Spaziopsiche

Spaziopsiche La verità non abita dietro le parole ma attraverso esse si manifesta.

06/11/2021

SINTOMO E DIAGNOSI IN PSICOANALISI.

La psicoanalisi, pur essendo una cura che muove a partire da un sintomo, vale a dire da quel "qualcosa che non va" che spinge il soggetto chiedere un aiuto, non necessita, per procedere, che venga formulata alcuna diagnosi, in quanto, in analisi, non si tratta di definire, classificare, inquadrare quel sintomo in una categoria psicopatologica predefinita, bensì di comprenderne le ragioni, attraverso un'interrogazione soggettiva che attiene al "cosa vuol dire?'", e non al "cosa è?"

Il sintomo psicoanalitico, infatti, non può essere considerato una manifestazione psichica dotata di una sua propria autonomia generativa, o l'effetto diretto di un guasto o di un'anomalia che possa darsi, secondo il principio lineare causa-effetto, a prescindere dalle ragioni del soggetto.

In altre parole, in psicoanalisi, non esiste fenomeno psichico in cui il soggetto non vi si implichi come causa, il che significa che il sintomo è ciò che il soggetto, al pari di qualsiasi altra formazione dell'inconscio, produce a sua insaputa, per dire qualcosa di cui non sa. Per questo il sintomo psicoanalitico è un significante, e dunque dell'ordine del simbolo e non del segno, come invece il sintomo medico.

"ll sintomo è un discorso, per questo lo ascoltiamo", dirà non a caso Lacan, e dunque, in quanto discorso, non non è inquadrabile in una categoria, ma può essere solo ascoltato.

E dunque, in quanto discorso, il sintomo psicoanalitico non sussiste senza la "responsabilità" del soggetto che, inconsciamente, suo malgrado, lo produce. Per questo il sintomo non si elimina così facilmente e senza che il paziente venga chiamato ad essere "attore" della propria cura, parte attiva resa consapevole della sua "responsabilità" soggettiva riguardo il proprio sintomo. Come ci si può liberare di qualcosa che inconsciamente allo stesso tempo si ha interesse a produrre e a conservare?

La grande scoperta della psicoanalisi sta proprio in questo: che il soggetto è parte in causa del proprio sintomo, non essendone la vittima innocente, quanto piuttosto l'autore inconsapevole.

Quando dunque, come "dottori", riteniamo di essere tenuti a riconoscere una diagnosi più che disporci all'ascolto, rischiamo di trasmettere al paziente un nuovo significante sul piano dell'essere, allontanandolo dalla possibilità di riconoscersi la causa e non l'effetto del proprio sintomo, esattamente come la diagnosi può allontanare l'analista dalla "libertà" dell'ascolto.

Come "dottori", allora, dobbiamo stare molto attenti quando formuliamo una diagnosi, in quanto una diagnosi, più che la lettura di qualcosa del corpo, è la scrittura di qualcosa nel corpo, per sempre.
(Dr Egidio T. Errico)

01/10/2021

“Il senso comune è spesso l'espressione di pigrizia intellettuale ed emotiva su cui ci si adagia per trovare una soluzione socialmente condivisa. La risposta comoda e semplice ad un problema complesso: “così fan tutte” . Una comodità tratteggiata con la mortificazione del pensiero individuale, che nega al soggetto la possibilità di arricchire la risposta a quel problema con prospettive diverse e personali.

Mentre Il desiderio nasce dallo sbarramento simbolico della pulsione, qui notiamo uno sbarramento non della pulsione ma del desiderio stesso. C'è qui una sorta di retrocessione dell'apparato simbolico: dall'individuale del soggetto al collettivo della struttura. Il soggetto abbandona la sua strada complicata e piena di insidie ed abdica alla struttura il proprio desiderio. Il sintomo comanda il soggetto, il soggetto si è detronizzato. Ha abdicato.

Accade qualcosa di simile a ciò che Lacan descrive ne “Il Seminario Libro XXIII”. Joyce non rifiuta né contrasta il sintomo: lo assume su di sé . Fa della sua scrittura irriverente un'arte . Trasforma il sintomo in Sinthomo. Ovvero lo personalizza. Joyce non cede al richiamo ed ai rimproveri della tradizione letteraria (struttura del soggetto) ma segue caparbiamente il proprio desiderio ed inaugura una nuova stagione per il linguaggio.

