi e gli aspetti meglio confacenti al clima culturale di appartenenza. Da quelle archeologiche, naturalistiche e neoclassiche del Settecento a quelle romantiche e decadenti dell’Ottocento, da quelle libertine e poi futuriste di inizio Novecento, a quelle austere e patinate del Ventennio Fascista, fino a quelle eccentriche e stravaganti degli anni Cinquanta e Sessanta. Poi il sopravvenire dell’era dei jet andò a modificare pesantemente la dinamica del viaggio e anche il design del bagaglio, a tutto discapito delle linee marittime e terrestri, come risultato di notevole risparmio di tempo e di praticità, eliminando l’esigenza di portarsi dietro quelle grandi valigie che, man mano diventeranno anonimi trolley, spesso griffati… ma che resteranno testimoni nostalgici di un’epoca in fondo non troppo lontana dalla nostra ma profondamente diversa, fatta di gesti di cortesia e senso dell’ospitalità ormai perduto. “Capri e l’arte dell’ospitalità attraverso i secoli” è un libro senz’altro da leggere, da cui “[…] emerge chiaro un grido d’allarme” – conclude Lucarelli – “ma mai di sconfitta: il paesaggio è cultura, è valore, è senso della tradizione è capacità di formare e trasmettere, di tutelare, di curare, di apprezzare, di contemplare. Tutta questa bellezza si sta dissolvendo […] Da una parte la nota malinconica, la percezione di una sconfitta, ma dall’altra la resistenza che si concretizza nella capacità ancora con gli occhi di cogliere il bello. Ma nonostante tutto, Capri sta lì, fiera, come se ci volesse rassicurare in questo viaggio nel tempo, anche questo passerà”.
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“Capri and the art of hospitality across the centuries”
“Capri and the art of hospitality across the centuries”, with a preface by prof. Alberto Lucarelli, is the title of the new book by Caprese journalist Luciano Garofano, published by Capri Green. The excellent publication, translated into English as well, and richly illustrated with more than one hundred black and white and colour pictures, a re-edition of “Capri in Etichetta”, revised and updated, narrates the history of typical Caprese hospitality across the centuries, analysing its evolution from the origins up to present day, from the arrival of Emperor Augustus to the overtourism, the last frontier of an unstainable mass tourism that is dangerously harming the balance of the delicate ecosystem of the island.
“Luciano Garofano – writes prof. Lucarelli in his preface - before being a writer and journalist, is a keen observer of “his territory”, and being a curious observer in Capri means having a cosmopolitan soul on the world, regardless of whether you travelled or not. And it is the world that has always come to Capri, and the Island, only apparently still, has lived as a protagonist the great historic phases of humankind’s transformation…An intellectual in love with Island, and above with its beauty, its ability to convey a beauty that is not merely connected to nature and the environment, but that can express a much broader meaning, bittersweet essence that can fatally wound you. We are all fatally wounded! The Author surely is, and he is melancholically aware of that, yet at the same time he wants to take on the role of the last samurai, perched in the stronghold, where, unlike the Tartar Steppe, the enemy has been spotted and it has even overtaken the places and invaded the souls of beauty…”. An invasion made of large numbers and large displacements, which ends up burning the places and destroying the reason itself of travelling, and questions the purpose of tourism on the island, with the serious and definitive risk of erasing the characteristic traits of the typical Caprese art of hospitality, painstakingly built across the centuries. Capri and the art of hospitality: a binomial inseparable from History, its events and the men who practiced through the centuries, turning an island of fishermen and farmers into a tourism industry. The book, in re-evaluating that long-lost art, wants to be an homage to the many Caprese who, thanks to their enterprise and hard work, from the nineteenth century to our day, with the establishment of the first family-run inns and luxury hotels, have contributed to transform the island into a state-of-the art tourist destination, universally recognized as a destination of the soul. Without forgetting the hotel porters, the maîtres, the cooks and waiters, maids, porters, coachmen, boatmen, guide and conductors who, with their discreet and quiet work as operators for the foreigners’ welcome and sojourn, created the myth of the traditional Caprese hospitality. However, Capri, despite its fame, did not enjoy in ancient times of a good reputation as far as hospitality was concerned. A bad name that would be carried over almost until the end of the eighteenth century, when the island began to be better known and appreciated thanks to the reports, real of fictional, by the travellers of the time, an activity which would continue for the whole nineteenth century under different forms and styles, with an increased return of image for the island. As a matter of fact, at the end of the seventeenth century, the island, in a time when it was customary to undertake an educational