Davide Grasso

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Davide Grasso Philosophy Ph.D.; Adjunct Professor, International University College; Postdoc, University of Turin
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Contrapporre le resistenze e le istanze dei territori in guerra, come fanno le fazioni conservatrici curde e palestinesi...
01/11/2024

Contrapporre le resistenze e le istanze dei territori in guerra, come fanno le fazioni conservatrici curde e palestinesi o i governi israeliano e turco, significa al contrario rendere impossibile ogni convergenza e rafforzamento delle lotte a livello globale o persino regionale e, come possiamo notare, consegnare l’iniziativa di costruire queste connessioni agli stati e ai loro apparati militari-industriali, allontanando dalle popolazioni ogni prospettiva di liberazione e vittoria. Individuare gli assi della resistenza non è un’opera da delegare a gerontocrazie assediate da anni dalla rivolta giovanile e popolare interna. Chi nel 2018, nel 2019 o del 2022 ha stuprato, fatto sparire o sparato a maree di giovani in rivolta in Libano, Siria, Iraq e Iran (e continuerà a farlo, come ha sempre fatto, lucrando politicamente anche sull’assenza di soluzione per la causa palestinese) non è, per milioni di non bianchi musulmani che vivono in quei paesi, l’asse della resistenza – ma l’asse della polizia.

L'asse della Resistenza è tutt'altro che omogeneo, come testimoniano l'azione della Turchia in Rojava, le ambiguità di Hamas in Siriae la pervicace posizione filo-isr aeliana della destra kurda. Solo una critica radicale del suprematismo e del colonialismo è una via d'uscita

Colonialismo d’insediamento e solidarietà transnazionale: quale critica verso nuovi assi della resistenza?Negli scorsi g...
29/10/2024

Colonialismo d’insediamento e solidarietà transnazionale: quale critica verso nuovi assi della resistenza?

Negli scorsi giorni bombardamenti dell’esercito turco hanno colpito il nord della Siria e dell’Iraq. Per comprenderli non dobbiamo recepire l’ennesima narrazione circa una “lotta al terrorismo” da parte di uno stato che da anni è aggressore e potenza occupante in entrambi i paesi. Abbiamo anzi il dovere, come in rapporto alla Palestina, al Libano o all’Ucraina, di individuare le dinamiche coloniali e imperiali che definiscono i contorni di un’operazione militare cui le istituzioni internazionali – e gli stessi stati siriano e iracheno – si stanno guardando bene dal rispondere. L’Iraq ha recentemente firmato accordi che permettono ad Ankara di colpire il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) sul suo territorio, dopo anni di blocco artificiale del flusso idrico verso l’Iraq attraverso il Tigri e l’Eufrate. Una simile politica di ricatto sull’acqua ha riguardato e riguarda anche la Siria del nord, dove i movimenti islamisti diretti dalla Fratellanza musulmana e dal partito di Recep Tayyip Erdoğan (Akp) praticano dal 2018 un sistematico colonialismo d'insediamento, cacciando centinaia di migliaia di persone dalle loro case e insediando famiglie selezionate attraverso una profilazione razziale e politica, come ho cercato di mostrare in una mia recente ricerca.

La violenta ingegneria demografica praticata dall’Akp, dai Fratelli musulmani e dai loro alleati in Siria (organizzati nella Coalizione nazionale siriana e nell’Esercito nazionale siriano) è volta ad annientare i dissidenti politici e le forze della resistenza democratica a questo disegno egemonico e neo-coloniale (organizzata nel Congresso siriano democratico e delle Forze siriane democratiche). Colpisce come il governo turco abbia appreso tanto dalle tecniche di colonizzazione quanto da quelle di annientamento politico mirato applicate negli anni da Israele in Palestina: sebbene i civili non vengano risparmiati dai bombardamenti, sono spesso i militanti dei movimenti rivoluzionari confederali (il Partito di unione democratica in Siria, il Pkk, le Ybş ezide o il movimento femminile Kongra Star) ad essere assassinati “chirurgicamente” dalle tecnologie aeree sviluppate dall’azienda TUSAŞ (Turkish Aerospace Industries Corporation, colpita dall’attacco del Pkk del 23 ottobre) con tecnologie fornite dall’italiana Leonardo.