Il senso comune evolve molto lentamente nel tempo e tiene la Storia legata ad un laccio conservativo. E la Storia spesso perde il treno giusto al momento giusto.

Joyce non p***e quel treno. Un treno che transita ancor oggi per il nostro godimento letterario”.
(Carlo Giuseppe Diana)

23/09/2021

PENSIERI AL LAVORO: L' amare transferenziale avvia alla guarigione, perché suggerisce al paziente il desiderio di far cadere le sue obiezioni imparando a farsi mezzo per la soddisfazione di un altro da cui sa trarre beneficio anch' egli, uscendo da ogni logica sacrificale. È un lavoro, quello fatto insieme al paziente, che mira al recupero dell' essere facili, di imparare a costruire appuntamenti senza fughe, rivendicazioni o obiezioni. Ma, abbiamo anche visto come il pensiero nevrotico-paranoico, oggi sia imperante nella società. Come il nostro tempo sia caratterizzato da percezioni p***ecutorie del mondo, da temi di chiusura, di contaminazione fisica e psicologica, oltre che da una ricerca ossessiva di complotti e verità nascoste. La nostra analisi ha evidenziato, però, come tale società sia il frutto di un pensiero individuale, che ha perso la propria norma di soddisfazione per cedere ad idealismi collettivi e massificanti. Possiamo, allora senz'altro affermare, che anche la nostra società è il risultato di un errore di giudizio, di una proiezione, di un meccanismo identificatorio, che non può non essere riconducibile ad un rapporto affettivo iniziale non riuscito e mai ri-pensato. Non possiamo allora non concludere, che nella società resa paranoica da un pensiero esautorato, si incontra un ritorno del rimosso, che prende forma in discorsi di odio, che percorrono le strade più diverse.
(Dott. Roberto Bertin)

23/09/2021

IL 23 SETTEMBRE 1939 MORIVA SIGMUND FREUD

Non è in quello che appare, in ciò che si manifesta nella sua evidenza, in quello che è sotto gli occhi di tutti che rivolgiamo veramente, come pure potremmo credere, la nostra attenzione.

Non è ciò che trova posto nella nostra coscienza quello che veramente ci preoccupa e ciò su cui, veramente, ci interroghiamo.

A questo livello non possiamo che essere solo in ciò che condividiamo, e non in quello che veramente siamo nella nostra singolarità di esseri umani.

Quello che siamo, quello che ci appartiene come nostro, di ciascuno di noi, uno per uno, è ciò che dalla coscienza si sottrae, è ciò che scompare, è ciò che rimuoviamo. Perché è in questo atto di rimozione, di negazione, di eclissi che noi facciamo ricadere quella traccia oscura e ambigua di riconoscimento soggettivo che ritorna, che ci interroga, ci inquieta, ci tortura finanche.

Noi siamo in ciò che scompare dal discorso che pronunciamo, noi siamo negli interstizi muti del linguaggio, là dove la parola esita, si confonde, vacilla, si arresta.

Noi siamo nel nostro inconscio. Lì è il nostro essere: in ciò che rendiamo inconscio e incomprensibile a noi stessi, lì dove non penseremmo mai di poter essere.

Grazie dottor Freud per averci indicato, nel corso di una vita spesa alla causa della verità, dove noi veramente siamo e la via che può rendere possibile un ritrovamento, e grazie alle isteriche e a quel sintomo che sapesti ascoltare.
(Dott. Egidio Errico)

Imperdibile 🌺
26/08/2021

Imperdibile 🌺

Sigmund Freud è un genio, Rosario Sorrentino un neurologo, scrittore e divulgatore scientifico. La distinzione è basilare per mettere le cose in chiaro ed evitare pasticci e confusioni d...

