Uomini contro la criminalità e il terrorismo.Testimonianze di ieri e oggi.

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21/03/2024
Da sempre la mafia chiede il bavaglio per i giornalisti!Ora arriverà per legge!
09/02/2024

Da sempre la mafia chiede il bavaglio per i giornalisti!
Ora arriverà per legge!





L'OMICIDIO DI MARIO FRANCESE.Mario Francese è stato un grande, impavido, incorruttibile giornalista d'inchiesta, uno che...
26/01/2024

L'OMICIDIO DI MARIO FRANCESE.

Mario Francese è stato un grande, impavido, incorruttibile giornalista d'inchiesta, uno che per gli anni Sessanta e Settanta andava contro tendenza.
Alzava la voce contro la violenza, l'intimidazione, l'omertà, vedeva ed indagava laddove tutti gli altri si voltavano dall'altra parte e facevano finta di non vedere.
Mario andava oltre la notizia, andava in giro a chiedere alla gente, a parlare con la gente, a porsi delle domande e ad esigere delle risposte.
Originario di Siracusa, Mario coltivo' fin da piccolo la passione per la scrittura e la storia.
Dopo un periodo come collaboratore per il quotidiano "La Sicilia", nel 1958 entro' a far parte dell'ufficio stampa dell'Assessorato Regionale ai lavori pubblici.
Nel 1968 Francese si licenzio' dalla Regione e si dedicò a tempo pieno al giornalismo, divenendo redattore del "Giornale di Sicilia".
Negli anni Sessanta, prima da collaboratore esterno, poi da membro effettivo della redazione, Francese raccontò le sanguinose vicende della Cosa nostra di allora, dilaniata da continui scontri fra cosche.
Francese segui' da vicino la parabola di Luciano Liggio e i suoi tentacolari interessi criminali, intuendo prima di altri il ruolo crescente che avrebbe giocato il feroce clan corleonese.
Nel 1971 Francese intervisto' Ninetta Bagarella, fidanzata di Totò Riina, allora latitante, intercettata nel tribunale dove il pm chiese per lei quattro anni di confino in una città del nord.
Da cronista tenace, Francese segui' la Bagarella in una cancelleria dove era stata costretta a rifugiarsi per sottrarsi all'assalto dei reporter.
Riuscì a farla parlare.
L'obiettivo di Mario Francese era proprio questo: realizzare un giornalismo fatto di verità, arrivare prima e più avanti, rischiare, sporcarsi le mani e le scarpe in una costante attività di ricerca, scendere per strada e raccogliere frammenti di realtà dalla viva voce dei protagonisti, dei cittadini.

Il suo era un giornalismo n**o, vero, lontano dal compromesso, dall'autocensura, dalla riverenza verso il potere.
Le inchieste di Francese si basarono anche sui sequestri di persona di stampo mafioso, sui nefasti intrecci fra politica e affari illeciti.
Negli ultimi anni della sua vita, Francese realizzò una serie di approfondite inchieste sulla valle del Belice, divenuta una terra di conquista del potere mafioso, un campo minato destinato ad inghiottire soldi e vite umane.
"Chi fa il proprio dovere non deve avere paura", con queste parole il cronista rifiutò la scorta; nonostante ciò, egli era consapevole del rischio a cui si era esposto con la totale assenza di autocensura che lo caratterizzava.
Ricevette diverse telefonate intimidatorie fino a quando la sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato davanti al portone di casa mentre rientrava.
Venne raggiunto da cinque colpi esplosi da una calibro 38.
Morì a soli 53 anni.
La squadra mobile segui' subito la pista di Cosa nostra ma per vent'anni il delitto restò senza colpevoli, mentre il nome di Mario Francese si p***e nell'oblio e nell'indifferenza.

Le cose cambiarono grazie ai pentiti degli anni Novanta i quali indicarono in Leoluca Bagarella l'esecutore materiale dell'omicidio.
Il processo di 1°grado condanno' a trenta anni di reclusione Totò Riina e altri membri della Cupola, tra cui Francesco Madonia, Michele Greco e Leoluca Bagarella.
Le condanne furono poi confermate in appello e in Cassazione.

IL FALLITO ATTENTATO ALLO STADIO OLIMPICO DI ROMA.
23/01/2024

IL FALLITO ATTENTATO ALLO STADIO OLIMPICO DI ROMA.

FALLITO ATTENTATO ALLO STADIO OLIMPICO DI ROMA.

