23/10/2023
✍️ di Francesco Ciro Miale (coordinatore Nazione Futura - Puglia)
Partiamo dalla fine: gli Stati membri dovrebbero essere lasciati liberi di adottare le misure più adeguate al raggiungimento degli obiettivi prefissati a livello europeo. Detto questo, veniamo alla notizia di questi giorni. Con l'entrata in vigore della nuova Politica Agricola Comune (PAC) 2023-2027 (la normativa partirà dal 2024), a cui contribuisce anche l’Italia con risorse finanziarie significative, alcune aree dell'Unione europea dovranno “sospendere temporaneamente” la propria produzione agricola locale per dare spazio al principio dell’avvicendamento colturale secondo le regole contenute nel Piano Strategico Pac (Psp). Le aziende agricole, al fine di ottenere un contributo economico ad ettaro, dovranno adottare la “rotazione colturale” sui seminativi al fine di migliorare, secondo le previsioni dell’Europa, la fertilità dei suoli, nonché per aumentare la biodiversità delle colture locali e ridurre lo sviluppo di infestanti e l’insorgenza di patogeni. In sintesi: stop alle monocolture e largo alla alternanza delle coltivazioni. Di fatto, impedire la monosuccessione, come ad esempio produrre per due anni di seguito la stessa coltura sullo stesso appezzamento (quindi non si può coltivare grano su grano, ma si può fare orzo-grano o grano-mais.) Naturalmente vi è anche l'Italia tra le aree interessate, nello specifico, la Pianura Padana e il Tavoliere delle Puglie. La politica agricola comune (PAC) è certamente una delle politiche dell'Unione europea di maggiore importanza, impegna infatti il 39% circa del bilancio, e rappresenta l'insieme delle regole che l'Unione europea, fin dalla sua nascita, ha inteso darsi riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi membri. Peccato che, in questa circostanza, pur seguendo le giuste pratiche di tutela della biodiversità non si è tento conto, allo stesso modo, dell’impatto economico su interi settori, imprese agricole e, di conseguenza, di tutta la filiera. Basti pensare che, in riferimento al nostro Paese, per il grano duro (indispensabile per la pasta) dalla Puglia sono arrivate 802mila tonnellate nel 2022, il 21,4% del totale nazionale, di cui il 16% nella sola provincia di Foggia e la Sicilia ne vanta 682mila, il 18,2%. Inoltre, il Piemonte ha prodotto 1,2 milioni di tonnellate di mais (importante per la zootecnia — e quindi per le carni) nel 2022, pari al 26,6% del totale nazionale, di cui il 10,6% nella sola provincia di Torino, la Lombardia 1,17 milioni, pari al 24,9%, il Veneto 1,04 milioni, pari al 22,1%.
La nostra preoccupazione è che continuando ad ostacolare la produzione locale aumenteranno sempre più le importazioni, che hanno già raggiunto percentuali notevoli.