Più che una riflessione sulla patologia, sembra una foto ☺️
05/06/2021

Più che una riflessione sulla patologia, sembra una foto ☺️

04/05/2021

Non c'è divisione tra corpo, pensiero e anima. Il corpo parla, proprio come il pensiero. Tale aspetto è evidente nelle isterie, dove un pensiero che fa male, si manifesta (esprime) attraverso il corpo. Allo stesso modo lo si vede nelle ossessioni, ove un pensiero fisso, fa compiere movimenti, ricerche, rituali spasmodici e defatiganti. Oggi molti medici pretendono di guarire il corpo, senza considerare il pensiero, comprendere la vita (e le ragioni) che hanno indotto il soggetto verso quella malattia. Allo stesso modo, molti psicologi, psichiatri, neuro-psichiatri, anche infantili, pretendono di guarire dalle sintomatologie di vario tipo (autismo, psicosi, fobie, iperattività. disturbi specifici dell'apprendimento), affidandosi alla biologia, alla chimica, senza occuparsi del pensiero e di ascoltare ciò di cui parla il soggetto attraverso il proprio sintomo (e in tal modo spesso fanno ulteriori danni). Anche i pastori pretendono di curare (e spesso indottrinare) l'anima senza occuparsi prima del pensiero e del corpo, e delle storie soggettive di ciascuno. Il sogno di Freud di creare una pratica laica di guarigione, che non fosse né terra dei medici (e oggi diremmo anche degli psicologi), né dei preti, non è stato purtroppo ancora realizzato. Però ci sono alternative per prendersi cura di sé e dei propri pensieri che possono essere valutate, nonostante le resistenze o gli attacchi che vengono fatti dall'alto del potere. Gesù, ora dirò una cosa che molti tacceranno come eresia, era un laico, e non aveva sposato alcuna dottrina, ideologia o religione. Per questo non piaceva agli organi di potere che volevano per forza indurlo in tentazione, e farlo schierare in una qualche corrente politica o religiosa. Ma mica ci cascò. La sua sovranità la esercitò sino all'ultimo.
(M. Forzoni)

Il sapere scientifico, con una risposta a tutto, senza mancanze e senza il desiderio di qualcuno, è p***ecutorio come un...
14/03/2021

Il sapere scientifico, con una risposta a tutto, senza mancanze e senza il desiderio di qualcuno, è p***ecutorio come una madre onnipotente.
(C. Viganò, “Glossario lacaniano”, 2013, p. 361).

www.agalmatica.it

Magazine

22/01/2021

ACTING OUT

Diversamente da quello che si ritiene, in quello che nella nostra pratica chiamiamo acting out, il soggetto non è fuori del proprio inconscio, essendone piuttosto completamente avvolto, come trapassato.

È l’inconscio a dominare il campo essendo nel pieno del suo lavoro come apparato di godimento.

L’acting infatti sta al posto della parola, di una parola che non può essere detta perché tagliata fuori dalla possibilità di essere rappresentata nel simbolico, di una parola che si sottrae al significante per diventare puro atto di godimento.

L'acting testimonia, nel soggetto, della sconnessione tra significante e godimento: si tratta di una vera e propria "catastrofe del godimento" che il soggetto non sa più dove collocare.

Tuttavia, della dimensione della parola, l'acting mantiene il fatto di essere rivolta all’Altro, un Altro che è convocato sul piano immaginario e non su quello simbolico, un Altro che viene come immobilizzato dall’atto e spinto a rispondere allo stesso modo.

Non si tratta di ordire un discorso rivolto all’Altro riconosciuto come chi è nel diritto di dare la sua risposta, ma di mettere in campo una scena nella quale l’Altro, ridotto ad "altro" speculare, è chiamato a farvi il suo ingresso e a “interpretare” un ruolo che è di azione e non di parola.

L’acting è mosso dalla impossibilità per il soggetto di tollerare lo scarto, la beanza, la rifrazione tra il desiderio e la domanda: il desiderio non può farsi domanda perché nel farsi domanda non manterrebbe più il suo statuto originario e lascerebbe dietro di sé un resto.

E’ questo resto che il soggetto non tollera e che funge da motore dell’acting: si tratta di quello che Lacan chiama oggetto piccolo a, oggetto di "plus godere", che il soggetto dell'acting non tollera nella sua dimensione di causa, per collocarlo come reale "fuori senso" nell'Altro, cui lo destina attraverso un agito non interpretabile, ma che comunque esige una risposta.

E' questo resto, questa beanza, questo buco che l’Altro è chiamato a ricucire, a orlare, a sanare. Ecco perché l’acting è sempre convocazione dell’Altro, non sul piano della parola, ma su quello dell’agito stesso.