Il 23 gennaio 1994 un ordigno venne piazzato fuori dallo stadio olimpico a Roma, in viale dei Gladiatori in occasione della partita Roma-Udinese.
Schiere di tifosi, dentro e fuori lo stadio, ma anche agenti per mantenere l'ordine ed evitare qualche eventuale incidente.
Nessuno sapeva che lì nelle vicinanze vi era una bomba, una bomba pronta ad esplodere per far saltare in aria i carabinieri presenti quel giorno.
Quell'ordigno doveva esplodere per le 16:30, ora in cui finiva il match.
Fortunatamente non accadde nulla.
Non vi fu nessun morto e nessun ferito.
Questo fallito attentato rientra nella lunga stagione del terrore che la mafia corleonese inauguro' subito dopo le sentenze del Maxiprocesso del 1986 in cui furono condannati 475 imputati appartenenti a Cosa nostra.
Salvatore Riina e il suo clan giurarono vendetta contro uno Stato che li aveva messi alla sbarra e che non era stato in grado di garantire loro l'impunità.
Vennero assassinati tutti coloro che ostacolavano la loro sete di potere ma anche quei politici "traditori" che non erano stati in grado di essere dei referenti credibili, come Salvo Lima.

Iniziò così la strategia stragista con omicidi eccellenti e attentati anche fuori dalla Sicilia: Roma, Milano, Firenze.
L'attentato allo stadio olimpico è l'ultimo di una lunga serie dopo una sanguinosissima escalation di morte e violenza.

L'OMICIDIO DI GIAN GIACOMO CIACCIO MONTALTO.Gian Giacomo Ciaccio Montalto é stato un grande magistrato, uno dei migliori...
23/01/2024

L'OMICIDIO DI GIAN GIACOMO CIACCIO MONTALTO.

Gian Giacomo Ciaccio Montalto é stato un grande magistrato, uno dei migliori nel suo campo. Eredito' la passione per il diritto dai propri parenti, consegui' la laurea in Giurisprudenza a Roma e superò il concorso in magistratura.
Dopo l'immissione in ruolo gli venne conferito l'incarico di sostituto procuratore a Trapani.
Negli anni Settanta ricoprì il ruolo di pubblico ministero nel processo a Michele Vinci, il cosiddetto Mostro di Marsala.
Ma fra le tante indagini da lui condotte sono sicuramente da citare quella sull'inquinamento del golfo di Monte Cofano, quella sulla mancata ricostruzione dopo il terremoto del Belice, nonché quella sul filone siciliano del cosiddetto scandalo petroli e le tante inchieste di mafia, dovute soprattutto all'intuizione di Ciaccio Montalto sulle nuove mire egemoniche dei corleonesi e l'intenzione da parte del clan di Riina di scalare le gerarchie di Cosa nostra nel Trapanese.
Nel 1977 il magistrato condusse un'indagine sul narcotraffico che portò alla luce i legami dei clan con il mondo imprenditoriale e bancario.
Getto' luce sulla cosca dei Minore e sul sequestro dell'industria Michele Rodittis, concluso con l'omicidio dei responsabili da parte del suddetto clan alleato dei corleonesi, arrivando addirittura a far riesumare la salma di Giovanni Minore per accertare se effettivamente la morte fosse avvenuta per cause naturali.
Nel 1979 Montalto spicco' un mandato di cattura nei confronti di Totò Minore, costretto a fuggire da Trapani per evitare l'arresto.
Fu anche tra i primi ad applicare la legge sul sequestro dei beni Rognoni-La Torre e ad individuare in Riina, Provenzano, Messina Denaro e Bagarella alcuni dei più importanti capimafia. Nel 1984 firmo' 40 ordini di cattura per associazione mafiosa, che raggiunsero non solo alcuni membri di Cosa nostra ma anche diversi imprenditori della zona in odore di affari con la malavita organizzata.
Si era reso conto che Trapani era al centro di un crocevia di interessi criminali e che la sua provincia era una grande raffineria di droga.