Con queste armi l’esercito turco ha invaso tre volte via terra la Siria tra il 2016 e il 2019. Nelle zone occupate, da cui sono fuggite 300.000 persone, centinaia di comuni popolari e case delle donne sono state sciolte, i nomi dei villaggi e delle vie sono stati modificati per accentuare riferimenti ottomani e a una concezione dell’islam chiusa sulla legge e sulla conquista, cancellando secolari eredità sincretiche caratteristiche, paradossalmente, proprio delle fasi del complesso splendore ottomano, oltre a ogni traccia di toponomastica curda o assira e di culto o insediamento ezida. Templi antichissimi sono stati distrutti, mentre le comunità turcomanne della regione venivano scandagliate alla ricerca di giovani da usare come carne da cannone tra i gruppi jihadisti o fascisti locali; e le persone che, nelle stesse comunità turcofone, avevano una diversa inclinazione ideologica o religiosa (socialisti, anarchici, musulmani sufi o aleviti) sono stati marginalizzati quando non perseguitati.

Nelle campagne occupate di Afrin e Ras al-Ayn (Sere Kanî) è seguita una campagna di espropriazione delle terre e delle fattorie, nascosta dietro dubbi riferimenti a una guerra “per l’islam” contro “terroristi” e “infedeli”. Torture, rapimenti e stupri sistematici sono stati attuati per terrorizzare i giovani, le donne che difendono la propria autonomia e ogni gruppo dissidente, anche informale, all’interno della popolazione. Il difficile obiettivo è cancellare tracce e memoria della rivoluzione confederale che tra il 2012 e il 2019 ha attraversato quelle zone. Prima dell’occupazione queste città facevano parte dell’Amministrazione democratica autonoma del nord-est della Siria che, da Kobane a Raqqa, tuttora controlla un quarto del paese. Sebbene continui ad essere identificata dalla comunicazione occidentale con la sua parte geografica curda – il Rojava – l’Amministrazione è molto più estesa, ed è popolata da otto diverse comunità linguistiche, tra cui quella araba è maggioritaria.

L’attualità siriana, troppo spesso lasciata ai margini dall’analisi degli scenari di guerra, insegna che l’unico modo di comprendere il pianeta è studiarne le interconnessioni socio-politiche limitando l’insistenza su concetti aleatori come “etnico”, “religioso” o “culturale”. Il Mashriq (il Medio Oriente della terminologia imperiale statunitense) è un quadro politico profondamente interconnesso, che non può essere analizzato pezzo per pezzo. Non va considerato secondo le linee artificiali degli stati-nazione o per variabili identitarie immaginate come rigide, compatte e figlie dello sguardo razzista tanto caro all’orientalismo di matrice europea o statunitense – come se oltre i Dardanelli città, comunità, società e persone fossero definite da identificazioni passive e ancestrali, incapaci di scegliere opinioni e valori secondo diversi itinerari di vita, e dividersi all’interno delle stesse fedi, famiglie, comunità linguistiche e geografie per instaurare legami o assonanze che travalicano questi confini (come sarebbero invece in grado di fare gli israeliani, o saremmo in grado di fare in Italia, negli Stati Uniti, in Russia, ecc.).

Il disegno sionista di ingegneria demografica e sterminio in Palestina e Libano non può a sua volta essere compreso se non attraverso uno sguardo all’intera regione e a tutte le forze – non soltanto statali, ma anche riferibili ai movimenti sociali più o meno organizzati – che si affrontano in quel contesto. La critica teorica e pratica del sionismo non può che essere conseguenza di una critica coerente e complessiva, quindi radicale, del colonialismo come tecnica e prassi. Non esistono gruppi sociali, a qualsiasi titolo subordinati, che siano ideologicamente o politicamente omogenei. Le fazioni conservatrici legate al Consiglio Nazionale Curdo siriano – che si oppone in Rojava all’altra resistenza curda, quella coinvolta nell’Amministrazione autonoma bombardata dalla Turchia – hanno sempre avuto, come le loro compagini sorelle irachene, simpatie per Israele; la destra palestinese (ad esempio Hamas), attraverso i suoi rapporti con la Fratellanza musulmana regionale, supporta pratiche di colonialismo di insediamento e sostituzione demografica fuori dalla Palestina.