In analisi l’acting rivela un “fuori transfert”, un tentativo di scardinare l’analista dal registro del simbolico per “invitarlo” a rispondere su quello dell’immaginario.

La risposta dell’analista non può essere allora una risposta di “parola”, nel senso che non può essere quella di una interpretazione classica “di contenuto”, perché si trova “fuori transfert”, collocato com’è sul piano dell’immaginario e non più riconosciuto su quello del simbolico, l’unico sul quale può costituirsi il transfert e dal quale può giungere l’interpretazione psicoanalitica che abbia un effetto di senso.

Ma quella dell’analista non può essere neanche una interpretazione che si richiami alla realtà dell’agito perché sarebbe, come dice Lacan, “un’azione di psicoterapia primaria” e non un atto psicoanalitico.

La sola risposta possibile sarebbe allora quella dell' “atto psicoanalitico”, vale a dire quella in grado di cogliere proprio quel resto che il paziente non può rappresentare, nel senso che, come dice Lacan, se il soggetto trasforma l’atto in una parola, l’analista deve trasformare la parola in un atto.

Il che significa farsi trovare - e non arretrare né contro agire - sul luogo della scena dell’acting.
(Dott. Egidio T. Errico)

L'ANALISI E' LA MESSA IN CAUSA DEL SOGGETTOIn analisi, come si sa, l'analista opera sotto transfert, vale a dire che sol...
04/01/2021

L'ANALISI E' LA MESSA IN CAUSA DEL SOGGETTO

In analisi, come si sa, l'analista opera sotto transfert, vale a dire che solo se l'analizzante può indirizzare al proprio analista, non più una qualsiasi richiesta di aiuto, ma una domanda di riconoscimento di sé come di chi soffre di qualcosa che chiede di essere riferita a qualcuno affinché l'ascolti e possa interpretarla - è esattamente questo il transfert psicoanalitico - allora possiamo dire di trovarci all'interno dell'esperienza di una psicoanalisi vera e propria.

Ora, che in una stanza si ritrovino un paziente e uno psicoanalista non basta a che quello che tra di loro possa avve**re è scontato che sia un'analisi, cioè non basta a che si attivi un transfert.

Affinché un transfert possa impiantarsi, occorre che l'analista lo permetta, ma non attraverso un "fare", o un'operazione di "tecnica" attiva, bensì, piuttosto, al contrario, attraverso la rinuncia a qualsiasi azione che non sia quella di mettersi in posizione di ascolto e lasciare che a dire sia il paziente.

La posizione di ascolto di cui si tratta, però, non ha niente a che vedere con l'ascolto che un soggetto che tace può concedere ad un altro soggetto che parla, ma ha che vedere col fatto che chi ascolta, l'analista, lo fa destituendosi proprio come soggetto.

Cosa significa? Come è possibile ascoltare un proprio simile destituendosi, o addirittura - ancora meglio - annullandosi come soggetto, senza confondere questa posizione con quella dell'indifferenza a ciò che l'altro dice?

E' possibile solo nella misura in cui l'analista non permette a se stesso di essere tirato in causa come soggetto dal discorso che il paziente gli rivolge.

Il discorso dell'analizzante è il discorso che mette in causa un solo soggetto, l'analizzante stesso, pur essendo rivolto ad un Altro, l'analista, che opera però in funzione di destituzione soggettiva, vale a dire, non come interlocutore dialettico di una relazione speculare (l'altro), ma come funzione simbolica, cioè come un "terzo", un Altro, in altri termini come un Significante, un "significante qualunque" dirà Lacan.

L'analista non opera dunque in funzione di soggetto, e men che meno opera in funzione di un Io.

L'analista, in analisi, sotto transfert, opera, come abbiamo visto, in funzione di oggetto, in particolare di un oggetto "scarto", di un oggetto cioè che sa farsi da parte al fine di poter essere piuttosto un "oggetto-causa", causa della soggettivazione del paziente (o del suo desiderio, il che è poi la stessa cosa).

In sintesi, l'analista non si costituisce come soggetto, bensì come ciò che causa un soggetto.

Tant'è che, come Lacan scrupolosamente dimostra nel suo famoso "Intervento sul transfert", fu proprio quando Freud, senza accorgersene, entrò, nella scena dell'analisi con Dora, come soggetto - quando cioè intervenne su Dora a partire dalle proprie convinzioni e dai propri pregiudizi, dunque dal proprio controtransfert, senza invece averlo messo da parte - che Dora interruppe la propria analisi con Freud.

