11/10/2023
Tutte vittime, tutti aggressori
Se un giornalista di Stato come l'ex direttore Rai Mauro Mazza, giustifica la strage di donne e bambini in corso a Gaza nel modo con cui lo ha fatto ieri sera su La7, quando con tono compiaciuto ha commentato ''è la guerra bellezza'', capisci come proprio la guerra faccia fare un passo indietro all'intera umanità.
Non ci sono parole per descrivere l'orrore che suscitano le scene dei massacri compiuti dai miliziani di Hamas su giovani, anziani, donne e bambini israeliani, colpevoli unicamente di essere ebrei o addirittura solo di vivere da liberi in quel paese. Eppure uno come Mazza potrebbe giustificarli con tono altrettanto cinico, rispondendo ''è l'occupazione bellezza''.
Il problema è che l'occupazione a differenza della guerra non suscita alcuna repulsione. O meglio, la suscita solo quando avviene sotto i nostri occhi, qui e adesso, magari ai confini di casa nostra, come accaduto con la mostruosa invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Ma se l'occupazione come quella israeliana a danno dei palestinesi risale a 56 anni fa, e per certi versi anche prima, allora non scandalizza più nessuno. E' talmente lontana nel tempo da considerarla acquisita, persino comoda. L'importante è che sia un'occupazione talmente schiacciante da non consentire più alcuna forma di resistenza, da impedire qualunque scampolo di reazione. Che se per caso l'occupato alza la testa e osa ribellarsi, allora l'occupante passa dalla parte della ragione, e da oppressore diventa la vittima. E' strano infatti come in queste ore la stragrande maggioranza degli osservatori occidentali si stia interrogando stupefatta sull'origine della sorprendente debolezza dimostrata dalle strutture di sicurezza israeliane, e non si ponga invece alcuna domanda sull'origine della stupefacente forza e rabbia sanguinaria dimostrata dalle milizie palestinesi. E' come se per i primi fosse ovvio solo dominare mentre per i secondi fosse naturale solo soccombere.
Ho frequentato la terra d'Israele per alcuni anni, prima come inviato e poi come corrispondente, e ho frequentato per la stessa ragione anche la terra palestinese, in gran parte occupata dalle forze israeliane. La prima cosa che ho imparato laggiù, è di non confondere mai il popolo con lo Stato a cui appartiene, e di non confondere mai lo Stato con la religione. Non tutti gli israeliani si identificano nell'estremismo dell'ortodossia ebraica, come non tutti i palestinesi si riconoscono nell'integralismo islamico. Non tutti i palestinesi si sentono rappresentati da Hamas, neppure gli oltre 2 milioni che vivono chiusi dentro la Striscia di Gaza molti dei quali sono addirittura cattolici. Allo stesso modo non tutti gli israeliani si sentono rappresentati dal governo Netanyahu. Non tutti i palestinesi odiano gli israeliani, e non tutti gli israeliani odiano i palestinesi. Vista in questo modo, si capisce meglio perché la sanguinaria irruzione delle truppe di Hamas tra i kibbutz dell'Israele meridionale, e i massacri compiuti dentro quelle mura indifese o tra i giovani riuniti a ballare nello psichedelico rave Supernova, abbia scioccato il mondo: perchè quelle truppe armate di mitragliatori e di odio, hanno fatto strage di centinaia di persone innocenti. Ma proprio perchè andrebbe visto allo stesso modo, non si capisce perché il massacro di centinaia di bambini, di donne e di anziani palestinesi in corso in queste ore a Gaza da parte di truppe armate di cacciabombardieri e di odio, non susciti il medesimo orrore. Se un'ingiustizia viene sanzionata con altrettanta ingiustizia, dov'è la differenza tra aggredito e aggressore? Non c'è forse il rischio di perdere compassione per la vittima quando per vendetta si trasforma in carnefice?
La seconda cosa che ho imparato negli anni trascorsi tra Israele e la terra palestinese, è l'esistenza di un doppio standard di stampo medioevale. Quel che vale per un israeliano non vale per un palestinese e viceversa. La libertà cui giustamente aspira un popolo, non è diritto riconosciuto all'altro. La vita di un bambino israeliano non vale come la vita di un bambino palestinese, e se gli israeliani hanno il diritto sacrosanto di sognare di viaggiare liberi, di investire i loro risparmi (avendo persino dei risparmi), di migliorarsi, di studiare, di costruirsi una nuova casa, ecco tutte queste elementari aspirazioni ai palestinesi sono negate. L'orizzonte al quale guarda un israeliano è lungo un vita, mentre per un palestinese di rado supera le prossime 24 ore.
E' vero, Israele è una democrazia e questo lo rende più simile a noi, mentre il sistema di governo che regola la vita dei palestinesi non lo è. Ma il popolo plaestinese che colpa ne ha? Non ne è anzi la principale vittima? Questa condizione di illiberalità non riguarda solo la Striscia di Gaza dove da oltre 16 anni Hamas impera col pugno di ferro e senza opposizione. Lo stesso accade anche in Cisgiordania, dove il presidente dell'Autorità palestineste Abu Mazen ha indetto le ultime elezioni nel 2005, e da allora le evita per paura di perderle. La differenza sostanziale tra le due entità è che Hamas rifiuta qualunque compromesso con lo Stato d'Israele e ne auspica la distruzione, mentre Abu Mazen negozia e subisce. Il risultato però è che l'occupazione prosegue per entrambi, non che Abu Mazen abbia ottenuto qualche beneficio per il suo popolo in cambio della moderazione. Al contrario, la Cisgiordania è da anni continua terra di conquista per i coloni ultraortodossi, che ormai l'hanno talmente frammentata in centinaia di mini-feudi occupati e di enclavi, da rendere impossibile anche solo immaginare la nascita di uno Stato palestinese con una pur minima continuità territoriale. A cosa serve dunque essere una democrazia se non riesce a produrre uguaglianza, se non sa disintiguere gli integralisti dai moderati, e se alla fine tratta tutti con la medesima intolleranza e con indistinta ingiustizia?
La definizione stessa di conflitto israelo-palestinese suona come una provocazione, perchè da una parte c'è uno Stato e un popolo sovrani mentre dall'altra c'è un popolo occupato senza ancora neppure un vero Stato. E allora è da qui che gli ultrapotenti arbitri internazionali dovrebbero cominciare a lavorare per costruire, e se occorre imporre, un futuro di convivenza. Ed invece continuano come fanno da decenni a manovrare questo conflitto per i loro scopi di politica interna. In realtà anche solo a immaginare una soluzione possibile si capisce di essere entrati nel campo della pura utopia. Perché nessuno crede davvero che sarà mai possibile veder nascere uno Stato di Palestina con i propri confini inviolabili, con i propri governanti democraticamente eletti, con le proprie leggi, la propria costituzione e persino con una sua capitale. E soprattutto con un popolo libero e sovrano, dotato degli stessi diritti inviolabili riconosciuti ai propri vicini, e uguali ai diritti di tutti gli altri popoli del mondo.
Fino a quel giorno dunque dobbiamo aspettarci altre stragi e altre ingiustizie, sapendo sin d'ora che saremo di nuovo pronti a ricadere nella stessa ipocrita saga dello stupore e che con le bende sugli occhi continueremo a gridare odio contro i carnefici. Rinunciando a capire che in quella terra santa e maledetta sono tutte vittime in realtà. E tutti sono aggressori.