La branca di Hamas attiva nella guerra siriana, Aknaf Bayt al-Maqdis, ha approfittato nel 2018 delle politiche neo-coloniali turche per insediare i propri militanti e le rispettive famiglie nella provincia di Aleppo con gli stessi gruppi che saccheggiano le risorse e l’ecologia locale (ad esempio la produzione e il commercio di olio di oliva ad Afrin). Personalità legate ad Hamas si sono non a caso congratulate pubblicamente con Erdoğan per l’invasione di Afrin nel 2018 («Si spera che saremo tutti benedetti dalle vittorie della Ummah islamica in molte parti del mondo, come ad Afrin»), come con Aliye per quella delle regioni dell’Artzakh che, nel 2023, avrebbero condotto all’espulsione dalle loro terre di centinaia di migliaia di abitanti armeni. Le già menzionate forze conservatrici curde invece, che dagli anni Settanta cooperano con Israele e sono ostili al movimento socialista in Rojava, supportano in Siria (per un paradosso soltanto apparente) proprio lo spettro di forze che Hamas ha a lungo sostenuto (ad esempio Liwa Omar Ibn al-Khattab, parte di Jaish al-Haramoun), e che sono sostenute anche da Israele stesso.

La riproduzione, da parte di gruppi anche curdi o palestinesi, di pratiche politiche che non appaiono liberate da forme di mentalità coloniale, ci ricorda come anche le nostre resistenze abbiano visto in Europa combattere persone pronte a morire per la propria libertà, ma indifferenti al destino di chi era colonizzato o sterminato dalle nostre stesse nazioni in altre parti del mondo. Lo stesso vale per l’Ucraina attuale e per tutti “noi”, quale che che sia il “noi” cui ci vorremmo riferire. Ogni resistenza è un campo di battaglia, anche al proprio interno, perché è nello scontro anche sotterraneo tra diverse opzioni e progetti che si decide non soltanto la sconfitta o la vittoria, ma anche la loro portata e il loro significato.

Dall’appartenenza di un’organizzazione alla lotta di un popolo occupato o colonizzato non sembra discendere, almeno non automaticamente, un posizionamento la cui giustizia o efficacia siano esenti da controversie all’interno della comunità dei resistenti e delle persone direttamente coinvolte, se è vero che esistono organizzazioni curde e palestinesi che articolano critiche al colonialismo fondate su sguardi e concezioni del mondo di tutt’altra profondità (sono quelle che hanno tentato nella storia – non a caso – di connettersi in varie forme l’una con l’altra). La cruda presa d’atto delle lacerazioni esistenti tra e dentro le organizzazioni di resistenza non deve condurci a voltare le spalle alle resistenze popolari (vale anche per quella ucraina). Si tratta, al contrario, di stringere legami ancora più forti, diretti, concreti e direzionati a movimenti che, superando le logiche suprematiste costruite attorno a identità tanto riduttive quanto immaginarie, curvano il concetto di resistenza in senso rivoluzionario – ossia verso un rovesciamento della ripetizione dell’identico.

Contrapporre le resistenze e le istanze dei territori in guerra, come fanno le fazioni conservatrici curde e palestinesi o i governi israeliano e turco, significa al contrario rendere impossibile ogni convergenza e rafforzamento delle lotte a livello globale o persino regionale e, come possiamo notare, consegnare l’iniziativa di costruire queste connessioni agli stati e ai loro apparati militari-industriali, allontanando dalle popolazioni ogni prospettiva di liberazione e vittoria. Individuare gli assi della resistenza non è un’opera da delegare a gerontocrazie assediate da anni dalla rivolta giovanile e popolare interna. Chi nel 2018, nel 2019 o del 2022 ha stuprato, fatto sparire o sparato a maree di giovani in rivolta in Libano, Siria, Iraq e Iran (e continuerà a farlo, come ha sempre fatto, lucrando politicamente anche sull’assenza di soluzione per la causa palestinese) non è, per milioni di non bianchi musulmani che vivono in quei paesi, l’asse della resistenza – ma l’asse della polizia.