Gian Giacomo Ciaccio Montalto venne ucciso nella notte del 25 gennaio 1983, a soli quarantuno anni, mentre stava rincasando a bordo della sua golf non blindata, dopo una cena a casa di amici.
Ad aggredirlo, tre uomini armati di mitra e pistole.
Il magistrato non aveva la scorta, nonostante le minacce ricevute.
Fuori dall'auto furono rinvenuti diciotto bossoli calibro 30 e 7,65 parabellum.
Secondo l'esame autoptico il magistrato fu raggiunto da quattordici proiettili.
Nonostante le numerose villette presenti nella zona, nessuno denuncio' l'accaduto e soltanto qualcuno affermo' di avere udito alcuni spari ma di averli attribuiti a cacciatori di frodo.

Per il delitto Ciaccio Montalto venne giudicato in contumacia il boss trapanese Salvatore Minore, che subi' una condanna all'ergastolo nel 1989 assieme a due mafiosi italo americani Natale Evola e Ambrogio Farina, ritenuti gli esecutori materiali dell'omicidio.
Il movente risiedeva nelle indagini condotte da Ciaccio Montalto sul traffico di droga e armi portato avanti fra la Sicilia e i Stati Uniti e sulle complesse operazioni bancarie mediante le quali veniva ripulito denaro sporco derivante da queste attività.
Per l'omicidio del magistrato furono condannati al carcere a vita Riina, come mandante, e Agate.

Il 19 gennaio 1940 a Palermo, nel quartiere popolare della Kalsa, nacque l'uomo che in futuro sarebbe divenuto uno dei m...
19/01/2024

Il 19 gennaio 1940 a Palermo, nel quartiere popolare della Kalsa, nacque l'uomo che in futuro sarebbe divenuto uno dei magistrati più temuti d'Italia: Paolo Borsellino.
Da sempre amico di Giovanni Falcone, suo compagno d'infanzia e collega, Paolo non fu soltanto un magistrato valoroso ma, assieme a Giovanni, un simbolo assoluto non soltanto della lotta contro Cosa nostra, ma soprattutto del concetto stesso di Giustizia.
Figlio di Diego Borsellino e Maria Pia Lepanto, titolari di una farmacia, Paolo dimostrò fin da piccolo una spiccata intelligenza e curiosità che si manifestarono chiaramente in età adulta.
Frequento' il liceo classico diplomandosi con il massimo dei voti e nel 1958 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza.
Paolo è stato un eccellente uomo di legge, un mentore, un esempio per tutti per la sua rettitudine, la sua condotta morale, la sua intransigenza, la sua incorruttibilita'.
Dotato di un intuito eccezionale, riuscì a scoprire le trame occulte che legavano le cosche mafiose con i politici e l'imprenditoria siciliana e non; entro' a far parte del pool antimafia ideato dal giudice istruttore Rocco Chinnici e, assieme a Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, preparò il Maxiprocesso che mise dietro le sbarre più di quattrocento affiliati a Cosa nostra.

Dopo l'omicidio di Falcone, comprese che dietro la morte del collega e di altri fedeli servitori dello Stato vi era una convergenza di interessi tra Cosa nostra e pezzi deviati dello Stato.
Probabilmente fu questo il movente che accelero' il progetto di eliminarlo.

Oggi Paolo avrebbe compiuto 84 anni e mi piace ricordarlo con questa frase:
"La morte di Falcone e la reazione popolare che ne è seguita dimostrano che le coscienze si sono svegliate.
Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro, dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera; facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che potremmo trarre, rifiutando il puzzo del compromesso morale, della contiguita' e quindi della complicità".

Buon Compleanno Dr. Borsellino. 🌷

LA CATTURA DELLA PRIMULA ROSSA.Il 16 gennaio 2023 fu arrestato l'uomo più ricercato d'Italia, il superlatitante Matteo M...
16/01/2024

LA CATTURA DELLA PRIMULA ROSSA.

