02/12/2022
🙏🙂Ringrazio Gianni Bortoli, storico medievista,
teologo e musicista, che ha dedicato del tempo a scrivermi pur non conoscendomi.
Desidero condividere con voi questa sua preziosa disamina.
‼️A PROPOSITO DEL “PARLAR VENETO”‼️
Mi riallaccio a quanto scritto da illustri giornalisti sul Corriere dei giorni scorsi nei riguardi della lingua veneta.
Essi affermano in sostanza, che irrigidire nello scritto un orale che è in continuo movimento, sarebbe impoverirlo e che normalizzarne le varianti linguistiche, sarebbe come condannarlo a morte! Mi chiedo allora: quale italiano avremmo oggi se non si fosse proceduto alla sua standardizzazione?
Studio linguistica sui territori da oltre 50 anni! E sono convinto che una lingua sopravvive solamente se scritta, con grafia e vocabolario ben definiti, insegnata a scuola, praticata nell’amministrazione, nei mezzi di comunicazione, nelle attività culturali, economiche e liturgiche.
In mancanza di una forma grafica comprensibile infatti, sono scomparse tante civiltà (europee, asiatiche, africane, australiane, mesoamericane etc…). E, pensando bastasse la tradizione orale, si è pure smarrita tanta musica, come gli splendidi spartiti rinascimentali ortodossi e le altrettanto preziose musiche tradizionali e mozarabe spagnole.
Hanno evitato la scomparsa, fissandone appunto i fondamentali, la lingua basca, fino al 1968 non scritta e frammentata in circa 28 sub dialetti, e la lingua catalana, la cui standardizzazione (tra il valenzano, il baleare, il roussilionese) avvenne nel 1906 e il cui primo vocabolario risale al 1932. Si sono salvati in tal modo anche il friulano, che ha avuto il suo grande impulso verso gli anni ’70 del secolo scorso, grazie al clero e alla scuola; e sulla loro falsariga si stanno evolvendo il ladino, il provenzale, l’occitano e altri idiomi minori…
Non è sufficiente che alcune volenterose insegnanti promuovano a scuola delle ricerche sul lessico e le tradizioni venete… Volenterose, ma fanno pura archeologia!
Le lingue minori richiedono di più! Hanno una grande importanza storica, scientifica, sociale, culturale e umana; sono la punta di un iceberg; appartengono all’identità di un popolo e di un continente. Si leggano a proposito gli atti del Convegno internazionale sulle lingue minoritarie tenuto all’Istituto Universitario Orientale di Napoli nel 1996 e ribadito nella Carta Europea delle lingue regionali, adottata dal Consiglio dei ministri dell’Unione Europea del 1992, che dice: …“la protezione delle lingue regionali o minoritarie storiche… contribuisce a mantenere e sviluppare la ricchezza e le tradizioni culturali dell’Europa”.
Pensare che sia meglio parlare una sola lingua cosiddetta “universale”, è una vera mistificazione, perché essere bilingui è un’opportunità e una ricchezza!
Lo hanno confermato al Convegno internazionale di studi sull’umanesimo latino (22.11.97) illustri linguisti quali il prof. Sergio Maria Gilardino dell’università McGill di Montreal e il prof. Bruno Villata, della Concordia University di Montreal, asserendo che i figli dei veneti emigrati in Canada, dopo un inizio scuola più tribolato, alla fine parlavano un inglese più ricco e più fluido di quello degli anglofoni, che spesso si esprimono per codici. Chi aveva appreso la lingua materna da piccolo, asserivano, da grande parlava le lingue nazionali e internazionali più idiomatiche e articolate da adulto, perché riverserà in esse tutto quello che sa nella prima.
La scomparsa di una lingua è una tragedia dal punto di vista culturale, perché con lei muore anche la sua cultura, le sue tradizioni, la particolare visione del mondo, la consapevolezza della propria identità, le canzoni, le poesie, i proverbi, i racconti…
Sono certo di una cosa: finché sono in vita gli anziani, il veneto si parlerà; ma se non si normalizzerà velocemente, fra 20-25 anni, esso scomparirà. I sintomi della sua decadenza si vedono già oggi tra i giovani.
In sostanza, se è vero che una lingua uniformata è una lingua che perde la fragranza del pane fresco e croccante… è altrettanto vero che è preferibile rinunciare a qualche ramo dell’albero, piuttosto che tagliarlo completamente; come è vero che nello scrivere una poesia si scelgono alcuni vocaboli a discapito di altri; che nella pittura si privilegiano alcuni colori scartandone altri; che nel comporre una melodia si preferiscono certi note e valori invece di altri… Ma solo così, morte, le opere saranno immortali!
Gianni Bortoli