Non andiamo lontano se immaginiamo blocchi di popolazioni e nazioni usati (o da usare) gli uni contro gli altri come se vivessimo in uno scontro tra “culture” omogenee, o stati e blocchi di stati. La liberazione dalla guerra, anche se lo si volesse, non arriverà così – se non nei sogni di chi si illude persino sul significato delle proprie pose digitali. In Siria, in Palestina, nel Caucaso o in Ucraina le persone si battono, come avverrà forse (prima di quanto pensiamo) anche da noi, organizzandosi come possono di fronte a forze preponderanti, sostenute da superpotenze mondiali diverse accomunate da politiche coloniali analoghe negli scopi e nelle tecniche; forze mosse non dal demonio, ma dalla volontà di estrazione di energia umana e non umana dalla terra, e disposte a cancellare fisicamente chiunque non si conformi all’infinito ciclo autodistruttivo cui l’umanità viene sottomessa. Unica solidarietà che può danneggiare i piani di queste forze è quella che tenta di demolire la mentalità che giustifica il colonialismo estrattivo di insediamento e di rapina, lo denuncia come tale ovunque si manifesti, e costruisce cooperazione sovversiva transnazionale attorno a questo attrattore politico.

(Leggi l'articolo con i link a tutte le fonti su DINAMOpress: https://www.dinamopress.it/news/colonialismo-dinsediamento-e-solidarieta-transnazionale-quale-critica-verso-nuovi-assi-della-resistenza/)

For all friends and colleagues in  : today at the   (Campus Condorcet, , Bâtiment Nord, Room 0.004) we will start our tw...
28/10/2024

For all friends and colleagues in : today at the (Campus Condorcet, , Bâtiment Nord, Room 0.004) we will start our two-day atelier on the Syrian and Sudanese uprising/revolutions and their lexicon. Here is the program:

DAY 1.OCTOBER 28

9.30-10am: Emma Aubin-Boltanski , Barbara Casciarri and Boris James; introduction

10-12.30am: Workshop on the article by Stefano Manfredi (linguist, CNRS) and Barbara Casciarri (Anthropologist, Université Paris 8) "Indexical (re)ordering and commodification of linguistic resources during the December Revolution in Sudan" Journal of Arabic Sociolinguistics 1.2 (2023): 206-
226.

12.30am-2pm: Lunch break

2-3.30pm: Harb ahliyya/harb madaniyya? What words to describe the war and how to get out of it?
- Munzoul Assal (Anthropologist, University of Khartoum, Chr. Michelsen Institute, Bergen): “How civilians are ‘civilian’ in Sudan wars?”
- Franck Mermier (Anthropologist, CNRS): “What Civil means in the Arabic translation of Civil War”
Discussant: Thomas Pierret (Politicalscientist, CNRS/IREMAM).

4-5pm: Contrepoint: The Sudanese Revolution in Lebanon
- Anna Reumert (Anthropologist, The New School for Social Research): “Lebanon's other thawra: Sudanese migrant workers' movement for return”
Discussant: Alice Franck (Geographer, Paris 1/PRODIG)

DAY 2.OCTOBER 29

9- 10.30am: The “tribal fact”: gabaliya and ‘asha’iriya
- Barbara Casciarri (Anthropologist, Université Paris 8/LAVUE): “Gabila and gabaliya. Sudanese variations between revolution and war”
- Haïan Dukhan (Political Scientist, Teesside University): “Negotiating Identity: The Reconfiguration of Tribal Power in the Syrian War”
Discussant: Eylaf Bader Eddin (Arab Studies, Davidson College)

10.30-11am: Break

11-12.30am: The ethnic or national referencesreconfiguration: the Kurdish case
- Boris James(Historian, University Paul-Valéry Montpellier3): “’Kurd yekbûn tune’. Talking about unity in Syrian Kurdish circles”.
- Davide Grasso (Dept. Culture Politics and Society, University of Torino): « A Revolution for what Nation? Excentricity of PYD in the Syrian Political framework”.
Discussant: Barbara Casciarri (Anthropologist, University Paris 8)

12:30am-2pm: Lunch Break

2–3:30pm: The place of women in the revolt and the trial of war
- Elsa Maarawi (Sociologist, Université Picardie Jules Verne: “Tamkîn an-nissa: between humanitarian work in exile and the development of a societal project”
- Aroob Al-Faki (University Paris 8, University of Khartoum) and Shereen Al-Nour
(University Paris 8, University of Bahri): “From Kandakat and Harisat to Hara'ir and Akhwat rujal. The backlash against Sudanese women from revolution to war”.
Discussant: Charlotte Al-Khalili (Anthropologist, University of
sussex)

The event is public and will be held in english.