Il 16 gennaio 2023 fu arrestato l'uomo più ricercato d'Italia, il superlatitante Matteo Messina Denaro, dopo trent'anni di latitanza.
Era ricercato dal lontano 1993, è da allora che fece perdere le sue tracce.
Originario di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro negli anni Novanta era divenuto il pupillo di Totò Riina, il quale lo prese sotto la sua ala come un figlio.
In tutti questi anni ci siamo chiesti dove potesse nascondersi, se fosse rimasto in Italia oppure si fosse imboscato all'estero.
Ma soprattutto chi lo proteggesse, che tipo di amicizie e complicità gli garantivano una latitanza durata trenta lunghi anni.
Matteo Messina Denaro era ricercato per innumerevoli reati commessi durante il periodo stragista complice dei corleonesi di Riina, partecipò alla pianificazione e al sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo assieme a Giovanni Brusca e a Leoluca Bagarella, prese parte alle stragi del 1992 che uccisero i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le loro scorte, agli attentati dinamitardi del 1993 a Milano, Firenze e Roma, con Giuseppe Graviano partecipò all'attentato fallito di via Fauro ai danni di Maurizio Costanzo.
Dopo l'arresto di Riina nel 1993, fu Matteo Messina Denaro a custodire i documenti e i segreti del vecchio padrino il quale riponeva fiducia in lui e sperava che il giovane rampollo di Castelvetrano potesse continuare la strategia stragista da lui adottata.
Ma negli anni Matteo cambiò il modus operandi nel fare mafia, non gli interessava seminare morte e terrore come i corleonesi.
Lui era più interessato agli affari, ad instaurare legami proficui con politici, imprenditori e a promuovere una mafia silente, silenziosa ma non meno pericolosa di quella sanguinaria.

Sono ancora molti gli interrogativi rimasti irrisolti sull'ex latitante.
Matteo infatti è deceduto pochi mesi fa perché malato di cancro allo stadio terminale.
Non ha mai voluto collaborare con la giustizia.
Con lui è morta anche la speranza di desecretare tutti quei misteri che ancora permangono e che si è portato nella tomba.
Chi custodisce l'agenda rossa di Paolo Borsellino?
Dove sono finiti i documenti e le carte di Totò Riina che prima dell'arresto del boss erano nella cassaforte della villa di via Bernini che non è mai stata perquisita dai carabinieri?
Chi ha garantito a Matteo Messina Denaro una latitanza così lunga?
Gli inquirenti hanno catturato soggetti a lui vicini, fiancheggiatori, parenti, familiari ma certi nomi importanti provenienti dal mondo della politica e soprattutto della massoneria che hanno avuto contatti con lui restano tuttora segreti.

Quando i tempi saranno maturi e qualche pentito, personaggio delle alte sfere o massone si deciderà a parlare, allora potremo dire di avere finalmente tutta la verità in mano.

L'OPERAZIONE BELVA.Era il 15 gennaio 1993 quando l'organizzazione criminale più forte in Sicilia, Cosa nostra, subi' un ...
15/01/2024

L'OPERAZIONE BELVA.

Era il 15 gennaio 1993 quando l'organizzazione criminale più forte in Sicilia, Cosa nostra, subi' un violento colpo inferto dai carabinieri del ROS capeggiati dal capitano Ultimo.
Crimor, il gruppo investigativo da lui guidato, pose finalmente fine alla lunga latitanza del capo dei capi, Salvatore Riina, dopo 24 anni.
L'operazione che mise le manette al boss fu denominata Operazione Belva e durò diversi mesi.
Dall'agosto 1992, i carabinieri del ROS si erano organizzati per dare la caccia a Riina.
Le indagini iniziarono a scandagliare i possibili covi dove poteva nascondersi e a fare terra bruciata su quel tessuto di connivenze necessarie a garantire la sua latitanza.
I carabinieri si basarono sulle dichiarazioni di Baldassarre Di Maggio, autista e uomo di fiducia di Riina divenuto collaboratore di giustizia.
Le sue testimonianze si rivelarono corrette.
Riuscirono ad individuare la villetta in cui il boss viveva con la famiglia e, la mattina del 15 gennaio 1993, dopo un inseguimento durato pochi minuti, riuscirono a catturare Riina.

Cosa nostra era stata finalmente decapitata, privata della sua testa, della sua mente, del suo cervello e della sua base di comando che per più di vent'anni aveva mietuto centinaia di vittime.

LE CONTROVERSIE GIUDIZIARIE E L'OMICIDIO DI NATALE MONDO.Natale Mondo, palermitano di origine, si arruolo' in polizia ne...
14/01/2024

LE CONTROVERSIE GIUDIZIARIE E L'OMICIDIO DI NATALE MONDO.

Natale Mondo, palermitano di origine, si arruolo' in polizia nel 1972, inizialmente prestò servizio presso il reparto autonomo del Ministero dell'Interno, poi presso le questure di Roma, Siracusa e Trapani.
Fu proprio a Trapani che incontrò Ninni Cassara', di cui sarebbe diventato braccio destro, trasferendosi alla squadra mobile di Palermo da lui diretta.

