25/05/2024
Oggi nasceva un grande Papa. Ritratto
Attualità e Cultura
Karol Wojtyla, poeta e filosofo
di Marino Faggella
1.La beatificazione di Giovanni Paolo II è stata senza dubbio un avvenimento straordinario e di portata universale, nel senso che ha coinvolto non solo il mondo della Chiesa cattolica, ma l’universo intero degli uomini. Qualcuno ha definito giustamente il Papa polacco la più grande “star mediatica” della nostra epoca, non fosse altro perché la sua immagine è universalmente conosciuta in tutto il mondo. Non si era mai verificato che il particolare rituale di una religione fosse seguito in ogni angolo della terra non solo dagli addetti ai lavori, ma anche dalla maggior parte degli uomini disseminati nel nostro pianeta. La natura universale di un evento siffatto trova la sua spiegazione nella popolarità di un Papa che con la sua figura ha riempito un ampio arco di tempo che va dalla seconda metà del secolo trascorso agli inizi dell’attuale millennio. Non era, infatti, mai accaduto ad un erede di Pietro di lasciare un’impronta tanto profonda nella storia e nella coscienza degli uomini. La sua beatificazione non altro è stato se non il coronamento di un’esistenza vissuta all’insegna del Vangelo, che ha avuto come filo conduttore il bisogno di testimoniare la costante presenza di Cristo nella storia dell’umanità, con la precisa ed energica volontà di riconoscere l’attualità di Dio Uomo nella vita di ogni essere umano. Non dobbiamo dimenticare che Karol Wojtila è vissuto per 85 anni, per 14 è stato arcivescovo di Cracovia, per 27 anni ha seduto sul soglio pontificale, lasciandolo tuttavia molte volte per visitare da protagonista più di cento Paesi del mondo. Non si è trattato di trasferimenti intrapresi per desiderio di evasione o per amore di esotismo, i suoi numerosi viaggi apostolici non sono stato altro se non missioni ad gentes al fine di testimoniare a tutti gli uomini della terra, anche a quelli che non vi credevano, l’attualità del Verbo e della persona di Cristo, reso ovunque familiare e presente in virtù del suo umano martirio. In giro per il mondo al Papa è capitato spesso di scoprire, riconoscendolo, sul volto dei malati e dei sofferenti la stessa immagine del volto di Cristo. Dobbiamo ricordare, a tal proposito, che il Cristianesimo è l’unica religione che ha elevato il martirio del dolore del corpo ad insegna della divinità. Anche per questo negli ultimi anni dolorosi della sua vita Karol, non tanto Papa quanto uomo, ha rinnovato sul suo corpo sofferente il mistero del martirio della Croce. Così Bruno Forte ha inteso riassumere l’eccezionale ventura umana e pastorale di un Papa che sia con le parole che con i fatti “ha mostrato all’umanità dell’inquieta modernità e dell’insorgente postmoderno come il Dio cristiano sia tutt’altro che il concorrente dell’uomo, ma un dio vicino, amico degli uomini(…) veramente “il Redentore dell’uomo”(titolo della prima, programmatica enciclica del suo Pontificato). Egli ha annunziato così il Vangelo, del “possibile, impossibile amore”, di quella ca**tà, cioè, che eccede ogni misura di forze umane, e che tuttavia è possibile e bella, realizzante e vera, perché un Altro è venuto ad abitare fra noi, ad amarci fino al sacrificio del Suo corpo crocifisso, per renderci capaci di amare”[1].
