
24/12/2024
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di Francesco Ereddia*
Magica notte
«In quel tempo fu emanato un editto da Cesare Augusto per il censimento di tutto l’impero… Mentre erano a Betlemme, si compirono i giorni in cui Maria doveva partorire, e diede alla luce il figlio suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché all’albergo per loro non c’era posto. Vi erano in quella regione dei pastori che pernottavano in mezzo ai campi per far la guardia al proprio gregge. Ora, un Angelo del Signore apparve loro, e la gloria del Signore li avvolse nella luce, sicché furono presi da un grande timore. Ma l’Angelo disse loro: “Non temete, ecco, vi porto una lieta novella: oggi vi è nato nella città di Davide il Salvatore, che è il Messia, il Signore. Questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Pace in terra agli uomini di buona volontà!”».
Da quasi duemila anni quell’evento prodigioso, narrato da Luca, come dagli altri evangelisti, con uno stile asciutto, scarno e vago, persino arido nella sua poetica semplicità – evento che ha certamente rivoluzionato e improntato di sé tutta la storia mondiale attraverso una serie infinita di scambi e interferenze tra la Chiesa e il potere politico di volta in volta costituito – viene celebrato liturgicamente e festeggiato in tutto il mondo con uno straordinario coinvolgimento individuale e collettivo che nessun’altra festa conosce in nessuna parte del mondo.
Un’umanità in crisi
Da tempo il mondo antico era sconvolto e stanco, da secoli erano ormai entrati in una crisi irreversibile i fondamenti della civiltà occidentale – di quella greca prima e della romana poi – che sulla propria superiorità culturale e spirituale, dunque razziale, aveva fondato i rapporti fra gli uomini e fra i popoli. Rapporti che avevano trovato la loro più concreta e drammatica espressione nella guerra, sintesi tragica di ogni controversia nazionale o internazionale, sacralizzato strumento di ogni violento equilibrio politico (“se vuoi la pace, prepara la guerra”: questo era stato lo slogan dell’imperialismo romano).
Nel I secolo a.C., però, a Roma, cuore dell’impero, erano avvenuti radicali rivolgimenti economici, sociali e politici. I vecchi equilibri si erano rotti, erano scoppiate sanguinosissime guerre civili: romani contro romani, membri di una stessa famiglia con le armi in pugno gli uni contro gli altri, fratelli contro fratelli. Adesso non era più così facile esaltare la guerra.
Serpeggiava ovunque nell’impero, a qualsiasi livello, mista a una profonda inquietudine e a un lacerante malessere esistenziale, quella che è stata definita “l’attesa soteriologica”, l’attesa cioè di un “Salvatore” che ponesse fine alle mille contraddizioni del reale e desse pace e serenità a tutti. E il poeta Virgilio (70-19 a.C.) nella Ecloga IV delle sue Bucoliche parlò della prossima nascita di un puer, che col suo primo sorriso avrebbe portato pace e prosperità nel mondo.
Cesare Augusto credette di poter rispondere a quell’ansia “soteriologica” proponendo se stesso come dio vivente: nelle province dell’impero venne diffusa nel 9 a.C. il culto dell’imperatore vivente attraverso la celebrazione del dies natalis, cioè il giorno di nascita, dunque il ‘natale’ di Augusto, come “principio del mondo”.
Ma presso un popolo del vastissimo impero, quello giudaico, l’attesa soteriologica già molto prima della nascita di Gesù era vòlta in senso messianico, di un messianismo apocalittico e profetico che culminava nell’attesa del Figlio dell’uomo, che sarebbe apparso, al compiersi dei tempi, come Messia (maschiah, il consacrato, l’unto”).
Un Natale di ricordi
A questo punto si potrebbe obiettare: ma partire da così lontano, dalla storia addirittura, può veramente aiutarci a capire il senso più profondo della festa e della celebrazione liturgica? Noi pensiamo che non solo la storia, ma anche la psicologia, la sociologia e le scienze etnoantropologiche possono aiutare a dare un senso a tutto.
A dare un senso anche all’atmosfera magica che si diffonde a livello collettivo e che ci suggestiona profondamente: le città vengono addobbate con festoni e luci e vengono allestiti mercatini natalizi, nell’aria gli altoparlanti diffondono canti di Natale, si pensa ai regalini, all’albero, al presepe.
