03/11/2024
Il corto circuito
C’è un corto circuito tra noi e i giovani, noi che lo siamo stati e forse pensiamo di esserlo ancora e loro, spaesati e abbandonati più che mai. Il corto circuito, se non addirittura l’assenza di contatto tra noi e loro è in realtà uno scollegamento tra la società e tutte le sue parti, tra persone che demandano ad altri ciò che potrebbero fare anche loro e persone che criticano altri non capendo che la colpa è anche loro.
La società democratica è una grande macchina che può andare avanti soltanto se i suoi ingranaggi, ben oliati, girano all’unisono. Nessuno di questi ingranaggi può spingere da solo la macchina ed ecco perché indicare taluni contesti, rispetto ad altri, come motore propulsore, non è solo sbagliato ma è addirittura controproducente. Indicare quindi a turno: scuola, amministrazioni, forze dell’ordine, intellettuali, tecnici, etc. non serve, perché tutti, compresi noi che pensiamo che abbiamo fin troppo a cui pensare per darci da fare o al volontariato, dimentichiamo che ogni nostra azione influisce sul contesto in cui viviamo e che lo stesso esempio è importante e, se i risultati sono questi, dove si muore ancora per un paio di scarpe, allora la macchina non va o le manca il propellente giusto, quello di una morale, più che condivisa, vissuta.
Il mio paese, San Sebastiano al Vesuvio, è stato scosso da un omicidio, ma questo efferato delitto ad opera di un giovane contro un altro giovane, non cade dall’alto, non è un evento estemporaneo ma è il frutto di un progressivo e lungo abbandono del territorio, non solo da parte dello stato, non solo dalle istituzioni ma dalla stessa coscienza civile, da cui ne è scaturito tutto il resto.
Oggi sentiamo spesso dire che, se la facciata di una scuola o quella di un qualsiasi altro edificio pubblico viene imbrattata è poca cosa, ci siamo abituati, o se le stesse strade dove circoliamo quotidianamente sono sporche, minimizziamo ancor di più, quando non ne siamo direttamente o indirettamente gli artefici, ma se le aree antistanti la casa comunale del mio paese sono ricolme di rifiuti, frutto del bivacco incontrollato di ragazzi provenienti anche da fuori paese, o queste divengono un luogo di incontro e scontro tra giovani che scorrazzano con i loro cinquantini o le loro moto in piazza Raffaele Capasso, allora il problema non è soltanto di coloro che vivono lì e che subiscono quel caos notturno ma è un problema nostro, di tutti noi, e purtroppo, il problema rimarrà ancora una volta del vicinato di quella piazza, così come sarà il nostro quando accadrà nel nostro di quartiere, solo che anche in quel caso, nessuno interverrà.
Questo nostro agire è il sostrato, è l’humus, è il terreno di coltura per quella mentalità camorristica che non ci ha mai lasciato, quella del sopruso, della prepotenza, della connivenza e dell’omertà ma anche della legalità con la elle minuscola, quella degli slogan reiteratamente sterili che si promulgano davanti a quelle scolaresche inermi che al di fuori dei contesti scolastici, e talvolta anche al loro interno, si troveranno davanti a contesti tutt’altro che legali e completamente incoerenti al messaggio inviato.
Ancora oggi, sento dire, parlando dell’omicidio di Davide Sannino nel ‘96, che il suo assassino era tutto sommato un bravo ragazzo, proveniente da una famiglia di brave persone; ma un bravo ragazzo non cammina con una 7,65 in tasca né tanto meno va a caccia di motorini. Oggi, l’assassino di Santo Romano, era da poco uscito da Nisida, un riformatorio rivisto e corretto dall’immagine edulcorata di “Mare fuori” e tutt’altro che corrispondente ad una realtà tanto diffusa quanto raccapricciante, quella della nostra peggio gioventù, quella che imita i nuovi idoli delinquenziali così come ancora fanno i loro padri e facevano i loro nonni esaltando l’immagine da Robin Hood di Raffaele Cutolo. Ma anche quella gioventù più fortunata, quella delle buone famiglie, quella con la felpa narcos o con la t-shirt con l’immagine santificata di Scarface non è immune da certe devianze perché, di taluni atteggiamenti e della nostra mafiosità latente, ce ne accorgiamo solo ora, ora quando è troppo tardi e quando ancora una volta il sangue scorre sul nostro asfalto, per poi dimenticarcene ancora una volta sperando che non capiti mai a noi o ai nostri figli.
Ecco, questo è lo sfasamento che esiste nella nostra società, il corto circuito tra il mondo delle istituzioni e la gente, l’incoerenza del buon padre di famiglia con i suoi figli, del maestro di fronte ai suoi alunni e così via, siamo sempre più chiusi entro i confini del nostro privato e non viviamo più il nostro paese e quando questo accade, gli spazi vuoti che si creano vengono riempiti da tutti coloro che non sanno vivere senza prevaricare.
Vedere oggi le strade di San Sebastiano piene di poliziotti e carabinieri è uno schiaffo al buon senso, è uno schiaffo alla logica, in un paese dove, con vigili urbani e ben tre caserme dei carabinieri, non mancano di certo i presidi delle forze dell’ordine. Evidentemente manca qualcosa, evidentemente gli ingranaggi cigolano e la macchina si sta inceppando o forse manca il carburante giusto per portarla avanti.
Ciro Teodonno