29/12/2022
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AGRIGENTO
di Gaetano Mario COLUMBA , Pirro MARCONI , Attilio Mori - A. Jann Rusconi - Carlo Alberto GARUFI - Enciclopedia Italiana (1929)
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AGRIGENTO (A. T., 27-28-29)
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Città della Sicilia meridionale, capoluogo di provincia. Con r. decreto 16 giugno 1927, essa cambiò il vecchio nome di Girgenti con quello di Agrigento, dall'antica città greco-romana che ivi sorgeva.
La città antica.
Storia. - Agrigento ('Ακράγας) fu fondata da Gela verso il 581 a. C. Era perciò la più giovane delle colonie greche sorte in Sicilia nel periodo delle grandi fondazioni. La tradizione ci ha conservato il nome dei due fondatori, Aristono e Pistilo. Agrigento ebbe le istituzioni della madre patria e valse, al pari di essa, come colonia di Rodi. Le divinità a cui alzò i primi templi furono Zeus e Atene.
Le origini. - La storia di Agrigento si inizia con la tirannia di Falaride, sorta un decennio appena dopo la fondazione della città, in occasione della costruzione del tempio di Giove sull'acropoli. La leggenda s'è abbarbicata al nome di Falaride (v.) e non lascia facilmente discernere elementi storici sicuri. È credibile tuttavia ch'egli abbia ampliati i territorî agrigentini con la sottomissione delle popolazioni indigene (Sicani) dell'interno. Una tradizione vuole, anzi, che egli sia stato sul punto di avere in mano la città d'Imera, sulla costa settentrionale dell'isola, il cui territorio si congiungeva a quello agrigentino. Le due città furono riunite, in effetto, una settantina d'anni più tardi, da Terone, della famiglia degli Emmenidi, che governò Agrigento dal 488 circa al 473 a. C. Egli espulse da Imera Trasillo che n'era signore, raccogliendo un dominio che dal mare africano andava al mar Tirreno. Imera, tuttavia, era unita ad Agrigento solo nella persona del tiranno, e conservava la sua autonomia e il suo diritto di monetazione; solo, che rispetto ad A., rimaneva al secondo posto. Nelle monete essa congiunse alla sua insegna (il gallo) quella di Agrigento (il granchio), mentre non risulta che questa città abbia fatto altrettanto riguardo ad Imera. La potenza di Terone non poteva non dare ombra a Cartagine che teneva sotto la sua influenza la parte occidentale dell'isola. A questa città ricorse lo spodestato Trasillo, appoggiato dal genero, Anassila di Reggio. Si unì ad essi anche Selinunte. Cartagine si decise così ad intraprendere contro Terone una guerra, il primo effetto della quale doveva essere evidentemente quello di rimettere Trasillo al governo d'Imera. Le forze cartaginesi erano imponenti, ma sotto questa città subirono una disfatta memorabile (480), che fu posta a paro di quella subita contemporaneamente dai Persiani a Salamina. Senonché la vittoria fu dovuta all'intervento dell'esercito siracusano condotto dal dinomenide Gelone, genero di Terone. Gelone dettò i patti della pace, e la preminenza su tutti gli stati dell'isola fu assicurata a Siracusa. Terone conservò Imera, al governo della quale prepose come luogotenente il figlio Trasideo. Ma tra Agrigento e Siracusa esistevano germi di rivalità che dovevano inesorabilmente sboccare in un conflitto. Questo fu evitato una prima volta sotto Terone, ma proruppe più tardi sotto Trasideo, il quale venne a guerra con Ierone, successore di Gelone, e subì una grave sconfitta. Ne fu conseguenza una rivolta, non solo ad Agrigento, ma anche ad Imera. Trasideo andò in esilio e le due città istituirono un governo repubblicano, fecero pace con Ierone e passarono nella cerchia delle alleate di Siracusa.
La floridezza. - Si comprende che la repubblicana Agrigento dovesse assecondare la costituzione di un governo repubblicano anche a Siracusa. Essa infatti prestò mano a questa città nella rivolta contro Trasibulo, il terzo dei Dinomenidi, il che permise agli Agrigentini cacciati in bando da Ierone di rientrare in patria. Occorsero in questo periodo avvenimenti dei quali è difficile determinare con precisione la cronologia. Agrigento fu in guerra con Imera e Gela, e poi insieme con Siracusa distrusse i mercenarî chiusi a Minoa. Si trovò ancora unita a Siracusa nella guerra pericolosa mossa dai Siculi condotti da Ducezio, nella quale prima perdette e poi recuperò la piazzaforte di Motio. Ma gli antichi contrasti fra le due città si fecero strada e portarono ad una guerra che divampò largamente, terminando con una nuova sconfitta degli Agrigentini (446 circa). Da questo tempo Agrigento si ritrasse dalla politica attiva e, durante le vicende delle due spedizioni ateniesi, si chiuse in una neutralità ostinata, che, in mezzo ai conflitti in cui si trovavano avvolte le altre città siceliote, accresceva le fonti della sua opulenza.
