23/02/2025
Sono al tavolo di un bar a bere un caffè.
E’ una giornata freddissima qui da me, ma di sopra c’è un cielo così azzurro che ti vien voglia di nuotarci dentro. Vibra il telefono appoggiato sul tavolino. Odio ogni forma di suoneria, per legittima difesa. La vibrazione del mio cellulare assomiglia alla deflagrazione di una bo mba ato mica e fa un casino che non si spiega. La ragazza di fianco a me che sembra leggere da un libro molto interessante, se ne accorge e si gira a guardare incuriosita. Le faccio un gesto di scuse con la mano e dal display leggo: Mamma.
Mi metto a ridere, perché quando chiama mia madre, le opzioni sono queste:
1. Silenzio assoluto dall’altra parte. Inutile dire “Pronto, pronto, pronto. Non risponde nessuno. Attacca.
2. Pochi secondi di conversazione, e poi, chiamata in attesa. Ovviamente mia madre non sa come si metta una chiamata in attesa, tantomeno come se ne esca, dunque dopo venti, trenta secondi al massimo, attacca.
3. Amore mi senti? Si Amore, ti sento. Andrea mi senti? Sì mamma ti sento bene, dimmi. Perché non si sente mai niente da questo telefono? No mamma, io ti sento benissimo. Ma che c***o questo telefono non vale niente io ve lo dico sempre. Mamma prova a spostar…Ha già attaccato.
4. Rumori indecifrabili di fondo. Cani che abbaiano. Persone che parlano. Macchine che passano. La conversazione tuttavia comincia: Andrea, tutto bene? Si Amore, tutto bene. Ok, ti chiamo dopo. Attacca.
Nel computo delle opzioni non rientrano tutte le volte in cui il display non le si accende perché attiva la modalità “non disturbare”, la lingua della tastiera le passa da italiano a giapponese, la suoneria le si abbassa fino a diventare un sussurro, la rete dati le si interrompe perché ha terminato il credito e comunque di tanto in tanto è meglio disattivarla perché potrebbe agganciarsi qualche malintenzionato e dal suo telefono, connettersi con qualche satellite in orbita sulla terra, progettando un invasione aliena. Senza escludere che possano rubarle dei soldi dal conto corrente e clonarle la carta di credito. Così le hanno detto di fare le sue amiche del prato. E se lo dicono le amiche del prato, meglio non intromettersi.
Tornando a me seduto al tavolino che mi accingo a rispondere alla chiamata, penso di rientrare decisamente nell’opzione 4. Porto il telefono all’orecchio e sento un brusio di fondo che sembra essere un asciugacapelli, in funzione. Con la voce di chi è pronto a tutto e non nasconde una certa rassegnazione, esclamo: Pronto Amore mio! Buongiorno! Risponde mia madre: Buongiorno disastro di mamma! Hai mangiato?
Mia madre da quando ci conosciamo inizia sempre una conversazione con: hai mangiato?
Quasi fossimo in carestia dalla notte dei tempi.
Sto facendo colazione proprio adesso, in un bar vicino casa. Sono sano e salvo anche per oggi mamma, non preoccuparti. Il rumore che accompagna le nostre voci a volte copre completamente la conversazione, dunque, come di consueto accade, devo interpretare quello che dice. Ma non lavori? Mi domanda.
Lavoro lavoro, ho il pc dietro e fra un po’ torno a casa. Ho paura a chiederle dove si trova, ma non resisto. Tu dove sei? Sono dal parrucchiere.
Ah, dal parrucchiere. Ma potevi chiamarmi quando avevi finito, no?
Avevo voglia di sentirti, infatti adesso vado.
Va bene Amore mio, dopo mandami una foto dei capelli fatti!
Mi accorgo che ha già riattaccato.
Immagino la scena del parrucchiere che tenta di asciugarle i capelli mentre lei parla al telefono e penso che per fortuna si conoscono da una vita e lui sa, che strana creatura sia mia madre.
Oggi poi che la maculopatia le ha tolto quasi completamente la vista, è peggiorata ulteriormente. O forse è migliorata, non saprei dire.