journey through Europe, was cut off from the Grand Tour circuit. Travellers who were mostly writers and scholars, especially British, and even German of French, and they rarely travelled past Naples and towards Capri, not to challenge the dangers posed by the sea and the pirates. A first, faint discovery of Capri took place at the end of the eighteenth century thanks to the archaeological interest aroused by its Roman age ruins, in the wake of the interest aroused by the ruins of Pompeii and Herculaneum. An interest that started to launch the island into the world stage, scattering that aura of mystery that had surrounded it since ancient times and that, now, would contribute to fuel its myth. We can only start talking about the true invention of Capri, which will represent the islanders’ fortune, in the nineteenth century. An invention conceived, without any doubt, in 1826, the year of the touristic rediscovery of what would be called from that point on the Grotta Azzurra, which soon became the island’s main attraction. A rediscovery that became a Myth, amplified by writes and painters, spread with an impressive speed in the whole world, soaring on the wings of Romanticism. An event that ultimately marked the fate of Capri and its inhabitants, starting that virtuous process that hasn’t stopped yet. Meanwhile, with the new century, the means of transportation and the ways of travelling changed, alongside new itineraries and tourist paths. a great deal of public works was started to improve the cleanness and conditions of the roads, and the lodgings destined to travellers. It was 1839, a landmark year, when the first stretch of the Naples-Portici railway was inaugurated, which represented the beginning of the Italian adventure on rails. Thus, foreign travellers arrived in large numbers in Naples, where they often embarked for Capri. Before a proper daily connection was established, three rowing boats connected the island to the mainland and unloaded, twice a week, commodities, mail and some foreigners directly on the beach, carried on the fishermen’s shoulders. Later, a rudimental pier was built, which however did not allow steamboats to dock, so they had to anchor in midstream and passengers were escorted, with their luggage, in the fishing boats, with many difficulties. The Caprese people, meanwhile, were starting to realize, still in an instincite way, the revolution their island was undergoing. From time immemorial humble fishermen and rough farmers, were now starting to look at the foreigner with more cunning eyes, focusing more on their purses than their extravagance. Then, when penniless artist and strange characters were joined, more and more often, by nobles and aristocratic lords who had the first luxurious villas built, the islanders completely opened their eyes. They started to realize they were standing in front of more lucrative activities compared to breaking their backs in the field, or spending days far from home, fishing. The foreigner industry was then moving its first, slow steps, not keeping up the pace with the fame that Capri, in the meanwhile, was rapidly gaining around the world. its development was not unlike many other tourist destinations in the Mediterranean Sea, which owed their success to winter stays for English aristocrats, followed by German and other nationalities, who were starting to discover the Italian coasts, looking for a better state of health, considering the benefits that cold water and sea breeze were believed to bring to the human body. For this reason, Capri still hadn’t established itself as a summer seaside resort. The ‘good season’ comprised the cold months. So, at the beginning of its tourist history, the island was proposed for an elite winter tourism, tied to the healthy climate that was even advertised as a therapeutic remedy against lung and rheumatic diseases. Capri offered a form of exclusive tourism characterized by long sojourns and by the request for comfortable and prestigious facilities, in addition to fully efficient essential services, such as drinking water and draining systems. It goes without doubt that this first form of winter tourism marked an important breakthrough concerning investments and the socioeconomic development of the island. And it was precisely to address this first category of customers, foreigner aristocrats looking for a cold sea, that the most important hotels were built, in the 1880s, in Marina Grande, since it was a landing place, and especially because it faces North, making it less sunny, and cool, in winter. At the end of the century, we can count about twenty facilities between great hotels, provided with all the comfort of the time, for an increasingly demanding clientele, and small inns, mostly family-run. Hotels were not enough to satisfy the guests’ needs: it was imperative to provide new facilities to welcome them in the best way. Dated 1899 are three important projects that would be carried out at a later time: the construction of the funicular railway to connect the Marina with the Town, the construction of the electric power plant to provide illumination, both public and private, and the drinking water supply from the mainland via canteens, to fulfil the increasing demand.
