11/10/2024
COME SI DICE
Matteo Salvatti
Consiglio preliminare: leggere questo editoriale con accanto qualcuno della generazione “Z”, sì, insomma, qualcuno che è stato annunciato al mondo grazie a un “gender reveal party” tanto di moda negli ultimi anni.
Non vorrei partire dal “dissing” perché non è il massimo dell’educazione iniziare un pezzo diffamando pubblicamente qualcuno, anche perché poi inizierebbero a interrogarsi i vari membri della redazione, come gli apostoli, nel prossimo “briefing” o nel prossimo “brainstorming” se siano forse loro i destinatari e penserebbero di essere vittime di “mobbing” o di “bossing”. Quindi meglio scrivere così, con riflessioni “random”, secondo il mio “mood”, sperando di non sbagliare troppo: Giovanni Paolo II asseriva «Se mi sbaglio, mi corigerete» oggi dovrebbe, con umiltà (humble yourself) dire: «Grazie per il rework!», o almeno credo, dato che non sono il suo spin doctor.
So che posso sembrare ubriaco a scrivere queste righe, o meglio, in stato di “hangover” dato che è mattina e avrei bisogno di un po’ di “detox”, tuttavia pare proprio che non riusciamo più a esprimerci in italiano senza inserire ogni due parole un inglesismo, anche laddove i termini ci sarebbero senza alcuna difficoltà. Come vedete fino ad ora, per non sembrare un “millenial” che scrive da “baby boomer” ho mantenuto un silenzio di sopravvivenza, anzi un “silence survivor” come appunto si dovrebbe dire per stare al passo coi tempi, anzi, secondo la “cultural hegemony” ed evitare una “glass ceiling” in poche parole di esser tagliato fuori, ma oggi mi sentivo “pumped” e ho preso coraggio.
E non voglio nemmeno iniziare con i “pc”, perché sarebbe troppo facile partire con i “troll” che ti “taggano” con il proposito di fare dei clickbait ma in realtà ti stanno “spammando” per inviare “link” dove mettere “like” ai “selfie” di una “influencer” “droppati” pieni di “hastag” per aumentare le visualizzazioni delle “story” e, si spera, i follower, dunque evitiamo, è “too much” il mondo dei computer, e passiamo ad altro, magari al modo di vestirsi che è diventato outfit, e quindi, di conseguenza, le persone che si pavoneggiano, si “flexano per il loro drip” (detto ovviamente senza alcun intento di body shaming) o che dire delle chiamate diventate call o alla diretta diventata streaming o live a seconda dei contesti? Non ci sono più, poi, persone socievoli o al contrario esagerate nel drammatizzare tutto, ma no, ormai si è “social butterfly” o “drama queen”, e in due parole si è detto tutto senza troppe perifrasi, “cut the chase”. Ad ogni modo questo stile non mi appartiene, non è “my cup of tea”, anche se questo articolo mi è riuscito abbastanza “piece of cake” e qui la smetto con le espressioni culinarie. Ma siccome oltre alla cucina la mia grande passione è la medicina (ma vale per ogni ambito questa tendenza), non posso che scontrarmi con il tubicino per tenere l’arteria aperta, con lo stent, con i pacemaker, i bite, i blister, gli swich, i softpicks, con i bypass, i range, le nursery (fino agli hospice), e i vari check-up (prima) e i vari follow up (dopo), i test, gli screening, i trial, i day hospital, sempre che al desk del triage ti dicano che la situazione non è grave così da poter tornare a essere curato a casa, “home care” dopo la dimissione, anzi il “discharge” da un “caregiver” con pain management per alleviare il dolore (ma senza esagerare, se no si verifica l’addiction o magari l’overdose) e ritirare i referti online tramite login, mettendo la password, e se hai problemi comunque puoi contattare il customer care che controlla il database dopo avergli fornito il nick: ecco, tutto questo un po’ in effetti mi manda in burnout (ho bisogno di un po’ di mindfulness). Ah, quando la medicina derivava dal greco e latino e le pastiglie si assumevano per “os”, bocca.