Perché in realtà, non si è mai arresa a dover dipendere dagli altri, e dunque ci prova a vivere come ha sempre fatto: con le unghie e con i denti, e a non abbattersi mai, anche se di motivi ne avrebbe, eccome.
La conoscono tutti, ed è impossibile non volerle bene. Mia madre è una di quelle persone che senza chiederti il permesso ti restano dentro, piantate nel cuore, per sempre. Una persona generosa, una persona che sa ascoltare, che non giudica, che osserva con attenzione, una persona che nella vita ha sbagliato tutto ma quel tutto lo ha pagato senza sconti. Un esempio da non seguire, mia madre, ma una persona di cui potersi fidare e soprattutto innamorare. Io sono fiero di essere suo figlio. Tutto ciò che di me è fuori dagli schemi, parte da quella radice. Mi alzo dal tavolino per andare a pagare il caffè e la ragazza di fianco mi chiede scusa.
Scusa di cosa, chiedo io.
Non che fossi qui per ascoltare la tua telefonata, ma è così raro sentir chiamare “Amore mio” un figlio, sua madre. Non ti fa un effetto strano?
La domanda un po’ mi trafigge, ma lei sorride ed è una sconosciuta. Forse solo in questi casi ti senti di poter rispondere. Ci ho messo quarant’anni per poter dire Amore mio a mia madre. Capisco lo strano effetto di cui parli, certo. Io mi sono risposto che per essere pronti a tutto quell’Amore, ci vuole del tempo. Non lo puoi comprendere inizialmente. Ti travolge, ti sovrasta, in un certo qual modo, ti annienta. E un po’ te ne vergogni pure. Oddio forse il termine vergogna non è del tutto esatto, ma non me ne viene in mente uno migliore. In quell’Amore ci sei nato e prima o poi ci morirai. Credo sia in questo, il senso di tutto. Con la coda dell’occhio vedo il titolo del libro che sta leggendo. Cecità di Josè Saramago. Un libro che ho letto e che mi ha devastato di bellezza. Tra l’altro il titolo crea una certa continuità con il male che ha colpito gli occhi di mia madre e da lì, paradossalmente, ha iniziato a vedere realmente. Quel libro l’ho letto molti anni fa, le dico. E’ bellissimo.
Bello e tremendo, aggiunge lei.
Concordo.
Quanti anni ha tua madre?
Ha 77 anni.
La mia se n’è andata per una strana malattia qualche anno fa e non sai quanto vorrei apparisse scritto “mamma” sul display del telefono, per una sola volta ancora. Io non sono mai riuscita a dirle Ti Amo, a chiamarla Amore mio. A mostrarle quell’Amore di cui racconti tu.
Vorrei dire qualcosa, ma le parole mi naufragano in gola.
Ti posso abbracciare, mi domanda.
Faccio un’espressione strana, lo percepisco dal suo sguardo.
Certo, le rispondo.
Ci abbracciamo. Che strano senso di vicinanza, talvolta, proviamo per delle persone sconosciute che il destino ci fa incontrare.
Il caffè che faceva schifo te lo posso offrire io?
Faceva veramente schifo, è vero. Ti ringrazio.
Abbracciala forte quella mamma, mi dice. Anche per me.
Ci salutiamo e in un attimo, torniamo sconosciuti.
Mi viene in mente quella frase bellissima che dice: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre”.
E’ proprio così che dovrebbe essere, che dovremmo essere. E invece arriviamo a vergognarci persino dell’Amore. Per fortuna che la vita ce lo dice a modo suo, con una telefonata, un caffè offerto da una sconosciuta che ti abbraccia e ti ricorda che sei fortunato. Che devi vivere oggi perché magari domani è troppo tardi. Provo a chiamare mia madre per dirle che oggi mi metto in ferie. Vado a pranzo da lei perché è vero che ormai non ci vede più un c***o, ma cucina ancora da Dio.
Sono alla terza telefonata.
Squilla e non risponde nessuno.
Va bene così, la Amo lo stesso.
✍🏻 Andrew Faber