02/01/2023
Un estratto dall'ultimo numero della newsletter: Ipertesto biodegradabile/Content.
Quest'anno la mia presenza sul web è abbastanza cambiata: non si è verificata un'inversione di rotta, al contrario, direi che è stato più un consolidarsi di vecchie tendenze. Sicuramente i miei post si sono fatti più sporadici, più fugaci, e questo ha anche avuto a che fare col ridursi del tempo e delle energie disponibili, ma per lo più le ragioni sono di carattere infrastrutturale: è sempre più difficile capire dove scrivere. Sono passati cinque anni da quando ho cominciato a pubblicare le mie divagazioni sul blog e sui canali social relativi: da allora il terreno ci è cambiato sotto i piedi più e più volte. L'analisi di queste trasformazioni richiederebbe la stesura di saggi dedicati, ma prescindendo dalle cause possiamo senz'altro affermare che il testo in rete ha cessato d'essere il medium privilegiato, per lo meno per l'utente finale. Sarebbe stupido ignorare le quantità enormi di scritti prodotti e postati ogni giorno, ma senz'altro il cosiddetto grande pubblico sta mutando da anni il proprio modo di vivere la rete, procedendo spedito in una direzione multimediale. Non voglio essere frainteso: il testo continua ad essere onnipervasivo, ma per essere letto è costretto a farsi strada clandestinamente, rimbalzato com'è tra una piattaforma e l'altra, privo di integrità, non come una serie di aforismi ma più come un ipertesto biodegradabile, che sempre meno si presta ad una fruizione continua ed anche ad una gerarchizzazione e archiviazione coerente (qui qualche data scientist parlerebbe di dati non strutturati).
A questo bisogna aggiungere che la nostra attenzione è oggi contesa da orde di contenuti, "Il Content", un iperblob di produzioni creative che emerge da ogni parte, come il miasma di un'apocalisse zombie. Il Content, con la maiuscola, è un prodotto da vendere ad una clientela, un cavallo di t***a per autopromuoversi, un mezzo per consentire alla piattaforma di turno di monetizzare sul surplus comportamentale dell'utente. A volte il "content" è anche ben fatto e confezionato, ma nel momento in cui ogni cosa diventa indifferentemente "content", la presenza online si trasforma in una competizione permanente in un'arena dalle regole sempre più oscure e indecifrabili. In questo contesto, il testo compete con media decisamente più capaci di attivare le giuste vie dopaminergiche e quindi più appetibili per le piattaforme che scelgono di promuoverli: non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, il titanico sforzo di trasformare Instagram in una variante statunitense di TikTok.