17/11/2022
I due cent del nostro Mario Aloi sulla terza candidatura di Trump. Con un giorno di ritardo perché ha dovuto pensarci non bene ma proprio benissimo.
“Nel gennaio 2020 William Gibson, noto scrittore di fantascienza americano, esce con un romanzo, Agency, ambientato in una tempolinea alternativa in cui Hillary Clinton ha vinto le elezioni del 2016 ed è quindi presidente degli Stati Uniti. Pochi mesi dopo Curtis Sittenfeld dà alle stampe Rodham, in cui immagina che Hillary non abbia mai sposato Bill, sia arrivata al 2016 senza il fardello di controversie legate al brand Clinton, e anche qui abbia vinto la presidenza – stavolta nemmeno contro Trump, ma battendo Jeb Bush.
Se l’arte è una delle prime valvole di sfogo dell’inconscio collettivo, diciamo che due indizi fanno una prova. Gli americani hanno flirtato a lungo con l’idea che l’elezione di Donald Trump a presidente fosse solo un incidente della storia. Un dettaglio estraibile dal corso complessivo, perché tutto sommato privo di coerenza con il resto del flusso. Ovviamente questa idea è un’assurdità. L’annuncio che l’ex presidente correrà per la terza volta lo dimostra. Se d’incidente si era trattato, pare di natura piuttosto insistente.
A un primo ascolto, la parola più usata da Trump nel suo discorso di martedì – che conferma la solita struttura dadaista, fatta più che altro di non sequitur – sembra essere again, di nuovo. Alla fine è proprio entrato in loop, come peraltro gli capita spesso. We will make America powerful again. We will make America wealthy again. We will make America strong again. We will make America proud again. We will make America safe again. We will make America glorious again. And we will make America great again. Quello che Trump pare proporre al paese è quindi un’idea di restaurazione circolare. Che non va avanti, ma tutto sommato nemmeno troppo indietro. D’altra parte il trumpismo non è mai stato davvero superato.
Il tema che pone il lancio di questa nuova campagna è però ben più ampio dell’ostinazione del suo promotore, o della sua scarsa varietà lessicale. Solo in due casi, infatti, nella storia americana un presidente sconfitto dopo un unico mandato ha deciso di riprovarci. Una volta con successo, Grover Cleveland nel 1892, e una volta senza riuscirci, Martin Van Buren nel 1848. Entrambi quei momenti rappresentavano crocevia in cui stavano esplodendo le contraddizioni di regimi politici bene radicati: quello democratico inaugurato da Andrew Jackson prima e quello repubblicano lanciato da Lincoln poi. Senza voler azzardare paragoni storici rigidi, che non sono mai una grande idea, è però possibile che gli Stati Uniti si trovino a uno svincolo simile.”
L’ex presidente ha annunciato che si candiderà per la terza volta, imbottigliando la democrazia americana.