La vittoria d'Imera non era stata scarsa di frutti neppure per Agrigento. A parte quel che riguarda Imera, il territorio agrigentino fu accresciuto a ponente, probabilmente in quell'occasione, anche di quello di Eraclea. Da levante esso si stendeva sino all'Imera meridionale (Salso). Ma non meno grande fu iì vantaggio che Agrigento ebbe dall'enorme numero di schiavi venuto in suo potere, e formato dai prigionieri presi sul campo e dai soldati dispersi che i cittadini rastrellarono dalle campagne. Agrigento ne fu piena: vi furon famiglie che ne raccolsero fino a cinquecento. Tutte queste forze lavoratrici portarono al colmo la prosperità di Agrigento che già prima doveva essere invidiabile. Il vasto territorio ch'essa possedeva si coperse di vigneti ed uliveti. Si faceva allevamento di bestiame, ma soprattutto di cavalli, per cui Agrigento divenne famosa. Si allenavano campioni alle corse, alcuni dei quali ebbero persino l'onore di monumenti sepolcrali. Quando l'agrigentino Epeneto tornò in patria, vincitore alle gare olimpiche, fu scortato da trecento carri tirati da pariglie bianche. Ci restano ampie descrizioni del lusso delle grandi famiglie agrigentine, della loro ospitalità e della prodigalità smodata. Famoso è rimasto a questo riguardo il nome di Gellia, grande proprietario di vigneti, le cui cantine contenevano centinaia di ettolitri di vino in recipienti scavati nella roccia. Il mercato principale dei prodotti agricoli era costituito da Cartagine, la quale non aveva allora un territorio così ben coltivato come lo ebbe dopo. Gli schiavi pubblici permisero ad Agrigento la costruzione di opere gigantesche, come i suoi templi, gli acquedotti, la piscina. É noto il verso di Pindaro (Pyth., II, 2) che chiamava Agrigento la più bella città dei mortali.
Il numero dei cittadini, cioè dei maschi che godevano pieni diritti politici, sarebbe stato verso l'ultimo decennio del sec. V a. C. di circa ventimila, e quello di tutti gli abitanti, i forestieri compresi, dieci volte tanto. La potenza militare di Agrigento era semplicemente terrestre. La poca felicità dei suoi approdi non le impediva di avere un notevole commercio marittimo; tuttavia essa non sentì il bisogno di tutelarlo con un naviglio armato. Non sembra che Agrigento abbia mai posseduto una qualsiasi forza sul mare, nemmeno pari a quella assai modesta tenuta da Gela, che pure era tanto più piccola e mal fornita allo stesso modo di approdi sicuri.
Agrigento tra Cartagine, Siracusa e Roma. - La floridezza di Agrigento subì un crollo nel 406-05, quando Cartagine intraprese in Sicilia una nuova guerra, con sorte ben diversa da quella di tre quarti di secolo prima. Il comandante cartaginese Annibale prese e distrusse Imera e Selinunte e venne ad accamparsi sotto Agrigento. Le ragioni della guerra mancavano, ed egli le pretestò col chiedere agli Agrigentini l'alleanza e la neutralità. Agrigento, che aveva già mostrata la sua solidarietà con Selinunte, respinse la domanda, e si difese bravamente. Le sorti della guerra parvero volgersi in favore degli assediati. Un'epidemia assottigliò l'esercito cartaginese, e le milizie siracusane, comandate da Dafneo, lo volsero in rotta; ma non si seppe trar partito dal momento. Imilcone, succeduto ad Annibale, ebbe modo di rafforzarsi negli accampamenti, e riuscì ad impadronirsi di alcune navi cariche di grano destinate agli assediati. Questi che erano già in lotta con la fame, traditi dai mercenarî del presidio, decisero di mettersi in salvo verso Siracusa, abbandonando la città al nemico. Agrigento fu così presa dai Cartaginesi e devastata. Dopo la pace conclusa con questi ultimi da Dionisio (405-04), gli Agrigentini lasciarono Leontini ov'erano stati allogati, tornarono alla loro città e si diedero a ricostruirla. Ma la nuova Agrigento rimaneva legata alla politica di Dionisio I, dalla quale fece invano il tentativo di liberarsi. Essa dovette ricongiungersi alle sorti di Siracusa, e pagò la sconfitta di Dionisio a Cronio con la perdita di tutto il suo territorio a ponente dell'Alico (oggi Salso) che passò in mano ai Cartaginesi. Le campagne di Timoleone contro questi ultimi e la sua strepitosa vittoria del Crimisso non recarono, per quel che sappiamo, alcun mutamento a questa linea di confine. Timoleone provvide però a ripopolare Agrigento con nuovi coloni venuti da Elea, facendo quasi una seconda fondazione della città, con due nuovi fondatori (Megello e Feristo): verisimilmente in quell'occasione fu introdotto il nuovo statuto che ci appare ancora in un decreto del sec. II avanti Cristo.
Ma l'assetto territoriale che portava i Cartaginesi all'Alico dava alla politica degli Agrigentini un nuovo e deciso indirizzo che fu continuato dai nuovi abitatori. Agrigento sentiva di potersi sostenere a fronte di Siracusa, mercé l'appoggio della stessa accresciuta potenza di Cartagine in Sicilia. Essa si mise a capo degli avversarî di Agatocle e divenne centro di raccolta e quartier generale dei fuorusciti siracusani; fu sede dei contrasti fra Sosistrato ed Acrotato, e teatro del loro tragico epilogo. Dopo la sconfitta di Amilcare nella valle dell'Anapo (309), Agrigento si staccò da Cartagine e promosse una lega, alla quale aderirono molte città di Sicilia, da Neto ad Eraclea, col programma d'impedire il predominio nell'isola a Cartagine, come a Siracusa. Ma la lega fu infranta dalla sconfitta che il comandante agrigentino Senodico ebbe dai generali di Agatocle. Un principe agrigentino, Fintia, poté ancora creare un nuovo dominio che sì stendeva fino ad Agirio. Egli raccolse alle foci dell'Imera meridionale (Salso) gli abitanti della distrutta Gela, fondando una colonia a cui diede il suo nome, Fintiade. Batté anche moneta con titolo di re. Ma il suo regno crollò al primo urto con Siracusa. A capo di Agrigento troviamo poi Sosistrato, che fu chiamato in aiuto dei Siracusani in rivolta, e non poté far di meglio che consegnare la città a Pirro.