Dopo essersi miracolosamente scampato all'attentato del 6 agosto 1985, in cui vennero uccisi Cassara' e il suo agente di scorta Roberto Antiochia, venne arrestato ed incarcerato nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere per la morte di Salvatore Marino, picchiato a morte durante un interrogatorio in questura perché fra i sospettati dell'omicidio del commissario Beppe Montana avvenuto il 28 luglio 1985.
Nello stesso periodo, fu indagato con l'accusa di associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, essendo risultato in contatto con una banda dedita alla compravendita di droga legata al clan Fidanzati.
Proprio tale circostanza fece di lui un sospettato circa le informazioni fornite alla mafia sugli spostamenti di Cassara'.
Fu quindi accusato di essere un informatore di Cosa nostra che passava informazioni importanti riguardo il collega.
A scagionarlo fu la stessa vedova del vicequestore, che insieme ad alcuni colleghi testimonio' a suo favore, dicendo che si era infiltrato nelle cosche mafiose del quartiere Arenella, dove era nato, su ordine impartito dallo stesso Cassara'.

Ciò lo espose a ritorsioni da parte della mafia, che il 14 gennaio del 1988 lo freddo' davanti al negozio di giocattoli della moglie.
La Corte di Cassazione stabili' che ad assassinarlo erano stati Salvino Madonia e Agostino Marino Mannoia, condannati perciò all'ergastolo.
L'omicidio di Natale Mondo scateno' un vespaio di polemiche, che portarono alle dimissioni dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Antonino Nicchi, nonché all'incriminazione del commissario Saverio Montalbano, processato e successivamente prosciolto definitivamente.
Natale Mondo ricevette, postume, la medaglia d'oro al valor civile e la qualifica di assistente capo.

L'OMICIDIO DI FILADELFIO APARO.Filadelfio Aparo era vicebrigadiere della squadra mobile della Pubblica Sicurezza della Q...
10/01/2024

L'OMICIDIO DI FILADELFIO APARO.

Filadelfio Aparo era vicebrigadiere della squadra mobile della Pubblica Sicurezza della Questura di Palermo e stretto collaboratore del commissario Boris Giuliano.
Fu assassinato perché aveva una grande capacità mnemonica tale da ricordare e conoscere l'organigramma delle cosche mafiose palermitane.
Questa capacità gli fece guadagnare l'appellativo di "segugio".
Il sottufficiale era impegnato in delicate indagini mirate alla ricerca dei latitanti e all'individuazione delle principali famiglie mafiose di Palermo.

Originario di Lentini, arrivò da giovane alla questura di Palermo, dove operò prima nella sezione antirapina, per poi passare alla squadra catturandi, fino a divenire vicebrigadiere della squadra mobile di Pubblica Sicurezza.
Aparo venne assassinato l'11 gennaio 1979 sotto casa a colpi di lupara.
Fu travolto da una pioggia di proiettili non appena raggiunse la sua auto.
Nel febbraio 1979, a poco più di un mese dal delitto, fu arrestato Giuseppe Ferrante, un venditore ambulante riconosciuto da un testimone oculare come presente nei pressi del luogo dell'omicidio in funzione di palo dei killer. Fu, per questo, condannato all'ergastolo. Negli anni Novanta cinque collaboratori di giustizia - Gaspare Mutolo, Salvatore Cucuzza, Francesco Di Carlo, Francesco Marino Mannoia, Salvatore Contorno - dissero che Ferrante era estraneo ai fatti e i veri responsabili del delitto Aparo erano Pino Greco, detto "Scarpuzzedda", e Giuseppe Lucchese.
Gli avvocati di Giuseppe Ferrante presentarono richiesta per rifare un nuovo processo.
La richiesta fu rigettata.
Nonostante queste dichiarazioni Ferrante fu comunque considerato non del tutto estraneo all'omicidio del poliziotto.

A distanza di 45 anni questo delitto resta ancora avvolto dal mistero e sono tuttora poco chiari i veri mandanti.

L'OMICIDIO DI BEPPE ALFANO E QUELLA VERITÀ ANCORA AVVOLTA DAL MISTERO.Il delitto Alfano, a distanza di 31 anni, resta tu...
08/01/2024

L'OMICIDIO DI BEPPE ALFANO E QUELLA VERITÀ ANCORA AVVOLTA DAL MISTERO.