Si riprendono i contati con parenti e amici, si organizzano incontri di società, ci si ricorda di quelli che non hanno avuto molto dalla vita, il ritmo normale della vita e del lavoro subisce una brusca ma piacevolissima interruzione.
E poi c’è il Natale che ciascuno di noi si porta dentro: un Natale di memorie, di ricordi, di odori, sapori, colori. Quanti di noi l’infanzia l’abbiamo lasciata da parecchi decenni ogni anno, puntualmente, anche senza volerlo e senza accorgercene, riviviamo scampoli di vita che ogni anno si allontanano sempre di più nel tempo, ma non nella memoria. Il maestro ci faceva scrivere le letterine da mettere sotto il piatto di mamma e papà: sarò più buono, ti voglio bene, vorrei tanto… Ripensiamo alle cartoline d’auguri, con quelle figure così semplici e autenticamente naïf, con quei paesaggi di neve così poetici nella loro ingenuità e genuinità: cartoline che ogni mamma si premurava di spedire abbastanza per tempo ai parenti lontani con la firma incerta ma compiaciuta di noi scolari alle prime armi.
E poi la novena in parrocchia in un’atmosfera elettrizzante di canti natalizi e presepi così suggestivi che uno avrebbe voluto entrarci dentro. La novena vissuta anche nell’attesa del sorteggio del Gesù Bambino di cera che ciascun bambino sognava di portarsi a casa. Una casa fredda come la grotta di Betlemme che odorava di agrumi, torroni, focacce e altri cibi sconosciuti (il panettone, gustato solo in quei giorni!) nel corso dell’anno.
Ogni anno tanti di noi rivivono anche per un solo attimo il “loro” Natale, che si fa memoria struggente, ricordo toccante, rivitalizzante mito, in una parola, che ogni anno ci è concesso di rivivere e che puntualmente, per fortuna, ogni anno ritorna.
L’abbondanza alimentare e i Saturnalia
Quel particolare che sopra si citava dei cibi d’ogni genere concessi dalla festa natalizia ci suggerisce una riflessione (quando si dice che certe deformazioni professionali non ti lasciano nemmeno farti cullare dolcemente dai tuoi mitici ricordi d’infanzia…!).
La festa della natività di Gesù, sconosciuta nei rimi tempi del cristianesimo, si cominciò a celebrarla nel 335 dell’era cristiana e venne fissata ora il 20 di maggio, ora il 25 o il 28 di marzo, comunque in coincidenza con l’equinozio di primavera, e fu papa Liberio che nel 354 la fissò al 25 dicembre, facendola coincidere con il solstizio d’inverno.
La Chiesa ha operato sempre non cercando di distruggere i luoghi sacri e i riti pagani, bensì innestando con intelligente lungimiranza i nuovi riti cristiani sul tronco del vecchio paganesimo: ad es., il tempio della dea Atena sulla piccola acropoli di Camarina venne trasformato in età bizantina in una chiesa cristiana dedicata alla Madonna.
Allo stesso modo si agganciò la festa della natività ai Saturnalia, feste religiose che in quel giorno di dicembre appunto, nella Roma precristiana, da secoli venivano celebrate in onore di Saturno, antico dio della semina e della prosperità dei campi. Saturno secondo il mito era stato il dio dell’Età dell’oro, quando tutti gli uomini vivevano felici, nell’abbondanza di tutte le cose e in perfetta uguaglianza tra loro.
Quelle feste, dunque, altro non erano che la riproposizione rituale periodica di quello stato di beatitudine primitiva, di quel paradiso definitivamente perduto ma ritrovato, nella finzione del rito, una sola volta all’anno.
Nei giorni dei Saturnali si festeggiava con conviti e banchetti, l’abbondanza dei doni della terra, ci si scambiava doni d’ogni genere e si concedeva la massima libertà ai servi, riproducendo il primitivo stato di uguaglianza e fratellanza tra tutti gli uomini.
La festa, i doni, il ritrovarsi: una ‘trasgressione’?
A questo punto, dopo che in più occasioni abbiamo parlato di festa, bisogna capire cos’è una festa nella sua essenza più profonda. E per fare questo abbiamo bisogno del prezioso aiuto delle scienze etnoantropologiche.