Salvo qualche breve interruzione, Agrigento si era tenuta, per due generazioni, stretta a Cartagine. Così la trovarono i Romani all'inizio della loro prima guerra in Sicilia. Ma Agrigento pagò cara la sua politica cartaginese. In poco più di mezzo secolo ebbe a provare tre volte stragi e devastazioni. Nel 262 fu investita dai consoli L. Postumio e Q. Mamilio: dopo sette mesi di assedio, l'esercito mandato in soccorso dai Cartaginesi fu messo in rotta, e le milizie di presidio cercarono scampo, lasciando la citta ai Romani, che la saccheggiarono e ne portarono via venticinquemila schiavi. Cinque anni dopo essa fu ripresa dal cartaginese Cartalone, che demolì le mura e diede alle fiamme le abitazioni (255). Durante la seconda guerra punica, i Cartaginesi la rioccuparono (214) e ne fecero il caposaldo delle loro occupazioni in Sicilia. Ma nel 210 il console Levino assediò la città e la prese per tradimento; i capi del partito cartaginese furono messi a morte, gli altri cittadini venduti schiavi. Indi fu ripopolata con nuovi abitanti fatti ve**re da varie parti dell'isola.
Sotto i Romani, nonostante abbia dovuto sentire i torbidi delle guerre servili, Agrigento non mancò di un certo benessere. Molti negozianti italici vi si erano domiciliati. Il suo ancoraggio viene ricordato all'inizio dell'impero come l'unico della costa meridionale dell'isola, il che vuol dire che aveva ancora qualche importanza. Il vino era tuttavia uno dei principali prodotti agricoli, e tra le industrie è ricordata quella dei tessuti.
Avanzi di forme in terracotta rinvenute in territorio agrigentino mostrano che già l'estrazione dello zolfo era praticata dagli antichi, almeno in età imperiale, né si può dubitare ch'esso fosse in parte destinato all'esportazione. Nell'età di Verre Agrigento apparteneva al numero delle città decumane.
Agrigento ci ha lasciato una meravigliosa serie di monete. Da principio batté didrammi e poi tetradrammi di argento con l'aquila da una parte e il granchio. A questi due tipi essa rimase fedele finché verso il 420, sotto l'influenza della coniazione di Siracusa, adottò sul rovescio dei tetradrammi la quadriga, lasciando nel dritto l'aquila, mettendone anzi due in atto di divorare un capretto. La meraviglia della monetazione agrigentina è il decadramma, sempre rarissimo, nonostante una scoperta recente. Agrigento batté anche oro. Dopo il disastro del 406 a. C. la sua monetazione s'impoverì, ma durò, in bronzo, sino all'età romana.
Alla storia della letteratura e del pensiero Agrigento ha dato un grande nome: Empedocle.
Bibl.: A. Holm, Storia di Sic. nell'antichità, I-III, trad. di B. B. Dal Lago e V. Graziadei, Palermo 1896 segg.; Freeman, History of Sicily, I-IV. Per l'età delle guerre puniche: G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i e ii, 1916-17; E. Pais, Storia di Roma, I-II, Roma 1927. Per la numismatica: Cat. greek coins in the Br. Mus.; Sic., pp. 5-24; Salinas, Monete delle antiche città di Sic., 1872, nn. 67-345, tavv. IV-XIV; Head, Hist. numm., 2ª ed., Oxford 1911, p. 119 segg.; Holm, op. cit., III, ii; Hill, Ancient coins of Sic., passim.
Monumenti. - Attorno al sito dove sarebbe sorta la greca Akragas esistevano stazioni preistoriche: villaggi di capanne o necropoli di tombe rupestri appartenenti al periodo eneoliticofe al periodo del bronzo (I e II periodo siculo). Le più notevoli sono: Cannatello, Caldare, S. Angelo Muxaro, Naro, Monteaperto, ecc.; ma nella stessa zona della città, recenti scoperte hanno rivelato capanne rotonde, e tombe a forno, caratteristiche di questa età.
Più oscura invece, e povera di documenti, appare per ora nel territorio agrigentino la vita preistorica nei primi secoli del 1° millennio, limitata ad alcune tombe.