Il delitto Alfano, a distanza di 31 anni, resta tuttora tragicamente impantanato nelle nebbiose sabbie mobili di un'incertezza da cui forse solo oggi e soltanto in parte può considerarsi uscito.
Individuato, infatti, l'esecutore materiale dell'omicidio, in seguito ad un lungo e complicato iter processuale, in Antonino Merlino e, solo in appello, il mandante in Giuseppe Gullotti, proprio il magistrato Olindo Canali si sarebbe trovato ad essere soggetto ad indagini per sospetta corruzione in atti giudiziari a favore di Cosa nostra.
Il Pm è stato accusato di corruzione in atti di ufficio al fine di favorire la pronuncia di una sentenza "alleggerita" a carico di Giuseppe Gullotti.
Successivamente Canali fu assolto.

Beppe Alfano non era formalmente iscritto all'albo dei giornalisti, insegnante, aveva una passione per la sua terra, la Sicilia, che lo spingeva a porsi delle domande.
Troppe.
In ogni caso, lui a quelle domande andava cercando risposte.
Lo aveva fatto dapprima tramite alcune radio locali, poi dagli schermi di alcune tv private.
Le domande che si poneva riguardavano i soldi, il flusso di denaro che la mafia investiva nelle banche per farlo uscire pulito come il bucato.
Inoltre Alfano si poneva domande sui miliardi della mafia palermitana riciclati nell'acquisizione del villaggio turistico di Portorosa, attraverso il quale transitavano traffici di stupefacenti oltre che di armi e latitanti.
Infine, l'interrogativo più scomodo che lo assillava maggiormente era quello relativo alla presenza sul territorio di Barcellona Pozzo di Gotto, sua città di origine, e sotto la protezione del boss locale Giuseppe Gullotti, del capomafia catanese Nitto Santapaola, il cui nascondiglio, proprio nei giorni immediatamente precedenti l'omicidio del giornalista, Alfano promise di poter svelare al sostituto procuratore Olindo Canali, come lo stesso Pm rivelò in seguito.
Beppe Alfano condusse inchieste riguardanti i traffici di armi, la malasanità, gli appalti pubblici, la massoneria, le latitanze dorate di alcuni boss.
Alfano lavorò in radio e per diverse emittenti e testate giornalistiche: i suoi articoli sul quotidiano "La Sicilia" rivelarono gli intrecci tra mafia, imprenditoria e politica.

Il giornalista venne assassinato la sera dell'8 gennaio 1993 da tre proiettili mentre era sulla sua Renault 9, fermo, a cento metri da casa.
Segui' un lungo processo che, pur essendosi concluso con la condanna del boss Giuseppe Gullotti per l'organizzazione del delitto, e di Antonino Merlino come esecutore materiale, a trentuno anni di distanza ancora non ha assicurato alla giustizia i veri mandanti.

Gli imputati al processo di primo grado furono Antonino Mostaccio, ex presidente dell'Aias, accusato di essere l'ideatore e il mandante del delitto; il boss Giuseppe Gullotti, accusato di essere l'organizzatore e colui il quale, in virtù del suo potere, lo ha avallato; Antonino Merlino per essere stato il killer ed avere eseguito materialmente il delitto.
Merlino era un sicario di cui si serviva Gullotti per i suoi regolamenti di conti.
Dopo un iter giudiziario lungo e tortuoso che termino' ufficialmente il 27 aprile 2006 con la condanna definitiva di Antonino Merlino a 21 anni e 6 mesi di reclusione come esecutore materiale del delitto, la giustizia ha finalmente chiuso un capitolo importante nonostante permangano ancora oggi misteri sul cosiddetto terzo livello e le indagini continuano senza ancora ulteriori novità.

L'OMICIDIO DI GIUSEPPE FAVA.Giornalista, scrittore, romanziere, drammaturgo, pittore, sceneggiatore, Giuseppe Fava, al c...
04/01/2024

L'OMICIDIO DI GIUSEPPE FAVA.