Concludendo, laddove si stabilisce una relazione cosiddetta di "intersoggettività", è allora che non si è in analisi, o non si è ancora in analisi, in quanto il paziente si trova ancora sotto l'effetto della suggestione operata su di lui dalla soggettività dell'analista, in quanto il sol fatto che l'analista sia lì in funzione di soggetto fa sì che quello che si impianta è la "suggestione" e non di transfert.

Diversamente, l'analisi può avviarsi solo quando l'analista è in grado di potersi ecclissare come soggetto per lasciarvi quel "posto vuoto" su cui possa ve**re ad impiantarsi, e insistere, il transfert: quel transfert cui solo la destituzione dell'analista, in quanto soggetto di suggestione, ha potuto cessare di farvi da ostacolo, per per permetterne la sua messa in movimento, e che un'analisi possa dunque accadere.

(di Carlo Giuseppe Diana)

Lo studio del Dott. Errico è specializzato nella valutazione, la diagnosi e il trattamento dei disturbi psichici in genere. Sono a Salerno in Via P.Ta Elina,23

03/12/2020

Mandare via i figli di casa è un'opportunità unica, da affrontare con la consapevolezza che, una volta tornati, i figli non saranno più gli stessi!

28/11/2020

L’AQUILA – Quando nel gennaio 2020 iniziò a circolare la notizia della possibile diffusione di un virus del quale poco, o meglio, nulla si sapeva, eravamo tutti convinti che la cosa non…

L'ANALISI DEGLI ANALISTISappiamo che "analisti si diventa soltanto attraverso la propria analisi"Questo principio, sacro...
20/11/2020

L'ANALISI DEGLI ANALISTI

Sappiamo che "analisti si diventa soltanto attraverso la propria analisi"

Questo principio, sacrosanto e irrinunciabile, si è prestato però ad un equivoco: quello di ritenere che l'analisi dei futuri analisti sia un'analisi diversa da quella dei "comuni pazienti", in quanto "formativa", più che "curativa", tanto è vero che, in alcune Scuole di formazione per psicoanalisti, l'analisi cui si sottopongono i candidati futuri psicoanalisti, viene, mio avviso impropriamente, definita "analisi didattica".

A mio parere le cose non stanno propriamente così.

Un’analisi è tale solo se motivata da ragioni di cura, il che significa che, nel caso delle analisi dei futuri psicoanalisti, queste possono funzionare solo se chi vuole diventare psicoanalista si riconosca prima di tutto come paziente, come chi abbia cioè qualcosa da curare.

In altri termini, la necessità di un’analisi per chi voglia diventare analista poggia sul principio, non tanto che serva un’analisi a scopo formativo, quanto che serva un’analisi a scopo curativo, un’analisi dunque proprio in quanto cura.

Cura di cosa? Di quale sintomo? Diciamo proprio del "sintomo di voler diventare analista", in quanto il desiderio di diventare psicoanalista implica la questione del lavoro sull'inconscio, vale a dire su ciò di cui non solo non si sa, ma anche su ciò di cui si soffre. Tutti gli esseri umani, in quanto abitati dall'inconscio, devono sopportare un non sapere con una quota inevitabile di sofferenza soggettiva, per cui, e a maggior ragione, anche chi voglia diventare psicoanalista - e dunque curare la sofferenza radicata nell'inconscio - non può esimersi dal curare il proprio, dal farci cioè i conti.

In questo senso possiamo allora dire che il percorso di uno psicoanalista non può che iniziare proprio dal fatto di mettere in discussione il proprio desiderio di diventare analista, di metterlo in discussione in quanto sintomo.

Per dirla in altro modo, un analista può iniziare il proprio percorso formativo solo se riesce a "isterizzarsi sul proprio desiderio", esattamente come l’isterica che, attraverso il suo sintomo, mette in discussione il suo desiderio e ne fa un punto di domanda: cosa vuole dire? Cosa significa?

Analogamente l’analista non può che iniziare il proprio percorso dallo stesso punto di domanda: "cosa vuol dire il mio desiderio di diventare analista?", "cosa significa?", "perché voglio mettermi a curare i miei simili attraverso la psicoanalisi?".