2.Per comprendere l’originale novità che Giovanni Paolo II ha introdotto nella durata del suo pontificato conviene ripercorrere alcune tappe della sua vita, in particolare i primi anni della sua esistenza, che hanno avuto un ruolo fondamentale per la sua formazione verso il pontificato, durante i quali il giovane Karol, ha cominciato per così dire a muovere i primi passi verso la beatitudine. Nel libro inedito scritto a quattro mani da Messori e Vecchi per ricostruire l’eccezionale vicenda umana e spirituale del Papa polacco si insiste opportunamente sulle tre tappe fondamentali, dell’Uomo, del Papa e del Beato, che secondo l’antico schema agiografico sono considerate in stretta connessione tra loro, nel senso che l’una fa scala all’altra in una successione delle parti che procedono dall’umano allo spirituale. Non è certo questo il luogo per rifare integralmente le complesse vicende della vita di Karol Wojtyla, che pure sarebbe certamente interessante ripercorrere, ma, non fosse altro che per ragioni di spazio, ci soffermeremo solo sulla prima fase della sua esistenza, che è secondo noi molto importante in quanto già da questo momento della sua prima formazione in Polonia comincia a strutturarsi con la sua originale e robusta personalità di uomo anche una precoce vocazione alla santità. In questa breve ricostruzione della vita del giovane Karol ci faremo guidare da due fonti sicure: le parole di Joseph Ratzinger e quelle dirette dello stesso Papa, che, nel capitolo intitolato “I libri e lo studio”del suo libro Alzatevi, andiamo, ci fornisce una fondamentale testimonianza delle letture e degli studi iniziati e seguiti nei suoi anni giovanili, delle passione per le lettere e il successivo amore per la filosofia, che gli fu strada per più innanzi andare. Karol Joseph Wojtyla nacque nel 1920 a Wadowice, una cittadina non distante da Cracovia, da un militare in pensione e da Emilia Kaczorowska. A nove anni gli toccò di provare, con la morte della mamma, il suo più grande dolore, che tuttavia non riuscì a spegnere la sua precoce ed ardente sete di vita e di speranza, come si può leggere nei primi versi, a dire il vero, un po’ traballanti della sua poesia Sulla tua tomba bianca, dove con accenti di struggente tenerezza, dedicando alla madre morta le sue prime prove poetiche, grida anche il suo amore a Cristo che, proprio con il suo sacrificio, ci ha testimoniato che la vita non è un calvario destinato al nulla, ma un anticipo dell’eternità: “Sulla tua tomba bianca/sbocciano i fiori bianchi della vita/(…)Sulla tua tomba bianca/risplende luminosa quiete/come se qualcosa ci sollevasse in alto/come se ci confortasse la speranza”. Non so se il testo in questione, in verità non molto rifinito, avrebbe meritato di trovar posto in una raccolta di poesie giovanili di Karol Wojtyla di recente recuperata, nello scantinato di una vecchia casa editrice di Cracovia, in mezzo ad un cumulo di polverosi manoscritti. Si tratta di uno dei più remoti reperti letterari del Papa, un autentico poemetto che, tra le altre cose annovera proprio il titolo “A Emilia,mia madre”. Giovanni Paolo II si era dedicato con crescente interesse alla poesia fin da quando frequentava il liceo di Crakovia, sua città natale, pubblicando sotto diversi pseudonimi numerose poesie nelle pagine dei giornali del suo Paese. Wojtyla, oltre che poeta, è anche autore di libri pregevoli, che sono stati accolti favorevolmente in molti paesi, come testimoniano le traduzioni in tutte le lingue. La sua attività di saggista e scrittore di cose edificanti non riesce però ad oscurare la sua disposizione poetica, tanto che viene giustamente annoverato quale letterato e poeta, accanto ad Enea Silvio Piccolomini, salito al soglio pontificio col nome di Pio II.
