19/12/2022
Diego sì, Lionel no
Durante la cerimonia di premiazione, all'uomo che la narrazione unidirezionale attribuisce il titolo di calciatore più forte in attività e forse della storia del soccer, l'emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha messo sulle sp***e il Bisht. Una sorta di mantello tipico del Golfo Persico che è segno distintivo, per chi lo indossa, di regalità e benessere. Un inequivocabile indicatore dello status sociale privilegiato che significa potere dei pochi sui molti. Messi non ha fatto un plissé e lo ha tenuto.
È un aspetto importante? Di più, è decisivo.
Ormai da quasi un ventennio sedicenti esperti del gioco del calcio e tifosi di ogni latitudine si interrogano sul fatto che Lionel Messi possa essere considerato più o meno forte, non tanto di Cristiano Ronaldo il suo competitor contemporaneo, ma di Diego Maradona. Nello sport, pur essendo suggestivo, il confronto tra campioni di epoche differenti è esercizio forse irrisolvibile in via oggettiva per il fatto che il mondo, del quale il calcio non è che una piccola espressione, cambia in modo sostanziale alla velocità della luce, talvolta fino a stravolgere sé stesso. Insomma, è probabilmente tempo perso anche se a pensare all'impatto globale di Maradona su una partita viene voglia di farsi una risata al solo pensiero che qualcuno possa fare altrettanto. Questione di cromosomi e di carisma emanato. Differente, però, è la questione umana dove i paragoni diventano calzanti, oltre che fattibili, e la differenza tra Maradona e Messi, in tal senso, è la stessa che passa tra la loro tecnica di base, quindi stratosferica, e quella di Pasquale Bruno: c'è un abisso.
Diego, quel simbolo di potere, lui che il potere marcio e corrotto lo ha sempre combattuto pagando di tasca propria un prezzo salato per ogni singola scelta, non lo avrebbe indossato per nessun motivo al mondo. Coprendo in mondovisione la maglia del suo popolo che ha visceralmente amato e chinando il capo davanti alla tracotanza della peggiore oligarchia. Figuriamoci. Per Diego, i Tamim bin Hamad Al Thani erano i nemici, uomini che ha sempre disprezzato perché responsabili dell'infelicità di troppe persone e non si sarebbe mai prestato al teatrino servile che, invece, qualifica Messi per ciò che è: un bell'ingranaggio e non il granello di sabbia che lo inceppa, come continua ad essere Maradona anche dopo la sua morte. I suoi amici, infatti, non erano certo emiri e sceicchi ma i capi di Stato dell'America Latina che con fierezza sovrana combatte le angherie dell'impero. I suoi abbracci fraterni erano riservati a Chavez o a Fidel Castro, oltre che a tutti gli invisibili, uomini e donne relegate ai margini della società del profitto. Non a caso l'amore per Diego, ovunque si tiri un calcio a un pallone, è ancora lo stesso sentimento avvolgente di allora.
Messi è stato un grande calciatore, lapalissiano, e chi lo nega ha seri problemi di comprensione. Ora che può esibire il Mondiale che ha tanto inseguito, però, lo è molto di meno ma guai a dirlo se no i burattinai del marketing se ne risentono. Tuttavia non è questo il punto. YouTube esiste apposta per ricordare i suoi tanti meravigliosi goal a chi verrà in futuro, come per ogni campione del passato che sul campo ha lasciato un segno indelebile. Per trovare Maradona, invece, è molto meglio farsi due passi in un qualunque quartiere popolare di questo mondo. Lui sta lì, in mezzo a quelli che cercano il giusto riscatto senza mai perdere la propria dignità.