Questa è un'immagine dei bombardamenti turchi poche ore fa sulla città siriana di Tell-Rifaat. Simili bombardamenti hann...
25/10/2024

Questa è un'immagine dei bombardamenti turchi poche ore fa sulla città siriana di Tell-Rifaat. Simili bombardamenti hanno colpito decine di località tra e per sopprimere le istituzioni locali democratiche e rivoluzionarie che il governo turco considera terroriste, identificandole con il P*k, organizzazione che ha rivendicato l'attacco di Ankara contro TUSAŞ (Turkish Aerospace Industries Corporation), l'azienda che in collaborazione con Leonardo produce armi e velivoli da guerra responsabili di migliaia di morti negli ultimi anni tra , Siria e Iraq.

Occorre mobilitarsi per la Siria e l'Iraq in parallelo con le mobilitazioni contro lo sterminio israeliano in e l'invasione del , e contro l'invasione e occupazione russa dell' . Tutte le potenze impegnate in imprese imperiali e coloniale devono essere denunciate, tutti i movimenti per una società libera dal colonialismo, dal capitale e dal patriarcato devono essere sostenuti – in Palestina, Libano, Siria, Iraq, Turchia, Iran e nell'Europa dell'est. In alcuni contesti sono movimenti in difficoltà, nella Siria del nord è un movimento enorme che sta riuscendo a costruire e difendere un'alternativa.

Anche per questo la Siria e la sua unica rivoluzione riuscita – quella confederale – non devono essere dimenticate. Moltiplichiamo le prese di parole e le attivazioni in favore del movimento confederale sotto attacco.

A Torino manifestazione stasera, venerdì 25 ottobre, in piazza Castello h 20.30.

The Turkish government, in support of the Syrian Muslim Brotherhood and allied groups, has been implementing a policy of...
25/10/2024

The Turkish government, in support of the Syrian Muslim Brotherhood and allied groups, has been implementing a policy of bombing, military occupation and settlement colonialism in northern Syria for years. Here you can read my latest research on the characteristics of the demographic engineering implemented by Turkish and Syrian Islamist movements in the northern areas of the country: https://www.researchgate.net/publication/384725220_Ethnic_or_political_cleansing_Identity_cultural_heritage_and_demographic_engineering_in_the_Turkish-occupied_territories_of_northern_Syria

A series of theoretical and methodological considerations on how to address and interpret these problems precede the analysis in the article, in order not to view colonialism, imperialism and the Mashrek-situated, opposing and very different social movements through lenses veined of counterposed supremacisms, or detaching each of them from their (friendly or conflictual) relations and the broader context.

The research has been published under the title "Ethnic or political cleansing? Identity, cultural heritage and demographic engineering in the Turkish-occupied territories of northern Syria",
in the special issue of the journal De Europa. European and Global Studies Journal, edited by Rosita Di Peri and Chiara Maritato and titled: "A Matter of Identity? State legitimacy between space control and adhocratic governance", 7/1, 2024 (DOI: http://dx.doi.org/10.13135/2611-853X/10572; ISSN: 2611-853X)

PDF | The paper analyses the military invasions and demographic engineering perpetrated by the Republic of Turkey in the Syrian Arab Republic from 2016... | Find, read and cite all the research you need on ResearchGate

Per tutte le amiche e gli amici di   e del   che vivono e lavorano nel mondo della ricerca precaria: domani, martedì 22 ...
21/10/2024

Per tutte le amiche e gli amici di e del che vivono e lavorano nel mondo della ricerca precaria: domani, martedì 22 ottobre, h 17.30 al Campus Luigi Einaudi (Aula A1) siete invitat* a questa Assemblea Precaria Universitaria - Torino autoconvocata per discutere le mosse collettive e reagire alla decisione del governo Meloni di frammentare ulteriormente i contratti della ricerca, tagliare ulteriormente (e pesantemente) i fondi ordinari a discapito di student* e lavoratrici e lavoratori del sapere, produrre meccanismi contabili che condurranno a un abbassamento complessivo dei già bassi stipendi per chi lavora all'Università.