Unquestionably, the acceleration given to the transformation of the island’s economy, from agriculture and maritime to industrial, went through these three fundamental projects, without them Capri would have never become a tourism destination. Sure, there was still plenty to do, for example turning the harbour into the Marina landing-stage, with the consequent establishment of stabler and more suitable lines of marine connection with Naples, the widening of the road connecting the main settlements of the island and the improvement of the hygienic, structural and social conditions of the town. To the benefit of the colony of foreigners who resided permanently on the island, close to the hotels several villas began to be erected, in a typically bourgeois taste and continental architecture, which remain to this day as witnesses of that golden age. Capri, quoting Edwin Cerio, had become the ‘world’s foreign legion’, landing place for ‘poets, artist and wandering souls’. “The Author looks back - writes Lucarelli – especially at that Capri, which between the end of the nineteenth century and the outbreak of WWI, represented the ultimate expression of European culture. An Island that can potentially be considered part of the Mitteleuropean (Monaco – Vienna – Prague), prone to the spiritual growth of personality, where even the economic development process, free from vulgar ignorance, is functional to it. Until then, as the Author outlines well, Capri is the place of the so-called cosmopolitanism, the Culture as a contraposition to the international civilizations of merchants”. A rather multi-coloured colony, formed not only by artists and intellectuals, and all those who could afford to live without working, but also by a non-negligible representation of extravagant and unprejudiced dandies, elegant men and femmes fatales of ambiguous sexuality, of every kind and origin, fleeing from their countries of origin because of their transgressive behaviour, who found a discreet and safe refuge on the island, thanks to the libertine atmosphere that had been fuelled by the myth of Tiberius’s follies. The Caprese people, of course, did not care about the sexual inclination or the eccentric perversions of those foreigners, they turned a blind eye, or perhaps two, as long as they were munificent and paid their bills. After all, yesterday as today, Capri has always maintained, in contrast to a certain form of reigning bigotry and respectability on the façade, perhaps only in appearance, an unquestionable tolerance, a mix of discretion and benevolence, towards its peculiar guests. A clean-up never took place, not even during fascism, and even though pressure was made, Capri continued being a sort of enclave, where the foreigners’ eccentricity and lavishness was tolerated, as it fit exceptionally, more than any other place, in the perspective of the sacred Caprese hospitality. A long, important season that lasted until the 1930s, when the numbers of visitors, especially the daily ones, became so large, and the means of communication became much faster and diverse, that the island, until then used to a form of elite tourism, began showing the first signs of an evident standardization that would have consequences on the hotel industry as well, which would have to adapt to a new clientele, hastening the evolution of the following decades. In the post-war period, in the middle of the economic boom, the arrival, consolidated nowadays, of more organized groups, put a strain on the typical Caprese hospitality, discreet and polite, which ended up absorbing in many cases, unfortunately, the new needs of a variegated and peculiar way of living the island, which will be the romantic and dreamy life of the ‘belle epoque’. To enrich the excursus on the history of the Caprese hospitality across the centuries, the author has added, accompanied by beautiful pictures, the unique and charming history of luggage tags, which ends up identifying with the history of the luggage they were glued on and their owners, who carried them around the world. The foreigners who landed at the marina, between late nineteenth century and early twentieth century, with their heavy luggage in tow, were forced to entrust someone local to reach their hotel, as there were no proper means of transportations. For concierges and, above, all the porters and bellhops who worked in close contact with it, this luggage said more than clothing, attitude and faces of their owners. All it took was a quick glance at the constellation of tags pasted on the luggage to understand the tourist and get an idea of how to approach them… Making an art out of it. Besides, this is the same way we behave today, according to the way credit cards are spread out on the reception desk. A story beginning with the arrival of foreigners on the landing-stage in Marina Grande, which would later become a pier and eventually a port, all the way inside the hotel receptions, where they performed the rite of glueing those colourful and refined paper delights on the luggage. Not simply a gesture of courtesy towards the client, in the name of the best typical Caprese hospitality, yet also an incredible tourist advertising to spread the image of the hotels beyond the island. In conclusion, as the author perfectly analyses, the adventure of the tourist evolution of Capri identifies with the travellers’ adventure and their luggage, which dictate the timing and the aspects best suited to their cultural climate. From the archaeological, naturalist and neoclassical features of the eighteenth century, to the romanticism and decadence of the eighteenth century, the futurism of early twentieth century, the austerity and glossiness ones of the Fascist period, and the eccentricity and extravagance of the 1950/60s. Then, the age of the jet heavily modified travel dynamics and even luggage design, at the expense of the maritime and terrestrial lines, as result of a considerable saving of time and convenience, eliminating the need to carry around those large suitcases that would gradually become anonymous, often branded, trolleys… which would remain nostalgic witnesses of an age not so far away from ours, yet completely different made of acts of courtesy, the sense of hospitality long forgotten. “Capri and the art of hospitality across the centuries” is a must-read, from which “[…] comes out a clear cry of warning – concludes Lucarelli - never of defeat: the landscape is culture, value, sense of tradition, the capacity to develop and convey, protect, nurse, appreciate, contemplate. All this beauty is falling apart […] On one side the melancholic note, the perception of a defeat, yet on the other the resistance manifesting in the ability to still catch beauty with our eyes. Yet despite this, Capri still stands, fierce, as to reassure us in this journey through time, that this too shall pass”.