La città greca. - All'inizio del sec. VII a. C. risalgono le prime testimonianze della presenza, nella zona in cui sorgerà la città, di Greci che vivono mescolati con i Siculi indigeni, in qualità di commercianti pacifici, più che di conquistatori; a tale epoca infatti appartiene la necropoli agrigentina più antica, collocata verso il mare, in cui si trovano uniti vasi geometrici d'importazione, ed altri più grezzi e rudimentali, di costruzione locale, affatto simili a quelli in gran numero trovati a Gela. Al sec. VII risale anche il santuario più antico, dedicato a divinità ctonie, più tardi identificate con Demetra e Persefone, formato di due grotte naturali, precedute all'esterno da un vestibolo, in costruzione di pietra non isodoma e restringentesi verso l'alto, con un accenno di falsa vòlta; presso questo edificio erano evidenti le tracce di vita indigena, insieme con quelle dei primi Greci; ricordi di strutture mediterranee, già innanzi vivi nelle necropoli sicule, vi si perpetuano nell'architettura. Questa presenza di Greci non conquistatori, probabilmente gente di Gela, nel territorio Agrigentino, continua per oltre un secolo, fino cioè alla fondazione ufficiale della città, avvenuta nel 583-580 a. C. per opera di abitanti di Gela appunto e di Rodi. Vasti confini sono stati destinati subito alla città nascente segnata come una metropoli: infatti essa non ebbe mai bisogno, neppure nel periodo del maggior fiore, di estendersi oltre la cerchia delle mura. Essa si appoggia a nord su due alte colline, rocciose e facili a difendere, di cui l'occidentale fu l'acropoli, a sud la limita una lunga collina parallela al mare, a est e ad ovest due torrenti dal letto profondo, l'Akragas e l'Hypsas; terreno vasto ma alla difesa agevole.
Nel sec. VI la vita di Akragas è di fortificazione e di espansione; mentre, infatti, si costituisce uno stato indipendente (che arrivò fino a Eraclea, verso Selinunte, e a nord giunse a toccare il mare Tirreno ad Imera), la città si organizza nelle cose più indispensabili: un lungo perimetro di mura è condotto attorno al limite della città, rafforzato nei punti più deboli con torri quadrate, dotato di otto porte (di esso restano numerosi tratti, che dimostrano una concezione tattica assai arretrata, e un'organizzazione di difesa assolutamente frontale); sorge una rete di strade, annodata ad un'arteria principale che attraversa la città da sud a nord; si apprestano numerose opere di canalizzazione d'acqua, e i primi quartieri di case. Scarse invece, e di limitate dimensioni, sono le istituzioni religiose; con due sacelli semplicissimi, è una coppia di grandi altari, uno quadrato pieno, uno rotondo con βόϑρος centrale, dedicati con grande probabilità a divinità femminili ctonie. Alla fine del sec. VI Akragas deve essere stata già molto grande, ricca di abitanti, potente, ma non bella.
Nel seguente secolo avviene nella vita e nell'aspirazione della città un'inversione, specie dopo la vittoria di Imera sui Cartaginesi (480-479 a. C.); mentre l'espansione cessa, e le occasioni di guerra spesso sono evitate, una febbre di costruire e di eternarsi nelle opere dell'arte domina; si pensi che, nello spazio di novant'anni circa, ad Akragas sorsero ben nove templi, tra i quali uno di dimensioni enormi; verso il 450 ne dovevano essere contemporaneamente in fabbrica almeno cinque.
I templi. - Sono tutti, secondo la stirpe degli abitanti e la loro sensibilità costruttiva, di stile dorico; se nella parte maggiore sono artisticamente canonici, alcuni tuttavia ci mostrano delle innovazioni non lievi.
Più antico. costruito verso la fine del sec. VI, è il cosiddetto Herakleion, perittero esastilo (6 × 15 colonne), l'unico che conservi un sapore arcaico, negli pterá (colonnati laterali) di notevole ampiezza, nelle linee curve dei profili di capitelli e colonne, e nella pianta notevolmente allungata (m. 73,99 × 27,78; proporzione tra larghezza e lunghezza 1 : 2,66); esso ebbe all'inizio una cornice fittile, verso il 450 mutata con una in pietra, fornita di belle maschere leonine alle grondaie.
Ad esso segue un gruppo di edifici, il cui inizio di costruzione può essere fissato intorno al 480, quando cioè i molti prigionieri di Imera ebbero rafforzata la mano d'opera. Tra essi consideriamo: il tempio di Demetra, in antis, con bella cornice in pietra con policromia, e maschere leonine, che, invece dell'altare rettangolare ad occidente, ne ha due rotondi a nord; il tempio di Atena, sull'acropoli, perittero esastilo, in massima parte perduto; e l'Olympieion, colossale opera, misurante m. 111 × 56 (dati approssimativi), piena di ardite innovazioni, costituito, al centro, da una cella semplice; al posto del peristilio esso ha un muro pieno, con mezze colonne all'esterno e corrispondenti pilastri interni, fornito, nel mezzo degli intercolunnî esterni, di colossali figure di giganti (alti m. 7,65), che concorrono a sostenere la pesantissima cornice; nei lati maggiori le semi-colonne sono 14, nei minori 7, talché, al posto dell'ingresso centrale, vi era una colonna; con probabilità v'erano due ingressi minori negli intercolunnî estremi del lato orientale, ed uno nell'intercolunnio mediano del lato meridionale; il tetto era coperto di tegole fittili policromate, e la trabeazione era fornita di rilievi.
Perfettamente canonici sono due dei templi costruiti tra il 450 e il 430, detti di Era Lacinia (m. 38, 15 × 16,90; proporzione 1 : 2,25) e della Concordia (m. 39,44 × 16,91; proporzione 1 : 2,33); ambedue esastili e peritteri, hanno ridotta assai la curvatura di capitelli e colonne, e un sottile sistema di proporzioni regola i rapporti dei varî spazî e delle singole masse.