Unico modo per difendere la nostra dignità e migliorare la nostra condizione è vederci... e prendere decisioni!

Ci vediamo domani h 17.30 al Campus!

PS. Sulle pagine Facebook e Instagram dell'Assemblea precaria universitaria di Torino troverete aggiornamenti, informazioni, rassegne stampa

E' un periodo di addii, che costano e costeranno molto, per il Movimento No Tav. Domenica scorsa abbiamo ricordato Alber...
20/10/2024

E' un periodo di addii, che costano e costeranno molto, per il Movimento No Tav. Domenica scorsa abbiamo ricordato Alberto Perino al Palanotav di Bussoleno. C'erano Dana Lauriola e Nicoletta Dosio, c'erano tante persone che hanno vissuto in prima linea le battaglie contro l'alta velocità di questi anni, in un momento in cui la valle è nuovamente sotto attacco, in forme raramente viste quanto a militarizzazione – stavolta dell'area tra San Giuliano e Susa.

Quando Alberto è mancato ero a Cagliari e la notizia mi è stata data da una collega che si occupa di Turchia al convegno della Società italiana di studi sul Medio Oriente. Questo per dire che la notizia è risuonata ovunque e in ogni ambito perché Alberto ha incarnato molte caratteristiche del Movimento No Tav, molte di quelle che hanno davvero impressionato, sorpreso e fatto sperare la parte migliore dell'Italia attorno al 2005 e al 2011. La sera stessa del resto, in un locale sempre a Cagliari, un ragazzo cresciuto ben lontano dalla Val Susa mi ha confessato di aver provato la sensazione di aver capito solo ora, con la sua scomparsa, quanto Alberto è stato importante, quanto ha fatto la differenza, quale sarà la differenza senza di lui.

Alberto era malato da tempo. Credo si possa dire che ha vissuto una vita notevole. La prima volta che l'ho visto l'ho detestato – era il 2004 credo, eravamo in bassa valle a un'azione contro uno studio geognostico pre-trivellazione. L'avevo visto parlare con un maresciallo dei carabinieri della zona. L'ho riferito ai miei compagni del tempo, e la risposta di chi era più interno a quell'attivazione è stata: "Non ti preoccupare, qui tutti sanno chi è, a volte ha atteggiamenti un po' fastidiosi, ma è una figura di cui non si può fare a meno".

All'epoca per me aveva contato un solo imperativo: non si parla con i carabinieri. Non sapevo che, invece, quella sopportazione reciproca tra persone che la pensavano diversamente su questa e altre cose sarebbe in breve diventata collaborazione, poi comprensione reciproca, poi apprendimento reciproco, poi alleanza, infine vera amicizia politica – un elemento che sembra aver preoccupato, tra gli altri, proprio i vertici delle forze dell’ordine. Va detto che nel tempo il contrasto con polizia e carabinieri sarebbe diventato per il movimento, ahimé, più concreto, e Alberto stesso ha conseguentemente mutato la sua precedente percezione a questo riguardo. È inevitabile: le astrazioni si superano con l’esperienza. Per l’intera valle è stato così: da quelle parti, un’opinione diffusa non proprio lusinghiera sulla cultura e sulle azioni di certi apparati dello stato è fondata sull’esperienza vissuta, non sull’ideologia.

E’ stato questo incontro inedito, e finora ineguagliato in Europa, tra persone che vengono da esperienze diverse e si immergono in un’esperienza comune; questo incrocio solidale tra anime culturali diverse dell'opposizione al modo capitalistico di devastazione che si è prodotta la sorpresa No Tav nello scenario italiano. Una bella sorpresa per molti e per noi direttamente coinvolti in quegli anni, ma anche una brutta sorpresa per chi intendeva e intende lucrare su un progetto nocivo per l’ambiente e le persone e inutile per i commerci. Non a caso si è creato un braccio di ferro decennale, lungi dall’essere concluso, tra il movimento e chi ha creato dal 2011 una strategia di occupazione militare del territorio e forme di spionaggio, sorveglianza e repressione giudiziaria che hanno cambiato l’intera storia istituzionale dell'area metropolitana di Torino, benché le redazioni de La Stampa e di Repubblica si rifiutino da quindici anni di raccontarlo.