3.Non pochi biografi del Papa, pur utilizzando edite ed inedite testimonianze, si soffermano solo per dovere di cronaca sui primi tempi della vita di Karol, se mai trascurando proprio la sua disposizione poetico-letteraria, che, al contrario come si è visto non solo fu molto precoce e sentita, ma proseguì per tutto il corso delle sua esistenza. Molto illuminante, a questo proposito, risulta la seguente nota di Joaquin Navarro Vals apparsa il 17 maggio 2003 su “La Stampa”, dopo l’estenuante pellegrinaggio di Giovanni Paolo II nelle americhe, che testimonia il costante interesse del Papa per il rifugio poetico:”L’anno scorso, dopo l’estenuante viaggio(…) trovandosi a Castelgandolfo, con qualche giorno a disposizione, riaprì un capitolo chiuso- così lo aveva chiamato- della sua vita: la poesia. E cominciò a scrivere in questa forma letteraria. Senza dubbio usò immagini, impressioni, soprattutto riflessioni che aveva accumulato precedentemente. E venne fuori il libro “Trittico romano”, pubblicato in diverse lingue. In quelle pagine si trova la stessa densità e freschezza della sua opera poetica di cinquanta anni fa, ma nello stesso tempo tutto è nuovo: i temi, il ritmo, anche il drammatismo lirico. Poesia audace, quella del Papa, e ricca, che parla dell’amore umano come un giullare e dell’amore di Dio come un mistico”. Proprio nella parte centrale del poemetto giovanile, già citato (nella sezione intitolata Musica di sinfonie) si colgono i primi segni di una disposizione mistica che fa pensare al Cantico di Frate Sole di francescana memoria, che coglie in tutte le cose della natura un segno tangibile dell’amore di Dio verso le sue creature. Anche il giovane Karol, probabilmente per influsso francescano, allestisce una solenne poesia col proposito di celebrare l’infinita bontà divina che ha formato tutti gli esseri del cielo e della terra, provvisti di anima o fatti di pura materia, la cui prepotente bellezza è lì a significare dal momento della creazione sia l’onnipotenza di Dio sia il suo inesauribile ed incommensurabile amore per gli uomini. Infatti, in quella sezione del poemetto, che non a caso occupa la parte centrale della raccolta, karol, analogamente a quanto si legge nella Lauda francescana, celebrando la musica come magica voce della natura, attraverso il riconoscimento della sua bellezza e valore eleva un cantico di amore e riconoscimento per il Signore che l’ha prodotta per noi insieme alle altre cose belle. L’io parlante, la voce lirica è quella di un re pastore simile al David biblico, o quella di un antichissimo abitante di Polonia che, come il pastore errante di Leopardi, ascolta il respiro che manda natura:” Ho teso l’anima, nell’arco,/ dove solo scoccare la freccia/….col petto toccare le nuvole/io appartengo a Dio./O Padre, dà la vittoria alla Musica,/che dentro una nube cammina,/in basso verde dell’erba,/in alto bianco di nuvole./O Padre non permettere/ che torme di cavalli trapestio/ e alte sugli zoccoli le orde/ di Batu-Kan disperdano/il genere umano! Sulle spalle della Musica caricate/i destini del mondo!/…. O MUSICA, che sgorghi dalle conchiglie,/che gremisci il cielo/che da nove secoli proclami la Sua lode: Musica-gleba/ seminata con seme di frumento – e le spighe diventeranno pane,/mormorio di spiga,/mormoreranno i campi/E parlerà Dio”. Come gli suggeriva il modello della vita del poverello di assisi, che, dopo una giovinezza vissuta e goduta, aveva voltato le spalle ai beni materiali del mondo per votarsi alla povertà, anche il giovane Karol si fece portavoce di una religiosità fatta di naturalezza e spontaneità, ma più vissuta che meditata: E’ questa l’altra parte forse più proficua, quella del “misticismo attivo” che egli derivò dall’insegnamento del modello di vita francescana, tesa costantemente a fare della propria vita un’immagine della vita di