Probabilmente analoghi erano, per quanto poco noi ne sappiamo, i templi detti di Vulcano e dei Dioscuri, costruiti negli ultimi decennî del sec. V; il secondo è fornito di una trabeazione assai ornata e complessa, composta di fasce di ovoli rilevati, di astragali e rosette, che è dubbio se appartenga a una ricostruzione romana, o se piuttosto debba essere attribuita all'adiacente edificio pubblico romano (v. più oltre), avendone il tempio greco avuta un'altra, ora perduta.
Degli ultimi decennî del sec. V è anche il tempio detto di Esculapio, in antis, di piccole dimensioni, fornito di pseudoopistodomo.
Accanto a questo rigoglio di architettura di carattere sacro non possiamo annoverarne uno simile, di carattere pubblico e privato; se il terreno non ce ne ha rapito ogni resto, nessun importante edificio pubblico di età greca si conserva, e l'opera più importante a questo riguardo dev'essere considerata la rete dei canali per acqua, per mezzo dei quali questa, dalle sorgenti, veniva distribuita in tutti i quartieri della città e in una piscina artificiale (κολυμβήϑρα), in cui si versava il soverchio delle acque. Le case, a noi da poco tempo note, situate nella parte mediana della città, sono costruite in maniera primitiva: semplici sbancamenti nella roccia e nella terra, su cui doveva sorgere un elevato di mattoni crudi, sostenente un tetto ligneo con tegole fittili; queste case, fornite ciascuna di pozzo e di cisterne, sono distribuite senza regola e senza sistema, e tra esse corrono viottoli angusti e irregolari; non sappiamo se nelle poche parti piane della città esistessero quartieri meglio fabbricati.
Pressoché nulla rimane del porto, che pure doveva essere assai frequentato ed esteso.
In generale, la topografia della città presenta l'aspetto di un aggregato fortuito; non pare che la distribuzione delle parti sia stata fatta con un criterio d'ordine; ognuna è cresciuta da sé, e questo fatto, se ha tolto ogni ordine, ha dato però il pittoresco; estremamente pittoresco è infatti il distendersi dei templi nelle varie parti elevate della città, legati come da un legame imponderabile dalla bellezza della natura circostante.
La distruzione della città, avvenuta nel 456, tronca per due sec0li ogni attività costruttiva; a questo periodo risalgono pochi elementi delle mura, e forse un sacello a est dell'Olympieion.
L'epoca romana. - Un rifiorire di vita e di attività costruttiva si ha nel primo periodo della vita romana, nei sec. II e I a. C. La città, ricca di commerci, specialmente con l'Oriente, attinge dal benessere di cui gode, la spinta all'opera, in senso però ben diverso dal precedente periodo: allora i templi, ora le case, le tombe e gli edifici pubblici, secondo il carattere romano.
Edificio pubblico, per quanto non risulti totalmente chiaro, è una costruzione, costituita di un peristilio, circondante uno spazio piano, e sostenente il tetto che lo copre; alla piattaforma interna, poco più bassa del livello del suolo, conducono alcuni gradini; è forse una fabbrica di tipo prebasilicale. Due tombe monumentali, od heroa con podio e tempietto sovrapposto (cosiddetti "Oratorio di Falaride" e "Tomba di Terone"), ricordano sia nella struttura sia nell'ornamentazione forme dell'Asia Minore. Numerose sono le belle case, talune del tipo veramente romano, con atrio e peristilio, molte stanze, intonachi dipinti e qualche musaico; altre con solo peristilio ricordano tipi ellenistici; delle une e delle altre, sono noti almeno cinquanta esempî, posti nei siti più ridenti e solatii della città. È ancora a notare che i Romani restaurarono varî templi, quelli detti di Ercole, Era, Concordia, e quello di Esculapio.
La decadenza irrimediabile della città comincia col periodo imperiale; allontanatisi i confini, la Sicilia e specialmente Agrigento rimangono escluse dalle linee maestre del traffico e dell'azione, e non riescono più a collocarsi nel centro della vita; nessuna eco arriva delle grandi novità, pur sì largamente diffuse; per tutto il periodo classico e oltre dura la lenta decadenza.
Bibl.: Per il riconoscimento dell'antica città, grandi scavi vennero effettuati, in specie nella zona dei templi, dal Serradifalco. Poi ogni ricerca languì. Lavori notevoli vennero ripresi recentemente dal 1922 in poi, da E. Gabrici e Pirro Marconi con contributi finanziarî del capitano inglese A. Hardcastle. Furono risollevate varie colonne del tempio detto di Ercole e scavati i templi di Zeus, Demetra, Esculapio, come anche fu riconosciuto un tratto delle mura. Per la topografia generale: v. Schubring, Topografia storica di A., trad. it. di G. Toniazzo, Torino 1888. Per i templi: Serradifalco, Antichità della Sicilia, 1836, III; Koldewey e Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sicilien, Berlino 1899. Per gli scavi recenti: E. Gabrici, in Notizie degli scavi, 1925, p. 444 segg., 451 segg.; P. Marconi, ibid., 1926, p. 103 segg., 118 segg.; B. Pace, in Monum. ant. dei Lincei, 1922, p. 173 segg.; Pierre, in Archeol. e arti decorative, 1924, p. 385 segg.; P. Marconi, in Bollettino d'arte, 1926-27, p. 33 segg.; Jones-Gardner, in Journal of hellenic St., 1906, p. 207 segg.