Sembra cosa assai semplice definire la “festa”, ma non è così: tante sono le teorie che da più di un secolo cercano di spiegarci le più profonde motivazioni psicologiche e sociali, individuali e collettive, nonché le finalità di un fenomeno che ogni anno si ripete e si rinnova.
Nella sua essenza la festa è, in primo luogo, una qualsiasi attività rituale inserita nell’organizzazione sociale del tempo; in secondo luogo, la festa è un’attività piacevole. Le due caratteristiche sono interdipendenti: essendo piacevole, la festa è ricordata nella memoria e anticipata nell’immaginazione, ed è per questo che tende a ripetersi nel tempo.
Durante l’estate – sostiene Marcel Mauss, artefice della fusione dell’etnoantropologia con la sociologia, la psicologia e la psicanalisi – i gruppi umani sono dispersi, l’intensità dei legami è ridotta al minimo, i rituali religiosi sono scarsi e di natura privata (un matrimonio, un battesimo, un funerale).
Al contrario, durante l’inverno la popolazione si concentra, i rapporti e gli scambi si intensificano, la vita religiosa è ricca e di natura collettiva. Si ha, allora, come uno stato di “effervescenza sociale” in cui il gruppo diventa visibile a se stesso come tale. La festa, dunque, consiste in un accrescimento della solidarietà e rinnova i legami sociali.
Anche i doni, i regalini natalizi, per lo studioso, che è capace di andare al di là dell’osservazione empirica, costituiscono un problema sociologico da esaminare con gli strumenti adeguati. Il dono è l’innesco di un rapporto reciproco tra due soggetti, da analizzare alla stregua di uno scambio differito, in quanto donare significa consegnare un bene nelle mani di qualcuno senza ricevere al momento in cambio alcunché.
Il solito Marcel Mauss - che con il suo Saggio sul dono del 1924 ha segnato l’ingresso del concetto di dono nelle scienze sociali – ha chiarito che forme di dono generoso e reciproco segnano appunto i momenti decisivi della vita sociale: momenti della vita domestica (matrimoni, anniversari, nascite) oppure momenti comunitari (feste collettive che scandiscono il calendario sociale, e fra queste naturalmente il Natale cristiano).
C’è da dire però, per dovere di onestà, che a partire dagli anni Sessanta, quelli del cosiddetto boom economico, l’industria del regalo ha conosciuto un’espansione considerevole, che ha fatto del Natale, del matrimonio e perfino della festa della mamma, speculazioni commerciali che hanno aggravato il consumismo.
Questa carrellata lascerà, tutto sommato, ognuno di noi a godersi serenamente, com’è giusto, e senza troppi perché il proprio Natale, ma forse ci ha aiutato a capire meglio cose sepolte tra le pieghe più nascoste dell’inconscio e dell’immaginario individuale e collettivo, cose di cui a noi, figli di una civiltà altamente tecnologica, sfugge abitualmente il significato più profondo.
Ci piace concludere con una frase di Sigmund Freud: «La festa è un eccesso permesso, anzi offerto, l’infrazione solenne delle regole e dell’ordine abituali e rigorosi del vivere sociale. L’eccesso è nella natura stessa di ogni festa».
Ma, ci chiediamo, se la festa è essenzialmente una “trasgressione” legittima delle regole, tutti gli appelli alla pace in terra e alla bontà, il voler riprendere e ricucire in occasione del Natale rapporti famigliari o sociali interrotti per motivi a volte futili, tutto questo è anch’essa una “trasgressione” alla rovescia, un voler essere buoni almeno una volta all’anno?
È anch’esso un “eccesso”, «l’infrazione solenne» di una regola umana purtroppo radicata e irreversibile, cioè quella di non potere o non volere essere “buoni” per tutto il resto dell’anno?
, di lingua e e , e autore di saggi e libri di rilievo nazionale.
Collaborazioni:
Casa editrice per la quale ha scritto Religiosità e società medievale e Mondo antico (in collab. con Virgilio Lavore);
Casa editrice per la quale ha scritto I servi dell’anticristo, dissidenti ed eretici nell’Italia medievale;
Casa Editrice di Palermo per la quale ha scritto, Ebrei, Luterani, omosessuali e streghe nella contea di Modica;
Casa Editrice per il quale ha scritto Il crogiuolo dello spirito. Cristiani, Musulmani, Ebrei, al centro del mediterraneo.