Un’analisi può partire solo dal fare del proprio sintomo un punto di domanda: è questo che Lacan ha chiamato la isterizzazione del discorso come il motore del transfert, senza il quale nessuna analisi sarebbe possibile, e questo vale anche e soprattutto per chi desidera diventare analista.

www.egidioerrico.com

Lo studio del Dott. Errico è specializzato nella valutazione, la diagnosi e il trattamento dei disturbi psichici in genere. Sono a Salerno in Via P.Ta Elina,23

18/10/2020

Il pensiero è un mezzo, aiuta e orienta il soggetto nel risolvere problemi, questioni, raggiungere mete e obiettivi, instaurare relazioni, amare e amarsi, dare e ricevere piacere e benefici. I perversi hanno anche loro un pensiero, solo che è malato, diabolico, e lo utilizzano per fare del male al prossimo e a se stessi, finendo nel godimento della pulsione di morte e distruzione, nel senza limite.
(Maurizio Forzoni)

11/10/2020

Carlo Giuseppe Diana
(psicoanalista lacaniano):

Laura pigozzi propone una visione del materno controcorrente, sia per quanto riguarda la prospettiva sociale della famiglia, che in relazione alla struttura psicanalitica del rapporto madre figlio.

Con i suoi diversi contributi sul tema della famiglia, in particolare con "Troppa famiglia fa male" , Mio figlio mi adora", la Pigozzi pone in evidenza come nella società contemporanea il ruolo della donna si vada concentrando sempre più sul ruolo di madre. Un materno tutto nuovo, poiché non è un ritorno ad uno stadio antecedente alle lotte del movimento femminista, che promossero un graduale inserimento sociale della donna, spalancando lo spettro di intervento della donna nella società.
Quello della Pigozzi è un grido d'allarme per le donne per ciò che sta accadendo in questo tempo.
La donna viene sempre più investita di potere ( Questo è il punto centrale della sua riflessione) all'interno della famiglia e all'interno della società, in quanto madre e non più in quanto donna/persona. Quel processo di liberazione della donna si sta sminuendo, non per un ritorno a modelli familiari precedenti, ma per una deviazione di senso dello slogan sessantottino "potere alle donne". Quel potere che le donne reclamavano viene loro adesso assegnato in modo quasi esclusivo per la cura del figlio e della famiglia. Una figura del materno riprodotta dalla famiglia alla società. La donna che si afferma sempre più in società è la donna madre. Una nuova visione del matriarcato nel privato e nel pubblico. La Pigozzi spiega che le conseguenze di questa nuova prospettiva del femminino familiare e sociale, ha ricadute negative sia nella formazione identitaria dei figli, quanto sul ruolo della donna nella società.
Figli sempre più attaccati alle madri, le quali spesso suppliscono all'assenza disinvolta e convinta dei padri. Un plusmaterno associato all'evaporazione del padre ( Lacan), rende difficile ed a volte impossibile il completamento del percorso edipico, destinando il figlio alle conseguenze di un Edipo non risolto. Gli effetti si leggeranno nella difficoltà a simbolizzare la legge, con il conseguente conflitto permanente con l'autorità, qualunque essa sia. Ma la vera novità, sotto il profilo psicoanalitico di questo prolungato rapporto simbiotico madre figlio, sta nella fissità interiore dello sguardo materno che il figlio sarà portato a reclamare/pretendere nel rapporto con l'Altro, uomo o donna che sia.
Concludendo, se lo sguardo della madre dentro di noi si installa nella postura della fissità, e la voce della madre assume un tono ossessivo, il figlio cercherà quel padre che non intervenne nel percorso edipico, un padre autoritario che lo liberi da questa angoscia.
Il risvolto sociale del plusmaterno familiare lo possiamo riscontrare nell'adesione sempre più massiccia di giovani a gruppi sociali e politici a matrice autoritaria. C'è troppa madre dentro di me, voglio un padre.

15/09/2020

FREUD: LA DIREZIONE DELLA CURA Freud nel 1897 compie un passo decisivo. Cambia la tecnica passando all’associazione diretta a partire dal sintomo con la libera associazione. Invita i suoi analizzanti a a dire quello che gli viene senza scartare, astenendosi a partire da qualcosa che e conscio. È ...

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