Giornalista, scrittore, romanziere, drammaturgo, pittore, sceneggiatore, Giuseppe Fava, al culmine della propria carriera artistica, torno' a Catania nei primi anni Ottanta e, assieme ad un gruppo di giovani, prima alla guida del "Giornale del Sud" e poi a capo della rivista mensile "I Siciliani", denuncio' con determinazione, per primo ed in modo isolato, gli inquietanti risvolti del patto oscuro che politici, imprenditori e mafiosi stipularono a Catania.
Un impegno che gli costò la vita la sera del 5 gennaio 1984, quando fu assassinato con cinque colpi di pi***la.
La storia di Giuseppe Fava non è quella di un eroe, ma di una sfida eroica contro un potere più grande e più forte di lui, che tentò di calunniarlo e diffamarlo anche dopo la sua morte.
A fare da cornice una giustizia complice che per molto tempo evito' di fare i conti con il suo nome e con il suo esempio civico e professionale.
Giuseppe, detto Pippo, Fava era un personaggio scomodo, incorruttibile, uno che andava oltre le righe.
Aveva visto ciò che gli altri non vedevano o facevano finta di non vedere.
Quelle trame oscure tra uomini della politica, imprenditori e mafiosi in un sistema di clientelismi, favori, voti di scambio che inquinava non soltanto Palermo ma anche Catania.
Catania, la Milano del sud, con il boom economico che la caratterizzo' fin dagli anni Sessanta.
Un boom di ricchezza, con la speculazione edilizia, con nuove infrastrutture, nuovi servizi per i cittadini, con nuovi posti di lavoro.
Fava, con coraggio e determinazione, aveva capito che dietro a quell'arricchimento così consistente vi era lo zampino della mafia.
Quattro nomi facevano da sfondo in questa cornice: Gaetano Graci, Mario Rendo, Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro.
I quattro cavalieri del lavoro, gli imprenditori che costruirono fitti legami con la mafia catanese.
Pippo Fava colloco' questi personaggi nella struttura mafiosa dominante negli anni Ottanta, una struttura scandita da tre livelli: uccisori, pensatori, politici.
Per una mafia passata velocemente dal racket delle estorsioni a gestire i miliardi della droga e degli appalti pubblici, divenne di fondamentale importanza il ruolo delle banche per riciclare il denaro delle attività illegali ed immetterlo nuovamente in circolo tramite attività economiche legali.
Ogni livello della struttura mafiosa concorre a fare funzionare questo congegno:
manovalanza, livello decisionale che comprende il riciclaggio e l'investimento del denaro sporco, ed infine il livello politico.
Fava comprese che i cavalieri del lavoro avevano un ruolo decisivo nel destino futuro dell'economia di mezza Sicilia, supportati e spalleggiati dal boss catanese Nitto Santapaola e dai suoi sodali.

Il giornalista fu assassinato la sera del 5 gennaio 1984 a sangue freddo mentre, ancora a bordo della sua auto, si apprestava per andare ad assistere allo spettacolo teatrale della nipotina.
Bisogna attendere quasi vent'anni per conoscere la verità su ciò che accadde quella sera.
Fava fu ucciso per le sue indagini e per le sue attività di denuncia non solo del fenomeno mafioso, ma anche e soprattutto per le sue inchieste sui rapporti della mafia con il mondo politico ed imprenditoriale.

Gli esecutori materiali del delitto Fava sono Maurizio Avola, Marcello D'Agata, Francesco Giammuso, Vincenzo Santapaola e Aldo Ercolano.
Chi invece avrebbe beneficiato della morte di Fava?
Eliminare un personaggio scomodo come Fava rientrava nella convergenza di interessi non solo del boss Nitto Santapaola e dei cavalieri del lavoro ma anche degli ambienti di Cosa nostra palermitana.
Il processo per l'omicidio del giornalista si concluse con la pena dell'ergastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, mentre Maurizio Avola si prese nove anni di carcere.

L'OMICIDIO DI ACCURSIO MIRAGLIA E LA SUA LOTTA PER I DIRITTI DEI LAVORATORI.La notte del 4 gennaio 1947 a Sciacca, paese...
03/01/2024

L'OMICIDIO DI ACCURSIO MIRAGLIA E LA SUA LOTTA PER I DIRITTI DEI LAVORATORI.