La città moderna.
La moderna Agrigento è posta sulle pendici meridionali di un'altura (Duomo) che si eleva a m. 326 s. m., dalla cui costa dista poco più di 3 km., alla posizione geografica media di 37°18',5 di latitudine N., 23°34′,5 di longitudine E.
Il Clima vi è dolce, come comportano la latitudine e l'esposizione. La temperatura media annua è di 16°,4; il mese più caldo è il luglio con 25°,2; il più freddo il gennaio con 8°,9. La pioggia vi raggiunge la media annua di 513 mm. distribuiti in 74 giorni piovosi Che cadono quasi esclusivamente tra novembre ed aprile.
Secondo il censimento praticato nel 1578, il comune di Girgenti contava 12.750 ab., discesi a 9.335 nel 1653. Col sec. XVIII le sue condizioni accennano a migliorare, onde da 11.590 ab. nel 1714 salì a 15.886 nel 1798. Alla data della costituzione del regno (1861) era salita a 17.194 e da allora il suo progredire si è accentuato sempre più, passando a 19.845 nel 1871 (di cui 18.802 per il centro urbano), a 20.391 nel 1881 (19.380 nel centro urbano), a 25.024 nel 1901 (22.150 nel centro urbano) e a 29.823 nel 1921, di cui 25.663 viventi nel centro urbano e 4160 sparsi nel vasto territorio comunale che si estende per kmq. 332,74. Tali dati, che si riferiscono alla popolazione presente, poco differiscono da quelli della popolazione residente, lievemente superiore (30.074) nonostante un movimento non trascurahile di emigrazione, che prima della guerra raggiunse il suo massimo nel 1913 con 547 emigranti e dopo un prolungato periodo di arresto toccò i 716 nel 1920.
Della popolazione del comune su 1000 ab. 204 sono agricoltori, 135 addetti a lavori industriali, 32 addetti al commercio, 70 all'amministrazione pubblica o privata; 30 al culto o esercitanti professioni libere; 15 adibiti ai servizî domestici, 12 sono proprietarî o benestanti e 504 (donne per la quasi totalità) addetti alle cure domestiche.
Aspetto della città. - La moderna Agrigento occupa, come si è detto, solo la parte più elevata, forse l'acropoli della greca 'Ακράγας, la quale si protendeva più specialmente verso il mare. Estendendosi con direzione da est ad ovest su di una lunghezza di 1600 metri e una larghezza media di 300-400 m., essa occupa entro la cerchia delle sue antiche mura, che in parte risalgono all'età araba, un'area di circa 50 ettari. La sua interna struttura molto conserva dell'aspetto che le impressero i suoi riedificatori musulmani. Strade anguste, tortuose e scoscese, degradanti da nord a sud per un dislivello di un centinaio di metri, fiancheggiano la principale arteria cittadina, la via Atenea, tortuosa, strettissima ancor essa in varî punti, che, oltre l'angusta piazza del municipio, si prolunga nella più ampia via Garibaldi.
Ma a levante, fuori dell'antica porta Atenea, in direzione appunto della rupe di questo nome, si è andato negli ultimi decennî sviluppando un nuovo quartiere con costruzioni moderne ed eleganti, tramezzate da giardini e viali alberati. Quivi sorge, sulla bella piazza Vittorio Emanuele, il vasto palazzo del governo e più oltre il pubblico passeggio della villa Garibaldi, di cui s'iniziò la costruzione nel 1850. La vista che si dispiega sulla sottostante pianura e sul mare che la lambisce, nonché sugli avanzi cospicui della città greco-romana, forma qui un assai grato contrasto con l'angustia del vecchio agglomerato urbano, privo di luce e d'aria. Pure, in mezzo a quello qualche chiesa o qualche palazzo privato richiamano l'attenzione del visitatore e presentano un certo interesse artistico. Il duomo, dedicato a S. Gerlando, costruito nel sec. XIV, rifatto nel XVIII, ha un incompiuto ma grandioso campanile e conserva nella navata destra avanzi di affreschi del sec. XIV; nell'interno si ammirano il sepolcro di G. de Marino, opera di A. Mancino e G. Gagini, del 1492; il reliquiario argenteo di S. Gerlando (di Michele Ricca da Palermo, 1639), una Madonna con Bambino attribuita a Guido Reni. Nell'aula capitolare è un bel sarcofago romano (da originale greco) con la Storia di Ippolito, una Madonna con bambino, affresco del sec. XIV; nel Tesoro due teche bizantine in rame e smalto e un pastorale d'avorio. L'arte medievale è rappresentata dalla chiesa di S. Giorgio, con la sua bella porta del secolo XII, con la cornice a denti di sega; dalla chiesa di S. Maria dei Greci, piccola basilica a tre navate, in rovina, con un bel portale archiacuto, e avanzi di affreschi trecenteschi; dalla Badia grande che fu costruita nel 1299 dalla pia dama Marchisia Prefoglio, madre di Manfredi Chiaramonte conte di Modica, e presenta notevoli avanzi della costruzione gotica; dalla chiesa di S. Spirito, del sec. XIV, con una Madonna scolpita del sec. XV. Queste chiese, e qualche altra costruzione, mostrano come anche in tempi più recenti Girgenti mantenesse una certa importanza.
