01/03/2023
🐼🐼🐼Ritorniamo momentaneamente sui vostri schermi per questo *favoloso* pezzo di Giulio Tremonti sul corrierone🐼🐼🐼
Caro direttore, oggi lo strepito della guerra in Ucraina sovrasta il silenzio che avvolge i Balcani, ma tutti e due, quello strepito e questo silenzio, sono parimenti rilevanti per l’Europa, oggi che la storia si è rimessa in cammino con venti di guerra che spirano da oriente verso occidente. I Balcani, l’antemurale dell’Europa, un trapezio lungo più di mille chilometri e solo un po’ meno largo, un’area geograficamente impervia, non per caso Balkan in turco vuol dire monte, e tuttavia luogo di transiti caotici e di scontri, così che da secoli vi si fabbrica la storia. E così ancora è stato nel ‘900, un secolo che è iniziato con le «guerre balcaniche», che è proseguito con Sarajevo, che è terminato con la guerra di Jugoslavia. Questa una guerra locale, ma solo perché l’Urss si era appena dissolta e la Russia non era ancora apparsa nella sua attuale postura di dominio. Si ricordi comunque che quello della Jugoslavia è stato un caso impressionante di esercizio del cosiddetto «diritto di intervento», modernamente applicato da fuori, superando i secolari principi di Augusta e di Westfalia («cuius regio, eius religio). È per tutto questo che oggi, pur in una apparenza di quiete, si vede che il futuro dell’Europa non è solo in Ucraina, è anche nei Balcani, perché se per i Balcani l’Europa è importante, anche i Balcani sono importanti per l’Europa. Importanti per l’Europa che oggi non può fermarsi sul Danubio, se no è il Danubio che entra caotico in Europa. Dentro i Balcani si contano oggi ben sette Stati: Serbia, Bosnia, Erzegovina, Kosovo, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord. Stati che oggi hanno in comune una cosa: l’interesse a entrare nell’Unione Europea. Ma che per il resto e dall’immemorabile sono tra di loro diversi e spesso opposti, per geografia ed economia, per incroci di origine, di lingue e di religioni. Ed è soprattutto per questa ragione, certo non è solo per questa ragione, che oggi fare entrare i Balcani nell’Unione Europea è tanto necessario quanto difficile, perché se i Balcani tendono a essere caotici, quella dell’Ue è per suo conto e all’opposto una sofisticata ipercomplessa macchina politica. Un esempio, per cominciare: se i Balcani entrano nell’Ue, l’unanimità oggi prevista per il suo funzionamento passa da 27 a 34. E questo non è solo un dato numerico, perché così si eleva e al massimo grado il rischio che si manifestino influenze esterne — russe, islamiche, cinesi — influenze tali da paralizzare i processi decisionali dell’Ue. Non solo. Anche ad ignorare le decine di chilometri di «regole» europee che già sono in essere — tipo Bolkenstein — si può seriamente immaginare l’impegno dei Balcani per l’auto elettrica o per la casa verde, queste le ultime ma prossime idee «europee»? Eppure la storia insegna che tutte le diversità possono essere superate dall’Europa con intelligenza e pazienza politica. A Praga il cancelliere Scholz ha aperto al dialogo, a Strasburgo il presidente Macron ha fatto l’ipotesi di aggiungere a quella dell’Ue una nuova e più articolata e flessibile ingegneria istituzionale europea, a Trieste la presidente Meloni ha parlato dei Balcani con grande visione, e tutte queste sono le direzioni giuste, giuste per evitare che l’irrazionale si faccia reale e che l’irrazionale ci sia fatale.