Non dimentichiamo poi il Coronavirus, che, poraccio, si sentiva in debito di esterofilia e subito s’è messo d’impegno per incoronarci di inglesismi, dato il momento delicato con l’welfare, bisognava acculturarsi, ed è stato tutto un: “Covid, Green Pass, no vax, lockdown, smart working, dad (che significa didattica a distanza, ma siccome l’acronimo suona come una parola inglese, “papà”, allora piace un sacco) e persino nella ristorazione sono spuntati, dato che non si poteva andare in pizzeria, il “delivery” e “take away” (perché “a domicilio” e “asporto” era troppo provinciale, o troppo comprensibile, evidentemente). E io che dopo “fast food” non immaginavo nemmeno che il suo opposto, offeso, facesse capolino per non sentirsi da meno, lo “slow food”? Ora è tutto un brunch, un lunch, un breakfast, un amuse-bouche dello chef insieme ad altri snack e ad altri finger food al buffet di un happy hour portati da un catering di una dark kitchen o realizzati al momento durante uno showcooking che qualcuno, dato che è un all you can eat, preferisce come alternativa al food truck (ma sempre accompagnati da cocktail, soft drink e shottini, ma volendo anche di stampo analcolico, come i frappè, ah no che ormai sono superati, anche le parole importate invecchiano, ora sono milkshake ) e terminando con il dessert a base di brownie, waffels, churros, tarte tatin, scone, muffin, pancake, cupcake, plumcake, cheesecake, donut, crumble che ormai hanno in buona parte soppiantato i profiteroles, le sacher, la saint honoré, le pavlova. Che altro aggiungere: enjoy your meal!
Per non parlare poi dello sport, dove è tutto un time out, un match, un set, un corner, un assist, un dribbling, uno stopper, uno striker, un cross, un fotofinish e, ovviamente, tutto gestito da un coach, da un mister, perché allenatore fa tanto partita di oratorio nelle canzoni di Celentano, dove i ragazzi che insistevano nel corteggiare erano dei persecutori, oggi stalker, e chi voleva conquistare sparandole grosse e soffocandoti di salamelecchi faceva l’esagerato e bisognava stare alla larga, oggi love bombing.
Certo, per chi ha un background tale da aver studiato che il plurale di “digli” è “dì loro” (in tempi in cui non esisteva l’active recalling) è difficile (non è proprio una mia skill) essere “cool” in una società dove ci si esprime più a codici, a slang, rispetto a pensieri strutturati, è qualcosa che non mi appartiene questo pensare “out of the box”, ho proprio un'altra forma mentis, scusate, volevo dire “mindset” anche se per qualcuno è un vero e proprio toxic trait. Ma si sa, la società dei “social” si trova bene, è in una comfort zone laddove si impone che gli “scroll” avvengano in pochi secondi, e in quegli attimi bisogna comunicare il più possibile. O mio Dio, “OMG”, oh my god, e subito si è capito lo stupore, o meglio, qualcosa di “cringe”.
E se “bro”, diminutivo di fratello, è ormai un modo indiscusso e indiscutibile per chiamare un amico, l’avvento della stepmum è un fenomeno più sociologico che di costume: in un mondo di separati e divorziati risposati, matrigna sapeva proprio di megera, vocabolo che, in quanto sintetizza magnificamente una personalità non è conosciuto: stiamo certi che se fosse stato inglese l’avremmo già adottato, come una perfetta stepmum, appunto.
Ho un po’ di Fomo (che sta per fear of missing out), ossia ho paura di perdere questa fetta di pubblico e so già che i giovani si saranno innervositi, “salty”; e avranno “skippato” e quasi nessuno sarà giunto fino a qui, anche perché, in caso contrario, al termine di questo articolo per me in realtà abbastanza “stonks”, molti tra questi, pensando che li ho “triggerati” (in realtà era per fare due parole, azi per fare “chin wag” tra “mate”) mi “ghosteranno” o addirittura mi “blastaranno” perché riterranno di non avere niente a che spartire con un “out of touch”. Pazienza. Anzi, “chill”, mi spiace in caso per questo mismatch. D’altronde, questo è quanto constato dal mio punto di vista, cioè dal mio POV. Se invece qualcuno avesse qualcosa da (ri)dire in proposito, attendo un riscontro, anzi, scusate, “sorry”, intendevo dire un “feedback”. Anche se temo di non aver scritto nient’altro di un normalissimo fraseggiare odierno. E alla fine dovrò adeguarmi io: what you resist, persist. Nessuna “fake”, “no cap” per essere ancora più moderni, quindi, soltanto la constatazione che, di questo passo, tra cento anni l'italiano sarà sparito, cancel culture. Credetemi, questa è la mia deadline. Quindi, Stay tuned. Scrivetelo sul calendario, anzi, save the date. È uno “spoiler”. Ho finito. “Game over”.