04/01/2024
9 anni senza Pino Daniele.
A darla, la notizia, fu l'amico e collega Eros Ramazzotti, nella notte tra il 4 e il 5 gennaio: Pino Daniele, che solo qualche giorno prima (il 31 dicembre) si era esibito a Courmayeur per quella che sarebbe restata negli annali come la sua ultima apparizione pubblica era morto, sconfitto dai problemi cardiaci che lo affliggevano da tempo.
E non si può non partire dalla sera del 6 gennaio del 2015, quando a Napoli, in Piazza Plebiscito, decine di migliaia di persone hanno mostrato quanto la comunità costruita intorno alle canzoni di Pino Daniele fosse, nonostante il dolore, forte ed emozionata.
Da quella sera partono Giorgio Verdelli e Antonio Tricomi che nel loro "A noi ci piaceva il blues" utilizzano quel coro spontaneo che intona "Napul’è" come momento iniziale di un viaggio che va indietro negli anni ’70, la Napoli capitale internazionale della musica, una generazione che nel mezzo degli anni di piombo scelse il vinile e la chitarra.
Parole che si sovrappongono alle immagini dei vicoli del centro storico di Napoli, del concerto dei 200.000 in Piazza Plebiscito nel 1981, alle collaborazioni con Massimo Troisi.
Parole e musica sempre ispirate e sempre messe in cerca di quella Libertà che Pino Daniele non ha mai smesso di inseguire. La parola chiave del suo credo personale.
Libero anche di professarsi "Nero a metà", di rompere schemi, di provocare, di denunciare. Anche per questo, sin dai suoi esordi, Pino Daniele è immediatamente diventato un’icona.
Il bluesman napoletano ha lasciato in eredità alcune delle pagine più belle della musica più recente.
Un grande chitarrista, un amante del blues, un uomo che è riuscito a rinnovare l'uso del dialetto nelle canzoni.
Nel corso della sua carriera Pino, oltre ad arricchire il suo stile, è passato dall'uso del dialetto e del suo modo di scrivere canzoni a qualcosa che guardava anche all'estero, quello di unire la lingua inglese e la world music, con quella napoletana.
Unire il blues con la tradizione e sperimentare un nuovo linguaggio.
Il blues Pino l'ha studiato fino in fondo, l'ha assorbito e ne ha fatto evolvere le possibili variazioni, molto difficili da suonare e non a caso i suoi musicisti sono stati sempre quasi tutti jazzisti, preziosisimi che rimandano a tutt'altro tipo di musicista rispetto a quello rock.
Eric Clapton, che raramente concede complimenti, ha detto di lui: "Vorrei riuscire a suonare certi fraseggi della chitarra proprio come Pino Daniele".
La sua capacità e la grande tecnica alla chitarra elettrica lo vedranno esibirsi in numerosi tour con lo stesso Eric Clapton, Randy California, Phil Manzanera, Joe Bonamassa, Robby Krieger, Pat Metheny e tante altre infinite collaborazioni.
Pino Daniele era uno dei tanti Ori di Napoli e la sua morte ha colto tutti impreparati.
Quando muore il 4 gennaio 2015 per un infarto, a quasi 60 anni, la città di Napoli è in lutto, con bandiere a mezz'asta.
Saranno in tantissimi a ricordarlo con messaggi d'affetto.
Un coro unanime a piangere l'artista.
Pino Daniele:
"L’idea del nido non mi piace. Come dicono gli arabi la mia casa non finisce mai. Forse perché ho sempre avuto il bisogno di trovarla dentro di me la casa. Chi è cresciuto alla scuola del blues rimane sempre uno zingaro; prepari la borsa, ci metti dentro quattro camicie, che poi fai lavare negli alberghi, e parti. I punti fermi sono altri, la famiglia, i figli.
Ho avuto molti problemi nella vita, nato con una malformazione a entrambi gli occhi, campo visivo limitato; tra i trentacinque e i trentasei anni ho subìto interventi al cuore, ma riesco a convivere benone con le limitazioni fisiche.
I miei cinque figli meravigliosi e la musica mi ripagano di tutto.
La canzone mi è sempre andata stretta, ecco perché mi rifugio nel jazz".
Articolo: Carmine Saviano/Carlo Massarini
Fonte: "Ritratti" - Rai Radio 2/"I Magnifici Destini" - Radio 24/La Repubblica/"Ghiaccio Bollente" - Rai 5/Il Mattino