Cristo, di un uomo che, spiegando le sue verità in forma di parabole, era vissuto tra gli uomini e con essi aveva condiviso le gioie e i dolori, non solo la vita ma anche la morte. Abbracciando il Cristianesimo, la religione della croce, Karol ne fece fin dall’inizio una forma di religiosità nuova che poteva prendere a modello la vita dei santi, anche quelli che, versando il loro sangue in terra di Polonia, come gli agnelli di fronte ai lupi avevano coronato la loro esistenza col martirio, dimostrando col loro sacrificio un amore sconfinato verso gli uomini, in quanto tutto ciò che è umano partecipa in qualche modo della divinità. Ma il giovane che pur da poco aveva scelto la via di servire il Signore era convinto che la scelta del martirio era solo la scelta estrema, giacché, come ebbe modo di capire e soffrire più tardi, sia nella fase dell’occupazione tedesca della Polonia sia durate il tempo delle persecuzioni comuniste, l’esperienza vera del cristiano non è solo ascetica e rinunciataria, ma, armandosi di fortezza nel tempo di regimi dittatoriali di qualsiasi segno, non può non essere militante, in quanto, come ebbe a sostenere più tardi:”Il terrore in uso presso ogni dittatura è calcolato sulla paura degli apostoli”. Capì per tempo che un buon cristiano ha l’obbligo di affermare la verità, a qualsiasi costo, anche se la sua affermazione richiede sacrificio: “Davvero, non si possono voltare le spalle alla verità, cessare di annunciarla, nasconderla, anche se si tratta di una verità difficile, la cui rivelazione porta con sé un grande dolore. Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Una causa giusta è quella “ per la quale non si può non combattere. Un dovere, un obbligo, a cui non ci si può sottrarre; da cui non è possibile disertare (…) un certo ordine di verità e di valori che bisogna mantenere e difendere: dentro di sé e intorno a sé”. Anche se in tempi iniqui di violenza affermare la verità significa imbattersi in prove a volte molto difficili o, addirittura drammatiche, non saremo soli se saremo armati di una fede vittoriosa: “Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”. Solo a queste condizione sarà possibile superare vittoriosamente ogni prova, comprese quelle più dure.
4.Se volessimo ricostruire l’itinerario poetico di Karol non dobbiamo fare altro che concentrare la nostra attenzione sugli studi giovanili del Papa, in particolare negli anni che vanno dagli anni liceali alla sua frequentazione della Facoltà di Lettere dell’Università di Crackovia, allorché si venne formando la sua passione per la letteratura, mai del tutto smessa, malgrado i successivi ed onerosi impegni pastorali, così da lui sottolineati: “L’essere vescovo ha in se qualcosa della Croce, perciò la Chiesa pone la Croce sul petto del vescovo. Sulla croce bisogna morire a se stessi (…)Prendere si di sé la Croce non è facile , anche se essa è d’oro e tempestata di pietre preziose”. L’attività letteraria di Karol Wojtyla che, in effetti, si è svolta parallelamente alla sua carriera ecclesiastica, subendo proprio per questo inevitabili pause e riduzioni, a causa degli accresciuti e stringenti impegni legati all’impegno vescovile prima e successivamente al più pressante magistero papale che lo ha visto sempre più in costante movimento, non è soltanto nativa predisposizione nei riguardi delle Muse, ma, in quanto nasce innanzitutto, come egli dirà, dalla: “sollecitudine del Pastore per ogni pecora, una sollecitudine piena di pazienza, quanta se ne richiede per raggiungere il singolo uomo nel modo a lui adeguato” richiede amoroso e continuo studio: “Sta anche in questo il dono delle lingue, il dono cioè di parlare con un linguaggio comprensibile ai nostri fedeli”. Wojtila sapeva bene, per sofferta esperienza, che: “Gli impegni che ricadono sulle spalle di un vescovo sono tanti. Ne ho