04/01/2024
L'OMICIDIO DI GIUSEPPE FAVA.
Giornalista, scrittore, romanziere, drammaturgo, pittore, sceneggiatore, Giuseppe Fava, al culmine della propria carriera artistica, torno' a Catania nei primi anni Ottanta e, assieme ad un gruppo di giovani, prima alla guida del "Giornale del Sud" e poi a capo della rivista mensile "I Siciliani", denuncio' con determinazione, per primo ed in modo isolato, gli inquietanti risvolti del patto oscuro che politici, imprenditori e mafiosi stipularono a Catania.
Un impegno che gli costò la vita la sera del 5 gennaio 1984, quando fu assassinato con cinque colpi di pi***la.
La storia di Giuseppe Fava non è quella di un eroe, ma di una sfida eroica contro un potere più grande e più forte di lui, che tentò di calunniarlo e diffamarlo anche dopo la sua morte.
A fare da cornice una giustizia complice che per molto tempo evito' di fare i conti con il suo nome e con il suo esempio civico e professionale.
Giuseppe, detto Pippo, Fava era un personaggio scomodo, incorruttibile, uno che andava oltre le righe.
Aveva visto ciò che gli altri non vedevano o facevano finta di non vedere.
Quelle trame oscure tra uomini della politica, imprenditori e mafiosi in un sistema di clientelismi, favori, voti di scambio che inquinava non soltanto Palermo ma anche Catania.
Catania, la Milano del sud, con il boom economico che la caratterizzo' fin dagli anni Sessanta.
Un boom di ricchezza, con la speculazione edilizia, con nuove infrastrutture, nuovi servizi per i cittadini, con nuovi posti di lavoro.
Fava, con coraggio e determinazione, aveva capito che dietro a quell'arricchimento così consistente vi era lo zampino della mafia.
Quattro nomi facevano da sfondo in questa cornice: Gaetano Graci, Mario Rendo, Carmelo Costanzo e Francesco Finocchiaro.
I quattro cavalieri del lavoro, gli imprenditori che costruirono fitti legami con la mafia catanese.
Pippo Fava colloco' questi personaggi nella struttura mafiosa dominante negli anni Ottanta, una struttura scandita da tre livelli: uccisori, pensatori, politici.
Per una mafia passata velocemente dal racket delle estorsioni a gestire i miliardi della droga e degli appalti pubblici, divenne di fondamentale importanza il ruolo delle banche per riciclare il denaro delle attività illegali ed immetterlo nuovamente in circolo tramite attività economiche legali.
Ogni livello della struttura mafiosa concorre a fare funzionare questo congegno:
manovalanza, livello decisionale che comprende il riciclaggio e l'investimento del denaro sporco, ed infine il livello politico.
Fava comprese che i cavalieri del lavoro avevano un ruolo decisivo nel destino futuro dell'economia di mezza Sicilia, supportati e spalleggiati dal boss catanese Nitto Santapaola e dai suoi sodali.
Il giornalista fu assassinato la sera del 5 gennaio 1984 a sangue freddo mentre, ancora a bordo della sua auto, si apprestava per andare ad assistere allo spettacolo teatrale della nipotina.
Bisogna attendere quasi vent'anni per conoscere la verità su ciò che accadde quella sera.
Fava fu ucciso per le sue indagini e per le sue attività di denuncia non solo del fenomeno mafioso, ma anche e soprattutto per le sue inchieste sui rapporti della mafia con il mondo politico ed imprenditoriale.
Gli esecutori materiali del delitto Fava sono Maurizio Avola, Marcello D'Agata, Francesco Giammuso, Vincenzo Santapaola e Aldo Ercolano.
Chi invece avrebbe beneficiato della morte di Fava?
Eliminare un personaggio scomodo come Fava rientrava nella convergenza di interessi non solo del boss Nitto Santapaola e dei cavalieri del lavoro ma anche degli ambienti di Cosa nostra palermitana.
Il processo per l'omicidio del giornalista si concluse con la pena dell'ergastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, mentre Maurizio Avola si prese nove anni di carcere.