La notte del 4 gennaio 1947 a Sciacca, paese dell'entroterra siciliano, Accursio Miraglia venne assassinato a colpi di arma da fuoco mentre rientrava a casa.
Già da qualche anno la Sicilia era attraversata da un grande fermento politico: i contadini si mobilitavano per il recupero e la redistribuzione dei terreni incolti e la fine del sistema latifondista.
Ma facciamo un passo indietro.
Chi era Accursio Miraglia?
Per quale motivo venne ucciso?
Chi avrebbe beneficiato della sua morte?
Accursio Miraglia era un sindacalista, presidente della Camera del Lavoro di Sciacca.
Fin da giovane si occupò delle lotte a fianco dei lavoratori, si batte' per conferire uguaglianza e giustizia ai contadini che si vedevano espropriare le proprie terre dai latifondisti.
Per lui dedicarsi al sociale era una ragione di vita, amava aiutare i bisognosi, i poveri, i meno fortunati in una delicata opera di attività sociale.
Era sempre a contatto con la gente, accanto ai loro problemi.
In politica Miraglia fu un forte sostenitore del Comitato di Liberazione di Sciacca, creo' e diresse la prima Camera del Lavoro siciliana a Sciacca nata per potere esprimere i diritti dei lavoratori e dare voce a chi voce non aveva.
Questa iniziativa dava loro la possibilità di riscossa e rivincita contro i latifondisti che volevano impossessarsi delle loro terre.
Grazie alla cooperativa "La Madre Terra", Miraglia divenne la voce della povera gente che chiedeva l'attuazione delle leggi Gullo-Segni che destinavano alle coop i terreni incolti dei latifondi.
L'impegno per aiutare gli altri gli attiro' le antipatie dei potenti che decisero di eliminarlo in quanto personaggio scomodo.

Accursio Miraglia fu assassinato per mano mafiosa il 4 gennaio 1947.
Tutta l'Italia diede l'estremo saluto ad un uomo che lottava con i fatti, con le azioni.
Un uomo che con i suoi discorsi semplici riusciva a gratificare la gente, a dare loro speranza e ad insegnare che la fratellanza e l'organizzazione erano fondamentali in quel periodo così difficile.
Per questo delitto fu subito denunciata la matrice mafioso-agraria, furono trovati esecutori e mandanti, ma intrecci politici hanno impedito alla verità giudiziaria di emergere e gli imputati sono stati tutti scagionati.
Il delitto Miraglia resta tuttora impunito.
Inizialmente a coordinare le indagini fu l'ispettore Ettore Messana che individuo' e arresto' i responsabili: Calogero Curreri che alcuni testimoni giurarono di averlo visto sul luogo del delitto, Enrico Rossi ed il suo gabellotto Carmelo Di Stefano.
Furono tutti scarcerati per mancanza di prove.
Successivamente le indagini passarono al commissario Giuseppe Zingone e al maresciallo dei carabinieri Gioacchino Gagliano che fecero arrestare Bartolomeo Oliva, Pellegrino Marciante e Calogero Curreri come esecutori materiali dell'omicidio.
Curreri e Marciante confessarono e rivelarono i nomi dei mandanti che furono immediatamente arrestati: il cavaliere Rossi, il dottor Gaetano Parlapiano, il barone Francesco Pasciuta, tre dei più conosciuti possidenti terrieri di Sciacca.
Vennero inoltre catturati i mafiosi Carmelo Di Stefano e Francesco Segreto, capi delle cosche di Sciacca.

Il processo sulla morte di Accursio Miraglia si chiuse senza nessun colpevole, né esecutore né mandante.
Sul banco degli accusati erano finiti invece coloro che le indagini le avevano svolte.

L'OMICIDIO DI GIUSEPPE MONTALTO.Giuseppe Montalto era un agente di Polizia Penitenziaria e, da un paio di anni, prestava...
23/12/2023

L'OMICIDIO DI GIUSEPPE MONTALTO.

Giuseppe Montalto era un agente di Polizia Penitenziaria e, da un paio di anni, prestava servizio presso il carcere dell'Ucciardone di Palermo, nella sezione di massima sicurezza.
Quella riservata ai detenuti per appartenenza ad organizzazioni criminali.
Fu assassinato il 23 dicembre 1995 a Palma, una frazione di Trapani mentre era con la moglie e la figlia.
Il delitto venne considerato un avvertimento di Cosa nostra nei confronti del trattamento dei boss nelle patrie galere.
Uccidere una guardia carceraria era un messaggio verso la categoria dei secondini e serviva da monito al fine di migliorare le condizioni di detenzione in cui vivevano gli ergastolani.
Anni dopo dall'omicidio, un collaboratore di giustizia, Francesco Milazzo, dichiarò che Giuseppe Montalto fu ucciso perché aveva sequestrato un biglietto fatto arrivare in carcere ai boss Mariano Agate, Raffaele Ganci e Giuseppe Graviano.
Venne condannato in qualità di esecutore materiale Vito Mazzara mentre i mandanti, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga e Nicolò Di Trapani furono condannati all'ergastolo.

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