fatto l’esperienza in prima persona e mi sono reso conto di come il tempo possa veramente mancare”. La stessa esperienza, però, gli aveva “anche insegnato quanto siano necessari al vescovo il raccoglimento e lo studio”, per cui molto per tempo, e ben prima che venisse insignito del pastorale, aveva provveduto con la lettura e la serietà degli studi a farsi una salda formazione. Ad esortarlo a leggere era stato il padre, ottima figura di genitore, che lo aveva educato anche a sapersi muovere nella vasta produzione editoriale ed a scegliere tra le opere degli autori quelle più vere, feconde ed essenziali:“ Già da bambino mi piacevano i libri, alla cui lettura mi aveva abituato mio padre. Era solito sedersi accanto a me e leggermi, ad esempio, Sienkieviz o altri scrittori polacchi. Dopo la morte di mia madre, eravamo rimasti noi due”. Fortunatamente avevano la compagnia di libri di valore alla cui conoscenza il padre non mancava di esortarlo continuamente. Poi, crescendo ebbe altri maestri ben più provveduti ed esperti che lo avviarono in modo sempre più consapevole agli studi delle lettere, che sembrarono aprirgli nuove prospettive, e che probabilmente, come lui dirà, se non fosse scoppiata la guerra lo “avrebbero assorbito completamente”. Nella fase degli studi accademici il giovane Karol venne completando il suo piano di studi aggiungendo alla schiera dei suoi auctores altre voci, in particolare quelle del teatro, esperienza d’arte singolare che ad un certo punto lo attrasse irresistibilmente: “Quando ero studente universitario, lessi vari autori. Prima mi rivolsi alla letteratura, specialmente a quella drammatica. Leggevo Shakespeare, Molière, i poeti polacchi Norwid e Wyspianski..”; ma la sua predilezione andava senza dubbio al teatro: “ la mia passione, però, era fare l’attore, calcare il palcoscenico”, esperienza artistica per la quale dimostrò a più riprese un autentico talento, a tal punto che qualcuno ebbe a dire che se fosse rimasto nel teatro, sarebbe stato un grande attore. Ma a diciannove anni la guerra e la successiva invasione della Polonia da parte dei tedeschi fece conoscere al giovane il terrore dei bombardamenti, il dramma degli sfollati e la fatica del lavoro. Durante l’occupazione germanica Karol per evitare la deportazione fu costretto a fare l’operaio in una cava di pietra collegata con la fabbrica chimica Solvay. In questo tempo egli, dividendosi tra il duro lavoro di fabbrica e il teatro, per operare un tentativo di resistenza pacifica in difesa della cultura polacca, fondò la compagnia del “Teatro Rapsodico”, che fu detto con altro nome “Teatro della Parola”. Così, come sostiene giustamente Joseph Ratzinger, il giovane riusciva a ricongiungere la sua vita attiva con quella intima e contemplativa dei suoi studi, dimostrando di saper coniugare la passione per le lettere, lo studio delle lingue con quella non meno importante del teatro: “Il suo punto di partenza era stata la filologia, l’amore per la lingua, combinata all’applicazione artistica della lingua, in quanto rappresentazione della realtà in una nuova forma di teatro”. L’attuale Papa a compimento del primo decennio del pontificato di Giovanni Paolo II, ripercorrendo in un articolo la vita del di Karol Wojtyla, così sottolineava la fondamentale formazione degli studi e del lavoro anche al fine della maturazione della sua scelta religiosa: “La vocazione di Karol Wojtyla maturò quando egli lavorava in un’azienda di produzione chimica, durante gli orrori della guerra e dell’occupazione. Egli stesso ha definito questo periodo di quattro anni, vissuto nell’ambiente operaio, come la fase formativa più determinante della sua vita. In tale contesto egli ha studiato la filosofia, apprendendola faticosamente dai libri e il sapere filosofico gli si presentava di primo acchito come una giungla impenetrabile”.