Ancora c'è molto da fare sul piano della comprensione e dell'apprendimento su quanto è stato fatto, ottenuto, elaborato in Val Susa dal lato del movimento. Il movimento ha avuto in Alberto un punto di convergenza e rifrazione fondamentale. Non l'unico, chiaro; ma benché sia importante evitare di ripescare una visione della storia fatta di leader e condottieri, sarebbe altrettanto limitante impedirsi di riflettere su personalità che, per virtù e per fortuna, hanno avuto un ruolo innegabile e particolare. Alberto è una di queste figure, su cui riflettere e costruire ragionamenti, e itinerari di ispirazione, da adesso in poi; sottraendolo al semplice ricordo, qualora ve ne fosse il rischio.

Dovremo discutere e ragionare verso la comprensione critica della sua azione, del suo modo, del suo linguaggio, delle sue idee per non perdere un’eredità utile alla costruzione di lotte sempre più urgenti e necessarie. Sono state le idee e gli stili, in gran parte, che hanno contribuito in maniera decisiva alla rarissima congiunzione di partecipazione di massa e radicalizzazione politica, in un luogo dell’Europa, in un'epoca che possiede una scienza triste ma piuttosto raffinata per impedire queste cose. Nonostante questa scienza, queste cose avvengono. Avvengono anche grazie a figure eccezionali e irripetibili come Alberto. La buona notizia è che altre sempre ne arriveranno, altrettanto eccezionali e irripetibili “a modo loro”, come è stato lui.

(L'articolo su Il I blog del Fatto Quotidiano con link a fonti, video e ricostruzioni, e i commenti: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/18/no-tav-alberto-perino-figura-irripetibile-la-prima-volta-lho-detestato/7734458/)

Karl Marx si è occupato direttamente di questioni ecologiche?Dove conducono le sua analisi del metabolismo sociale e soc...
17/10/2024

Karl Marx si è occupato direttamente di questioni ecologiche?
Dove conducono le sua analisi del metabolismo sociale e socio-ambientale (metabolismo "a tempi diversi" del capitale)?
Per trovare un'alternativa al metabolismo sbilanciato e catastrofico del capitale, è possibile, come ha suggerito Bruno Latour, individuare un "soggetto ecologico" che rimetta in discussione l'ordine estrattivo e fossile globale?

Sono alcune delle domande cui abbiamo tentato di rispondere nell'articolo che presenteremo domani al seminario che abbiamo organizzato all'Università di Torino su marxismo e decrescita, dove Dario Padovan presenterà insieme a Andrea Taffuri, a me e ad Alessandro Sciullo il contributo che abbiamo pubblicato nell'ultimo numero dei «Quaderni della decrescita» (1, 3, 2024, pp. 154-176; ISSN: 3034-9966): "Marx, decrescita e comunismo ecologico: dalla comunità-capitale alla comunità-natura".

Qui il link all'articolo in open access: https://www.researchgate.net/publication/383750873_Marx_decrescita_e_comunismo_ecologico_dalla_comunita-capitale_alla_comunita-natura

Qui il link al sito dei Quaderni della decrescita: https://www.decrescita.it/il-nuovo-numero-dei-quaderni-della-decrescita/

Il link al seminario di domani, venerdì 18 ottobre, al CLE di Torino: https://www.dcps.unito.it/do/avvisi.pl/Show?_id=jssw

Cominciamo con una comunicazione di servizio. A causa della assegnazione (finalmente!) del codice ISSN abbiamo dovuto cambiare numerazione: questo è il Quaderno n.3/2024 dell’Anno I, anche se in realtà è il quarto numero del secondo anno. Ci scusiamo con gli autori dei numeri precedenti, ma riu...