Vita moderna. - La città, che è sede di prefettura e di vescovado suffraganeo dell'arcivescovado di Monreale, offre le comodità di un centro civile. Varî istituti d'istruzione media governativi vi hanno sede: R. Liceo Ginnasio classico, Istituto tecnico, Istituto magistrale, Scuola complementare; un seminario vescovile che occupa il palazzo a tale scopo ceduto nel 1610 dalla famiglia Chiaramonte; una pubblica biblioteca Lucchesiana fondata nel 1765 dal munifico vescovo Andrea Lucchesi-Palli, ricca di 25.000 volumi e di incunabuli e manoscritti fra i quali taluni arabi medievali; un museo archeologico di recente riordinato che conserva specialmente statue e frammenti architettonici dell'antichità greco-romana e di tempi moderni; un vasto ed elegante teatro comunale intitolato alla regina Margherita.
Agrigento non vanta attività industriali notevoli, e le poche lavorazioni esistenti si riducono ad alcuni pastifici, fornaci di calce e di cementi, officine meccaniche di riparazione, fabbriche di mobili, ecc. Il commercio è attivo per l'esportazione di prodotti agricoli. A 2 km. dalla città trovasi la stazione della ferrovia per Rocca Palumba - Caltanissetta e Porto Empedocle, della rete principale sicula e della linea secondaria per Licata. Una nuova stazione sorgerà prossimamente al margine sud-est della città collegata con quella a monte ora esistente. Le serve di scalo marittimo il moderno Porto Empedocle (v.) distante 10 km. di ferrovia, il cui abitato sorto nel sec. XVIII venne costituito in comune autonomo nel 1863 distaccandosi da Agrigento.
Ma ciò che particolarmente forma la gloria di Agrigento e vi attrae i visitatori da ogni parte del mondo civile, e che ha suscitato l'ammirazione piena d'entusiasmo del Goethe, in pagine tra le più note del Viaggio in Italia, sono i resti della città antica e i suoi templi meravigliosi che rivaleggiano con i più celebri della Grecia.
Notizie storiche. - Il cristianesimo penetrò in Agrigento in epoca relativamente tarda, come attestano le iscrizioni cristiane (Corpus inscr. lat., X, 2, nn. 7196-8). Il protovescovo, Libertino, sarebbe stato martire sotto Valeriano e Gallieno (254-59). Ma non troviamo altri vescovi sicuri prima di Potamio, Teodoro e Gregorio, appartenenti al sec. VII. Un argomento addotto dal Harnack, per ritenere la chiesa di Agrigento anteriore al concilio di Nicea (325), è confutato da mons. Lanzoni (Le diocesi d'Italia, Faenza 1927, II, p. 639 segg.).
Decaduta sotto il dominio bizantino, la città di Agrigento fu facile preda dei musulmani dell'Africa, dai quali fu conquistata nell'829, abbattuta e riedificata più in alto, e ridotta a fortezza. Il nome si trasformò in quello attestato in documenti arabi, e latini, di G.r.ǵ. nt, Karkint, Grigentum, Gergentum (sec. XI), Girgenti (1130), rimastole fino al 1927, quando fu ripristinata la forma antica italianizzata di Agrigento. Sotto la dominazione musulmana, Girgenti continuò ad avere una certa importanza.
A varie riprese e a lungo la assediò e la saccheggiò il gran conte Ruggiero, prima di conquistarla (1086) ed elevarla a sede d'uno dei maggiori vescovadi dell'isola, con ricca e vasta diocesi. Gli Arabi però non s'acquetarono, sicché il vescovo allobrogo Gualtiero, traendo "magnos lapides de civitate veteri", fece costruire una torre (1127-1130) a difesa della chiesa e della città. La quale nel 1154 parve ad Edrīsī, nel suo linguaggio enfatico, una delle più belle dell'isola, "con palazzi che per altezza trascendevano quelli di altre città, e case che per la loro eleganza facevano strabiliare".
Travagliata assai dagli Arabi durante il regno e l'impero di Federico II di Svevia, fra le prime parteggiò con Palermo al Vespro Siciliano e dal 1283 fu sede di "Valle" con proprio giustiziere. Lungo il sec. XIV - pur subendo le vicende or liete e prospere, or gravi e cruente della potente famiglia dei Chiaramonte, che le avevano imposto gravi oneri, da cui fu liberata il 7 giugno 1392 - il suo comune si sviluppò: ottenne, il 23 novembre 1304, da re Federico II di Aragona le "Consuetudini"; e il 23 aprile 1366, da Federico III il Semplice, le immunità di dogana al pari di Siracusa e Trapani, come uno degli scali più importanti della costa. Il suo commercio fu continuo e prospero, anche nel lungo e infecondo periodo vicereale. Il seminario vescovile fu buon centro di studî, specialmente dopo la fondazione della Biblioteca Lucchesiana (1765). Nelle guerre per l'indipendenza italiana, prese posto fra le antesignane.
Il 14 marzo 1849 il vice-console inglese Oates scriveva che a Girgenti "la gente d'ogni classe ed età, vecchi e giovani, non vuol saperne di transazione (coi Borboni). Guerra! guerra! è il grido generale". Né va dimenticato che il 15 maggio 1860, un giorno dopo il proclama di Salemi, Girgenti e tutti i comuni della sua provincia si ribellarono ed insorsero contro i Borboni.