5.Se passiamo ad analizzare, nella progressiva maturazione degli studi, l’interesse nei riguardi del pensiero filosofico, al di là delle iniziali difficoltà incontrate, capiamo che una fondamentale disposizione sintetica (“Nelle mie letture e nei miei studi ho sempre cercato di unire in modo armonioso le questioni di fede, quelle di pensiero e quelle di cuore. Non sono infatti campi separati, ognuno penetra e anima gli altri…”) serve anche a spiegare, come sostiene Ratzinger, il perché di “quella specie particolare di “filosofia”- che è stata sempre una sua caratteristica – “un pensiero fondato sulla grande tradizione, ma sempre alla ricerca della sua verifica nella realtà presente”. Ma, dopo l’infatuazione per il teatro, a dire il vero neppure totalmente abbandonata in seguito (dopo la sua ordinazione sacerdotale (1944) continuerà anche da vescovo a comporre testi teatrali) venne, come lui dice, “il momento della letteratura filosofica e teologica”. Dopo aver per un po’ accantonato il teatro e la letteratura artistica vediamo ora quale furono le tappe e gli autori determinanti nei quali egli s’imbatté lungo l’iter della sua formazione filosofica che conobbe inizialmente due diversi momenti: “Furono quindi due le tappe nel mio itinerario intellettuale: la prima consistette nel passaggio dalla letteratura alla metafisica; la seconda mi portò dalla metafisica alla fenomenologia”. Joseph Ratzinger, nell’articolo già nominato che celebrava i primi dieci anni del pontificato di Giovanni Paolo II, sottolinea giustamente l’importanza di tale indirizzo filosofico che, condizionando positivamente anche la sua concezione teologica, fu decisivo ai fini dello sviluppo del pensiero del futuro Papa. Karol, che aveva cominciato a studiare di nascosto la teologia in seminario negli anni dell’occupazione nazista, conseguendo poi la libera docenza nella facoltà di Teologia dell’Università Jagellonica, avvertì tuttavia per tempo che c’era un pericolo insito nello studio assoluto della teologia protratto troppo a lungo: la sua disposizione ad astrarsi progressivamente dalla realtà. Un tale pericolo, già percepito in Polonia negli studi seminariali, che sarà avvertito più tardi in maniera consistente nella crisi postconciliare della teologia, aveva trovato un ottimo correttivo nella fenomenologia dello spirito dopo l’incontro con Max Scheler, uno dei più grandi maestri di questo indirizzo filosofico. Ma fino a che punto il pensiero di un filosofo, di un pensatore laico, può essere fondamentale per risolvere la crisi della scienza del divino, a tal punto da essere messa da alcuni in discussione nella nostra età? Karol Wojtyla già da giovane aveva intuito che la crisi della teologia era dovuta innanzitutto al rifiuto dei teologi ad accettare dei principi filosofici in grado di correggerla e guarirla. Giustamente sottolinea Ratzinger in un suo libro di memorie che “ la crisi della teologia”, capitata dopo il concilio era in larga misura dovuta alla crisi dei suoi fondamenti filosofici. Papa Wojtyla, fu Papa anche per questo: per aver compreso il legame sottile, ma vero, che tiene congiunte insieme le verità teologiche al sapere filosofico, nell’intuizione fondamentale che riconosceva ad una scuola filosofica, novella ancilla philosophiae, di porsi a sostegno della verità rivelata, fornendo agli uomini di pensiero e dello spirito di contemplare il divino immanente senza rinunziare al contingente con la conoscenza dei fatti minuti e quotidiani. Fu grande merito della fenomenologia aver operato una tale semplificazione con la sua teoria della conoscenza che riduceva senza alcuna svalutazione l’ideale assoluto all’universo delle cose, l’universale al particolare. Karol Wojtyla è grande perché non solo ha compreso prima di tutti questa necessità del collegamento fra ricerca razionale del filosofo e verità teologica, ma si è anche impegnato, non esclusivamente da filosofo, di tradurla in pratica nelle pieghe della storia in ogni momento della sua esistenza terrena, realizzando il sogno di chi in altre età ha cercato spesso inutilmente di voler coniugare pensiero e azione, la vita contemplativa con quella attiva, sotto il segno comune di Marta e di Maria. Anche per questo, al di là dei suoi miracoli testimoniati, Egli merita di sedere a pieno titolo fra i beati.
[1] B.Forte, introduzione a Karol Wojtyla, l’uomo, il Papa, p.4.