Siete tutt* invitat* a questo importante seminario che si svolgerà questo venerdì, 18 ottobre, h 9.00 - 18.00, presso il...
15/10/2024

Siete tutt* invitat* a questo importante seminario che si svolgerà questo venerdì, 18 ottobre, h 9.00 - 18.00, presso il Campus Luigi Einaudi di . Presenteremo l'importantissimo ultimo numero dei " della decrescita" curato da Mauro Bonaiuti, Alice Dal Gobbo, Emanuele Leonardi, Dario Padovan, Antonio Pignatto, per affrontare la spinosa questione: e , e decrescita, sono compatibili? Saranno presenti alcune de* collegh* più stimati del marxismo e dell'eco-marxismo italiano per una discussione che non si annuncia banale!

(Si può seguire di persona o online, link al fondo di questo post)

Dalla presentazione: «Alcuni testi recenti hanno aperto definitivamente il dibattito sul rapporto tra marxismo ed ecologismo, in
particolare quella parte dell'ecologismo radicale che va sotto la definizione di decrescita. La rilettura dei testi di
Marx in chiave ecologica, che all'inizio sembrava difficile se non impossibili, grazie a teorici come André Gorz, Jim
O'Connor, Elmar Altvater, David Harvey, Murray Bookchin, e più recentemente a studiosi come John Bellamy
Foster, Paul Burkett, Jason Moore, Kohei Saito e altri, si è rivelata ricca di prospettive politiche e teoriche per
affrontare la crisi ecologica e pensare una società non capitalista. Recentemente questo confronto si è diffuso
anche nel nostro Paese e il numero di Quaderni della decrescita che vogliamo presentare testimonia questo
interesse. Questa è quindi l’occasione per aprire un confronto che non è mai stato facile, e ancora in parte non lo
è, sulla base di una serie di testi che ci sembrano ricchi e meritevoli di discussione. Si tratta di combinare in una
prospettiva di sintesi socio-ecologica sia la ricerca e la riflessione sui limiti fisici del nesso capitale/natura, sia le
potenzialità del soggetto ecologico che si forma nel degrado del metabolismo socio-ecologico e nel combattere il
capitalismo. Crisi e rivoluzione sono qui di nuovo accoppiate. Va però sottolineato che, pur nella crisi, la storia
non tende naturalmente verso la decrescita o l’eco-comunismo. Non vi è un percorso ideale della storia verso un
tempo futuro già scritto: il futuro non si prevede, ma si costruisce.»

Il programma:

Venerdì 18 ottobre 2024, Università di Torino, Campus Luigi Einaudi, aula 3D440 – 9.00-18.00

9.00 Opening coffee-break
9.30-13.30 – Una lettura ecologica di Marx: materia, energia, lavoro e
Stoffwechsel
9.30-9.45
Paolo Cacciari, direttore dei Quaderni della Decrescita - Introduzione
9.45-11.45
Presentazione dei saggi di
• Dario Padovan, Andrea Taffuri, Davide Grasso, Alessandro Sciullo (Università di Torino): Marx,
decrescita e comunismo ecologico: dalla comunità-capitale alla comunità-natura
• Michele Cangiani (Università Ca’ Foscari): Karl Marx, critico della “crescita”
• Simone Lanza (Ricercatore): Limite e scopo finale: note sulle persistenze di Aristotele nel
Capitale di Marx
• Raffaele Guarino (Università Parthenope di Napoli): Il valore è (ancora) il lavoro
• Giulio Ballarini (Università di Urbino): Sperare, rompere, organizzare. Pungoli materialistici
12.00-13.30
Discutono: Maura Benegiamo (UniPi), Alice Dal Gobbo(UniTn), Fiorenzo Martini(ricercatore), Vittorio
Morfino (UniMib), Paolo Murrone (UniPi), Pietro Omodeo (Unive), Luigi Pellizzoni (UniFi), Elia Zaru
(UniBo).
13.30-15.00 Lunch
15.00 – 18.00 Genealogie delle convergenze e divergenze. Verso un comunismo
della decrescita
• Paolo Cacciari: Il verde e il rosso. Alcune note
• Mauro Bonaiuti (Università di Torino): da Latouche al decrescismo barcellonese
• Emanuele Leonardi (Università di Bologna): Comunismo della decrescita
Discutono: Osman Arrobbio(UniPr), Marco Deriu (UniPr), Anselm Jappe (Accademia di Roma), Bruno
Mazzara (Università Sapienza).
Link: https://unito.webex.com/unito/j.php?MTID=m0e9cfeaf42898875046f1f961239224d

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