Bibl.: M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, I, p. 348; II, pp. 43, 143, 151, 157, 234, ecc.; Biblioteca arabo-sicula, passim; M. Amari e C. Schiaparelli, Edrisi: L'Italia descritta nel "Libro di re Ruggiero", Roma 1883, p. 36; Garufi, L'Archivio capitolare di Girgenti, ecc., Palermo 1903; id., Gli Aleramici e i Normanni in Sicilia e nelle Puglie, in Centenario di M. Amari, Palermo 1910, I, p. 71 segg.; V. La Mantia, Antiche consuetudini delle città di Sicilia, Palermo 1900, pp. l###viii segg., 57 segg.; G. La Mantia, Codice diplomatico degli Aragonesi di Sicilia, Palermo 1918, I, pp. 293, 393 segg.; G. Malaterra, De rebus gestis Rogerii comitis, ed. Pontieri, in Racc. degli Storici ital. dal 500 al 1500, Bologna 1928, V, p. i, fasc. 2 e 3; Memorie della Rivol. sicil. dell'a. 1848, Palermo 1898, p. 455.
La Provincia.
La provincia di Agrigento si estende nella parte meridionale della Sicilia fronteggiando la costa del mare Africano per circa la metà del suo sviluppo, tra il Belice e il Salso. Rimasta invariata nei suoi limiti e nella sua estensione dopo i recenti cambiamenti avvenuti nelle circoscrizioni amministrative della Sicilia, essa misura kmq. 3043,65 e confina con le provincie di Trapani, Palermo, Caltanissetta e con la nuova provincia di Ragusa. Salvo una limitata estensione di terreni pianeggianti lungo la costa marittima e nelle vallate dei fiumi principali che la solcano, principalmente il Platani, oltre ai due già ricordati che ne segnano i confini, essa presenta ovunque terreni collinosi e montani culminanti col M. Cammarata (m. 1578), presso il suo confine settentrionale, nel centro dell'isola. La natura del terreno è prevalentemente argillosa calcarea. Frequenti i depositi di zolfo e le manifestazioni pseudo-vulcaniche: sorgenti termali nel territorio di Sciacca, emanazioni gassose e vulcani di fango o salse nelle macalube di Agrigento. L'escavazione dello zolfo che si pratica nelle numerose solfatare, sparse più o meno in tutto il territorio della provincia, ne forma una delle principali ricchezze; ma la risorsa principale e l'occupazione prevalente degli abitanti è data dall'agricoltura che si pratica più o meno dovunque coltivando cereali, viti, ulivi, mandorli, pistacchi. Scarsissimi i boschi quasi ovunque abbattuti, nelle zone più elevate. Estesi i pascoli e praticata largamente la pastorizia. Dell'area totale della provincia solo il 4% è costituito da terreni improduttivi, di cui l'1,3% è considerato sterile per natura e il 2,7% è rappresentato da acque, strade e fabbricati.
Oltre lo zolfo, il sottosuolo fornisce asfalto, sale, marmi. Meschina l'industria, limitata a qualche lavorazione di consumo abituale. Dal complesso della popolazione si ha che il 309‰ è dedita all'agricoltura, il 1340‰ all'industria, il 20‰ al commercio, il 14‰ all'amministrazione pubblica o privata, il 5% ai servizî domestici; il 10% sono proprietarî o benestanti e il 493‰ (donne quasi tutte) attendono alle cure domestiche.
Buone ormai ahbastanza le comunicazioni interne per una bene sviluppata rete ferroviaria. Le comunicazioni marittime si effettuano specialmente per Porto Empedocle e per le minori marine di Sciacca e di Licata.
La popolazione della provincia mostra, al pari di tutta la Sicilia, una costante tendenza all'aumento. Da 217.943 ab. nel 1798 salì a 263.880 nel 1861 e poi a 285.535 nel 1871; a 307.888 nel 1881; a 380.666 nel 1901; a 393.804 nel 1911 e finalmente a 411.281 nel 1921 (popolazione presente e di fatto; quella residente o legale era di 429.896), cui corrisponde una densità di 135 ab. per kmq., alquanto inferiore alla media della Sicilia (158) ma superiore a quella complessiva del regno (125). La quasi totalità di questa popolazione vive aggruppata nei 55 centri di varia grandezza che la provincia comprende, dei quali 44 sono capoluogo di comune, e solo il 4% vive sparsa per le campagne. Ma già si nota una certa tendenza al moltiplicarsi delle case sparse, specialmente nel territorio del comune di Agrigento.
La natalità nella provincia è assai alta e nel decennio 1902-10 fu la più alta di tutte le provincie siciliane (38,3‰ media annua); nel 1927 fu del 31,4 mentre la mortalità in forte diminuzione discese da 36,2‰ (media annua nel decennio 1862-71) al 24‰ nel 1902-10, al 17,7‰ nel 1927. Diffuso ancora l'analfabetismo, sebbene in via di rapida decrescenza. Nel 1911 della popolazione di età superiore ai 6 anni solo il 36% sapeva leggere: nel 1921 la percentuale era salita al 48%. L'emigrazione, iniziatasi verso il 1880 e di carattere prevalentemente permanente e transoceanico, aveva raggiunto nell'anteguerra il massimo nel 1913 con 19.914 emigrati. Dopo l'arresto della guerra risalì a 15,257 nel 1920.